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Autore: LubaLuft    18/12/2023    4 recensioni
Quando Kotarō Bokuto e Tetsurō Kurō lo chiamano a murare, Kei Tsukishima sta scivolando in una lenta crisi. La luna ha il suo lato oscuro, non può non portarlo sempre con sé...
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Killing Moon


”Under blue moon, I saw you

So soon you'll take me

Up in your arms, too late to beg you

Or cancel it, though I know it must be

The killing time

Unwillingly mine…”

(Echo & The Bunnyman - The Killing Moon)

 

“Ehi, tu, quattrocchi… Vuoi venire a murare?…”

A giudicarlo dal suo taglio di capelli, Tetsurō Kurō non sembrava davvero un giocatore di pallavolo ma piuttosto il cantante di un gruppo new wave.

Ciò che però risultava interessante, nell’insieme, era il suo ghigno beffardo che si apriva su una voce profonda e il taglio degli occhi, che comunicava indolenza e concentrazione allo stesso tempo.

Il collo, esile e proporzionato, scendeva armonioso sulle spalle larghe. 

Era alto, l’altezza giusta che doveva avere un centrale. Non come quel tappo di Hinata.

Accanto a lui, Keiji Akahashi e poi Kotarō Bokuto, che invece poteva essere più il frontman di una punk band.

Che diavolo volevano quei tre da Kei Tsukishima, che era già pronto per andarsene in camera sua ad ascoltare tutt’altro genere musicale?

Tetsurō intanto gli parlava, gli dava le giuste motivazioni per fermarsi. Anche gli altri gliele davano, ma Tetsurō aveva nella voce una nota strana, alla quale Kei non era abituato. Aprì le orecchie, per capire se l’avrebbe sentita ancora o se era stata solo una sua impressione.

Si fermò fuori della palestra, il viso di tre quarti. La luce gialla dei fari lo illuminò.

La sua pelle era quasi diafana. I capelli biondi, lo sguardo chiaro cerchiati dalla serietà degli occhiali.

Brillava come brilla la luna.

Tetsurō amava la luna ma voleva conoscere anche il suo lato oscuro, era il dato fondamentale che gli mancava da sempre. 

Com’era il lato oscuro di Kei Tsukishima? 

C’era un modo per scoprirlo. Mettersi accanto a lui sotto rete, osservarne i riflessi, lo scatto, la reazione muscolare alla prova del salto. Respirare il suo sudore.

“Bokuto, perché non provi con un muro a due?”

E Kei se lo ritrovò accanto.

Il ghigno beffardo era tutto per Bokuto ora ma la voce profonda era invece per lui.

“Sta attento a chiudere la parallela.” gli disse.

Ma non ce ne fu bisogno, ci pensò il gatto nero del Nekoma a prendere la palla impazzita del gufo del Fukurodani.

Il muro del corvo invece era debole. Glielo fecero notare e lui si chiuse. Si blindò .

Si sentì messo in mezzo da quei tre, ma erano le parole di Tetsurō a riecheggiare nella sua testa: “Il piccoletto finirà per passarti avanti. Giocate nello stesso ruolo, no?”

Che diamine voleva? Un’ammissione di inferiorità? Se proprio ci teneva!…

E Kei tagliò la corda. C’era abituato, solo non lo dava a vedere, sembrava sempre avere altro di meglio da fare, anche quando fuggiva.

Tetsurō lo guardò mentre andava via, il suo lato oscuro ben nascosto.

Sapeva che dietro la debolezza che mostrava nel murare doveva esserci altro. Paura di osare? Paura di chiedere? A se stesso, prima di tutto?

La sera dopo, gli fece avere un messaggio, in mensa.

Mi trovi in palestra dopo cena. Uno contro uno, se vuoi. E scusami se ti ho offeso

Kei non era offeso, anzi. Tetsurō gli aveva mostrato le crepe nella sua apparente corazza fatta di disprezzo e isolamento. 

Lo raggiunse. Sapeva che non avrebbero potuto esercitarsi in due senza qualcuno che alzasse. Da soli potevano solo saltare.

Tetsurō lo aspettava sotto rete.

“Esercitiamoci con l’elevazione. Partiamo con la rincorsa.”

Entrambi saltavano in sincrono. La mani si toccavano a filo di rete. Kei aveva sempre le dita fredde, Tetsurō invece era piacevolmente caldo.

Le mani battevano, si toccavano per quel secondo, poi tornavano giù, come anche lo sguardo lunare di Kei.

Ma Tetsurō non voleva che la luna tramontasse così e all'ultimo salto afferrò le dita lunghe e sottili di Kei, intrecciandole quasi alle sue. Per un secondo lungo una carezza.

Tornarono sulla terra.

Per un attimo, solo silenzio e lo stridore delle  suole delle scarpe sul parquet. Gli occhi di Tetsurō brillavano di luce scura.

“Salti bene, sei coordinato. Sei pulito.” 

“Lo hai detto tu che ho il muro debole.”

“No, quello era Kotarō. Io ho detto che ti farai soffiare il posto.”

Kei girò la testa dall'altra parte, di scatto.

Il lato oscuro della luna, eccolo. Tetsurō gli si parò davanti, non voleva perdersi le sue lacrime di rabbia e insoddisfazione. 

Le vedeva! Pensò, di sfuggita, di asciugargliele con un bacio.

“Quello che ti ho detto, lo penso davvero. Ti farai soffiare il posto ed è un peccato perché il tuo muro… è dannatamente alto, piazzato, pericoloso.”

“A quanto pare… ma non ne ho presa una.”

Kei si guardava le mani. Il medio e l'anulare della mano sinistra erano più scuri.

“Quello è stato Bokuto, quell'animale… fammi vedere.”

Le dita calde di Tetsurō si riavvolsero di nuovo attorno alle sue, come quando poco prima stavano tornando sulla terra. Kei sentì una fitta di dolore quando l’indice di Tetsurō spinse sul suo anulare, e un’altra fitta da qualche altra parte, dove di solito faceva finta di non sentire.

“Devi imparare a fasciarti bene le dita o qualcuno te le slogherà. Guarda, si fa così…”

Prese dalla tasca della tuta un cerotto a nastro.

“Allarga le dita.”

Kei obbedì, contemplando le mani di Tetsurō che accudivano le sue.

Tetsurō sfiorava con delicatezza quelle dita lunari, la pelle morbida sulla sua, più ruvida. Sollevò lo sguardo sul suo viso. La rabbia era passata ma le palpebre erano ancora umide.

L’orologio sul muro segnava le dieci.

“È tardi.” Disse Kei con voce neutra. “Dovremmo raccogliere i palloni e dare una pulita.”

Fermò le mani di Tetsurō poggiandovi sopra la destra.

Lo guardò, poi indicò la porta dello stanzino di servizio, sul fondo.

Tetsurō vedeva la luna al tramonto, farsi più rossa, incandescente.

Raccolsero i palloni e le bottiglie vuote e insieme si diressero sul fondo della palestra, spingendo insieme il carrello.

Lo stanzino era fresco, rispetto al corpo della palestra. Era piccolo, lontano dall’ingresso, dalle altre palestre, dal chiasso infernale che facevano tutti, dagli occhi indiscreti.

La luce dei fari arrivava anche lì e rischiarava quello spazio angusto.

Si guardarono.

I capelli di Tetsurō erano ancora più scuri. Gli occhi come due perle nere, asciutti, senza fondo.

Kei si avvicinò per sentire com’era il respiro di lui, se era normale o se lì dentro, al buio con lui, aveva preso un altro passo.

Tetsurō si prese lo sguardo di Kei, che aveva il potere di attirarlo come la luna con le maree. Azzurro, in quel buio, acqueo, etereo, evanescente.

Allungò le sue mani calde su di lui.

“Chiudi la porta.” comandò la luna.

Tetsurō chiuse la porta e ora era buio su buio, i suoi capelli e i suoi occhi erano fatti di spazio profondo. Incredibilmente, sulla sua retina era rimasta impressa la sagoma di Kei, il suo chiarore. 

Tornò su di lui con le mani. Trovò le sue e si intrecciarono di nuovo.

Sotto le magliette, la pelle sudata e i muscoli tesi. Non potevano fare molto, ma neanche poco, e quel poco era accarezzarsi, seguendo ciascuno le linee immaginarie dell'altro e chiedendosi dove portassero davvero. 

Le bocche, nel buio, si unirono lente, non c'era fretta in quella parte di universo dov'erano loro.

“Tu mi farai morire.” Disse Tetsurō.

“Non pensavo di avere questo potere.”

“Non devi pensare. Pensi troppo. Guardi tutti dall'alto, con distacco, come la luna. Potresti uccidere, con le tue mani. Uccidere una schiacciata… o uno come me.”

“Però con te non è stato così."

“Perché io ho trovato il tuo lato oscuro. E mi piace, dannatamente. Vorrei non fossimo qui, ora, lo capisci?”

“L’ho capito quando mi hai fasciato le dita.”

Nel buio, Kei sentì Tetsurō che gli prendeva la mano sinistra. Subito dopo, il tocco leggero delle sue labbra sul medio e l’anulare.

“Domani te le fascerò ancora. Finché potrò toccare solo quelle, me lo farò bastare.”

Uscirono dalla stanza e tornarono alla luce artificiale dei fari. A passi lenti, uscirono dalla palestra.

“Hai fame?” chiese Tetsurō.

“Da morire.” rispose Kei.

 “Continua ad averne, e il tuo muro migliorerà.”

“Non vedo l'ora di fermarti.”

Tetsurō lo guardò, con le sue perle nere, di nuovo accese sotto il chiarore della luna.

“È difficile che mi fermi, quando comincio…”

Kei sorrise.

“Andiamo a mangiare.”

(FINE)

   
 
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