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Autore: Doux_Ange    22/12/2023    2 recensioni
24 giorni a Natale. Una casella ogni giorno, e un ricordo in più...
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Driiiiiin driiiiin driiiiiiin*
Marco, la sveglia!
*Driiiiiin driiiiin driiiiiiin*
MARCO, LA SVEGLIA!
*Driiiiiin driiiiin driiiiiiin*
MARCO, LA VUOI SPEGNERE STA CAXXO DI SVEGLIA!!!
Mi alzo di soprassalto. La voce della mia coscienza ancora mi rimbomba nella testa, mentre in sottofondo, nella stanza buia, risuona la sveglia impostata la sera prima sul mio cellulare.
SE NON LA SPEGNI ENTRO 5 SECONDI IL FISCHIO DELLA SVEGLIA LO SENTIRAI RIMBOMBARE TUTTO IL GIORNO NELLA TESTA, QUANT’E’ VERO CHE MI CHIAMO GRILLO!
Okay, okay. Sei stato chiaro, Grillo. La spengo.
Mentre disattivo lo strumento di tortura che ogni mattina fa imprecare Grillo, due dettagli sullo schermo richiamano la mia attenzione.
Il primo è quello che indica la data di oggi, appena sotto l’ora riportata a caratteri cubitali al centro dello screensaver. È il primo dicembre.
Mi sembra impossibile sia quasi terminato l’anno. Ma allo stesso tempo ne sono felice, perché significa che mancano solo 24 giorni al Natale, la mia festa preferita, e solo – ma sono comunque ancora troppi – 23 giorni al suo ritorno.
Anna è in Siria, insieme al Colonnello Valente, per una missione che dura ormai da 319 giorni e 8 ore. Se ve lo steste chiedendo, ha contato anche i minuti. Grillo! Che c’è?! È la verità… solo che rispetto al conto di ieri sera, contando le 8 ore che hai dormito, ora sono 459840 minuti.
Alzo gli occhi al cielo alla constatazione della mia coscienza, che – ahimè – dice il vero. Oh finalmente per una volta qualcuno che mi dà ragione!
Sento, ovviamente, la sua mancanza. Ma sono al contempo felice per lei. Mai ho voluto frappormi tra Anna e la sua carriera, per questo l’ho spinta a scegliere cosa pensasse fosse meglio per lei. Sono contento abbia deciso di partire e che abbia preso questa decisione insieme a me.
Nonostante i messaggi, le telefonate e le videochiamate giornalieri però, nei mesi la sua assenza si è fatta sempre più pressante su di me. Un anno fa ho deciso di non partire con lei e rimanere a Spoleto, per non essere un peso e intralciare il suo cammino. E riprenderei quella scelta altre mille volte. Per lei.
Tuttavia, l’arrivo delle feste non fa che ricordarmi che lei si trova a centinaia di chilometri da me e ogni giorno che mi separa dal suo ritorno sembra durare un’eternità.
*bip*
Il cellulare che sto tenendo in mano da una decina di minuti, suona tra le mie mani, segnalando l’arrivo di un nuovo messaggio. È il maresciallo che mi informa di un nuovo caso. Rispondo velocemente che lo raggiungo appena possibile in caserma.
Ma mentre esco dalla chat con Cecchini, è un altro messaggio che richiama la mia attenzione. Quel secondo dettaglio, notato qualche minuto fa mentre disattivavo la sveglia:
ANNA
Buongiorno, amore mio! Sai che giorno è oggi? Mancano 24 giorni a Natale! E come da tradizione, è tempo di aprire il calendario dell’avvento. Una casella al giorno. Solo perché non sono lì con te, non significa che le regole vadano eluse…
Io ed Anna, da quando ci conosciamo, ogni anno compriamo e apriamo insieme un calendario dell’avvento, alternandoci nei giorni per mangiare il cioccolatino di turno. Questa tradizione l’abbiamo portata avanti anche quando non stavamo più insieme ed è comprensibile lei voglia io la porti avanti, anche se siamo distanti. Non ho però comprato alcun calendario dell’avvento e leggere ora questo messaggio mi fa sentire in colpa. Forse dovrei passare al supermercato per un acquisto last minute, anche se saranno rimasti solo quelli delle peggiori marche… O forse potresti continuare a leggere il messaggio, perché secondo me lei ti conosce fin troppo bene…
Decido di assecondare la mia coscienza e proseguo a leggere la successiva nuvoletta nella chat:
ANNA
Siccome ti conosco, però, molto probabilmente non hai comprato il nostro calendario dell’avvento preferito e ora ti senti in colpa leggendo questi messaggi…
Potrei stare zitto e non commenta, ma che Grillo sarei? TE LO AVEVO DETTO! Due volte ragione in meno di mezzora, mi tocca dargli….
ANNA
Non ti devi preoccupare, però. Perché ci ho pensato io a lasciartene uno. Lo trovi nel mobiletto sotto la televisione. Apri le caselle, una per volta. Non barare!
Ci vediamo tra ventitré giorni, amore mio. Ti amo!
Mentre finisco di leggere, mi alzo dal letto in cui ancora mi trovo disteso per dirigermi in soggiorno. Devo sbrigarmi perché il maresciallo mi attende in caserma con il capitano che sta sostituendo Anna, ma la mia curiosità è troppa. Anna, prima di partire, mi ha vietato di aprire il mobiletto sotto la televisione. Sono passati 320 giorni e non ce n’è stato uno in cui io non abbia provato ad aprirlo. Grillo, tuttavia, mi ha bloccato ogni volta dal farlo. “Se Anna ti ha detto di non aprirlo, un motivo deve esserci. E devi rispettare il suo volere” mi ripeteva la mia coscienza ogni dannata volta.
Non capisco, però, perché mi abbia vietato di aprire il mobiletto se dentro c’era solo uno stupido calendario dell’avvento con dei cioccolatini che, tra l’altro, col caldo fatto questa estate saranno andati anche tutti sciolti. I calendari dell’avvento, non per forza contengono cioccolatini, Marco.
Mi rifiuto di darti ragione per la terza volta, Grillo. Non serve che lo dici, tanto l’hai pensato.
Mentre impreco contro la mia coscienza ed evito di inciampare nel tavolino di fronte al divano, raggiungo infine la mia meta.
Mi accomodo davanti al mobiletto, con le gambe incrociate, come un bambino che si accinge ad aprire i regali sotto l’albero il giorno di Natale. Albero che ancora non c’è, tra l’altro. Se lo sapesse Anna!
Fatti i cavoli tuoi Grillo! dico alla mia coscienza, alzando gli occhi al cielo, come se potessi vederla personificata in una sorta di grillo parlante al di sopra della mia testa. Va bene sto zitto, ma poi non dire che non ti avevo avvertito.
Apro le antine del mobiletto e il fiato mi si blocca in gola. Al posto dei dvd ci sono ventiquattro pacchettini a riempire l’intero volume del mobile stesso. Ogni pacchetto reca un fiocco dorato con un numero rosso sopra - da 1 a 24 –, mentre appesa a una delle ante, c’è una busta bianca con scritto “Aprimi”. Te l’ho mai detto che tu, una come Anna, non te la meriti?
Alzo gli occhi a rimproverare bonariamente la mia coscienza, aprendo contemporaneamente la busta. Dentro c’è un biglietto natalizio raffigurante un grande albero di natale, nel cuore di una piazza. Sorrido, ripensando ai bei ricordi legati anch’essi a una scenografia simile. Apro poi il biglietto, e dentro, nella sua terribile calligrafia, leggo:
Innanzitutto, ringrazia la tua coscienza da parte mia perché so che è merito suo se apri questa busta solo oggi, 1° dicembre [e lo so che non hai barato, perché sei Marco, non lo faresti mai]
Non c’è di che Anna. Grillo! Sorry, continua a leggere…
Ogni anno, da quando ti conosco, a Natale ti premuri di sorprendermi. Questa volta, la sorpresa ho deciso di fartela io. Sapendo che saremo distanti per buona parte del periodo più magico dell’anno, ho deciso che non era giusto interrompere le tradizioni. Nonostante io scriva questa lettera con undici mesi di anticipo, ti conosco comunque a sufficienza per sapere che non hai comprato un calendario dell’avvento cioccolatoso e quindi questo sarà l’unico a tua disposizione per non infrangere la nostra tradizione natalizia. Tuttavia, non sono arrabbiata, anzi. Perché questa cosa renderà il NOSTRO calendario dell’avvento ancora più speciale.
“NOSTRO”? Mi soffermo a leggere l’aggettivo scritto in maiuscolo in mezzo al resto del testo, spostando poi brevemente lo sguardo sui pacchetti, di dimensioni diverse, che riempiono il mobiletto.
NOSTRO, perché questo calendario dell’avvento parla di noi. Ogni casella ripercorre un ricordo, un momento, tramite un oggetto e un biglietto con la mia versione degli eventi. Lavoro a questo calendario da un mese, di nascosto, perché voglio rendere gli ultimi giorni che saremo distanti speciali. Ogni ricordo sarà un passo verso il nostro ricongiungimento. Verso il mio ritorno. Esattamente come ti ho promesso quando mi ha lasciato libera di partire e inseguire il mio sogno.
Natale, da qualche anno a questa parte, è di nuovo periodo veramente felice per me. Lo è stato anche quando siamo stati separati. E non potrà che esserlo anche quest’anno. Perché per quanto io stia vivendo il mio sogno, ora so per certo che non è l’unico che inseguo. Per il Natale che sta arrivando, desidero solo tornare da te. E voglio dimostrartelo, giorno dopo giorno. una casella alla volta.
Io, in passato, sono stata ai tuoi giochi. Spero farai lo stesso quest’anno con me.
Apri le caselle senza barare, una al giorno, fino al mio ritorno. L’ultima, l’apriremo insieme.  Anna.
Se è bello possiamo commercializzarlo per i fan l’anno prossimo? Quali fan, Grillo? Lascia fare, ne conosco almeno una decina che sarebbero interessati… Tu non sei normale. Parla quello che discute con la sua coscienza come se fosse una vera e altra persona. Touchè.
Rileggo le ultime righe della lettera, prima di estrarre il pacchetto con il numero 1. Sto per aprirlo, quando il mio cellullare squilla. È Cecchini. Sono in ritardo per il lavoro!
Abbandono il pacchetto sul tavolino e corro a prepararmi, fiondandomi fuori di casa senza nemmeno fare colazione, la cravatta ancora da annodare e la giacca infilata solo per una manica.
E ci lasci così, ad attendere?! Marco? MARCO!
._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._._
1° Dicembre – LA MOTO
Il primo pacchetto contiene un modellino di moto. Non una qualsiasi, bensì la riproduzione esatta della mia vecchia moto. Quella che avevo comprato subito dopo il mio matrimonio mancato con Federica. Insieme ad esso, c’è anche il primo biglietto di Anna per me…
È stata dura, ma l’ho trovata! È identica alla tua vecchia moto, vero?
Come potrei dimenticarmela, in fondo. Quando ti ho visto arrivare sulla sua sella, quel giorno di metà primavera di ormai cinque anni fa, mai avrei pensato di ritrovarmi qui, oggi, a dirti che la mia prima impressione di te è stata traumatica.
Vedere la moto attraversare tutta piazza Duomo mentre Cecchini cercava di convincermi – miseramente – che non fossi tu quello alla guida, è stata una scena degna di un film comico. E a pensarci ora, mi viene infatti da ridere.
Sei sceso da essa come se fossi un principe azzurro intento da smontare dal suo levriero. E ti sei tolto il casco, scuotendo la tua chioma riccia, come se ti fossi tolto l’elmo. Peccato che fossi vestito come uno scappato di casa. E di fatti, quasi lo eri. Ma io all’epoca non lo sapevo.
Per questo ti ho giudicato senza sapere. E per questo ho pensato che la mia avventura come Capitano a Spoleto sarebbe stata, non solo la prima, ma anche la peggiore che mi potesse capitare. Mi aspettavo tutt’altro. Insomma, il PM con cui avrei dovuto lavorare si è presentato in jeans e maglietta sgualcita, con una giacca di pelle e in sella a una moto. Che razza di magistrato va al lavoro conciato cosi?! E lo so, non si giudica un libro dalla copertina, ma anche tu con me lo hai fatto. E poi, comunque, tu hai saputo trasformare in fretta quel mio astio ingiustificato e superficiale, in genuina curiosità. Perché dietro a quella giacca di pelle e quel look sbarazzino, doveva celarsi per forza qualcosa sotto. Il mio istinto mi diceva di indagare. Soprattutto perché c’era qualcosa nel tuo astio verso le donne che non era dettato da sterile misoginia. E il tempo mi ha dato ragione. Perché conoscendoti è divenuto chiaro che tu le donne non le odiassi, ma anzi le amassi, profondamente. Ed è proprio a causa del tuo profondo saper amare che hai finito per soffrire. Come è successo a me. Perché in fondo siamo profondamente uguali, anche se non si direbbe a prima vista.
Perché tu sei così. Apparentemente scapestrato, giocherellone e imbranato. L’esatto opposto di me. Ma dietro la giacca di pelle nascondi il cuore di un uomo d’altri tempi, di quelli che non esistono più. Che amano profondamente, tanto da aver paura di amare. Proprio come me.
Chiara direbbe – e ha detto – di te che sei “come un panda, in via d’estinzione”. Ed è vero. Non c’è un altro come te. O se c’è, non l’ho mai conosciuto. Né mi interessa farlo. Perché il mio panda io l’ho già, fortunatamente, trovato. È un principe moderno, con una moto al posto del cavallo. È un PM, un principe in moto.
 
 
2 dicembre – IL THE CALDO
Non c’è niente di meglio di un bel the caldo per affrontare il freddo che è arrivato a Spoleto. Sono stato tutto il giorno fuori casa per lavoro e non ho ancora avuto modo di aprire la seconda casella del mio personale calendario dell’avvento. Sono curioso di scoprire cosa possa celare. La prima casella mi ha dato un assaggio di cosa mi aspetta e questo alimenta la mia voglia di scoprire cosa c’è nei successivi pacchetti. Se non fosse per il Grillo nella mia testa, stranamente più saggio e serio di me – EHI! – avrei già aperto tutte le caselle. Ma voglio rispettare le regole e soprattutto il volere di Anna. Mi accomodo sul tappetto, posando la tazza di the caldo sul tavolinetto. Prendo il pacchetto recante il numero “2” rosso sul fiocco dorato. È più leggero della precedente casella. Appena il fiocco si scioglie, mi cade a terra un bigliettino, mentre in mano mi rimane un infusore per the a forma di cuore…
Siccome il the lo offri – da buon cavaliere – tu, io ho pensato di regalarti un infusore per quando deciderai di prepararmelo anche a casa. Sì, lo so, messa così è un regalo fatto a te ma che alla fine serve a me. Ma è il pensiero che conta, no?
E poi il the caldo si offre a una donna incinta con le voglie. Te lo ha insegnato il maresciallo. Ora, sull’incinta c’è da lavorarci ancora, ma almeno quando sarà ora avremo già tutto l’occorrente.
Ogni tanto mi domando come fai a cascare sempre nella rete di sotterfugi di Cecchini. Poi ci casco anche io e quindi capisco di non poterti giudicare. Tuttavia, quella volta, mi hai sorpreso.
Ti eri presentato come uno che odiava le donne, che le considerava tutte arpie pronte solo a usarti e gettarti via una volta stufe di te. Poi, di punto in bianco, sei diventato un vero cavaliere. Attento a ogni piccolo dettaglio, gentile con me e pieno di complimenti per me.
Quello che non ti ho mai detto, però, è che io credevo lo stessi facendo perché io ti piacessi. Non che all’epoca il mio intento fosse conquistarti, anzi. Io ti stavo “usando” per riconquistare Giovanni. Solo che i sotterfugi di Cecchini si sono perfettamente mischiati al piano della geisha Chiara.
Lo so che stai ridendo mentre leggi. Sì, il libro che Patatino aveva sgranocchiato era il mio, ma all’epoca ancora non lo avevo letto. Non che lo abbia fatto nemmeno dopo eh. Ma il punto qui è un altro.
Quando mi hai offerto il the, quella mattina, ho scoperto una nuova cosa di te, che poi successivamente ho solo che potuto ulteriormente constatare. Sei molto attento ai dettagli.
È una cosa che apparentemente non si direbbe di te. Ma è sorprendente, giorno dopo giorno, notare come non ti sfugga nulla. Per questo anni dopo, mi ha sorpreso scoprire non ti ricordassi degli orecchini che tu stesso mi hai regalato. O forse, e ora ne sono sicura, in realtà li avevi notati, ma hai deciso di fare finta di niente. Perché era finita, e rispettavi la mia scelta di averti accanto solo come amico.
Perché tu sei fatto così. Rispetti me, in quanto Capitano, ma soprattutto in quanto donna. E non solo perché stiamo insieme. Questo rispetto lo dedichi a tutte le donne. Ho potuto vederlo in prima persona ogni qualvolta qualcuno ne ha avuto bisogno. Ti ho visto insegnare a Chiara quanto realmente valesse. Ti ho visto suggerire a Valentina come riprendere in mano la sua vita. Ti ho visto aiutare Cecchini con mia madre. Ti ho visto difendere l’onore di Sara, anche quando ai miei occhi sarebbe stato più facile per te voltarle le spalle per dimostrarmi quanto fossi pentito di quella notte di debolezza.
Ti ho regalato questo infusore a forma di cuore perché il the da aggiungere lo hai tu. O meglio, questo cuore di rete simboleggia me, mentre tu sei il the che ci va aggiunto. Come il the caldo, lenisci i miei momenti no, mi scaldi quando fuori fa freddo, mi rigeneri quando ne ho bisogno. Ma soprattutto mi tieni compagnia ogni giorno e a qualsiasi ora. In barba agli inglesi e alla loro mania di berlo solo alle cinque!
Spero che un the caldo ti stia facendo compagnia proprio ora, perché tanto lo so che me ne hai fregata una bustina dalla mia collezione. Per sta volta, però, ti perdono. Perché spero stia scaldando il tuo cuore, come quello che cinque anni fa offertomi ha scaldato il mio…
3 dicembre - LA MASCHERA DI ZORRO
È quasi mezzanotte. Oggi è stata una giornata caotica. Sono uscito di casa prestissimo e sono rientrato solo mezzora fa. Dopo aver girovagato come una trottola tra tribunale, ufficio e caserma, ho poi passato l’intera serata a casa del maresciallo, con quest’ultimo ed Elisa, che mi ha invitato a cena e alla quale non ho potuto dire di no, visto che ha minacciato di offendersi se avessi declinato l’offerta per la sesta volta in meno di due settimane. “Non provare a dirmi che hai lavoro da sbrigare, perché Nino mi ha detto come hai sgobbato tutto il giorno! Devi riposarti!” sono state le sue parole al telefono nel pomeriggio. E onestamente, non me la sono sentita di controbattere a mia suocera, perché tanto alla fine, l’avrebbe avuta vinta comunque.
Tutto ciò che voglio ora, è solo andare a letto. Abbandonarmi alle braccia di morfeo e… Aprire la casella 3 del calendario! Possibile che te ne sei scordato?
Mi blocco con le coperte a mezzaria, poco prima di sedermi sul letto. Mi sono dimenticato del calendario dell’avvento in tutto questo marasma. Se però lo apro domani, insieme alla prossima casella, che differenza fa? Oh nessuna. Ma io voglio sapere cosa c’è nella casella, e lo sai bene che effetto ha la curiosità su di me…
Alle parole della mia coscienza prendo la strada per il soggiorno. Ottima scelta! Come se avessi scelto deliberatamente. L’alternativa era non chiudere occhio.
Giunto di fronte al televisore prendo la casella numero 3. È ancora più leggera della precedente. È diventata tirchia come te, man mano i regali sono più piccoli… GRILLO!
Apro la scatola. Al suo interno c’è una mascherina nera e il solito biglietto a corredo…
Sai da cosa mi vestivo a Carnevale? Da Zorro.
Ma questo già lo sapevi vero? Te l’ho raccontato a bordo piscina durante la mia missione sotto copertura. Quella che pensavo avessi proposto, non solo per il bene delle indagini, ma anche e soprattutto per deridermi. E invece era un modo per farmi uscire dal guscio. Mettermi alla prova.
Avevi ragione tu. Non te lo dico spesso, anzi lo faccio sempre dopo essermi trovata con le spalle al muro. Troppo testarda per ammetterlo subito.
Quella volta sei riuscito a far cadere la maschera. Mi hai messo a nudo, e non parlo del costume da bagno che mi hai sfidato ad indossare.
Di fronte all’acqua azzurra di quella piscina, ti ho detto ciò che ho sempre tenuto nascosto. Ti ho rivelato la mia paura più grande. Essere Zorro mi aveva sempre fatto sentire al sicuro. Quella sera, vestita da principessa per conquistare il principe dei crackers, mi sono sentita vulnerabile. E non perché Lupo Dossi si fosse avventurato troppo in basso con le mani, convinto che sarei caduta ai suoi piedi, ma perché in quell’abito nero ero finalmente come le altre agli occhi di tutti. E quella cosa mi faceva terribilmente paura.
Come può un abito definire chi sei? Con la divisa o con quell’abito nero io ero comunque Anna Olivieri. Però di fronte alla prima, gli uomini sono sempre fuggiti. Dinnanzi all’abito principesco tutti erano pronti a conoscermi.
Seduta a bordo piscina, prima del tuo arrivo, mi ero autoconvinta del fatto che mia madre avesse ragione. Ero certa che non avrei cambiato idea. Che se da quel momento in poi avessi provato ad essere più principessa e meno Zorro, allora forse il prossimo uomo non sarebbe fuggito come aveva fatto Giovanni.
Poi, però, sei arrivato tu. All’epoca credevo le tue fossero parole di circostanza. E invece ho poi capito che ci credevi davvero in quelle parole. Perché anche tu eri incappato in una situazione analoga. Anche tu hai indossato come me una maschera, per essere accettato prima e per proteggerti poi.
Nessuno più di te avrebbe potuto capire Zorro. Hai visto oltre la maschera e non sei scappato dinnanzi ad essa. Non sei rimasto solo quando l’ho dismessa per quella da principessa. Hai preso l’intero pacchetto. Mi hai insegnato che essere se stessi, alla fine, ripaga sempre. Basta avere la pazienza di trovare chi sa apprezzare la bellezza in ogni sua sfumatura. Sia essa dietro un abito da principessa, una maschera da Zorro o una divisa da carabiniere. E se dopo un’infinita attesa, non hai trovato la persona giusta, non è colpa tua. È meglio rimanere soli, che perdere se stessi al fine di compiacere agli altri. Ma questo non significa che non si possa cambiare. E noi, ne siamo la prova.
Anche Zorro dopotutto non ha rinunciato ad essere entrambe le sue due versioni…
 
4 dicembre - LA CHIAVE A PAPPAGALLO
Sono appena uscito dalla doccia. Nelle fredde sere di dicembre, non c’è nulla di meglio di un bel bagno caldo. Mi dirigo, ancora in accappatoio, verso il soggiorno. Sul tavolinetto ho già sistemato il pacchetto numero 4 del mio calendario dell’avvento. Mi siedo sul divano pronto finalmente a scartarlo, dopo aver rimandato il momento tutto il giorno. Oggi il pacchetto è più grande e pesante. Chissà cosa si è inventata a sto giro…
Quando ero piccola e aiutavo papà ad aggiustare il maggiolino ho imparato che in casa non deve mai mancare una chiave a pappagallo. Possibile che invece a te non lo abbiamo mai insegnato? Ogni volta che si rompe qualcosa a casa tua non ci sono mai utensili utili per tamponare i danni.
Possiamo quindi affermare che questo è il regalo più utile del calendario. Fanne buon uso. Non si può mai sapere quando la caldaia decide di giocare brutti scherzi. È un attimo ritrovarsi sotto un getto d’acqua gelata nel bel mezzo di una doccia. E se non hai i giusti attrezzi, poi ti tocca chiedere aiuto al vicino maresciallo… Vuoi davvero correre il rischio?
Io quest’ebbrezza non l’ho mai voluta sperimentare. Per questo, quando la caldaia ha deciso di abbandonarmi in questi anni, ho sempre fatto da me. Ma questo già lo sai.
Non ho mai voluto nemmeno il tuo, di aiuto.
In tutta onestà, non so se ti affiderei il destino della caldaia di casa, a pensarci bene. Forse è meglio se chiami un idraulico, conoscendoti.
Ma prima che tu ti senta offeso, devi sapere che tu sei bravo in altre cose. A scusarti, per esempio. Mi ricordo ancora la prima volta che l’hai fatto. Avevo appena aggiustato la caldaia che faceva le bizze grazie all’aiuto di una chiave a pappagallo. Che casualità, vero?
Tutte le ragazze sognano un primo bacio con il vero amore come quelli dei film. Sotto la pioggia, dopo una dichiarazione romantica, da far cariare i denti. Oppure in aeroporto, dove il ragazzo ti raggiunge prima che tu possa partire e andartene per sempre. A un ballo, vestita da principessa tu e da principe lui…
Io però non sono come le altre. E infatti il nostro primo bacio mi ha visto in tenuta estiva da casa e sporca di bruciato in viso dopo aver aggiustato la caldaia. E soprattutto mi ha visto credere al tuo maldestro tentativo di convincermi che passassi per caso dalle parti di casa mia alle 20 di sera di rientro da lavoro, quando casa tua si trovava dall’altra parte di Spoleto.
Ti ho lasciato credere che quel bacio sia stato un errore troppo a lungo. E oggi un po’ me ne pento. Magari le cose sarebbero andate diversamente. O forse no. Forse doveva andare come è andata. Non mi pento però di averti fatto entrare quella sera. Non mi pento di aver risposto al bacio, anche se nella mia testa una vocina ripeteva di fermarmi. Sì, a un certo punto l’ho ascoltata, perché la razionalità vince sempre in me, ma è stato meglio dei baci dei film che tutte sognano. È stato vero. Intenso. Pieno di significato. E non avrei potuto immaginarlo diverso da come è stato.
Mi hai recentemente detto che i miei baci sono diversi da tutti gli altri. Beh, vale anche per i tuoi.
Non ho avuto molti spasimanti in vita mia – e lo so che stai roteando gli occhi visti gli ultimi anni, non distrarti dal discorso principale -, ma quei pochi che ho avuto non mi hanno mai baciato come fai tu. Ogni bacio porta con sé un po’ del tuo amore per me. Mi scalda, come l’acqua viene scaldata dalla caldaia. E lo so, l’immagine sembra poco romantica detta così, però ti chiedo: non è bello lasciarsi cullare dal tepore di una doccia calda quando rincasi in inverno? Sì? Beh, allora l’immagine della caldaia diventa un po’ più romantica ora, visto che quella sensazione, quello stesso senso di appagamento, io lo provo ogni volta che mi baci.
E quindi tieni sempre una chiave a pappagallo in casa. Non si sa mai quando possa servire.
Ma se per caso dovessi perderla, perché può succedere, da qui al mio ritorno, ricordati almeno di conservare qualcuno dei tuoi baci per me. Il 23 farà un gran freddo…
5 dicembre – LA MUCCA
*MUUUUU*
“PATATINO MOLLA IL PACCHETTO!” urlo verso il mio labrador nero.
Dopo un lungo tira e molla, finalmente il mio cagnolone molla la presa. La casella numero cinque del mio calendario dell’avvento è tutta sbevucchiata e morsicata, ma a preoccuparmi maggiormente è il verso emesso dall’oggetto evidentemente incartato al suo interno.
Rimossa la carta, non mi stupisce trovarci dentro un giocattolo per il mio cane. Ma perché a forma di mucca? Il biglietto è tutto masticato, ma per fortuna il contenuto si legge ancora…
La donna giusta per te è una carabiniera. In alternativa, un’avvocatessa. Di certo, non una veterinaria.
Me lo ha detto il maresciallo cinque anni fa, poco prima che la veterinaria di Patatino ti rapisse il cane. Sono quasi certa che all’epoca già tramasse per farci mettere insieme, non so esattamente con quale scopo, ma sono abbastanza sicura ora, col senno di poi e avendo imparato a conoscerlo.
Detto ciò, dovresti aver capito perché c’è la mucca Maddalena in questo pacchetto. Non so perché io la associ a Diana, forse per il suo lavoro o forse perché girava sempre con degli stivali da cowboy, in ogni caso è di lei che voglio parlare. O meglio, della gelosia. Sì, non l’ho mai ammesso ad alta voce, ma quando lei si è mostrata interessata a te, la cosa ha scatenato in me quel sentimento mai provato prima. Quando ho scoperto che non stavate insieme, è stato un sollievo. Eh sì, le parole che le ho detto le pensavo davvero. Ma non in senso negativo.
Sei pigro. Vuoi sempre aver ragione. Credi di essere simpatico anche quando non lo sei, o meglio quando non è il momento di esserlo. Ti vestiresti sempre in bermuda e ciabatte. Ma nonostante tutto questo, o forse anche per tutti questi motivi, io un uomo così al mio fianco lo voglio. Non eri adatto a Diana. Perché eri e sei perfetto per stare accanto a me. Cecchini forse lo aveva già capito. Noi ci abbiamo messo del tempo. Tuttavia, nonostante questa consapevolezza, io non riesco a fare a meno di provare quel sentimento quando un’altra ragazza si dimostra interessata a te.
Perché capisco il motivo per cui le “attrai” e soprattutto perché ho paura che in loro tu possa trovare qualcuna migliore di me, o più semplicemente una storia più semplice, meno impegnativa.
E so che se queste cose te le stessi dicendo invece che scrivendo, mi diresti che non è possibile. Che non vuoi una storia più semplice, che non vuoi un’altra. Ma se c’è una cosa che ho veramente imparato stando accanto a te, è che i sentimenti non si possono controllare. Si possono provare, nel bene e nel male. E a volte bisogna assecondarli, lasciarli sfogare, perché tutto torni come prima.
Succede con la rabbia – e noi lo sappiamo meglio di chiunque altro -, succede con la tristezza, con la gioia e anche con la gelosia. Ogni volta che la mucca farà “muu”, mentre Patatino la masticherà, la mia gelosia troverà sfogo e rideremo al ricordo. Perché il nostro passato racconta di noi, e a volte serve avere una Madeleine quotidiana a ricordarci cosa siamo stati….
6 dicembre – LA SCARPETTA
Sto facendo zapping tra i canali, sperando di trovare qualcosa di interessante da vedere. Abbandonata ogni speranza decido di andare a scovare un film tra i tanti dvd della collezione presente nella libreria di casa. Mentre col dito scorro i dorsi delle copertine, la mia attenzione viene richiamata da un titolo in particolare “Cenerentola”. Sto per estrarre la custodia di quel cd dalla libreria, quando mi ricordo di non aver ancora aperto la casella odierna del calendario dell’avvento.
Mi dirigo verso il mobiletto della televisione, estraggo il pacchetto numero 6. Lo apro, mentre mi accingo a sedermi sul divano. Dentro c’è una scarpetta di vetro, sembra quasi una bomboniera…
È giunta mezzanotte, principe. Hai trovato la scarpetta?
Se l’hai trovata, ora non ti resta che scovare a chi appartiene…
So a memoria la storia di Cenerentola a furia di rivedere il film con Chiara. Ma nonostante parli di principi e principesse, c’è qualcosa che mi spinge a non provare un senso di nausea nel vederlo e rivederlo. Da cinque anni a questa parte, in particolare, quando Chiara mi ha costretto ai rewatch, ho provato ogni volta una stretta allo stomaco. Una forte sensazione di “casa”. Capita anche a te?
Spero di sì. Perché dopo anni, io ho capito il motivo. Ma serve lavorare di ricordi.
Da piccola, Cenerentola erano due sedie, due sorelle e una televisione.
Da grande, i sedili di un’auto, un PM, una Carabiniera e il maxi schermo di un drive in.
Da piccola come da grande, Cenerentola è famiglia, casa. Il mio posto nel mondo.
Non ho mai perso la scarpetta di cristallo. Mia sorella ha effettivamente tentato di portarmi via il principe, ma non con cattiveria. E soprattutto, per fortuna, la magia non è svanita allo scoccare della mezzanotte.
Non mi sono mai sentita principessa. Né penso lo sarò mai. Ma forse io e Cenerentola un po’ ci somigliamo. Non abbiamo paura di conquistarci il nostro posto nel mondo. Siamo disposte a rischiare per ottenerlo. A sconfiggere matrigne, sorellastre, figlie di Colonnelli, magistrate e veterinarie pur di conquistare il principe. Ma senza spargimento di sangue e senza sotterfugi. Entrambe abbiamo imparato che basta essere noi stesse per essere amate. Perché il principe azzurro vede oltre l’apparenza, oltre gli abiti strappati dall’usura e oltre la divisa da carabiniera.
Conserva la mia scarpetta principe. Non è di cristallo, ma anche un coccio di vetro può diventare inestimabile se gli dai il giusto valore….
 
7 dicembre - IL MESSAGGIO
Mi lascio cadere sul divano come un corpo morto. Non che fisicamente mi senta meglio di un defunto nei fatti. È stata una giornata lunghissima, intervallata per di più da un mezzo infarto, quando ho ricevuto una telefonata dalla Siria da parte del Colonnello Valente. Per fortuna all’altro capo della cornetta c’era Anna stessa, ma per un attimo il sangue mi si era gelato nelle vene leggendo il nome del suo superiore sullo schermo del mio smartphone.
Poiché il telefono della mia fidanzata è andato distrutto accidentalmente in una simulazione di attacco, la telefonata intercorsa oggi è stata l’ultima prima del suo ritorno. Anna infatti si sta per spostare in una zona priva di linee telefoniche e non sarà in squadra con Valente per l’ultima parte della sua missione. Di conseguenza, non potremmo sentirci per due settimane.
La notizia ovviamente mi ha rattristato molto, e non nego sia preoccupato per cosa possa capitare. Ma Anna è un ottimo militare, sa come difendersi. So che tornerà a casa tutta intera.
Ha rischiato la vita – più volte - anche stando a Spoleto, la Caracas d’Umbria, cosa vuoi che sia la Siria a confronto!  Meno male che ci sei tu, Grillo, a tirarmi su il morale. Non c’è di che! Ero ironico…
Mentre ridacchio alla surreale conversazione con la mia coscienza – forse ho bisogno di uno psicologo – mi ricordo che non ho ancora aperto la settima casella del calendario dell’avvento. Controvoglia, mi alzo dal divano, per prendere il pacchetto dal mobiletto. Decido di sedermi alla penisola della cucina, per scoprire di cosa si tratta. Soprattutto perché non è un pacchetto come gli altri, bensì una busta, quella con il fiocco dorato e il numero “7” rosso in bella vista.
All’interno della busta c’è la stampa di uno screenshot:
“Ho finalmente capito tutto di noi, ma forse non potrò mai dirtelo…Anche se sei l’uomo più impossibile che io conosca e fai un pessimo brasato…io TI AMO!”
Sorrido mentre tengo stretta tra le dita quella foto, poi la giro. Dietro nella solita pessima calligrafia di Anna, c’è il settimo messaggio dell’avvento per me…
Il regalo di oggi è diverso dagli altri. Quando leggerai il contenuto di questa casella sarò in procinto di affrontare l’ultima parte della mia missione. Quella che – non lo nego – mi spaventa di più, visto che mi porterà nella zona più pericolosa della Siria. Per questo, ho deciso che il contenuto della settima casella fosse una foto del primo messaggio che ti ho inviato quando pensavo di non avere più tempo per dirti tutto ciò che provavo per te.
Non è facile essere la tua fidanzata, lasciamelo dire e non ti offendere. Sei veramente l’uomo più impossibile che io conosca. Sei imprevedibile. Sei tutta quella sequela di aggettivi che ti ripeto sempre: pigro, permaloso, immaturamente maturo, poco serio quando bisogna esserlo e troppo serio quando non ce n’è bisogno. Impossibile, appunto. Ma nonostante tutto non posso fare a meno di pensare a te quando sento che il mondo sta per crollare. Perché sei il mio Polo Nord, il porto sicuro in cui so che posso trovare riparo in caso di tempesta. Anche quando la tempesta l’hai creata tu stesso.
Quando sono uscita, sana e salva, dal furgone, e ho scoperto che avevi fatto di tutto per salvarmi, avevo completamente dimenticato di averti inviato il messaggio. Ero certa che nemmeno ti fosse arrivato. Poi ho scoperto che invece era stato consegnato, sebbene tu non lo avessi ancora letto. E in cuor mio ero divisa tra la necessità di cancellare a qualsiasi costo ogni traccia di esso – per il bene di Chiara – e la voglia di scoprire se invece il sentimento fosse ricambiato. Mi ero immaginata tutto o il mio amore era corrisposto? Avevo paura della risposta. E anche per questo ho deciso di seguire la voce nella testa che mi diceva di cancellare il messaggio prima che fosse tardi o almeno dirti la “verità” che avrebbe difeso e protetto Chiara. Faccia a faccia, ti ho detto che il messaggio era una stupidata. Che presa dal momento ti ho scritto, ma non credevo in quelle parole. Ovviamente non era vero. Come non era stato un errore il primo bacio.
L’ultima parte della missione in Siria mi fa paura, ma mai quanto amare. Nel primo caso so che sto andando volontariamente incontro al pericolo. Nel secondo, invece, è come lanciarsi da un aereo col paracadute: in quel caso sai che durante la caduta lo aprirai e planerai a terra, ma non puoi escludere quella piccola percentuale di possibilità che non si apra. E nonostante io mi sia lanciata fisicamente col paracadute più volte, certa che si sarebbe aperto, alcune volte la paura che non accadesse mi è sorta. Quando amo, io mi sento come in volo col paracadute. Perché amo con tutta me stessa e nel farlo, accetto quella piccola percentuale di possibilità di poter rimanere ferita, pur credendo che ne valga la pena.
Ti ho amato, e ti amo, immensamente. E anche per questo ho sofferto accanto a te. C’era e c’è il rischio che accada, proprio come nel paracadutismo. Ho imparato che il pericolo e la paura non devono essere limitanti. Fanno parte del gioco della vita. Ci sono luoghi in cui il rischio è più alto che in altri. Ma la Siria non è più pericolosa di Spoleto, né viceversa. Gli ostacoli sono ovunque e le paure diverse ma tutte ugualmente valide.
Oggi, la mia paura più grande non è il fatto che la missione possa mettere a repentaglio la mia vita, bensì rischiare di sparire senza che tu sappia quanto ti amo. Perché nel momento in cui temo per me stessa, il mio primo pensiero sei sempre tu. E mi rendo conto che non te lo dico spesso. Perché a esprimere i sentimenti sono incapace come te. E se tu necessiti dell’alcol per lasciarti andare, io ho bisogno dell’adrenalina che la paura di morire rilascia in me, evidentemente. Quindi, lascia che ti dica che: ovunque la vita ci porti, ricordati innanzitutto di imparare a cucinare meglio il brasato, perché non so se troverai una donna che ti ama e lo sappia apprezzare anche se è pessimo, come me. E poi, sappi che TI AMO…
 
8 dicembre - IL NOSTRO PRIMO “NATALE”
“Dottore, vuole una mano con quelle lucine?” mi chiede Cecchini mentre posiziona l’ultima scatola di decori per l’albero sul tavolo da pranzo in sala. “No, è tutto sotto controllo, Maresciallo, non si preoccupi” rispondo io di facciata, mentre nella realtà impreco silenziosamente contro il groviglio di cavi che ho tra le mani. “L’albero l’ha sempre fatto Anna, vero?” chiede retoricamente mia suocera. Mi volto verso di lei pronto a difendermi dall’accusa, ma appena il mio sguardo incrocia il suo, sconsolato, finisco per annuire. Mi affloscio al tavolo, con i cavi in mano, volgendo lo sguardo all’albero ancora spoglio che abbiamo faticosamente assemblato con Cecchini. “Io e la manualità siamo un po’ come due rette parallele” dico mogio. “E poi mi fa strano, decorare casa senza Anna…”
Mia suocera si avvicina a me, poggiandomi una mano sulla spalla. “Manca poco al suo ritorno. Hai resistito, come noi, per quasi un anno, e ti abbatti ora?” mi dice rivolgendomi un sorriso materno. “Lo so, ma il Natale mi ricorda particolarmente Anna. Il Natale è……è la NOSTRA festa, in qualche modo. E quest’anno, dell’attesa, vivremo insieme a malapena la Vigilia… non sarà come le altre volte…” rispondo io.
“Beh, in realtà, l’attesa del Natale la state vivendo insieme anche se lontani…” sento dire ad Elisa, che solo ora mi accorgo essersi allontanata da me per andare a prendere un pacchetto dal mobiletto sotto il televisore. Me lo porge, sorridendo. “Vado con Nino a prendere gli ultimi decori per la casa in cantina…” mi dice ammiccando e portandosi via un Maresciallo borbottante. Prima che la porta si chiuda alla loro spalle, sento la voce di Cecchini chiedere alla compagna cosa ci sia nel pacchetto e lei rispondere che non sono fatti loro. Rido all’improbabile coppia formatasi tre anni fa, che sono felice di poter chiamare, oggi, famiglia.
Elisa ha scoperto del calendario dell’avvento che Anna mi ha lasciato, qualche giorno fa, per caso. Non sa cosa contengano i pacchetti, non sapeva nemmeno che Anna lo avesse realizzato. E per la prima volta, non ha messo il naso nella faccenda. Lo dimostra il fatto che abbia deciso di lasciarmi da solo ad aprire l’ottavo pacchetto, portandosi via anche Cecchini.
Beh, lo apriamo allora, o no? Guarda che se non ti sbrighi, tornano prima che te ne accorga quei due…
Slego il fiocco dorato, che lascio cadere a terra. Il pacchetto è morbido, sembra racchiudere della stoffa. Quando anche la carta raggiunge il pavimento, le mie labbra sono ormai distese da orecchio a orecchio nel constatare che quello che ho in mano, è il suo cappello da Babbo Natale…
Guarda che lo so che non hai ancora fatto l’albero, né decorato casa…
Dove sono le telecamere?! Alfonso io mando Marco in nomination!
Che stai farneticando, Grillo? Ci sono sicuramente delle telecamere, è il GFV Edition questo: il Grande Fratello Vocina Edition. Tanto lo so che ci sei dietro tu, Vocina! Ci hai venduto a Piersilvio, qualcuno ci sta spiando, altrimenti come fa a sapere che non c’è l’albero!
Chi è Vocina? Che cavolo….Forse è proprio ora che vado da uno psicologo. Ma uno mooooolto bravo.
… Per fortuna, conoscendo mia madre, avrà trascinato il Maresciallo da te, oggi, per aiutarti. “Vorrai mica farti trovare con casa ancora da decorare da Anna?”. Mi sbaglio? Non credo, starai sicuramente ridendo perché avrò azzeccato le esatte parole.
Però so anche che non hai decorato ancora casa perché il Natale è la nostra festa. E io non sono lì con te per attendere insieme il suo arrivo. Nonostante io stia scrivendo che ne è appena terminato uno di periodo natalizio, ho già il magone per il prossimo. Perché so che mancherà anche a me vivere l’attesa del Natale insieme a te. Sia quello tradizionale, che il NOSTRO. Quello da affrontare in bermuda e ciabatte, in pieno agosto, per il bene di un bimbo che ci manca tanto.
Quel Natale d’agosto ho imparato che se ti travesti da Babbo Natale, la finta pancia oggi non ti servirebbe più, visto che la hai naturale :D e soprattutto ho imparato che i miracoli esistono, se sai crederci e non smetti mai di sperare e desiderarli. Tutto è andato al suo posto quel giorno, vuoi per il caso, vuoi per intervento del Maresciallo. Ed è stato il Natale più bello – e strano – della mia vita.
Pochi mesi dopo hai saputo trasformare quello vero di Natale, in un momento che mai dimenticherò. Faceva più freddo, fuori. Ma dentro ho sentito il medesimo calore, sia ad agosto che a dicembre. Ti ridirei sì, sotto l’albero in piazza Duomo altre duemila volte. Anche a costo di rivivere duemila volte tutto quello che è successo dopo. Perché a Natale tutto è più bello e magico. Ma accanto a te lo è ancora di più. Non vedo l’ora di scoprire insieme a te cosa ci riserverà questo Natale. Chissà, magari ci servirà nuovamente il cappello e l’abito rosso….
Ora però, muoviti! Finisci l’albero! Non può esistere che casa mia rimanga spoglia a Natale. Nel nostro stabile c’è già Serena che basta e avanza come Grinch!
9 dicembre - L’ANELLO
Casa tutta decorata è tutta un’altra cosa. Anche se, senza Anna, sembra comunque sempre vuota.
Il muso di Patatino sul mio ginocchio sembra volermi ricordare che non sono però solo. Lo accarezzo, mentre lui mi risponde scuotendo la testa felice. So che anche a lui manca Anna. Negli ultimi giorni, rincasando, me lo ritrovo davanti festante appena apro la porta, ma la sua gioia si placa quando constata che sono io. È come se avesse avvertito che sta per tornare. E per essere sicuro di non perdersi il suo arrivo, si posiziona vicino alla porta, ad attenderla.
“Manca poco, è sarà di nuovo a casa con noi. Tranquillo, torna…” mi trovo a dirgli mentre lo accarezzo.
Poco dopo si alza e si sposta verso il mobiletto della televisione. Mi fissa, come a richiamarmi. Lo fa anche davanti la porta di casa quando vuole che lo porto fuori per la passeggiata.
Capisco che vuole io apra le antine. Forse spera che nella prossima casella ci sia un nuovo gioco per lui.
Grillo, insieme a Patatino, mi ricordano che non ho ancora aperto il pacchetto di oggi. La casella numero 9 non è molto grande. Quando la scarto, scopro una scatola di cartone con all’interno un biglietto e una scatolina di velluto rosso. Riconoscerei quel guscio ovunque. Anche al buio. Anche fossi cieco…
Avrei tanto voluto portarlo con me, ma la paura di perderlo mi ha spinto a lasciarlo lì a Spoleto, affinché tu potessi custodirlo al meglio fino al mio ritorno. Perché quando tornerò, lo rimetterò al dito e tra quattro mesi gli affiancherò finalmente la fede dorata che sancirà il matrimonio da tutti – soprattutto da noi - tanto atteso.
Sono passati circa cinque anni da quando lo hai acquistato. Ed è passato quasi altrettanto tempo da quando me lo hai consegnato. È ancora qui, a sancire il nostro amore, nonostante gli alti e bassi. Ricordo ancora la neve cadere dal cielo mentre tu vestito da Babbo Natale me lo mettevi al dito. Ricordo il grande albero e la piazza deserta unici e silenziosi testimoni del mio sì riecheggiante nella notte spoletina.
Non è passato giorno, nemmeno quando ti “odiavo”, in cui non abbia immaginato come sarebbe (stata) la mia vita come Anna Olivieri in Nardi. Sentirmi chiamare Signora Nardi, di tanto in tanto, invece che Capitano Olivieri. Tra qualche mese accadrà e chissà, magari è come me lo sono immaginata, oppure sarà completamente diverso. Ma l’importante è che accada. Perché abbiamo rinviato questo momento troppo a lungo. Abbiamo “sprecato” troppo tempo. E io sono stanca di aspettare. Ho atteso persone che non si meritavano lo facessi. Ho lasciato tu mi attendessi quando invece avrei dovuto dare ascolto subito.
Ho permesso al mio lavoro di prendersi il ruolo da protagonista nella mia vita, rilegando te e noi in secondo piano. L’ho fatto prima da sola e poi di comune accordo con te. E anche se sto per iniziare il mio ultimo viaggio da sola, mentre scrivo queste parole, provo un grande senso di gioia a pensare che tu le stia leggendo quando il nostro viaggio insieme sta invece per iniziare.
È un cerchio che si chiude. È un cerchio come l’anello contenuto tra il velluto rosso della scatolina che tieni mano. Un anello prezioso non per il diamante che ha incastonato dentro sé, ma perché racchiude tutta la nostra storia: presente, passata e futura. Finché questo anello sarà tra le tue mani o tra le mie dita, sarà al sicuro. E se lui sarà al sicuro, lo sarà anche il nostro amore…
10 dicembre - IL PAKISTAN
Mancano tredici giorni al suo ritorno. Un niente, ma al contempo un’eternità. In questi 11 mesi avrei potuto più volte raggiungerla. Gran parte della missione in Siria è stata lontana dalle zone “calde” di conflitto. Tuttavia, insieme, prima che lei partisse, abbiamo deciso di non farlo. Non tanto per paura di creare distrazioni, più semplicemente una prova per noi come coppia.
Negli ultimi anni abbiamo vissuto uno accanto all’altro ogni istante della vita, nel bene e nel male, per lavoro e per scelta. Questo periodo lontani era un banco di prova necessario per la nostra relazione. Insieme si cambia e, sebbene non abbiamo più paura di affrontare il mutare delle cose, resta in un angolo recondito di ognuno di noi il dubbio che farlo un po’ ci snaturi, ci renda incapaci di non poter più fare a meno dell’aiuto dell’altro.
Undici mesi lontano ci sono serviti a capire che possiamo affrontare tutto insieme e separatamente. Ma soprattutto che non importa quanti chilometri ci separano, il nostro legame non teme spazio né tempo.
Mentre rifletto a quanto le cose siano cambiate e non, in questi anni e in questi ultimi mesi, mi ricordo di non aver aperto la casella odierna del calendario dell’avvento.
Mi reco in soggiorno, apro l’antina del mobiletto e recupero il pacchetto con il numero 10. È una sfera, una forma insolita, rispetto alle altre caselle finora aperte. Il biglietto che l’accompagna è legato al laccetto esterno. Scarto la sfera: è un mini mappamondo.
Tra me e te ci sono circa 3500 chilometri di distanza in questo preciso istante. Due anni fa potevano essere più di 7000. È la seconda volta che il mio lavoro prova a interporre tra noi migliaia di chilometri. Col tempo, però, i chilometri si sono ridotti, hai visto? Sono solo più la metà. E se il Pakistan doveva arrivare dopo il matrimonio, la Siria è arrivata prima. Tutto cambia. Lo spazio e il tempo.
Ma la percezione di entrambi rimane relativa, soggettiva. Perché alla fine due anni fa, sembra un lasso di tempo lontanissimo, eppure non lo è. E il Pakistan non è mai arrivato, ma la distanza tra noi, entrambi a Spoleto, sembrava molto più ampia dei settemila chilometri che avrebbero dovuto esserci.
Oggi i circa 330 giorni lontani si sentono tutti – e sì, lo dico fin da ora, che nemmeno ancora sono partita mentre scrivo il biglietto –, ma al contempo i 3500 chilometri sembreranno inesistenti. Perché se ho imparato che posso sentirmi lontana mille miglia da te quando la distanza geografica è nulla tra noi, allora probabilmente non mi accorgerò dei reali chilometri quando saremo veramente lontani. Perché tu ci sarai. Nelle telefonate, nei messaggi, nei miei pensieri. Nel mio cuore.
L’amore non conosce confini. Non è una frase fatta, oggi lo so. Perché ho sperimentato con te che non si può limitare un sentimento tanto forte. Se è vero, vince su tutto. Vince la razionalità, vince la rabbia, vince l’odio. E vince anche lo spazio e il tempo. Come lo so? Tra tredici giorni e 3500 chilometri, sarò di nuovo tra le tue braccia. Nel mio posto nel mondo. Che non è un posto fisso, ma varia a seconda di dove tu ti trovi...
11 dicembre – LE FORBICI
Oggi, in quasi un anno, mi rendo conto di aver passato più tempo fuori casa che in casa. Mi sono ritrovato a girovagare per l’appartamento alla ricerca di oggetti che quotidianamente tutti ci ritroviamo ad usare, eppure io non ricordo di aver usato in mesi. E quando poi li ho ritrovati, erano in posti inusuali. Come ci è finito uno schiaccianoci nel cassetto in bagno? Cos’è ho mangiato noci mentre ero seduto sul water lo scorso inverno? Possibile che non mi ricordi più dove metto le cose?
Io sono smemorato, magari ho contagiato anche te… Ci mancava la coscienza smemorata, penso mentre cerco di ricordare dove ho visto le forbici l’ultima volta. Avrò pur tagliato la confezione di qualcosa in questi giorni…
Visto dall’esterno sembro una trottola impazzita, che gira senza meta tra le mura di casa. Nel mio andirivieni, osservo Patatino alternare il suo sguardo tra me e l’armadio nella camera da letto. Non sarebbe la prima volta che Patatino sa dove sono le cose in casa rispetto a te, magari sa dove sono le forbici…
Decido, per una volta, di seguire la voce della mia coscienza – finalmente! Sono commosso! 
Se ho capito bene come interpretare gli sguardi del mio cane, credo mi stia suggerendo di controllare nell’armadio. La vera domanda, però, è come ci siano finite lì dentro, se le forbici effettivamente fossero lì. Quando apro l’anta dell’armadio, stupito ma non troppo, trovo l’oggetto tanto ricercato appoggiato sotto gli abiti appesi. Che cosa ci fanno nell’armadio?
BAU!
Mi rigiro verso il mio cagnolone, in piedi sulle quattro zampe e con la coda festante. Deve essere il suo modo di dirmi che aveva ragione. Lo raggiungo e lo accarezzo “Grazie, Patatino..” Certo, ringrazia lui e non la tua coscienza che ti ha suggerito di seguire le sue indicazioni! La riconoscenza non va più di moda, vedo… Come sei permaloso, Grillo! Grazie anche a te!
La voce nella mia testa si è zittita, ma al suo posto giunge alle mie orecchie un altro rumore. L’ACQUA DELLA PENTOLA! Mi ero completamente dimenticato che stavo cercando le forbici per aprire la confezione di pasta che avrebbe costituito la mia cena.
Contenuto i danni della mia sbadataggine, mi siedo sul divano in attesa che la pasta cuocia. Decido di occupare il tempo aprendo la casella del calendario odierna.
Il pacchetto è molto sottile, ma pesante. Quasi contenesse un oggetto di metallo…
Spero tu abbia ritrovato le forbici in questi undici mesi. Nel caso non ne avessi comprate di nuove o ritrovate le vecchie, eccotene un paio nuovo. Non ho idea di dove io le abbia messe. Non ne uso, a casa, da due anni. Si lo so, è strano. Ma ti stupisci? Se mi conosci, sai bene che tendo ad accantonare e nascondere le cose che mi riportano alla mente brutti ricordi. E l’ultima volta che ho usato – o meglio, ho tentato di usare – le forbici a casa, è stato per fare a pezzi il mio abito da sposa. Sai bene che quella stoffa è ancora intera, quindi non ho compito il vestitocidio, ma per trattenermi dall’insano gesto ho nascosto le forbici lontano dalla mia vista. Se stessi giocando a nascondino con loro, potrei tranquillamente affermare che hanno stabilito un guinness world record, perché non so che fine abbiano fatto.
Tornando a noi, però, immagino tu ti stia domandando perché te ne sto regalando un paio nuovo. Bene, credo di aver superato il trauma. Se dovessi trovarmi le forbici ora davanti, non tenterei più di disintegrare il vestito, né tantomeno sarebbero in grado di ricordarmi le lacrime e il dolore che ho versato e provato due anni fa.
Non avrei mai pensato che un giorno anche io mi sarei trovata ad avere un senso di riluttanza verso un oggetto solo perché rievoca brutti ricordi. Eppure, eccoci qui.
Ho deciso di includere un oggetto, agli occhi dei più, insignificante tra quelli del calendario, perché credo fermamente che ai tuoi occhi, come ai miei, invece un significato lo abbia. Come è capitato (e capiterà) per gli altri che troverai in questo viaggio tra i ricordi.
Le forbici sono simbolo di divisione. Tagliano, separano, sminuzzano, “cancellano”. Nascondendole ho cercato in tutti i modi di evitare compissero il loro lavoro. Perché per quanto volessi tagliare il vestito, sminuzzarlo, pur di cancellarti, in cuor mio non ci riuscivo e sapevo anche il perché. E ho fatto bene a seguire quella sensazione, a intraprendere quella decisione. Altrimenti non saremmo ora qui.
Ora che ho superato il trauma, il dolore, ora che ho fatto pace prima con me stessa e poi con te, ho capito anche che le forbici servono sì a tagliare, a creare una cesura, ma per farlo necessitano di due forze che collaborino tra loro. E allora, io e te, siamo un po’ come un paio di forbici. Perché lavoriamo insieme per funzionare. E insieme, come una forbice, abbiamo tagliato via i fili dei brutti ricordi che ci ancoravano al passato, così da poterci muovere verso il futuro….
I bracci delle forbici si separano per brevissimi periodi al fine di riunirsi una volta compiuto il lavoro. Anche noi ci siamo separati per ritrovarci. E magari riaccadrà di nuovo. Ma il destino vuole che in quel moto perpetuo, saremmo sempre tenuti insieme da una vite, un motore: l’amore.
12 dicembre - IL GELATO
Voglio conoscere chi, nel corso della storia, ha deciso che in inverno il gelato non si mangia. Questa regola non scritta che tutti seguono da anni, la trovo insensata. Perché quando le temperature esterne sono basse devo privarmene? È buono sempre. Avete visto mai qualcuno fare le pulci a chi, in piena estate, decide di farsi una cioccolata calda? Ognuno ha i suoi gusti. E io amo il gelato d’inverno. Ha finito l’arringa magistrato? Perché stai litigando con nessuno…
Mi blocco con il cucchiaino in mano al ronzio lasciato nelle orecchie dalla voce della mia coscienza. In effetti, sono solo a casa. Ma dai? Sono tipo più di 330 giorni che è così! Piantala, Grillo! Non infierire sulla mia sanità mentale. Come se esistesse ancora…
Lancio il cucchiaino, un gesto incondizionato, quasi con esso cercassi di colpire un’ipotetica trasfigurazione della mia coscienza dinnanzi a me. Poi lo raccolgo, e con lui – spero – anche quel poco che rimane della mia sanità mentale, prima di dirigermi verso il lavandino per posarlo e prenderne uno pulito da usare.
Mi sposto sul divano, mentre alla televisione passano i titoli di coda del film appena terminato. Decido di non provare nemmeno a fare zapping, ma di spegnere l’apparecchio. Abbandono momentaneamente la vaschetta di gelato al pistacchio sul tavolino per prendere la casella dell’avvento di oggi ancora da aprire.
Tra una cucchiaiata e l’altra, scarto il pacchetto e dispiego il messaggio che lo accompagna. La scatola è grande, ma dentro c’è solo una calamita a forma di cono gelato…
Se non fosse stato che passavano undici mesi tra la realizzazione del calendario e la sua apertura, avrei messo del vero gelato all’interno di questa casella. Ma, ahimè, non è possibile.
Ho trovato questa calamita in un vecchio scatolone di cianfrusaglie e giochi di quando ero piccola. È una di quelle sorpresine che si trovavano in regalo nelle merendine, tanti anni fa. Mi sembrava il giusto compromesso per introdurre il ricordo di cui ti voglio parlare oggi.
Da piccola, il mio gusto di gelato preferito era la fragola. Mi piace da morire. Tutti prendevano sempre i coni con duemila tipi di gusto diverso, mentre io volevo sempre e solo due palline di fragola.
Quando papà è mancato ho smesso completamente di mangiarlo. E questo vale tutt’oggi. Avrai ormai capito, dopo dodici caselle, che credo fortemente nel concetto espresso da Proust con la Madeleine: ogni oggetto porta con sé un ricordo. E il gelato alla fragola sarà sempre legato ai pomeriggi in gelateria, di ritorno da scuola, con papà. Per non intaccarne il ricordo, ho smesso di mangiarlo…
Oggi, uno dei miei gusti preferiti di gelato è quello al cioccolato, con le nocciole tritate sopra. Quando ero in accademia era il mio premio dopo ogni esame superato, dopo ogni piccola vittoria che dimostrava non valessi meno dei miei compagni maschi. Ci mettevo le nocciole sopra per distinguerlo dal crema e cioccolato che mangiavo sempre con Chiara quando eravamo tristi.
Per questo, quel giorno in caserma ti ho chiesto di portarmelo. Ero triste, e avrei potuto chiederti il gusto consolatorio, ma non c’era Chiara, e avrei intaccato il ricordo. Ho deciso di intaccarne un altro. L’ho fatto perché mi avevi appena insegnato che riconoscersi deboli non è un peccato e ci accomuna tutti, maschi e femmine, carabinieri e PM.
Da allora, il cioccolato con le nocciole tritate sopra non rappresenta più la mia lotta per dimostrare che valgo come carabiniere anche se donna. Bensì la mia crescita come carabiniere e come donna. Non sono infallibile, né come una né come l’altra. Ma non vuol dire che valgo meno di un uomo. E me lo ha insegnato un uomo che sa per esperienza come le debolezze non ci definiscono, ma anzi sono parte di noi e vanno accettate.
Mi hai insegnato ad amarmi. E a ogni nuovo gelato gustato insieme hai continuato a ripetermi come non dovessi mai limitare i miei sogni e soprattutto che non avrei mai dovuto rinunciare ad essere felice. Per essere felice però, ho bisogno di averti accanto, come il mio gusto di gelato preferito ha bisogno del suo topping: insomma, sarai sempre la granella di nocciole del mio gelato al cioccolato…
13 dicembre - LA STOFFA DEL MAGGIOLINO
“Ero sicuro di averlo messo qui…”
Sono in garage con il maresciallo, che sta cercando lo scatolone con i vecchi giocattoli dei suoi nipoti Martina e Nino. Assuntina verrà a trascorrere il Natale a Spoleto con suo padre e il maresciallo vuole avere di nuovo in casa i giochi per il suo nipotino più piccolo.
“È certo di averlo spostato qui? Anche nella vecchia stanza di Assuntina, dove stava Valentina, ci sono un sacco di scatoloni…” gli chiedo scandagliando il garage. “Ci ho già guardato, ma non l’ho visto...Continui a cercare, io vado a ricontrollare…ma ero certo fosse qui!”
Sento il portone del garage schiudersi e richiudersi, mentre io lascio viaggiare lo sguardo sui numerosi cartoni accatastati qui dentro. C’è veramente un gran casino. E soprattutto il terribile vizio di non scrivere sugli scatoloni cosa c’è all’interno. Praticamente bisognerebbe aprirli tutti per vederne il contenuto. Decido di mettermi in moto, perché non ho alternativa, se non quest’ultima. Non trovo nulla nei primi scatoloni, ma mentre li ri-accatasto, una scatola rossa con un nastro blu cade dalla pila accanto, lasciando cadere a terra delle stoffe. Fantasia a quadri verdi e blu… famigliare…
Le ho riconosciute anche io, Grillo. Avevo fatto l’impossibile per averle e regalargliele. I sedili del maggiolino però non sono mai stati rivestiti con questa stoffa. In fondo, capisco perché all’epoca abbia deciso di non usarle, benché ritenesse il regalo gradito. Non sapevo però le avesse tenute. Magari non lo ricorda nemmeno. Mi pare Sergio avesse terminato il restauro senza di lei.
Accarezzo le stoffe, riponendole nella scatola, quando nella tasca della mia giacca inizia a squillare il telefono. Rispondo senza controllare chi sti chiamando. “Marco, torna in casa prima che ti viene un malanno! Nino ha trovato la scatola sotto il letto nella vecchia stanza di Assuntina, dove aveva già controllato attentamente stamattina…”. Sento la voce del Maresciallo protestare alla non più di tanto velata frecciata di Elisa. Rido, ringraziandola per avermi informato.
Riposo la scatola rossa sui mille altri pacchi impilati in garage. Uscendo, passo accanto al vecchio maggiolino. “Chissà se un giorno mi ci farà fare un giro”, mi chiedo voltandomi a guardarlo un’ultima volta prima di chiudere il portone del garage.
Quando arrivo in casa, mi accorgo dell’escursione termica tra fuori e dentro. Non mi sembrava facesse così freddo. Mi avvicino al camino per riscaldare le mani, pensando ancora alla scatola di stoffe. Avevo impacchettato il tutto, speravo veramente apprezzasse il regalo…. A proposito di regali…
Non serve nemmeno che Grillo completi la sua frase, che sono già in movimento verso il mobiletto della televisione. Estraggo il pacchetto numero 13. Non è grande, ma non molto pesante. Quando ho finito di scartarlo, al suo interno ci trovo una camicia che sembra da boscaiolo essendo a quadri. Ma sono i colori a stupirmi…
Non è una tipica camicia che indosseresti, ma la trama a quadri blu e verdi mi ha ricordato un tuo vecchio regalo…
Quasi tre anni sono ormai passati da quando ho sistemato il maggiolino, con l’aiuto di Sergio. E anche se non me lo hai mai apertamente chiesto, so che ti domandi che fine abbiano fatto le stoffe che mi hai regalato…
Sei proprio certo che si trovi in Siria? Come è possibile che ogni casella che apriamo ha a che fare con cosa accade il medesimo giorno reale? Che ti devo dire, Grillo: sarà la magia del Natale…
So di non averle buttate. Sono da qualche parte in garage. Probabilmente ancora all’interno della scatola rossa dal fiocco blu in cui me le hai regalate. Quando abbiamo proceduto al restauro, alla fine le stoffe non le abbiamo sostituite, sono ancora rovinate, come le aveva lasciate mio padre. In un momento complicato come quello post matrimonio saltato, in cui tutto stava cambiando rapidamente attorno a me, non me la sono sentita di cambiare la tappezzeria dell’auto. Di perdere anche quella certezza. Con il senno di poi sono in parte pentita, perché so quanto sia stato difficile per te trovarle. Ma quando mi siedo e accarezzo la stoffa sgualcita, i ricordi delle giornate su quel bolide insieme a papà riaffiorano e mi sento di nuovo la bambina che non vedeva l’ora di sistemare l’auto per la gita domenicale in famiglia. Non lavoro di fantasia da anni, ma credo fortemente che quando mi ci siedo a pensare, si trasformi in una macchina del tempo. La realtà svanisce e rimaniamo io e la Anna del passato, piena di sogni e ignara del suo futuro. Non era il carabiniere che sognavo di essere da grande. L’ultima volta sul maggiolino con papà, non sapevo nemmeno sarebbe stata l’ultima. Eppure qualche giorno dopo sono arrivati a casa e l’hanno messa a soqquadro. L’inizio dell’inferno che mi ha portato via papà.
Quando ho deciso di aiutare Sergio, proponendogli il restauro dell’auto, l’ho fatto al solo scopo di avvicinarlo a sua figlia. Lui non voleva, e già lì avrei dovuto capire il codardo che sarebbe – ed è – stato. Nei pomeriggi passati ad aggiustare il maggiolino sono tornata a ripercorrere i ricordi e il rapporto padre-figlia era l’argomento cardine dei nostri dialoghi. Ero talmente concentrata ad aiutare lui ed Ines, da non accorgermi che stessi “macchiando” il ricordo dei giorni passati ad aggiustare il maggiolino con papà. Stavo sovrapponendo a quelli dei nuovi momenti e ricordi. Solo in corso d’opera, quando ormai avevamo quasi finito, me ne sono resa conto. È stato quando ho ricevuto le stoffe da te, o meglio da Sergio che doveva consegnarmele da parte tua.
Quando ho affiancato la nuova stoffa a quella sgualcita e rovinata che ricopre ancora i sedili, mi sono accorta di quella sovrapposizione. Di come il passato si stesse facendo sbiadito e il presente a colori lo stesse andando a coprire. Per questo, le nuove stoffe sono ancora nella scatola. In quel momento mi sono bloccata. Mi sono sentita con le spalle al muro. La mia scelta di superare il passato e cosa mi stava accadendo spostando l’attenzione su altro, ha riportato alla memoria anche il più recente ultimo spostamento nevrotico. Fare, fare, fare. Stavo male, per te - non più per Giovanni -, ma la situazione era uguale.
Non cambiando le stoffe ma sistemando tutto il resto, ho dato una nuova vita al maggiolino senza tagliare via completamente il passato. E nel maggiolino mi sono immedesimata. Usando la nuova tappezzeria sarebbe stato completamente nuovo, lasciando uguale solo l’aspetto. Non ero pronta a essere una completamente nuova Anna e di riflesso ho negato la cosa alla mia auto.
Insomma, nella vecchia stoffa ho rivisto anche te. Coprirla, pur con un tuo regalo, era come accettare di cancellarti dalla mia vita, e nonostante tutto non ero pronta a farlo. Sì, le nuove stoffe erano colorate, allegre, più giovanili anche, come Sergio, ma non avevano il fascino, il calore e la famigliarità delle vecchie.
Ho fatto bene a non cambiarle. Non me ne volere. Ma la metafora dovrebbe averti fatto capire il perché. Sei ancora qui con me, come quella vecchia stoffa sul maggiolino. Ci sono cuciture nella nostra storia come su quelle vecchie stoffe, perché pezze sono state messe, su entrambe. I colori non sono più vivaci, segno del tempo che è passato. Anche noi non siamo più come ci siamo conosciuti. Ma il bello è proprio lì. Nel nostro essere imperfettamente perfetti, come quella tappezzeria sbiadita per il maggiolino….
14 dicembre - IL CHINOTTO
Ancora nove giorni. Il tempo sembra essere ancora più lungo da quando non possiamo più sentirci giornalmente. Ieri sera ho ricevuto un messaggio da Valente. Ovviamente il mittente dietro era Anna.  Il messaggio diceva che il suo gruppo e quello guidato direttamente dal Colonnello si sono riuniti, che sta bene e che affronteranno gli ultimi giorni di missione di nuovo tutti assieme. Il messaggio diceva anche che gli manco e che non vede l’ora di tornare a casa.
So che mi ha scritto e non telefonato per non gravare sulle spese telefoniche del suo superiore, oltre che per motivi di segnale scadente, ma mi manca sentire il suono della sua voce. Mi manca perfino sentirla urlare quando è arrabbiata con me e litighiamo.
Sei messo veramente male, per fortuna che torna. Va, sembri uno zombie che gira per casa. Non eri in ste condizioni da quando vi siete lasciati per il tradimento. Ti ricordi? Sembravi un barbone ahahaha Tu sì che sai come tirare su il morale alla gente. Sono bravo, vero? Aspe’ eri ironico, anche sta volta? Secondo te? Va bene, non apprezzarmi. Vai a deprimerti con un altro pacchetto della tua fidanzata allora…
Decido di seguire il consiglio di Grillo – che botta di vita!  TACI! – e andare ad aprire la quattordicesima casella del calendario. Il pacchetto è piccolo, ma pesante. Sembra esserci qualcosa di vetro dentro. In effetti sulla carta c’è scritto di fare attenzione.
Quando ho in mano l’oggetto, rimango perplesso. Una bottiglia di chinotto? È una bevanda originaria della mia Liguria, ma cosa centra con noi? Magari il biglietto può essermi d’aiuto…
Vorrei essere lì, ora, per vedere la tua faccia stranita. Immagino le rotelle nella tua testa ricercare nella memoria un momento legato a questa bevanda. Il problema è che non ne troverai. Anzitutto, perché a te il chinotto non piace. Ma non sarai stupito dallo scoprire che è invece la bevanda preferita di Sergio…
Trovo esilarante che tu abbia accettato il mio consiglio di andare a deprimerti con la casella e nella casella c’è un ricordo di Sergio ahahahaha
Nell’ultima casella ho già parlato di lui e probabilmente parlerò di lui anche in alcune delle prossime. Ma è inevitabile, visto che stiamo ripercorrendo la nostra storia insieme. Non prendertela quindi se i ricordi si rimescolano anche ad aneddoti di lui. C’è un senso dietro a tutto questo.
Il chinotto ha un gusto forte e amaro, dopotutto è fatto con un agrume: il cytrus myrtifolia, mutazione (probabilmente) dell’arancio amaro.
La tua bevanda preferita - analcolica si intende, sia mai offendere il tuo ego – è l’aranciata. Trovo questa cosa molto ilare. Arancia e arancia amara. Tu e Sergio. Per conoscere entrambi ho dovuto togliere la buccia e spicchio dopo spicchio ho scoperto qualcosa di nuovo. Tuttavia, seppur apparentemente uguali (i due agrumi si somigliano), uno dei due lascia un retrogusto amaro, mentre l’altro è più dolce, al massimo aspro, perché tenta di difendersi. Tu e Sergio, appunto.
Sergio mi ha ammagliato in un momento difficile, mi ha conquistato con il suo essere apparentemente simile a te, pieno di attenzioni per me e sempre disponibile. Poi, mi ha ferito, inaspettatamente, lasciandomi un sapore amaro in bocca. Prima letteralmente, perché il gusto ferroso di sangue, del mio sangue, dopo lo sparo ancora me lo ricordo. E poi metaforicamente, quando dopo due anni ad attenderlo, mi ha lasciato sola a spiegare a una bambina che i finali da favola non sempre esistono.
Tu invece ti sei mostrato per come sei, non mi hai riservato sorprese, nemmeno quando mi hai tradito. Perché l’arancia non può stupirti con il suo gusto. Sai già cosa aspettarti. Anche il gusto asprignolo, che non è tipico, ma può capitare di incontrare.  
Nonostante la possibilità di trovare l’aspro nel sapore, l’arancia torni a comprarla. Il frutto del chinotto, se non ti è piaciuto il gusto amaro, non lo riprendi. Perché se ti ricapita, non è un caso. Lui è fatto proprio così sempre.
Io il chinotto l’ho provato. Ho tentato di farmelo piacere. Ho cercato anche di abituarmi al suo gusto. Alla fine però sono tornata all’aranciata, solita scontata aranciata. Che però a volte può stupirti con la sua asprezza. Ma a me piace ogni tanto sorprendermi. Soprattutto a Natale…dove per altro, l’arancia è grande protagonista. Altro che il chinotto!
15 dicembre - LA PARTE MIGLIORE DI ME
Mancano dieci giorni a Natale e io ancora devo comprare gli ultimi regali. Nel mio girovagare per lo shopping natalizio, ho cercato di incastrare anche una visita a mio padre. Non potrà venire a passarlo con noi, perché la cura che sta facendo è molto gravosa e il viaggio da Perugia, per quanto breve, sarebbe troppo stancante. Mio fratello Franco passerà il Natale con lui. Entrambi sanno che in circostanze diverse sarei andato da loro anche io, ma Anna sta per tornare dopo un anno lontani e chiedermi di scegliere loro a lei sarebbe troppo. “Tu non sei come me… Se avessi scelto noi a lei, mi sarei preoccupato”. Queste le parole di mio padre quando ci siamo visti l’ultima volta.
Oggi, tornando a casa, ripenso a quanto Anna sia stata fondamentale affinché io mi riavvicinassi a entrambi. Se ho di nuovo una parvenza di famiglia lo devo alla donna che, anche quando non era mia, si è sentita in dovere di aiutarmi a superare i traumi del passato. Avrebbe potuto voltarmi le spalle, lasciare che quei dolori mi divorassero dentro dopo che erano riaffiorati con lo spettro di essere diventato come mio padre dopo il tradimento.
Invece mi ha aiutato. Mi ha porto la mano. E io come un uomo in mare aperto, in balia delle onde, ho accettato quel salvagente. Perché Anna è così: mette sempre la sua felicità dopo quella degli altri. Consapevolmente o meno.
Arrivato a casa, posando le chiavi sul tavolinetto all’ingresso, noto le foto nelle cornici. Ce n’è una di Anna con mio padre. Durante le festività ho promesso a quest’ultimo che avrei portato Anna a trovarlo. Ci tiene molto. Soprattutto perché sa quanto le deve se oggi il nostro rapporto, pur tra alti e bassi, si sia ricostituito.
Decido di andare ad aprire la casella del calendario, prima di mettermi ai fornelli per preparare la cena. Se la sensazione è giusta, il regalo di oggi potrebbe avere a che fare con mio padre. È come se ci fosse una magia nell’aria per cui ogni volta la casella si riallaccia a cosa accade nella mia vita. Non so se è perché la mia vita è monotona e prevedibile, o se è veramente la magia del Natale. Ma voglio credere ancora nel fato. Non mi ha mai deluso finora.
La casella numero 15 è una busta e reca un ciondolo attaccato al fiocco. La metà di un cuore recante la scritta “Tu sei…
…la parte migliore di me.
L’altra metà del cuore reca questa scritta. E la ho con me in Siria. Quando tornerò ti consegnerò questa metà e mi riprenderò quella recante solo “Tu sei…”. In questo modo mi avrai simbolicamente sempre con te. E non solo più metaforicamente.
Anche se so per certo che a te bastava che io lo sapessi. E lo so. Perché la cosa vale anche al contrario. Per questo ho io l’altra metà del cuore. Per ricordarmi che, non importa dove sono, tu sei con me. E in virtù di ciò, durante la missione sarò la mia migliore versione. Ogni volta che avrò dei dubbi, guardando il ciondolo cercherò di assorbire la tua saggezza, i tuoi consigli, per cercare la soluzione più adatta. Perché la verità è che quando siamo separati ci manca un pezzo. E allora serve un pezzo per ricordarci che anche lontani siamo sempre insieme. Giocare in due è difficile, ma è più bello….
16 dicembre - L’ABITO DA SPOSA
“Secondo te, Anna deciderà di indossare di nuovo questo abito o ne sceglierà uno nuovo?”
Mi volto verso Chiara, in visita a Spoleto per lavoro, intenta ad osservare una foto di Anna del giorno delle nozze saltate. Siamo a casa, intenti a berci un caffè in attesa che arrivi Elisa, con cui mia cognata andrà fuori a cena prima di tornare a Perugia. Prendo in mano la foto, caduta dalle pagine dell’album che Chiara sta sfogliando. Pensavo Anna avesse eliminato tutte le foto di quel nefasto giorno. “Non lo so. Quel vestito è bellissimo…e lei è stupenda con esso indosso ma… è stato usato già. Sia da lei, seppur con un pessimo finale, sia da un’altra ragazza. Non so se voglia rimetterlo, o voglia qualcosa di nuovo, per dare un taglio sul passato…” rispondo io, con gli occhi fissi sulla foto, immaginandola arrivare da me all’altare. Questa volta senza intoppi ed aneddoti su Iva Zanicchi.
“Qualsiasi cosa avrà indosso a te sembrerà sempre una principessa…” mi dice Chiara, sorridendomi. “Avete sofferto tanto, entrambi…”, continua enfatizzando l’ultima parola, a indicarmi che sa che gli errori ci sono stati da parte di entrambi, “…ora vi meritate il lieto fine. Anche doveste presentarvi all’altare con i vestiti da lavoro per un caso risolto pochi istanti prima del grande evento!” conclude, mentre io rido all’immagine dipinta. “Sarebbe da noi, in effetti…” le dico, mentre lei annuisce. “Grazie” sussurro poi, mentre lei mi stringe la mano poggiata sul tavolo.
“Ora basta momento sentimentale però! Dimmi di più di quello invece…” dice indicandomi i pacchetti rimasti nel mobiletto della televisione. “È la sorpresa lasciatami da tua sorella prima di partire. Il mio personale calendario dell’avvento…” rispondo, alzandomi e avanzando verso il mobile per estrarre il pacchetto numero sedici. “E i regali al suo interno sono carini?” mi chiede lei incuriosita. “Sono ‘particolari’… Comprensibili solo a me più che altro…” dico ridacchiando.
“Beh, ha senso. Se è il TUO calendario dell’avvento…” dice prima di venire interrotta dal campanello. “Questa è mamma. Devo andare. È stato bello passare questo pomeriggio insieme. Non penso tornerò prima di Natale, ma farò di tutto per esserci al cenone per rivedere Anna e anche te…” mi dice, mentre si dirige verso la porta, dove l’accompagno. “Anche io sono contento di averti rivisto. Buona cena. Ci vediamo presto…”
Salutata Chiara, torno al tavolo e prendo il pacchetto, pronto a scoprire cosa mi attende oggi.
Il pacchetto è di nuovo una busta. Al suo interno c’è il testo di una email e il suo messaggio odierno per me.
Riconosci questa email? O meglio, sai chi l’ha scritta? Il mittente era un anonimo signor Maurizio L. che voleva acquistare il mio abito per la figlia. Con tutti i nomi di questo mondo, mi chiedo perché tu abbia scelto proprio Maurizio, ma de gustibus….
Ho ritrovato questa email ripulendo la mia casella di posta elettronica. Quando tempo dopo ho ritrovato l’abito nel tuo armadio sono rimasta scioccata. Quale pazzo acquista l’abito da sposa della sua ex su internet? Poi mi hai detto tu stesso che eri un pazzo che ci credeva ancora, e tutto ha avuto un po’ più senso.
Il vestito è ancora nell’armadio. Non so se rischiare e rindossarlo per il matrimonio o acquistarne uno nuovo. Magari cambiandolo evitiamo di riavere il medesimo finale. Pero, al contempo, rindossarlo mi darebbe la sensazione di chiusura del cerchio. Sento come se fosse necessario, in cuor mio, che sia lo stesso abito. Ho ancora tempo per pensarci, per fortuna. L’unica cosa che mi sento di dire in merito ora è che sono grata a questo abito, nonostante tutto.
La speranza, assegnata ad esso da parte di tutti, credo ci abbia condotto fino a qui. Non hai mai smesso di credere che io potessi perdonarti. Hai accettato di rimanere nella mia vita pur sapendo che c’era la possibilità di non essere più nulla che un semplice amico. Hai affrontato anche la possibilità che questo abito io finissi per indossarlo per sposare un altro.
Forse è per questo, realmente, che ancora non lo ho buttato. Non tanto dunque per i dubbi sull’indossarlo o meno. Bensì per le parole del maresciallo: finché c’è il vestito, c’è speranza. E quindi finché non lo butto c’è la possibilità che il matrimonio si celebri e finalmente concluda con il bacio e non con la mia fuga. Non deve, insomma, essere per forza presente il giorno delle nozze. Basta che uno di noi lo abbia, anche a marcire nell’armadio senza che venga usato, per poi essere ritrovato cercando un guinzaglio per Patatino impaziente di uscire per la sua passeggiata…
17 dicembre - LA PALLOTTOLA
“FERMO O SPARO!”
Sobbalzo sul divano, risvegliandomi. L’urlo giunto dalla televisione mi desta dal torpore in cui ero caduto. È stata una lunga giornata. Tornato a casa, ho cenato di corsa e poi mi sono messo a vedere un film. “Vedere” mi sembra un parolone… Non cominciare, Grillo. L’inizio l’ho visto. La sigla iniziale vorrai dire…
Non so come ribattere alla mia coscienza, tenuto conto che non ho nemmeno idea di che film io abbia scelto dal catalogo. Forse è meglio spostarsi direttamente a letto. La prima decisione giusta della giornata…e pure l’ultima visto che è quasi mezzanotte… Tuttavia, devi prima aprire la casella o non riuscirò a dormire, lo sai… Piuttosto che rischiare di rimanere sveglio, la apro con gli occhi chiusi, guarda…
La diciassettesima casella è di nuovo una busta, ma è rigonfia rispetto alle altre… Cos’è, una lettera minatoria? Grillo! Dai che lo hai pensato pure tu, appena è caduta la pallottola sul tappeto!
Ieri sono passata in auto lungo la strada dove due anni fa c’è stato l’assalto al portavalori. Sì, insomma…dove sono rimasta ferita. Non l’ho mai raccontato a nessuno, ma subito dopo lo sparo, oltre a sentire un gran caldo e poi di colpo il gelo, ho udito il mio nome essere urlato. Dai racconti dei colleghi, so per certo che nessuno ha urlato “Anna”, tutt’al più “Capitano”. Ma io sono certa di aver sentito la parola Anna, ma soprattutto che la voce era la tua. Impossibile, visto che non eri lì. Non fisicamente. Qualche tempo dopo, mi hai raccontato che, in quegli istanti, eri nei corridoi del tribunale con dei colleghi e che mentre parlavate hai pronunciato, dal nulla, il mio nome. Trovo la cosa talmente assurda, che scriverla mi sembra pazzesco. Eppure, nella parte più nascosta e irrazionale di me, voglio credere che ci fosse un motivo dietro a tutto ciò. Come se tu avessi percepito che quella pallottola mi stesse colpendo. Come se tu avessi sentito il dolore contemporaneamente a me.
Ricordo di essermi svegliata in ospedale e tu eri lì, che mi chiamavi. “Anna”. Appena un sussurro. Ma nella mia testa quella parola e tuonata come nel ricordo prima di perdere i sensi in quella stradina.
So molto poco dell’inconscio. So ancora meno del destino e delle probabilità. Però forse un motivo dietro a tutto quello c’era. La tua costante presenza nella mia vita. La tua volontà di proteggermi nonostante tutto. Il post risveglio dal coma mi ha permesso di capire veramente che tu, mesi prima, non volevi ferirmi. Che quella maledetta notte, tra te e Sara, non era voluta, come mi ero imposta di credere, non accettando altra spiegazione. E ti chiedo scusa, ancora una volta, per averci messo così tanto per capirlo. Per non aver creduto subito, per non averti dato una seconda possibilità, quando l’avevo data a tutti, anche a chi avevo appena conosciuto.
Non posso portare indietro le lancette per scoprire se le cose sarebbero andate diversamente da come sono andate. Però, nel paradosso di tutto quello che è accaduto, ringrazio quella pallottola per tutto quello che mi ha insegnato. E per avermi dato una seconda possibilità con te. Perché credo veramente sia merito suo. Di quella voce che ho sentito chiamarmi non appena sono stata colpita. Che era la stessa al cui suono mi sono svegliata. Reale o immaginaria, quella voce – la tua voce – è stata fondamentale, come quella di una coscienza, a riportarmi qui.
Mentre chi diceva in quel momento di amarmi, a cui ho creduto e dato l’ennesima possibilità, fuggiva dalle sue responsabilità, tu eri lì al mio fianco, chiedendomi solo di svegliarmi, perché null’altro importava di più che la mia vita.
Non potrò mai promettere che una pallottola non torni a colpirmi. Sono un carabiniere, fa parte del rischio. Ma mi fa meno paura affrontare il fuoco nemico sapendoti accanto a me, in ogni luogo io mi trovi, anche distanti centinaia o migliaia di chilometri.
Ciò che spero questo Natale, è che la tua voce mi accolga nuovamente al mio ritorno. Perché non c’è suono che oggi mi ricordi maggiormente “casa” del mio nome pronunciato da te…
18 dicembre – PALLINA DA TENNIS
“Bella partita” mi dice Elisa al termine del match che mi ha visto uscire, nuovamente, sconfitto. “Fossi in grado ogni tanto di vincere, sarebbe meglio…” rispondo io, prendendo la borraccia. “Devi migliorare il rovescio, sei un facile bersaglio per l’avversario, quando se ne accorge…” ribatte lei, dopo aver bevuto a sua volta. “Perché ce l’avete TUTTI con il mio rovescio?!” dico esasperato. “Se fa schifo, fa schifo…” sento dirle mentre si avvia verso l’uscita del campo. È un anno e mezzo che te lo dicono, allenati no! Ha parlato Sinner Grillo… Parla il Djokovic de noi artri…
“Marco? Vieni?” mi richiama mia suocera. Mi avvio di corsa verso di lei, pronto per tornare a casa.
Cena a casa Cecchini è sempre imprevedibile e i biscottini finiscono sempre per litigare. Il maresciallo – ovviamente – ha di nuovo perso la discussione. E mentre saluto la coppia ai ferri corti, uscendo dall’appartamento, mi lascio alle spalle una Elisa seduta sul divano a guardare la televisione e un Cecchini alle prese con i piatti da lavare.
Rincasato, vengo accolto da un Patatino festante e in attesa di uscire per la sua passeggiata serale. Prima però decido di sedermi sul divano a scoprire quale sorpresa mi attende oggi nel calendario dell’avvento. La casella di oggi ha una forma sferica, con appiccicata una busta....
Mi mancherà vedere le partite di tennis con te. E giocare con te. Quel frammento di giornata in cui stacchiamo la spina e ci dedichiamo a una delle nostre passioni comuni. Chissà, magari quest’anno che non vediamo i match assieme, i nostri tennisti preferiti riusciranno a fare qualcosa di epico. Che so: vincere la coppa Davis dopo quarant’anni! Ti immagini?!
Io ve l’ho sempre detto che portate iella! E infatti, toh. Hanno vinto veramente! GRILLO! Non controbattere, Marco. Questi sono fatti: non avete visto il torneo insieme e l’Italia ha vinto!
In ogni caso, questa lunga pausa può essere un buon momento per te, per allenare il tuo rovescio….
Non ti azzardare a commentare Grillo!
… perché fa schifo, amore mio (ti vedo che rotei gli occhi!).
Quando ti ho conosciuto, non avrei mai pensato che anni dopo mi sarei ritrovata a vederti felice a giocare a qualcosa di diverso dal calcetto. Non a giocare con me a tennis soprattutto.
Mi mancherà l’adrenalina delle nostre sfide. Le poste in palio. Il panino con la porchetta e la birra post partita.
E, a proposito di porchetta, ti devo svelare un segreto. Ti ricordi la sera dal porchettaro, quando mi ha mamma mi ha scritto per dirmi della macchia di muffa che era tornata in cucina? Quella sera, ingenua me, pensavo volessi dirmi che mi amavi ancora e che forse avremmo potuto riprovarci. Nella mia testa risuonavano mille campanelli di allarme. Perché se me lo avessi detto, la pancia avrebbe detto sì, ma la testa non avrebbe collaborato. Per paura. Perché da poco mi ero scontrata con la realtà rispetto a Sergio… Col senno di poi ho capito, però, che il messaggio di mia madre ti ha veramente bloccato dal dirmelo. Non me lo hai mai ammesso, ma mettendo in ordine i ricordi e quanto accaduto dopo, è chiaro che la tua frase successiva fosse un mero ripiego.
La vernice copre le macchie, ma forse ci sono macchie più ostinate che meritano di essere trattate e ritrattate con la vernice giusta più volte. Forse la muffa è stata provvidenziale. Forse non era ancora il momento del nostro ritorno.
E forse questo viaggio, che sto per intraprendere, è l’ultima macchia lungo il nostro percorso da coprire. Per colpa di una missione è andato tutto all’aria. Partire è la vernice giusta. Per quanto stare lontano sarà difficile, perché mi mancherai, la Siria può essere il nostro Omega e la nostra Alpha. La fine e l’inizio di tutto. Un cerchio che si chiude.
Lo so che hai inconsciamente spostato lo sguardo sulla pallina stretta nell’altra mano. Anche la pallina, quando la disegni, è un cerchio. E quella da tennis che tieni in mano siamo noi. Pronti a giocare insieme il doppio che a lungo abbiamo rimandato….
19 dicembre - PISTACCHIO
Sono rientrato a casa per cambiarmi e prendere fiato cinque minuti. Ho finito di lavorare prima del solito, perché stasera c’è la cena di Natale con i colleghi della caserma. Sarà anche una cena di saluti con il Capitano mandato a sostituire Anna durante la sua assenza. Si chiama Andrea, è un ragazzo molto giovane, ma molto preparato. È stato allievo di Valente anche lui, non mi sorprende siano tutti così bravi gli alunni usciti dall’Accademia durante il periodo in cui vi lavorava. Non pensavo ti avrei mai visto elogiare Valente… Piantala, Grillo. Non ci siamo piaciuti nell’immediato, ma è un ottimo carabiniere. E poi con il tempo abbiamo limato le nostre divergenze… Quando hai capito che non poteva essere una minaccia con Anna, diciamo…e non provare a contraddirmi!
Sono già vestito per la serata, ma sono in anticipo. Decido di mettermi seduto al tavolo del salotto per sgranocchiare un po’ della frutta secca che Elisa ha messo nel cesto che mi ha regalato con Cecchini. Ci sono anche i pistacchi, i miei preferiti. Li preferisco in piatti lavorati, come nel gelato per esempio, ma anche da sgranocchiare non sono male.
Osservo l’orologio della sala, le lancette sembrano andare più lente del normale. E solo perché, per una volta, sono in anticipo. Non so come riempire l’attesa. Non posso di certo mangiare tutta la frutta secca. Apri la casella del calendario?
Giusto. Non l’ho ancora fatto e non so a che ora rincaserò. È il momento perfetto. Bravo Grillo!
Sei sicuro di non avere la febbre? Tutti sti complimenti oggi…
Ignoro la mia coscienza e vado ad aprire la casella numero 19. È un sacchetto…
Avrei messo del gelato, ma secondo me fuori freezer non poteva resistere dodici mesi… quindi spero ti vada bene lo stesso…
Rido leggendo le prime righe del biglietto. Il sacchetto contiene dei pistacchi e una ricetta per fare il gelato in casa.
Il gelato al pistacchio è il tuo confort food in mancanza di piatti della tradizione ligure. So che ne senti il bisogno quando sei triste o quando hai bisogno di riflettere e parlare. Non a caso te l’ho portato quando Valente ti ha accusato di aver aiutato Franco a fuggire quando era ricercato. Ho letto che il pistacchio è molto importante anche per la salute se consumato come frutta secca. Quindi se lo mangi così e aspetti me per il gelato non mi offendo. Lo dico in maniera del tutto disinteressata eh.
Ciò che mi importa, però, è sperare che tu non ne abbia bisogno per tirarti su il morale. Anche perché aprirai questa casella quando mancheranno solo quattro giorni al mio ritorno. Quindi dovresti essere felice.
Nel caso tu non lo fossi, tuttavia, ti impongo di continuare a leggere solo dopo esserti munito di una vaschetta di gelato e cucchiaio, perché questa lettera mi sostituirà nel parlare e nell’ascoltare.
Tra pochi giorni saremo riuniti, e fa strano scrivere questa lettera con tanto anticipo, ma so già quali saranno i miei sentimenti a quel punto del viaggio. E lo so perché sono giunta alla conclusione che da quando ti conosco, ogni giorno è diverso ma al contempo uguale agli altri. Qualunque cosa accada, di esterno al nostro controllo, cambia le giornate, ma la nostra presenza costante nella vita dell’altro le rende uguali. Nonostante i litigi, le incomprensioni, la distanza fisica o meno, io so che tu ci sei sempre. E spero sappia che lo stesso vale per te. Puoi contare su di me. Posso essere io la tua spalla ogni tanto. Nel corso del tempo mi sono sempre sentita un po’ in difetto da questo punto di vista. Ho sempre avuto bisogno io di te e solo poche volte è valso al contrario. E anche in quei rari casi hai sempre cercato di non farmi pesare i problemi, assumendoti il peso da solo. Come nel caso delle responsabilità della storia dei codici con Sergio.
Non mi riferisco tanto all’immediato, quanto più ai problemi che ciò ti ha causato quando è scoppiato il casino con Franco e Valente. Davanti a una vaschetta di gelato al pistacchio mi hai ribadito che per te ero più importante io. Che la mia carriera era più importante di tutto. Che la possibilità della promozione valeva la pena di dimostrare i fatti senza rivelare la più grande e pericolosa menzogna che abbiamo perpetrato davanti alla legge.
Con queste righe, ciò che voglio dirti è che per me è importante il nostro rapporto sia tra pari. Che le mie necessità, i miei sogni, valgono tanto quanto i tuoi. Vorrei che questo Natale, tu accettassi di mettere la tua volontà davanti alla mia un po’ più spesso. Perché per quanto Spoleto e la tua quotidianità ti rendano felice, è giusto tu ambisca a volere di più per te stesso e per la tua carriera. Perché sebbene non te lo dicano spesso, sei uno dei migliori magistrati che ci siano. E meriti che il tuo talento venga riconosciuto. So che non è facile per te, metterti al primo posto. Hai sempre subito le azioni degli altri: dei tuoi genitori, della tua ex Federica, di tuo fratello…e anche le mie.
Me lo hai insegnato tu che nella vita si sbaglia per crescere. E io l’ho fatto. Sono in Siria mentre stai leggendo. Sto vivendo il mio sogno. Dovresti farlo anche tu.
Quando sentirai il bisogno di farlo, prendi un gelato al pistacchio e vieni da me. Parliamone. Non tenerti tutto dentro. Ma soprattutto non tenere i tuoi sogni nascosti a me. Perché come voglio tu sia co-protagonista dei miei, vorrei essere co-protagonista dei tuoi….
20 dicembre - LA PECORELLA
“PATATINO!” sento urlare dall’altra parte della porta, mentre mi accingo ad aprirla. Rincaso, trovando Elisa che rimprovera il mio cagnolone, reo di avere distrutto una parte del presepe che mia suocera ha insistito per fare nel mio appartamento.
Elisa si volta verso di me, al rumore delle chiavi posate sul tavolinetto all’ingresso. “É qui da settimane, perché oggi ce l’ha tanto con il presepe?” mi chieda esasperata.
Sollevo le spalle, perché veramente non so come risponderle. “Non lo so, ma non ti preoccupare, lo risistemo io il presepe. E ripulisco il caos fatto da Attila…” dico voltandomi verso Patatino, che per tutta risposta abbaia. “Grazie, caro. Vado a preparare cena a Nino…” mi dice salutandomi con un bacio sulla guancia ed uscendo.
“Si può sapere perché hai distrutto il presepe??” dico abbassandomi ad accarezzare il mio cane. BAU! Non so parlare il linguaggio canino, per cui non so decifrare la risposta di Patatino, che mi lascia a ripulire il suo danno.
Mezzora dopo il problema causato da “Attila” è risolto. Ma quando mi rialzo, per portare via la spazzatura, noto Patatino masticare qualcos’altro. “PATATINO!” urlo correndo a sottrargli il pacchetto numero venti dalle fauci. “Vai nella cuccia!” gli indico arrabbiato. Lo vedo dirigersi alla meta, mogio. Tu non parli la sua lingua, ma lui la tua la capisce. Sono esterrefatto da come lo hai educato bene…chi l’avrebbe mai detto! Grillo!
Osservo il pacchetto mangiucchiato che ho in mano, finendo di strappare la carta. Al suo interno c’è – o meglio c’era – una pecorella di peluche. Attila non ha però lasciato scampo nemmeno alla lettera che accompagnava il regalo, anche strappata e a tratti bucata…
Non ho trovato la versione in vetro e “rubare” la copia a Cecchini non mi sembrava il caso, per cui ce la facciamo andare bene di peluche. Quelle del presepe le ho evitate per non attirare l’attenzione di Patatino. E a tal proposito, spero tu non le abbia messe nel presepe perché il tuo cane le punte come se fossero vere, soprattutto se per caso ne ha viste di reali – sono in una scatola separata dal resto per questo motivo.
Ed ecco che abbiamo scoperto perché Attila oggi ha attaccato il gregge: portarlo a vedere il presepe vivente di ieri non ha aiutato… Come sei perspicace Grillo… Parla il proprietario del cane che deve farsi insegnare dalla fidanzata le turbe del suo amico a quattro zampe…
In ogni caso, il senso della pecorella in questo calendario è legato ad un giorno che non riesco a togliermi dalla testa. Il giorno che ti ho visto baciare Valentina dopo la restituzione della pecorella smarrita di Cecchini. Ho pianto [...] Perché ero stata a tanto così dal dirti la verità, ossia che […]
Quella maledetta scatoletta mi ha tenuto sulle spine per giorni. Pensavo al suo interno [...]
Pensavo di aver trovato il modo per impedirlo. Invece mi stavo solo comportando come una ragazzina. Ero gelosa. Di voi. Di lei. Valentina stava […].
Non poteva essere vero che nella scatoletta ci fosse […] era il mio. O meglio, doveva essere per me quell’anello. Io dovevo essere […] Nardi. Non lei.
Quando ci ha interrotto sotto il portico avrei voluto ucciderla. Incenerirla. Insomma, volevo farla sparire. Perché si stava […] che era mio. Il mio posto nel mondo.
Avevo paura di perderti. Ma ti avevo già perso. Non per colpa sua. Gliene ho dette di tutte i colori nella mia testa. Mi sento una persona orribile […] perché ero io la vera colpevole. Non lei. Non tu.
Ho fatto di tutto per […] e invece mi sono ferita da sola.
Avrò sempre paura che tutto da un momento all’altro possa finire. Di sentirmi smarrita come la pecorella quando ciò dovesse accadere. Perché sono sempre stata anche la pecora nere, diversa, nel gregge. E tu sei l’unico che ha saputo davvero apprezzare quella diversità, nel bene e nel male. Difetti e pregi. Credo che nessuno a parte te possa farlo. E spero tu non smetta mai di farlo.
La lettera è piena di frasi troncate. Di cose che posso solo immaginare. Ma il messaggio è arrivato comunque. Sottoforma di pecorella smangiucchiata e non di libro di Geisha a brandelli. Misterioso come il suo proprietario Zorro e in ritardo come i messaggi inviati quando non c’è segnale. A un passo dal Natale, quando puoi dire e fare ciò che solitamente non riesci…
21 dicembre – SCATOLE VUOTE
Durante la notte non ho chiuso occhio. Patatino è stato male e sono dovuto correre dal veterinario. Le pecorelle ieri sera non le ha solo fate volare dappertutto, un paio se le è proprio pappate. Per fortuna rispetto a lui sono minuscole e siamo riusciti a fargliele espellere senza bisogno di intervenire con operazioni più invasive. Sicuramente si ricorderà di non approcciarle per un po’.
La giornata è stata infinita e passata a sperare che il mio cagnolone si riprendesse. Per cui rincasato l’unico pensiero nella mia testa è stato quello di raggiungere quanto più velocemente possibile il letto. Non voglio interrompere il tuo idillio, ma se non apri la casella, una seconda notte insonne ti tocca… Grillo, ti prego, abbi pietà di me. Mi spiace, ma la curiosità mi uccideeeee
A malincuore lascio il letto per andare ad aprire la casella 21, così da quietare Grillo e sperare in una notte di sonno.
Prendo la scatola, che è molto leggera. Al suo interno c’è una scatolina di velluto, di quelle per anelli. Vuota…
Questa scatola è simile a quella che Sergio mi ha regalato prima di entrare in carcere. Al suo interno, l’originale, conteneva un anello appartenuto alla mamma di Ines. Il famoso anello che avevo perso e che pensavo significasse per Sergio una promessa, poi non mantenuta. È in questo calendario, perché volenti o nolenti, la presenza di Sergio è parte del nostro percorso. Ma anche la sua assenza. I suoi anni in carcere per l’aiuto offerto a Cicogna e la sua sparizione post rilascio sono stati fondamentali per riavvicinarci. Con Sergio avevo immaginato una vita che non c’è poi mai stata. Avevo creato un castello in aria senza fondamenta. E lo avevo preferito alla realtà. Alla tua presenza reale. Al tuo sostegno. Aggrappata a quell’anello avevo riposto la possibilità di avere cosa mi era mancato con te.
Oggi la scatola è vuota come tutte le promesse fattemi da Sergio. Come tutte le menzogne con cui mi ha ammaliato. Avevi sempre avuto ragione su di lui, ma non ti ho ascoltato. Ho lasciato che ripetutamente mi riempisse di attenzioni e parole che non ti ho visto fare a me. Ed è ironico, perché tutti i tuoi gesti sono sempre stati per me. Ma la rabbia aveva offuscato i ricordi e annebbiato la mia mente. Ascoltavo senza realmente sentire quello che Sergio mi diceva e mi lasciavo cullare da quelle menzogne, sperando di guarire dal dolore.
Ho imparato che le ferite non si curano sentendoci dire ciò che vogliamo, ma sentendoci dire la verità, anche quella più dura. Solo affrontandole le cose, le si può superare. Non è scappando che si guarisce. Anzi. Perché è come se lo squarcio si allargasse man mano che si tenta di interporre distanza. E le mie ferite si sono risanate solo nel momento in cui ci siamo riavvicinati. Le cicatrici rimangono. Diventano decorazioni sulla pelle. Raccontano storie. Come le scatole piene di ricordi.
Di Sergio, l’unico ricordo vivido che rimane è la sua assenza. Non a caso, una scatola vuota.
Con te, invece, non basta una scatola per contenere i ricordi. Infatti siamo già alla ventunesima casella. E molti ricordi li abbiamo saltati per raccontarne una parte. E tanti altri se ne aggiungeranno, perché siamo quasi alla fine, a Natale, ma siamo solo all’inizio della storia…
22 dicembre – ROLLS ROYCE
Quando ci siamo salutati, a gennaio, quella data sul calendario sembrava distare anni luce. Invece ci siamo quasi. Domani, nel tardo pomeriggio, sarà qui. Di nuovo a casa, di nuovo accanto a me.
A partire da domani inizierà il percorso che ci porterà, finalmente, davanti all’altare di Sant’Eufemia. Dove tutto, tre anni fa, sembrava perduto per sempre. Ma lo diceva anche Venditti: certi amori non finiscono. Fanno giri immensi, ma poi ritornano. Non importa se in slitta durante un caldo natale di agosto, a bordo di una bianca rolls royce in pieno autunno o su di un treno regionale alla stazione di Spoleto. Basta che torni. E lei, sta tornando
Prima di mettermi a letto, in attesa del grande giorno, apro la casella ventidue del mio calendario dell’avvento. Chissà che ricordo ti attende oggi, sono curioso di capire cosa ti ha lasciato per l’ultimo pacchetto prima del suo ritorno…
Sano la curiosità della mia coscienza – e anche la mia – spacchettando l’oggetto che accompagna il ricordo odierno. Dentro c’è il modellino di una rolls royce bianca
Ci siamo quasi, amore mio. Domani finalmente tornerò da te. Non arriverò a bordo di una rolls royce, ma il mio ritorno porterà con sé il medesimo messaggio: sono pronta a cambiare, veramente. Sono pronta a intraprendere il viaggio della vita insieme te. Perché giocare in due è più bello, anche se difficile. E al grande (goffo) e saggio Cecchini bisogna sempre credere. Perché alla fine ha sempre avuto ragione su tutto. è stato il nostro primo supporter. Ha fatto di tutto per portarci uno tra le braccia dell’altra e viceversa. Anche quando a crederci sembrava esserci rimasto solo lui.
Non posso prometterti di non sbagliare più e di accettare completamente l’idea di decidere sulle cose insieme. Però posso provarci. E voglio farlo accanto a te. Voglio tutte quelle cose che ci siamo promessi in questi anni e quel giorno in piazza. Voglio tu sia co-protagonista della mia vita e non una comparsa. Voglio averti accanto nel bene e nel male. Voglio poterti dire le cose senza avere paura della tua reazione. Voglio, soprattutto, essere felice. E la mia felicità sei tu. Lo sei sempre stato, anche quando mi imponevo di credere il contrario. E io non vedo l’ora di sfoderare il mio miglior sorriso domani, scendendo dal treno e correndo tra le tue braccia. Perché è arrivato il momento del nostro happy ending. E niente e nessuno, questa volta, potrà impedirlo…
PS. La casella di domani, va aperta prima del mio arrivo. È importante, mi raccomando!
Mentre mi sdraio a letto, con un sorriso in volto per quanto letto, mi lascio andare alle braccia di morfeo con un solo pensiero in testa: sta tornando
 
 
23 dicembre - IL MAGLIONE
Mancano due giorni a Natale, ma per me, oggi, è come se già lo fosse. Tra meno di quattro ore, Anna scenderà dal treno qui a Spoleto. Sono passati 342 giorni dalla sua partenza. Sembra ieri e al contempo un’eternità fa. Mai come ora penso a quanto sia vero che il tempo è relativo. Per certi versi non passa abbastanza in fretta, per altri invece vola via. Eppure ogni giorno è composto dal medesimo numero di ore minuti e secondi da ché l’uomo ha iniziato a misurare il tempo.
Questo 2023 è volato, ma al contempo passato troppo lentamente. Ci sono stati giorni in cui fissavo l’orologio e la lancetta sembra dare un colpo avanti e due indietro. Altri in cui un momento era giorno e quello dopo buio pesto. È stato un anno privo di punti di riferimento, fatto di quotidianità diverse. Da oggi le cose cambieranno. Ci sarà il tempo del lavoro e il tempo con Anna. Tornerà quella routine di cui ho sentito nostalgia e che bramavo quando siamo stati divisi. Tornerà il tempo di Anna e Marco. E io non vedo l’ora che arrivi.
Mi inginocchio davanti all’armadietto della televisione, pronto a prendere e scartare la casella ventitré. Da scartare, come ordinatomi, prima del suo ritorno. È un sacchetto con un grosso fiocco. Al suo interno, c’è un maglione natalizio. Di quelli “orribili”, con quelle stampe infantili e imbarazzanti sopra.
Durante il Natale di agosto, vestiti da Babbo Natale, mi hai detto che non volevi privarti della panzetta e della barba. Che, scherzosamente parlando, stavo tentando di cambiarti.
Sono passati cinque anni, e sei cambiato molto, ma senza mai snaturarti. Lo hai fatto per tua volontà. Ma non è l’abito che fa il monaco. Non è la mia divisa a impedirmi di essere felice nel privato. Non è la tua tenuta in ciabatte e bermuda ad allontanare le donne. Non è colpa di chi siamo se alcune persone se ne vanno. È la vita. E ogni giorno cambiamo, perché è naturale che accada. E impariamo che, a volte, cambiare d’abito, serve. Non tanto a sopravvivere in questo mondo, a farsi accettare dagli altri, no. A volte serve anzitutto a noi stessi. Perché se non ci accettiamo da soli, nessun altro lo farà prima di noi.
Anni fa, se ti avessi chiesto di indossare questo maglione, mi avresti riso in faccia. Perché sì, non sei un uomo da giacca e cravatta fuori dal lavoro, ma hai una dignità da preservare. E soprattutto, avresti visto il mio chiedertelo come un’imposizione, un tentativo di cambiarti.
Oggi, invece, sono abbastanza certa che vedendolo, lo troverai orribile, ma saresti pronto a metterlo subito e in pubblico, senza paura di giudizio, pur essendo un qualcosa che esula dalla tua confort zone.
Questo maglione, nel suo piccolo, rappresenta tutti i cambiamenti che abbiamo affrontato da quella mattina in piazza duomo in cui ci siamo conosciuti ad oggi. Rappresenta il tuo essere passato da burbero Grinch a gioioso Babbo Natale. Rappresenta il mio essere passata da essere Zorro ad accettare di essere anche principessa. Rappresenta l’accettazione di noi in quanto noi, perfettamente imperfetti, in barba a chi ci considera(va) inadatti.
Qualsiasi sia l’abito che indossiamo, noi siamo noi. Io l’ho imparato grazie a te. Sono cresciuta e diventata la donna che sono grazie ai tuoi consigli. E nel mentre ho visto cambiare anche te. Ma c’è sempre una parte fanciullesca in noi che ci tiene vivi. Che ci fa riscoprire la meraviglia a Natale. E questo maglione rappresenta anche questo.
Ogni volta che tornava da un viaggio di lavoro, durante le feste, mio papà arrivava a casa indossando un maglione natalizio. Ne aveva di veramente orribili, ma non importava. Era a casa, con noi, contava quello. Il maglione che tieni in mano è quello che ha indossato l’ultimo Natale che abbiamo trascorso insieme.
Insieme a mio padre, sei l’uomo più importante della mia vita. Mi avete insegnato a credere in me, a inseguire i miei sogni senza curarmi dell’opinione altrui. Se fosse ancora qui, indosserebbe un maglione natalizio orribile. Magari proprio questo, chissà. Magari sareste insieme ad attendermi al mio ritorno. Oppure forse non ci saremmo mai incontrati. Ma il solo pensiero che quel maglione sia tra le mani dell’uomo più importante per me, è sufficiente a farmi apparire un sorriso in volto. Perché quell’immagine ricorda casa. Mi dà senso di calore. Di amore.
Per questo, ora, voglio lo abbia tu. Perché sei tu casa.
Si dice che ogni bambina sogni per sé stessa un compagno che rassomigli il padre. Non so se sia stata fortuna o casualità, ma nel mio caso non è rimasto solo un sogno.
Che tu decida di indossarlo o meno, quando ci riabbracceremo oggi, sentirò il medesimo calore e il medesimo amore provato ogni volta da bambina al riunirmi con l’uomo della mia vita. Anche se le braccia non sono le stesse di un tempo. Perché so che ora conosci questa storia, è questo basterà.
Perché come non è l’abito che fa il monaco, nemmeno è il maglione in sé e per sé che scalda. È il ricordo della bimba Anna che rivive in me a fare la differenza. E l’amore che lo accompagna a dirmi: bentornata a casa
Il treno ha arrestato la sua corsa pochi secondi fa. Cerco una chioma rossa tra i passeggeri che discendono dai vagoni. La intravedo per pochi secondi, sulla porta della carrozza in cui viaggiava, prima che un berretto la ricoprisse. Incrocio lo sguardo del Maggiore Anna Olivieri. Scorgo un sorriso farsi largo sul suo viso appena mi nota. Poco istanti dopo, le sue braccia sono attorno al mio collo e le sue labbra sulle mie. “Te lo sei messo…” mi dice scostandosi per osservare meglio il maglione. “Bentornata a casa, amore mio…” rispondo prima di riavvicinarla a me e ricatturare le sue labbra con le mie.
24 dicembre – MISTERO
Quello di stamane è stato il miglior risveglio da 343 giorni a questa parte. Destarmi con il calore del suo respiro sul mio petto mi era mancato. Le sue braccia che stringono la morsa attorno a me, quando si accorge che mi sono svegliato, è tutto ciò che serve per confermarmi che non sto sognando, ma è tutto reale. È qui. È tornata.
Ieri sera abbiamo festeggiato tutti insieme il suo ritorno, e la sua promozione. Al termine della missione, come previsto, Anna è diventata il Maggiore Olivieri, lasciandosi alle spalle il vecchio grado di Capitano. Nelle prossime settimane scopriremo se il suo futuro sarà ancora alla guida della caserma di Spoleto o meno. Insieme, sceglieremo cosa fare. Perché l’unica cosa certa di ciò che ci attende è quell’altare che ci accoglierà in primavera per il fatidico sì.
“A cosa stai pensando?” sento giungere alle mie orecchie, appena sussurrato, mentre la morsa si stringe ancora più attorno a me e una guancia si posa sul mio petto. “A tutto e niente…” rispondo fissando il soffitto. La sento sorridere alla mia risposta vaga. “Grazie per averlo indossato…” mi dice, cambiando discorso. Sposto lo sguardo sul maglione ai piedi del letto, rimasto lì insieme a tutti gli altri prima di lasciarci cadere a letto e rimediare al tempo perduto. “Pensi che sarei piaciuto a tuo padre?” chiedo dal nulla. “Ciò che desiderava era la mia felicità e quella di Chiara. Quindi sì, gli saresti piaciuto. Perché mi rendi felice…” dice posando un bacio sulla mia spalla. “Mi sei mancata…” rispondo baciando la sua. “anche tu…” ribatte stringendosi più forte a me.
Con molta riluttanza, qualche ora dopo, abbiamo lasciato il letto per prepararci per la giornata che ci attende. Questa sera, come da tradizione, ci sarà il mega cenone della vigilia a casa Cecchini. Quest’anno il maresciallo ha imposto che tutti collaborassimo alla riuscita della serata, più che altro per stare tutti insieme ora che Anna è tornata.
Se abbiamo lasciato il caldo delle coperte è solo per la sua insistenza al campanello di casa, che avrebbe fuso se non ci fossimo decisi a rispondere.
Mi sto dirigendo verso la porta per uscire, quando la sua voce mi ferma. “Prima di andare, vorrei tu aprissi l’ultima casella del calendario…” mi dice, sorridendo. “Sicura di non volerlo fare dopo, quando non ci sarà la possibilità di essere interrotti?” dico ridacchiando. Mi colpisce bonariamente con una mano, mentre le passo accanto per andare a prendere l’ultimo pacchetto.
Lo apro. Dentro c’è una lettera e un altro pacchetto. “Leggi la letterina, Babbo…” mi dice con un sorriso sornione. Abbandono il secondo pacchetto sul tavolo per aprire la busta e leggere il biglietto che contiene:
Caro Babbo Natale,
quest’anno sono stata lontano da casa molto a lungo. L’ho fortemente voluto e non me ne pento. Ma so che questo mio desiderio avveratosi ha avuto effetti anche sulle vite degli altri, che hanno sentito la mia mancanza e hanno avuto paura per me. Non so, quindi, se posso affermare di essere stata brava e meritarmi i tuoi doni.
Tuttavia, ho deciso di scriverti per dirti che in fondo, non ho bisogno di alcun dono. Perché quello che desidero di più al mondo l’ho già ricevuto in regalo. Ce l’ho davanti, mentre leggi questa lettera. È un tipo alto, che si veste sempre male – si mette perfino i maglioni natalizi con le stampe ridicole, pensa –, che crede di essere simpatico anche quando non lo è e che è molto bravo in cucina, ma fa un pessimo brasato. Sì, insomma, un disastro sotto molti punti di vista. Però, ha un grande pregio. Vede dove gli altri non vedono. Un po’ come te, che sai sempre chi è stato bravo e chi no, anche se vivi in Lapponia, lontano da tutto e da tutti. Lui sa sempre come sto, sa come aiutarmi quando ne ho bisogno e sa farsi da parte se necessario. Sa che la divisa che indosso è un onere oltre che un onore per me, e che se viene prima del resto è solo perché non voglio deludere mai nessuno, men che meno me stessa. Sa che la vita non è stata clemente con me. Che sono dovuta crescere prima del tempo e che questo mi ha portato a essere dura con me stessa e fredda, diffidente, con gli altri. Sa che la ragione viene prima dell’istinto, che nulla di ciò che faccio è casuale. Sa che se sbaglio, faccio fatica ad ammetterlo e a chiedere scusa. Sa che amo, profondamente, ma non ho mai lasciato entrare nessuno nel mio mondo.
Quest’anno però, ho deciso di aprire il mio mondo a lui. Giorno dopo giorno, una lettera alla volta, l’ho portato a guardare la nostra storia dal mio punto di vista, sperando lui capisse e non fuggisse.
Se è ancora qua, evidentemente, qualcosa di buono sono però riuscita a farlo. E spero quel qualcosa sia l’avergli dimostrato tutta la gratitudine e l’amore che provo per lui. perché sono pessima a dare voce ai miei sentimenti, ma con lui sono pronta a fare tutto ciò che non ho mai detto o fatto.
Puoi dirgli, gentilmente, da parte mia, che tutto ciò che desidero questo Natale è che lui sappia che voglio passare il resto della mia vita con lui? Io a voce non sono ancora riuscita dirglielo. Non come avrei voluto, almeno. Tu sicuramente saprai trovare le parole o il modo più adatto per farlo. Perché Babbo Natale può tutto! Io posso solo continuare a credere tu esista, come facevo da piccola. Non mi hai mai deluso, hai sempre esaudito i miei desideri. Spero tu possa farlo anche questa volta…
 
“Non so cosa contenga il secondo pacchetto… deve averlo lasciato Babbo Natale dopo aver letto la letterina…” mi dice lei appena rialzo lo sguardo. “Come è possibile, scusa? L’hai fatto tu il calendario…” rispondo prendendo il pacchetto. “Prima di sigillare la casella ho chiesto a Cecchini di leggerla e di scegliere l’oggetto da metterci insieme…” inizia a dirmi lei sorridendo, mentre stacco il nastro che sigilla il regalo. “Chi meglio del ‘nostro’ Babbo Maresciallo Cupido Natale può sapere quale è l’oggetto migliore a rappresentare il nostro amore…” conclude, quando io estraggo dal pacchetto due pedine degli scacchi: una regina nera e un re bianco.
Alzo lo sguardo a incrociare le iridi verdi della mia fidanzata “Per essere un pessimo giocatore di scacchi, ha fatto la mossa giusta e decisiva questa volta…” prende a dire Anna mentre mi sfila la regina dalle mani. “Complimenti, Maggiore, ha fatto scacco matto” dico io colpendo con il re l’altra pedina. Lei sorride, capendo il messaggio in codice.
Nel grande scacchiere della vita, la regina nera – come Zorro – ha dovuto calcolare ogni mossa, ogni attacco, ogni spostamento del suo personale “esercito”, per arrivare a mettere in scacco il re bianco. E alla fine ci è riuscita.
Dopo mille peripezie, in ventiquattro mosse, ha portato a compimento l’arrocco al re, come suggeritole anni prima.
 
Ma cosa succede quando la partita finisce? Si gioca la rivincita?
Esatto, Grillo.
Risistema le pedine, che è tempo di una nuova partita. Come finirà? Lo scopriremo tra qualche mese.
Nel frattempo,
Buon Natale a tutti!

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Beh, ciao a tutti!
E' passato un bel po' di tempo dall'ultima storia pubbilcata, ma come promesso non siamo sparote. Solo, la vita cambia e si aggiungono molte altre cose che, in un modo o nell'altro, assumono priorità.
Un appunto importante: questa storia che avete appena letto è stata scritta interamente da Martina-Grillo, e Mari-Vocina ha avuto solo il tempo di leggerla una volta e pubblicare. Se ci sono errori di battitura, scusate, ma ho preferito pubblicare con qualche svista piuttosto che tenerla nel cassetto.
Non ci siamo arrivate a regalarvela il 20 come tradizione, ma pazienza, spero abbiate apprezzato lo stesso!
Tenete d'occhio la pagina, però... Può darsi arrivi qualcos'altro presto!
Buone feste a tutti! 


 
   
 
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