Andata e ritorno
Con un carico di primini smidollati, mezzani del secondo anno - né carne né pesce - e veterani del terzo anno che sentivano il peso del tempo che passava e già sospiravano di malinconia.
Alla loro età… invece di pensare alle ragazze!
La strada correva monotona e il sole, che stava sorgendo, indorava tutto.
Indorava la strada verso la sfida più grande di tutte, il torneo nazionale.
Il professor Takeda dormiva sul sedile accanto al suo.
Si vedeva che non era abituato alle levatacce. Lui, Keishin, a giorni alterni, alle quattro del mattino era già a lavorare nel terreno di quello schiavista di suo nonno.
Il sole si infilava fra i suoi capelli castani e si rifletteva sulla montatura degli occhiali.
Sapeva per certo che il consigliere del club aveva un paio di anni più di lui, eppure da addormentato sembrava anche più giovane di come non apparisse già.
Sorrise all’idea di come si fosse speso per trovare un nuovo allenatore - lui, Keishin Ukai - e di come si avesse rischiato una denuncia per stalking dal professor Nekomata, per le numerose telefonate fatte con il fine di portare quel carico di disperati a Tokyo a giocare una infinità di amichevoli.Sembrava una persona mite, eppure aveva una tenacia e una faccia di bronzo non indifferenti. Soprattutto, si era lasciato catturare dalla pallavolo, della quale all’inizio non conosceva bene neppure le regole.
Una persona che sapeva mettersi in gioco, non c’era dubbio.
In fondo al pulmino, Tanaka e Nishinoya parlottavano, troppo eccitati per riposarsi.
Gli altri dormivano placidi.
Per non sentire le vocette fastidiose di quei due, Keishin iniziò a cercare una stazione radiofonica che potesse spezzare quella monotonia
Sleeping in my car
Try to hold on!
Ecco, una bella canzone per ragazzi arrapati… avrebbe dovuto mettere lo stereo a palla e svegliare quei poppanti lì dietro!
Ma poi avrebbe svegliato anche Takeda.Che nel sonno muoveva la mano destra, lentamente, come se stesse… scrivendo qualcosa.
Stava scrivendo??
Keishin allungò lo sguardo. Sì, stava scrivendo qualcosa, non c’erano dubbi. E sorrideva, mentre lo faceva.
Che cosa stava sognando?
Il sole ora brillava fra i capelli di Takeda. C’era qualcosa di angelico nella sua espressione. Terminò di scrivere il suo messaggio immaginario, posò l’altrettanto immaginaria penna che aveva fra le dita e allungò quel foglio di carta a qualcuno.
La mano gli ricadde in grembo. Nel sonno si agitò e voltò il viso verso di lui.
Keishin, con la coda dell’occhio notava ancora quel sorriso appena accennato.
Poi, un furgone davanti a loro rallentò bruscamente senza un motivo apparente e Keishin fu costretto a fare altrettanto, sibilando un’invocazione agli Dèi.
Istintivamente, tornò a guardare il suo compagno di viaggio e nell’attimo stesso in cui il suo sguardo si posò su di lui, Takeda aprì gli occhi.
Erano castani. No, meglio, avevano la sfumatura del legno di ciliegio.
Gli ricordavano i ciliegi dietro casa di suo nonno.
Erano anche grandi.
Per un istante, lo fissarono con una strana intensità. Sulle labbra, si era fermato quel sorriso lieve che aveva tenuto nel sonno.
Keishin tornò a osservare la strada ma per qualche secondo non ci capì molto.
Guard rail, corsia di sorpasso, tu- tum delle ruote su un giunto che tagliava la carreggiata, un foglio che svolazzava impazzito. Un autotreno che trasportava riso e mirin.
E due occhi color ciliegio che lo avevano inchiodato al sedile, anche se per un solo, unico, interminabile secondo.
“Ehm… mi sono addormentato. Mi scusi, Ukai-san.”
Ukai restava con gli occhi sulla strada, la mano sul cambio.
“Non c’è di che scusarsi.” bofonchiò Keishin.
“I ragazzi dormono?”
“Quasi tutti, tranne Tanaka e Nishinoya. Ma quello è un caso disperato.”
“Basta!” Tuonò Daichi Sawamura, mezzo addormentato.
Takeda rise sommessamente. Si stiracchiò.
Keishin rallentò, per una coda improvvisa.
“Stava sognando, sensei” gli disse.
Takeda si sistemò la cintura e si voltò verso il finestrino.
“Nel sonno sembrava stesse scrivendo qualcosa… ci avrei giurato.”
Takeda allora si voltò verso di lui. Gli occhi-ciliegio si erano fatti sottili. Restava in silenzio.
E che cosa stava scrivendo? Keishin stava per chiederglielo ma chiuse la bocca. Diavolo, non erano affari suoi!
“Lo ero… felice, intendo.” Rispose Takeda con semplicità. “Ed è vero, stavo scrivendo…”
“Che cosa?"
“Un haiku.”
“Lei scrive poesie?” Keishin non riuscì a reprimere una risatina.
Takeda incrociò le braccia e abbassò la testa, come se dovesse valutare bene come rispondergli.
“Crede sia una cosa stupida?” Takeda restò con gli occhi puntati verso il basso.
“Oh…no.” Si affrettò a rispondere Keishin.
Lo guardò con la coda dell’occhio.
“Ce lo vedo, in effetti. Scrivere letteratura, voglio dire. Lei sa parlare bene… con i ragazzi è diretto ma anche profondo.”
Parcheggiarono in una piazzola. Takeda fumava sigarette light, Keishin aveva le sue, più pesanti.
Fumarono in assoluto silenzio.Takeda era ora insolitamente taciturno, mentre al momento della partenza sembrava il più eccitato di tutti.
“I ragazzi sono arrivati ai nazionali. E forse arriveranno anche alla finale.” Disse poi quando gli erano rimasti un paio di tiri. Aveva un’espressione tesa.
Takeda guardava la strada. Le macchine sfrecciavano.
Il sole era ormai sorto.
“Andiamo.” Disse senza guardarlo ma continuando invece a fissare il filtro che era arrivato fin sulla corsia di emergenza.
Ma Takeda non si muoveva.
“Mi hanno offerto un posto in un liceo privato di Nagano.”
Keishin ora era curioso di vedere che fine avrebbe fatto la sua sigaretta. Qualcuno l’avrebbe presa in pieno?
O era quella notizia ad avere preso lui in pieno?
“Mi offrirebbero il doppio dello stipendio che percepisco ora.”
Takeda si voltò verso di lui.
“A dire il vero, sì. Ecco, a dirla tutta, sto cercando un motivo valido… per rifiutare.”
Anche Keishin provò a cercarne uno, ma strane intuizioni si affacciavano nella sua testa e non riuscivano a prendere una direzione definita.
Perché c’era rimasto male, tanto per iniziare?
E perché quello stato di allerta nel quale era piombato da un momento all’altro?
My heart is going boom…
“Andiamo.” Ribadì allora Keishin, dando con la punta del piede un calcio a uno pneumatico che gli sembrava sgonfio.
“Il denaro non è tutto. Ci sono anche… le persone.” Riprese Takeda.
Keishin gli lanciò un’occhiata in tralice.
Takeda restava immobile, la sigaretta gli si era consumata fra le dita. Poi si decise a seguirlo sul pulmino.
Ripartirono.
****
Ho scritto una poesia per te, Ukai-san. L’ultima persona che la leggerebbe. Del resto, io sono sprecato per un club di pallavolo.
Ce l’avrei un motivo per restare, e quello sei tu, ma non credo che potrebbe interessarti.
A parte i ragazzi, sono l’unico che stasera non ha bevuto. Mi è bastato l’abbraccio che ci siamo scambiati stamattina quando abbiamo vinto la partita più importante: sono ancora ubriaco.
Tu dormi, hai le braccia incrociate, la testa abbandonata sul poggiatesta, i capelli scarmigliati. Profumi di sake e di tabacco.
Tu non pensi, non immagini, non sai.
Se sapessi, mi rideresti in faccia. E forse ti farei anche ribrezzo.
Accetterò quel posto a Nagano, ora che abbiamo vinto.
I ragazzi, Kiyoko e Hitoka, tu ed io abbiamo vinto…
Ittetsu mormorò a bassa voce le parole della sua poesia inascoltata, mentre guidava verso Tokyo.
“Ha detto qualcosa, sensei?”
La voce Ukai lo fece sussultare.
“Ho sentito rete… Più o meno…”
Ukai si stirò e si accomodò meglio sul sedile. Nel sonno, era scivolato.
“Manca poco.” Disse.
“Mezz’ora, alle brutte.”
“Grazie per aver guidato al posto mio. Saeko Tanaka mi ha rabboccato continuamente il bicchiere…”
Ittetsu si irrigidì. Se ne era accorto, di Saeko Tanaka e delle risate con lui, in fondo al tavolo, sulla bottiglia di sake.
Sorrise con amarezza.
Ukai rise.
“Il sake fa dire e fare cose a cui poi non si crede veramente. Io infatti me ne sono stato zitto.”
Tornò serio.
Iniziò a picchiettare con i palmi delle mani sulle cosce.
Restarono in silenzio. Dietro, i giovani corvi parlavano poco. L’adrenalina era scemata - anche Tanaka e Noya erano piuttosto calmi - ma a guardarli sembravano reduci da un volo con il quale erano riusciti a sfiorare il tetto del cielo.
Con le loro ali.
Avevano uno sguardo sorpreso, ancora, estatico, quasi. Irraggiungibili, nella loro felicità.
Li lasciarono davanti alla scuola. Poi Ittetsu ripartì verso le colline, per riaccompagnare Ukai.
Il silenzio, improvvisamente. Poi Ukai si schiarì la voce.
“Ha deciso. Per Nagano, intendo?”
Ittetsu respirò a fondo
“Sì. Mi trasferisco.”
Ukai annuì platealmente con il capo.
“Non lo ha trovato, quindi, quel motivo.”
Lo guardava, serio, come se stesse osservando un’azione sul campo, un lungo scambio incerto.
Ittetsu non rispose.
Ukai continuava a fissarlo.
Ittetsu continuava a guidare.
E poi…
“Ittetsu.” Disse Ukai “Non lo hai trovato?…”
Ittetsu rallentò al semaforo mentre il suo cuore invece accelerava, sorpassava pensieri confusi. Non lo aveva mai chiamato per nome.
“Ittetsu… io credo di essere…”
“Ubriaco.”
“No. Innamorato.”
Ittetsu frenò.
Accostò.
“Ukai…”
“Sono Keishin.”
“Keishin…”
“E tu sei Ittetsu. E io non voglio che tu te ne vada, dannazione.”
Ittetsu abbassò lo sguardo, in preda a una felicità della quale aveva un istintivo timore reverenziale. Non gli riusciva di guardarla in faccia, quella felicità dal sorriso beffardo, gli occhi penetranti e i capelli spettinati.
“Era per te.” Riuscì a dire poi, con un filo di voce.
“Cosa?”
“La poesia…”
“Non vuoi… recitarla?”
Ittetsu chiuse gli occhi.
Speranza vola
Incerta sulla rete
Cadi su di me
Dopo un istante di silenzio, Keishin - Keishin! - parlò, con la sua voce calda, ironica, bellissima, che si avvicinava lenta.
“Sembra più un haiku sul servizio di Yamaguchi.” Mormorò.
E poi le sue labbra, morbide, che sapevano di fumo e di sake finirono sulle sue.
The night is so pretty and so young
(Fine)