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Autore: Neamh Moonstar    19/12/2023    2 recensioni
[SPOILERS SECONDA STAGIONE]
Le loro separazioni non erano mai per sempre. In fondo lo aveva detto anche Aziraphale stesso: "Nulla è per sempre".
Eppure la loro ultima lite era sembrata una ghigliottina: li aveva divisi così profondamente da lacerarli, così duramente da far mettere ad entrambi il punto su una relazione che pareva essere appena cominciata - o che era morta ancor prima di cominciare davvero.
Crowley si era sentito tradito, così tanto da dirsi che non sarebbe tornato dall'angelo nemmeno se gli fosse piombato davanti - in ginocchio, per giunta.
Peccato che fosse solo tutta una stupida storiella che si ripeteva per non ammettere quanto in realtà sperasse in un ritorno. Sperava in un chiarimento. Sperava in una svolta.
E adesso la svolta era arrivata così, di colpo, senza preavviso.
Dopo un anno intero da quel disperatissimo bacio.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Metatron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si risvegliò sotto al tocco delicato di una carezza sulla sua guancia.

Non aveva idea di quante ore fossero passate. Sapeva solo di stare bene lì, al calduccio nel suo letto, con quelle mani delicate che gli ricordavano che andava tutto bene, che ce l'aveva fatta e che doveva solo pensare a riposare.

Si sentiva ancora come se il mondo intero gli fosse caduto addosso. Era esausto: aveva dato tutto sé stesso, ed aveva appena iniziato a riprendersi. Per questo, una volta riaperti gli occhi, gli ci volle qualche secondo per ricordarsi dove fosse, con chi fosse e cosa stesse succedendo.

    «Angelo?» Lo richiamò una voce, bassa e sussurrata, così lieve che credette di essersela sognata.

Crowley.

    Appena lo rivide, gli sorrise appena. Riuscì a stento a mormorare un: «Ciao» roco e debole.

L'altro ricambiò il sorriso e si mise silenziosamente a piangere.

Era da un po' che lo udiva singhiozzare al suo fianco: uno dei tanti suoni che era riuscito a captare mentre riposava. Dopo il loro lungo bacio, Aziraphale aveva sentito Crowley scendere da lui per inginocchiarsi accanto alla sponda del letto. Lì il demone aveva iniziato ad accarezzargli la testa, e il viso, e le braccia... Ogni tanto gli dava qualche leggero bacio sulla fronte, lasciando che le lacrime andassero a bagnare il volto di entrambi.

    «Come stai?» Gli chiese questi, sempre senza alzare la voce. Era come se avesse paura di fargli male anche solo parlando.

Dietro di lui, Aziraphale intravide una figura sfocata e color crema intenta a poggiare qualcosa sul comodino. Nella stanza aleggiava un piacevole odore di cioccolata calda appena fatta.

    «Bene, soprattutto adesso che so che ci sei ancora» rispose, le parole che faticavano ad uscire.

La verità era che aveva sonno: una sensazione aliena per lui. Non aveva mai amato dormire, ma ora avrebbe volentieri sonnecchiato per giorni interi.

    «Smetti di fare lo smielato. Dico sul serio» lo riprese Crowley senza nemmeno un briciolo di rimprovero. «Non ti do la cioccolata se non mi dici come ti senti.»

    La figura alle spalle del rosso fece un sussulto. «Eh, no: dovrà passare su di me. Non me la sento di lasciarlo senza, poverino.»

Ad Aziraphale scappò una debole risata. Ma certo, Muriel.

    «Ciao, cara» la salutò, felice di sapere che pareva essere tornata contenta come sempre l'aveva vista.

    Lei trotterellò accanto al letto e finalmente l'angelo riuscì a metterla a fuoco. «Salve! Come sta?»

  «Stanco, direi» ammise Aziraphale. «Ma bene. Davvero bene.»

    Crowley gli scoccò un'occhiataccia - che finì per essere più tenera che veramente arrabbiata - e si passò una manica sotto gli occhi. «Ah, a lei lo dici, però. Cos'è, state complottando contro di me?» 

    «Su, su» lo rassicurò Muriel, dandogli qualche leggera pacca sulla spalla. «Ha detto che sta bene, dovrebbe esserne felice.»

Si misero a battibeccare intanto che il demone aiutava - con delicatezza infinita - Aziraphale a raddrizzarsi, sistemandogli il cuscino dietro la schiena.

Quando gli porsero la sua generosa dose di cioccolata, l'angelo scoprì di non essere capace nemmeno di alzare le mani per prenderla. Qualsiasi cosa facesse gli costava una fatica immane. Se non fosse stato per la spossatezza, avrebbe trovato la situazione alquanto snervante.

    «Va tutto bene» lo rassicurò Crowley, poggiandogli la tazza sulle labbra. «Anche io ci ho messo tanto. Devi darti tempo.»

Con il suo aiuto, Aziraphale accolse con gioia la dolcezza e il calore di una delle sue leccornie preferite in assoluto. Riuscì a trangugiarne lentamente una buona parte prima di finire completamente le poche energie che aveva accumulato.

Gli parve di sciogliersi contro il cuscino - anzi, i cusciniCe n'erano sempre stati così tanti?


Dormì a lungo in quei giorni. Da un lato ne sentiva un bisogno disperato, dall'altro gli dispiaceva interrompere le brevi chiacchierate che riusciva ad avere con Crowley tra un sogno che non ricordava e l'altro.

Il demone, ovviamente, non ne rimase mai né deluso né indispettito. Non faceva che ripetergli di quanto lui stesso avesse faticato a rimettersi in piedi, e di quanto fosse chiaro che il riposo gli stava giovando.

    «Io sono sempre qui» gli sussurrò una volta, accarezzandogli la testa e scombinandogli affettuosamente i riccioli. «Non appena starai meglio, andremo a fare un giro. Ti porterò a mangiare qualcosa, faremo un picnic, tutto quello che vuoi. Perciò, ti devi riprendere per bene.»

Era quasi strano vederlo così apertamente affettuoso - uno strano bello. A dirla tutta, il solo vederlo era abbastanza da riempire l'angelo di gioia. Non era mai stato così bene in vita sua; quello sguardo aureo e pieno d'amore era abbastanza da allontanare, seppur momentaneamente, la fatica insediata nelle sue ipotetiche ossa.

Così, rincuorato, Aziraphale si prendeva il suo tempo. Ad ogni risveglio si sentiva sempre un po' meglio, riusciva a pensare un po' più agilmente, a parlare senza trascinare troppo le parole, a riconoscere i contorni della sua stanza. Ogni volta, però, rivedeva Crowley o con gli occhi lucidi o intento a passarsi una mano sulla faccia. Allora gli tornavano in mente i singhiozzi lontani che avevano fatto breccia nei suoi sogni vaghi e confusi.

Era sollevato, lo capiva: ne aveva passate così tante in così poco tempo, aveva temuto di rimanere solo... ma vederlo in quello stato gli faceva male lo stesso. Inoltre, il demone non si staccava mai dalla sponda del letto, rimaneva sempre a contatto con lui - che fosse con un tocco, un bacio o una carezza. E tutte le volte che Aziraphale provava a confortarlo, Crowley iniziava a confortare lui chiedendogli nuovamente come stesse, dicendogli ancora una volta che sembrava stare sempre meglio, passandogli una tazza di tè...

Parlavano poco anche di ciò che era accaduto nei lunghi sette mesi in cui Aziraphale era in tutto e per tutto morto - o quasi. Era chiaro che Crowley non voleva rimuginarci e, le poche volte che lo faceva, si incolpava per non aver riposto più fiducia in ciò che erano capaci di fare assieme.

    «Avrei dovuto capire subito cosa dovevo fare» disse una volta, allungandosi abbastanza da cingerlo in un abbraccio. «Saresti tornato da me molto, molto prima.»


Una mattina, fu Muriel - santa Muriel - a "cacciare" il rosso fuori dalla stanza.

In realtà, fu una specie di battibecco che non sfociò in una litigata solo perché Aziraphale era lì presente - ed era consapevole di ciò.

Non che Crowley non si fidasse a lasciare Muriel sola con lui - semmai, era tutto il contrario. Semplicemente, non voleva allontanarsi. L'angelo lo capì dalle risposte stentate, dal continuo inciampare nella sua stessa lingua, dagli sguardi preoccupati che gli arrivavano, dal tono di supplica che rivolgeva alla sua piccola agente.

    «Per favore, solo una mezz'oretta» lo pregò Muriel ad un certo punto. Poi abbassò la voce, mormorando qualcosa che Aziraphale non riuscì a comprendere.

Ci volle un po', ma alla fine il demone strisciò fuori come se lo avessero staccato dalla sua stessa fonte di vita. Qualsiasi cosa la piccoletta avesse detto, aveva fatto centro.

    «Mi dispiace» mormorò quest'ultima una volta che lei e Aziraphale furono lasciati soli. «Non volevo allontanarlo da lei, è solo che-» balbettò, «sono giorni che a malapena si alza da terra. Piange e ha paura che qualcosa possa portarla di nuovo via. Mentre lei non c'era, provavo a tirargli su il morale passeggiando, portandolo in giro... ha sempre funzionato, perciò-»

    «Perciò hai giustamente pensato che fosse una buona idea» completò l'altro. Poi le sorrise. «Grazie.»

    Muriel parve sorpresa da quella reazione. «Non le dispiace? Ha fatto così tanto per Crowley, e adesso...»

    «Ho fatto tanto per vederlo felice. Continuare a struggersi per me non lo aiuta in quel senso» affermò Aziraphale, cercando di drizzarsi un po' sul letto.

Lasciò che la piccoletta gli desse una mano, accompagnandolo con un rassicurante braccio attorno alle spalle.

    «Sono così felice che sia tornato» disse quindi quest'ultima, ora più giuliva e decisamente più sollevata. «Chissà perché, ho sempre saputo che sarebbe successo.» 

Gli strizzò un occhio, il che portò Aziraphale a ridacchiare brevemente.

    Una volta passato quel breve ma piacevole attimo di leggerezza, il biondo tornò serio e la fissò negli occhi. «Mi dispiace per ciò che è successo al cottage» mormorò, ricordando il volto addolorato e lacrimante della povera Muriel intanto che lui, ormai senza motivo di esistere, tornava in Paradiso.

    La piccoletta abbassò lo sguardo. «In parte è stata colpa mia. Non avrei dovuto dire a Metatron dov'eravate nascosti: avevamo fatto un patto ed io l'ho rotto.»

    «Non avevi altra scelta. Ti avrebbe cancellata dalla faccia dell'universo così come ha fatto con Crowley. Perché tu lo sappia: né io né lui te ne abbiamo fatto una colpa. Mai, nemmeno per un secondo abbiamo pensato che tu ci avessi traditi.»

Anzi, si disse, eravamo occupati a pensare a come salvare anche te.

Ormai, Muriel era diventata parte integrante dell'esistenza di entrambi. Era il loro piccolo, sveglio e adorabile angelo custode; aveva reso tutto ciò che era accaduto possibile e, semplicemente, lei c'era. Sempre. E Aziraphale non l'avrebbe mai ringraziata abbastanza per quello; non sarebbe mai riuscito ad esprimere quanto riconoscente fosse nei suoi confronti, o quanto apprezzasse la cura che aveva riposto nei confronti di Crowley.

    «Sei- sei stata bravissima» disse solo, ricacciando indietro il pensiero che, si rese conto, non aveva fatto altro che fargli male per tutto il tempo: quello che gli sussurrava quanto lei fosse stata un angelo ed un'amica migliore di lui.

    «Non azzardarti a paragonarti a lei» lo aveva sgridato Crowley una volta, stritolandogli la giacca.

Aveva ragione: non avrebbe dovuto farlo. Non lo avrebbe fatto mai più.

E se prima pareva sollevata, adesso Muriel non poté fare a meno di sedersi sulla sponda del letto per prendergli una mano - esattamente come aveva fatto il giorno in cui Aziraphale l'aveva trascinata nella sua testa per errore.

Non c'era bisogno di aggiungere altro. L'angelo non poteva saperlo, ma lei lo aveva sempre pensato che sarebbero potuti diventare amici.

Effettivamente, avevano tantissime cose in comune; cose che avrebbero approfondito da quel giorno in poi. Entrambi erano esseri composti e delicati, anche se Muriel non aveva le complicate sfaccettature e gli angolini taglienti che invece celava Aziraphale. A entrambi piacevano la calma, il silenzio, i luoghi pieni di oggetti e tomi polverosi. A entrambi piacevano le cose dolci, e la musica classica e i libri che trattavano di faccende misteriose.

Fu da quelli che partirono a costruire il loro rapporto. Difatti, quella stessa mattina, Muriel propose di leggere qualcosa assieme, e Aziraphale - ovviamente - acconsentì.

Nonostante l'angelo conoscesse quasi a memoria buona parte delle storie stipate dentro casa sua, rileggerle gli aveva sempre e solo fatto piacere. Propose un libro a lei e lei lo fece con lui, e presero a leggere in silenzio - uno comodo nel suo letto, l'altra a gambe incrociate sulla sponda del materasso. Di tanto in tanto si scambiavano opinioni, idee, osservazioni...

Quando Crowley tornò, non disse una parola. Sapeva molto bene che distrarre un angelo - due, in questo caso - dalla lettura equivaleva al disturbare un orso bruno bello assopito nel suo letargo. Così, un po' più sollevato e tranquillo di quand'era partito, prese una sedia e lì rimase a guardarli con una punta di affetto che Aziraphale avrebbe notato a miglia e miglia di distanza.


Le giornate passarono così, tra letture, tazze di tè, cioccolata, latte caldo o bicchieri di qualsiasi cosa avessero voglia. Quando arrivava il momento di quello che Crowley aveva scherzosamente nominato: "club del libro", il rosso si calava gli occhiali sul viso e andava a fare il suo solito giro dell'isolato.

Paradossalmente, staccarsi da Aziraphale pareva fargli bene. Quando tornava, l'angelo stesso vedeva la differenza e tirava un sospiro di sollievo. La verità, e lo capì presto, era che a Crowley serviva allontanarsi per poi tornare e scoprire che, sì, Aziraphale era ancora lì. Entrambi erano ancora lì. Andava tutto bene.

E se tornava intanto che lui e Muriel erano ancora occupati a finire i loro rispettivi capitoli, si metteva tranquillamente in disparte e si distraeva con il cellulare, o sonnecchiava sulla sua sedia, o diceva brevemente la sua. Poi, e solo poi - quando la piccoletta decideva di tornare di sotto - si rimetteva accanto al suo angelo.

Allora parlottavano del più e del meno. Aziraphale aveva capito che non era ancora il momento di tornare su certe questioni - cosa Eve avesse in mente, che fine avesse fatto Metatron, cosa stessero facendo in Paradiso o come se la stesse cavando l'Inferno con l'ennesimo cambio di gestione - così, semplicemente, non le tirava fuori. Lo avrebbe fatto, perché aveva imparato quanto importante fosse, ma non adesso.

Andavano avanti finché l'angelo non iniziava a sbadigliare, o a confondere le parole, o a passarsi una mano sugli occhi. C'erano ancora momenti in cui si sentiva come se lo avessero spremuto come un limone - similitudine che fece ridere Crowley.

    «È il meno, angelo» gli aveva detto, sorridendo. «Tu non hai proprio la minima idea di quello che hai fatto, eh?»

In realtà, Aziraphale ne aveva eccome un'idea minima. Era, per l'appunto, solo minima, però.

Non che gli fosse permesso appuntare quel particolare: il demone lo zittiva se ci provava. E lo faceva con un bacio, di solito.


°•°•°


Camminare si rivelò, come sempre, essere una perfetta distrazione.

Certo, le prime volte che era uscito per allontanarsi da Aziraphale, a Crowley era parso di prendere tutto il suo corpo di peso per trascinarlo oltre l'uscio, in mezzo alla strada, attraverso il parco... Una parte di lui si era sentita in colpa: doveva stare con il suo angelo, assicurarsi che stesse bene, che avesse il tè pronto al suo risveglio.

    «Non vorrebbe vederla così. Ricorda?» Aveva sussurrato poi Muriel, facendolo arrivare ad una conclusione.

Per sette mesi, il rosso era passato da uno stato d'animo all'altro, sballottato dalla consapevolezza che Aziraphale non c'era più e più ci sarebbe stato. Ora quella prospettiva era cambiata, e lui non poteva certo sperare di aiutare il suo angelo stando male per primo - non dopo che Aziraphale aveva letteralmente speso tutto sé stesso per farlo tornare indietro.

Starà bene, continuava a dirsi, intanto che vagava per il quartiere. C'è Muriel con lui, e poi è forte, sa cavarsela benissimo da solo, lo sai.

Difatti, quando tornò e vide i suoi angeli preferiti coinvolti a parlottare di Jane Austen, la morsa attorno al suo ipotetico stomaco si sciolse. Rimase a guardarli per un po', sentendo per la prima volta in tutta la sua esistenza il calore del concetto di "famiglia".

Perché sì, quello parevano tutti e tre assieme: una famiglia.


Nonostante sia lui che Aziraphale stessero pian piano migliorando - lui moralmente e Aziraphale fisicamente - c'erano semplicemente delle volte in cui a Crowley tornavano in mente i brutti ricordi.

Aveva sempre fatto schifo in quelle cose: nello spazzare via il dolore che aveva provato. Da un lato, pensava fosse giusto che anche le cose brutte facessero parte di lui; dall'altro, per quanto provasse a combattere contro il magone che gli saliva, alla fine si metteva a piangere.

C'era sempre una punta di paura insediata nel suo animo oscuro. Aveva paura di veder crollare tutto per l'ennesima volta, o di vedere Aziraphale sparire in una nuvoletta di fumo.

Era per quello che passava le notti accanto al letto, fissando il suo angelo mentre sognava cose di cui si sarebbe dimenticato al mattino, mentre faceva qualche adorabile smorfietta delle sue nel sonno, o quando si raggomitolava appena su un fianco. Erano tutte cose che gli facevano capire che è qui, è qui con te, sta bene. Va tutto bene.

Una volta, una di quelle in cui si era sentito peggio del solito, aveva fatto il giro del letto e si era ritagliato il suo strettissimo angolino di materasso. Si era addossato accanto all'altro, quasi volesse diventare parte integrante del braccio che gli stava cingendo o della spalla in cui stava affondando il naso.

    Dopo un po' che lacrimava in silenzio, gli occhi stretti, aveva sentito una carezza sfiorargli i capelli. «Cosa c'è?» Gli aveva sussurrato Aziraphale, il tono morbido e accogliente che tagliava il buio attorno a loro.

E lui, in tutta risposta, aveva scrollato la testa e aveva faticosamente cercato di abbracciarlo. Lo strinse così forte da temere di romperlo, ma si sentì infinitamente rincuorato dal modo saldo ma allo stesso tempo rassicurante con cui Aziraphale stava ricambiando il gesto.

    «Avevi bisogno di un po' di conforto, eh?» Disse questi in una leggera e intenerita risata.

    Crowley annuì, sentendosi anche un po' uno schifo. Non era lui che doveva essere confortato; al massimo era quello che doveva confortare - maledetta ogni cosa. «Scusa» mormorò infatti.

    Questo portò Aziraphale a scostarsi e a fissarlo dritto negli occhi, basito. «E di cosa ti staresti scusando, esattamente?»

    «Di averti svegliato, in primis. Poi c'è il fatto che ti ho preso il letto, e che non dovresti essere tu ad aiutare me, semmai-»

Venne bloccato da un tenero, delicato e soffice bacio sulle labbra che fu abbastanza da spedirlo momentaneamente all'altro mondo.

    «Caro, ho fatto l'impossibile per riaverti con me» lo riprese l'angelo, ora con la bocca a mezzo centimetro dalla sua. «Voglio che mi disturbi. Voglio che tu mi dica di cos'hai bisogno. Anche perché non sono molto bravo a capirlo da me, temo.»

    «Voglio un altro bacio» rispose Crowley in un soffio, senza nemmeno pensarci.

E poi un altro. E poi un altro. E poi un altro ancora, fu quello che non disse.

Ma tanto non fu necessario.

Aziraphale gli prese il volto tra le mani e lo baciò a lungo, dolcemente come solo lui sapeva fare. Poi si allontanò un secondo, solo uno, per tornare a far incastrare perfettamente le loro labbra, due pezzi di puzzle fatti apposta per unirsi.

Crowley non seppe grazie a quale miracolo riuscì a non infilare le mani sotto la camiciola celeste dell'altro, per poi affondare le dita in quel corpo morbido. Si limitò a stringergli le spalle e ad esplorare nuovi angoli di quelle labbra meravigliose.

Non adesso, si disse. Lo stancheresti, e poi non sai nemmeno se è d'accordo.

Erano diventati bravi, poco ma sicuro. Ormai sapevano come allontanarsi e riprendersi a regola d'arte, e Crowley ci sarebbe volentieri morto tra quei baci. Sarebbe andato avanti fino al mattino, poi per tutto il pomeriggio, poi per tutta la sera... Ma si fermò quando iniziò a rendersi conto che l'altro stava iniziando lentamente a rallentare e scostarsi, rendendo gli schiocchi tra le loro labbra sempre più deboli e meno frequenti.

    Gli prese una mano e gli baciò le nocche; un modo per interrompere il loro contatto - per il momento. «Torna a dormire» disse, ora più calmo, rinvigorito da quello scambio.

    «Tu stai meglio?» Chiese Aziraphale in un mormorio esausto, intanto che si passava una mano sugli occhi.

Era di una tenerezza quasi devastante.

    Crowley gli sorrise. «Mai stato così bene in vita mia.»

Detto ciò, tornò a stringerlo a sé, le mani affondate nei suoi riccioli di neve preferiti. Lo avrebbe cullato fino al mattino, se necessario.

    «Ehi, Crowley?» Udì dopo qualche lungo minuto.

    «Dimmi tutto.»

    «Non appena starò meglio, vorrei che facessi una cosa per me.»

Il rosso fissò per un attimo quel volto dolcemente assopito e sentì le guance pizzicargli.

Te ne faccio anche mille, di cose. Ti basta chiedere, e lo sai. Tutto, puoi chiedermi tutto quello che vuoi.

    «Certo» sussurrò invece. «Cosa vuoi che faccia?»

    «Portami su Alpha Centauri.»


°•°•°


Gli ci volle un bel po' per tornare a camminare da solo. Fu alquanto snervante.

Fortunatamente, per quanto impaziente potesse essere alle volte, Aziraphale aveva imparato a domare la cosa.

Arrivò al punto in cui le sue dormite non duravano che poche ore. Certo, accade dopo che ebbe involontariamente passato tre giorni di fila a sonnecchiare come un ghiro - parole di Muriel. A Crowley era decisamente venuto un colpo - svanito subito dopo aver visto l'angelo più in forma di quanto non fosse stato negli ultimi giorni.

Il tempo che adesso passava sveglio fece realizzare ad Aziraphale che si era stancato di rimanere tra quelle quattro mura, per quanto Crowley e Muriel rendessero la situazione migliore. Amava la sua libreria, ma gli mancava sentire il sole sul viso, il venticello tra i capelli, le gocce di pioggia sulla faccia... Gli mancava persino la confusione. Rischiare di sparire per sempre ti faceva vedere il mondo in modo diverso: ti aiutava ad apprezzare di più le piccole cose che prima davi per scontate, poco ma sicuro.

Lo disse a Crowley, il quale si mise subito in marcia per aiutarlo a rimettersi in piedi.

Non andò a finire granché bene. 

    Capitombolarono entrambi sul parquet al primo tentativo e nel giro di qualche passo per la stanza. Il rosso fu su di lui in meno di un battito di ciglia. «Stai bene?»

Era teso, cosa che fece chiedere ad Aziraphale se fosse stata una buona idea.

    Si sforzò di sorridergli, ignorando le ginocchia doloranti e i palmi delle mani ora un po' arrossati a causa del colpo sul parquet. «Sto bene, tranquillo.»

Ci riprovarono spesso, anche con l'aiuto di Muriel. Arrivarono con calma ad uscire dalla stanza, a fare un giretto del piano superiore, e poi persino a scendere le scale.

Crowley lo teneva stretto a sé come lui l'aveva afferrato quella lontana notte al cimitero di Stirling: una mano che gli cingeva il braccio e una che lo tratteneva per la vita.

Il rosso aveva sempre quell'aria concentrata in quei momenti: una ruga gli solcava lo spazio tra le sopracciglia, stava attento a qualsiasi piccolo ostacolo sul loro cammino e lo costringeva a fare uno scalino alla volta. Come sempre, era il suo demone custode pronto a balzare come una molla alla prima necessità. Solo che, stavolta, Aziraphale non ne avrebbe approfittato, non avrebbe usato quel comportamento come scusa, non lo avrebbe dato per scontato.

    «E allora devi farmi un paio di favori» gli aveva detto Eve. «Il primo: smetterla di perdonare gli altri a caso e iniziare a perdonare un po' te stesso

E lo stava facendo: si stava perdonando. In fondo, Crowley aveva ragione: quel che era stato non importava più. Importava invece ciò che sarebbe accaduto da adesso in poi, importavano le scelte che avrebbero fatto e il rapporto che avrebbero costruito.

    Per poco non scivolò lungo uno scalino, venendo prontamente afferrato dalle pronte braccia dell'altro. «Angelo, ti ho detto di fare piano» lo rimproverò - più spaventato che effettivamente arrabbiato.

    «Scusa, caro. Ero sovrappensiero.»


Una mattina, decise di sgattaiolare fuori dal letto da solo.

Si era concesso due ore di sonno, poi aveva semplicemente speso il resto del tempo a leggere l'ennesimo romanzo di cui voleva parlare a Muriel, avvolto dalle braccia di Crowley attorno alla sua vita.

Staccarsi senza disturbarlo per scivolare fuori dalle lenzuola fu un'impresa a dir poco, soprattutto perché si sentiva ancora un po': "Rimbambito, tipo un'anatra dopo un chilo e mezzo di pane", come aveva detto una volta il demone stesso. D'altronde, stavano veramente stretti lì, in quel rettangolino di materasso. Non c'era movimento di cui non ci si potesse accorgere; fortunatamente, il rosso dormiva alla grossa - il che diede ad Aziraphale la possibilità di mettergli la coperta fino alle spalle e di rubargli un bacio sulla punta del naso.

Scese con calma, ancorato al corrimano. Dalla cucinetta proveniva un'odorino niente male, perciò si avviò lì intanto che si infilava la morbida giacca che era solito tenere dentro casa.

    Trovò Muriel indaffarata davanti ad una padellina. Quando lo notò, parve illuminarsi. «Buongiorno!» Canticchiò. «È venuto fin qui da solo?» Chiese poi, cercando di sbirciare oltre le spalle del biondo.

    «Direi proprio di sì. Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto, è decisamente soddisfacente» affermò lui, effettivamente fiero di sé stesso. «È la ricetta dei pancake che ti ho dato, quella che vedo?»

Muriel non dormiva, leggeva tanto e mangiava poco. Aziraphale si era subito detto che non l'avrebbe mai lasciata sulla Terra a vivere solo di cioccolata calda e Sherlock Holmes, perciò le aveva insegnato come si cucinava - una cosa che lui stesso aveva imparato a fare nei momenti di noia, o in quelli in cui voleva mettere qualcosa sotto i denti ma non sapeva dove andare. Crowley scherzava dicendo che, di quel passo, sarebbe diventata golosa quanto lui.

Aziraphale non vedeva il problema, sinceramente.

    «Esatto! Vuole assaggiare? Non mi sono nemmeno ustionata il dito, stavolta.»

Ovviamente, aveva fatto un ottimo lavoro. Decisero di preparare la colazione prima di finire tutto loro due soli. Fortunatamente, Crowley non era un simpatizzante del cibo quanto i suoi angeli - anche se c'era da dire che, da quando era Muriel a occuparsene, aveva messo in bocca più di una forchetta.

    Parlando del diavolo, il demone arrivò in volata sull'uscio, i capelli ancora scombinati e i vestiti ancora raggrinziti. «Angelo, io giuro che-». Si bloccò non appena li vide entrambi occupati a disporre alcuni pezzettini di frutta accuratamente tagliati a bordo piatto. Allora sospirò. «Siete incorreggibili, voi due.»

Già così, la giornata si prospettava meravigliosa. E quando Aziraphale credette che non sarebbe potuta andare meglio dopo le risate a colazione, Crowley decise di portarlo a fare due passi al St.James.

Mai aria fu più buona di quella che respirò quella volta, durante la sua prima passeggiata dopo tutto il casino che avevano vissuto. Nonostante il traffico, il viavai, il loro passo lento e attento, il braccio del rosso ben ancorato al suo parve una benedizione - e forse lo era.

Tornarono a sedersi alla solita panchina, andarono ad osservare le solite anatre anche se, il più delle volte, i loro sguardi andavano a scontrarsi l'un l'altro, portandoli a ridere imbarazzati.

Si baciarono in cima ad un ponticello, incuranti di tutto e tutti.

L'atmosfera sapeva di nuovi inizi.

Anche se, in realtà, qualcosa di nuovo era già iniziato da un bel po'.


°•°•°


    «Portami su Alpha Centauri.»

Non era coerente quando te l'ha detto, aveva pensato Crowley. Diciamo pure che stava dormendo, perciò era solo una cosa che la sua mente ha tirato fuori. La stanchezza, ecco cos'era. Gli passerà.

Ma ad Aziraphale non era passata per niente.


Quella volta che aveva beatamente sonnecchiato per tre giorni di fila, era iniziata un pomeriggio in cui, dopo una chiacchierata, l'angelo aveva semplicemente poggiato la testa sulla spalla di Crowley e lì era rimasto.

Di tanto in tanto, il rosso lo sentiva mormorare. Lo zittì dolcemente sulle prime, un leggero sorriso sul volto e un moto di tenerezza nel cuore. Poi, incuriosito da qualsiasi cosa stesse passando per la testa di Aziraphale, si mise ad ascoltare.

    «Portami su Alpha Centauri.»

    «Angelo?»

    «Alpha Centauri. Portami su Alpha Centauri.»

Sembrava l'unica cosa che riusciva a fare breccia nei sogni vaghi e confusi di cui l'angelo gli raccontava. Un'unica richiesta che, di tanto in tanto, gli scivolava fuori dalla bocca.

Ci teneva. Ci teneva davvero.

Per questo motivo, Crowley si fece ancor più determinato nell'aiutarlo a riprendersi.

Ogni volta che lo stringeva a sé fino a portarlo ad alzarsi, gli tornavano in mente quelle parole sussurrate di cui, apparentemente, l'altro non aveva memoria.

    «Portami su Alpha Centauri.»

E ci sarebbero andati, finalmente. Se era quello che Aziraphale voleva, l'avrebbero fatto.


Divenne il suo primo obbiettivo, intanto che le loro vite tornavano in carreggiata.

Uscivano spesso, alle volte solo lui ed Aziraphale, mentre altre volte si portavano dietro Muriel. Andavano a trovare Maggie e Nina - alla quale raccontarono un sacco di scuse per giustificare ciò che era accaduto negli ultimi tempi. Tornarono in caffetteria spesso e volentieri, e ogni volta a Crowley pareva di ricevere un'occhiata dubbiosa da parte della proprietaria. Sperò ardentemente che Maggie riuscisse a convincerla che stavano dicendo la verità, ma qualcosa gli sussurrava che, presto o tardi, l'umana avrebbe capito che qualcosa non quadrava.

Le storie che raccontavano a tutta Soho, però, avrebbero dovuto attendere.


Una questione più urgente si presentò alla porta della libreria un mercoledì mattina, proprio durante il piccolo club del libro di Aziraphale e Muriel.

Si erano presi le poltrone accanto alla scrivania, lasciando a Crowley il divano tutto per sé. Quando bussarono, fu quest'ultimo a rimettersi in piedi - anche perché Aziraphale gli aveva chiesto se: "Puoi andare a vedere chi è, caro?" con quel tono che da solo era capace di rispedirlo in Paradiso molto meglio dei patti di Metastronzo.

Così, il rosso era andato ad accogliere chiunque fosse il poco furbo individuo che aveva deciso di fare visita nell'unico giorno di chiusura.

    «Ma dico, sai leggere? Il cartello dice che-»

    «Siete chiusi, lo so. È sempre un piacere rivederti.»

Crowley non si fece scappare un'imprecazione per molto, molto poco. Davanti a lui, braccia incrociate, c'era Saraquel.

Le chiuse la porta in faccia.

    «Chi era?» Chiese l'angelo stralunato non appena lo vide tornare.

    «Nessuno.»

Bussarono di nuovo, stavolta con più urgenza.

    «Beh, Nessuno ha ancora intenzione di entrare, credo». Nel dirlo, il biondo sbuffò, posò il suo volume e fece per alzarsi.

Bastò ed avanzò a far tornare Crowley sui suoi passi con un ringhio di frustrazione.

    Spalancò l'ingresso con veemenza. «Cosa c'è?»

    Saraquel, che non pareva per niente infastidita né turbata da quella reazione, alzò un plico di fogli che - il demone notò solo ora - si era adagiata sulle gambe. «Sono venuta a riportarti la cartella.»

    «Non la voglio la tua stupida cartella.»

    «E sono venuta a portarvi novità.»

    Da dentro, arrivò un imperioso: «Crowley» che fece più o meno l'effetto di un carbone ardente lungo la schiena. «Falla entrare.»


    La ex-braccio destro di Metatron mise i documenti tra le mani di Muriel, prima di prendere parola. «Siete spariti entrambi nel nulla, ma ho capito che le cose avevano preso una piega strana nel momento in cui una bambina ha letteralmente rispedito Metatron al Creatore.»

Si era messa tra le poltrone ed il divano, laddove tutti potevano vederla.

Per tutto il tempo, Crowley si preoccupò di fulminarla con lo sguardo. L'ultima cosa che voleva era riavere l'essere più vicino a Metatron in casa loro.

    «Che cos'è successo?» Le chiese Aziraphale, lo sguardo interrogativo.

    «Potrei chiedervi la stessa cosa.»

    «Hai sentito l'angelo» la riprese il rosso, tenendo i sibili il più a freno possibile. «Un'informazione per l'altra. Inizia tu.»

Stavolta ignorò il richiamo di Aziraphale - un sussurrato e duro: "Crowley." (Con il punto alla fine che si sentiva tutto).

    «E va bene, se è quello che vuoi» concesse alla fine Saraquel con un sospiro. «Immaginate la nostra sorpresa nel ritrovarci davanti una giovane umana impettita e con il Libro della Vita in mano. Metatron non si era neppure accorto di non averlo più in tasca. Come ho già detto: Eve, mi pare si chiami, lo ha spedito da suo Padre in men che non si dica. Mi ha lasciata da sola a comunicare all'intero Paradiso che avrebbe gestito tutto ciò che sarebbe venuto in seguito da sé.»

A Crowley scappò da ridere. Immaginare la tanto seria e composta Saraquel andare su e giù per il Paradiso a fermare gli eserciti e le preparazioni per l'ennesima volta era, beh, un vero e proprio balsamo per l'anima.

    Aziraphale lo fece tornare con i piedi per terra. «Un attimo, sta facendo tutto da sola? Nessuno che la accompagni? Nessuno che la tenga d'occhio?»

    «Non proprio» puntualizzò l'ex-aiutante di Metatron. «Ha intenzione di nascere a marzo dell'anno prossimo in un luogo di non si sa bene quale parte dell'Africa. Si è scelta da sé i suoi nuovi genitori: una coppia che ha cercato di avere figli per anni prima di arrendersi - una prassi già utilizzata. È tutto ciò che ci è dato sapere. Scommetto che basterà seguire le interessanti storie che avverranno tra non molto per scovarla.»

    Crowley si fece scappare uno sbuffo divertito, intanto che si allungava sul divano. «Furba la ragazzina. Avrà capito che non ci si può fidare di nessuno.»

    «Di nessuno tranne che di suo Padre. Sono gli unici a sapere cosa accadrà nei prossimi tempi» affermò Saraquel, tamburellando contro il bracciolo della sua sedia. «Metatron non è tornato da allora. Siamo tutti un po' spaesati, ma immagino che non ci resti che attendere eventuali istruzioni.»

    «Marzo, eh?» Intervenne Muriel, lo sguardo pensoso e perso da qualche parte tra la cartella tra le sue mani e le righine sottili sulla sua gonna. «In primavera!» Esclamò poi. «Ha scelto di tornare in primavera.»

Nessuno, tranne Crowley, capì il senso di quell'intervento.

    Saraquel passò oltre: «In ogni caso, il mondo intero si sta già preparando alla sua Venuta. In un certo senso, è come se tutto stesse già cambiando. Anche se, c'è da dire» e qui guardò sia Crowley che Aziraphale, «che è gia accaduto qualcosa di molto particolare. Ora ditemi: come siete sfuggiti alla totale obliterazione?»


Glielo raccontarono. Anzi, fu Aziraphale a farlo.

    Saraquel non parve mai sorpresa. Semmai, sembrava star ragionando attentamente su ciò che le veniva riferito. «Te l'avevo detto che Metatron aveva torto marcio su di voi» disse ad un certo punto all'angelo, il quale annuì come si annuisce ai discorsi assennati.

    «Che piani avete, adesso?» Chiese poi lei, genuinamente incuriosita.

    Stavolta, fu Crowley a risponderle. «Semplice» disse, «ce ne andremo su Alpha Centauri.»

Aziraphale si voltò a fissarlo.

Aveva gli occhi che brillavano.


°•°•°


Partirono un mattino di maggio con il sole addosso e i sorrisi sul volto.

Crowley aveva affidato la cartella di Saraquel a Muriel, dicendole che poteva anche buttarla nella stufa. Tanto, non c'era più niente che riguardasse né lui ne Aziraphale là dentro.


La piccoletta stessa era emozionata per loro, saltellante e su di giri, neanche stesse per affrontarlo lei il viaggio. Li abbracciò entrambi a lungo, promettendogli che sarebbe venuta a trovarli ogni volta che poteva, e assicurandogli che avrebbe tenuto la libreria in condizioni perfette.

    L'angelo ripose tutta la sua fiducia - e gran parte delle sue cose - a lei, sapendo che non avrebbe potuto scegliere persona, anzi, angelo migliore. «Chiamami quando finisci il capitolo, va bene?»

    «Ma certo! Non vedo l'ora di parlargliene.»

    Crowley, dal canto suo, le diede un leggero pugnetto sulla spalla. Nessuna raccomandazione, nessun consiglio, solo un: «Mi mancherai, agente.»

    «Suvvia, non dica così» gongolò appena lei, mani dietro la schiena. «È solo fino a mercoledì.»

    «Beh, mi mancherai ogni lunedì, ogni martedì, ogni giovedì-»

Aziraphale li osservò intanto che le parole del rosso venivano prontamente bloccate da un altro, stretto, goffo ma affettuoso abbraccio di Muriel - la quale ricevette in cambio qualche imbarazzata pacca sulla testa.

Guarda cos'abbiamo costruito, pensò l'angelo. Possiamo solo fare di meglio, adesso.


La Bentley li aspettava come un gattone nero aspetta al sole che gli vengano versati i croccantini, il motore che faceva le fusa. Li accolse con una gioia che Aziraphale poté sentir rimbalzare per tutto l'abitacolo.

    «Pronto?» Gli chiese Crowley.

    «Certo che- aspetta. Spero che tu intenda: "pronto a partire ad una velocità consona?"»

    «Tu che ne dici?»

    Con un sospiro, Aziraphale si aggrappò all'aggrappabile. Certe cose non cambiavano proprio mai. «Te lo concedo solo per stavolta.»

    «Come farai quando andremo verso la vera e propria Alpha Centauri? Sai che per salire fin lassù ci vuole una bella spinta, vero? Come pensi che funzionino-»

    «Crowley, so come funzionano i razzi. Senti, parti e basta: ci penseremo quand'è il momento.»

Così si avviarono laddove le città lasciavano posto a dolci colline avvolte da un cielo azzurrissimo. La zona delle South Downs aveva un certo non so che sotto la pioggia, ma al sole sembravano uscite da un libro fantasy.

Quella, si ripeté Aziraphale, era la loro Alpha Centauri: un luogo lontano ma neanche tanto, dove il cielo era abbastanza sgombro da vedere le stelle e l'aria era abbastanza tranquilla da godersi un libro in pace.

Era lì che avrebbero costruito il loro nuovo inizio.

Lì che tutto sarebbe cambiato una volta e per sempre.



**


ANGOLINO AUTRICE:

NO, non è la fine. Manca ancora un solo capitolo che concluderà in bellezza la storia e che sarà, beh, un po' più vicino al rating giallo degli altri (motivo per il quale l'ho messo per sicurezza sin dall'inizio: sapevo che sarei potuta arrivare a ciò che accadrà in seguito).

Perciò, ci sentiamo alla prossima.

Un bacio,

- Neamh

(E nel caso non dovessimo sentirci prima, BUON NATALE ✨🎄)

   
 
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