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Autore: Flofly    24/12/2023    2 recensioni
Dopo aver incontrato l'Invisibile, Ofelia esprime un desiderio. E Thorn non può fare a meno di accontentarla.
Anche se non tutto è come sembra...
Spoiler Scomparsi di ChiardiLuna
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ofelia, Thorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa alla challenge "Secret Santa" indetta da Mari Lace nel forum Writing Games - Ferisce più la penna .

A Jeremymarsh, che con i suoi Thorn e Ofelia racconta racconti degni della “Grande Lettrice Famigliare”. 

Auguri di Buone Feste!


 

 

«Posso chiedervi un favore?»
Prima di entrare nella stanza che era stata assegnata a Thorn, Ofelia aveva provato quel discorso nella sua testa più e più volte. Addirittura aveva usato anche la sua sciarpa come interlocutore, e almeno a lei sembrava essere piaciuta, visto che si era arrotolata soddisfatta attorno al suo collo con un bel fiocco vaporoso.

«Avete bisogno di un medico?» chiese Thorn, senza alzare lo sguardo dai registri che stava esaminando. Da quando erano tornati da Sabbia di Opale, sembrava non riuscire a guardarla. «Se è per i preparativi del matrimonio, potete dire a vostra madre che non ci sarà nessuna deviazione dal protocollo» .

Ofelia si sistemo gli occhiali sul naso con fare deciso. «No, anche se un po’ di elasticità non guasterebbe.» 

«La stessa elasticità di quando vi ho espressamente detto che non volevo andasse a cercare i nobili scomparsi e voi invece avete insistito e fatto come vi pare, come al solito?»  rimbeccò, senza che la penna smettesse solo per un attimo di scivolare veloce sulla pagina.

«Vi ricordo che senza il mio aiuto non avremmo mai scoperto i tradimenti di Cunegonda…» ribatté piccata, mentre la sciarpa iniziava ad afflosciarsi e ad intrecciarsi attorno alle sue braccia. «Allora, mi farete questo favore? Ho chiesto a Renard ma mi ha detto che lo dovete autorizzare voi».

Per una volta Thorn non disse nulla, ma si limitò a grugnire un qualcosa che sembrava un Vi ascolto.

Ofelia prese un lungo respiro, gonfiando il petto come faceva sempre zia Roselline prima di iniziare una delle sue filippiche, poi disse, tutto d’un fiato. «Dovete mandare qualcuno a prendere un albero nella foresta» .

«Un albero? Dite la verità, siete ancora convalescente per l’attacco dell’Invisibile e state straparlando. Devo ricordarvi cosa è successo nella foresta, neanche da troppo tempo?»  chiese in tono duro.

Come poteva aver dimenticato il giorno in cui era stata sterminata la sua famiglia?

«Il cavaliere non ha più i suoi poteri. E l’ha fatto solo per vostra zia, pensava di farle un favore»  tagliò corto Ofelia, battendo il piede in terra, cercando di trattenere il lembo della maglia che continuava ad agitarsi.

«Abbassate la voce, siete folle? Siete un’illusa se pensate che il Cavaliere fosse l’unico a voler far del male a me e alla mia famiglia» rispose sprezzante, mentre il volto si tramutava in un’ombra scura. Poi, a voce più bassa, aggiunse «E a voi» .

C’era qualcosa nel suo tono che la colpì. C’era una sfumatura di rabbia repressa, qualcosa che raramente lasciava trasparire nella sua maschera di imperscrutabile serietà.

«Vi sto solo chiedendo un albero. E non è per me, ma per vostra zia. O, meglio, per la bambina» disse, risoluta ad ignorare l’insulto per evitare di lasciarsi distrarre.

«Per Berenilde? E cosa dovrebbe farsene di un albero?» 

Ofelia sospirò raccogliendo la pazienza, stropicciandosi le mani coperte dai guanti. «Voi procuratemi un abete fresco, al resto penserò io. Allora, potete farlo? Altrimenti posso chiedere a qualcun altro» aggiunse, fingendo indifferenza. Quando Renard le aveva consigliato di accennare a farsi aiutare da altri nel caso Thorn si fosse mostrato riluttate, aveva pensato che non ci sarebbe mai riuscita e che, se anche l’avesse fatto, sarebbe stato del tutto inutile. E invece…

«Entro domani sera lo avrete», concluse Thorn, arricciando le labbra in quell’espressione che non riusciva mai a decifrare. «Se vi farete visitare in Ospedale, però, è evidente che non vi siete ancora ripresa. Manderò io un dispaccio, non preoccupatevi. Ora però lasciatemi, devo lavorare» .

L’Ofelia appena arrivata al Polo avrebbe rimbrottato, lamentandosi che non ne aveva bisogno. Ora, invece, aveva deciso che poteva concedergli una piccola vittoria. Lei ne stava preparando una più grande.

 

 

 

 

 

 

Quando aveva detto a due gendarmi di accompagnarlo nella foresta per prendere un abete, quelli avevano fatto non poca fatica a trattenere lo sbigottimento, ma era bastata un’occhiataccia per farli scattare senza ulteriori domande.

Aveva girato a lungo, valutando con occhio critico ogni esemplare di albero, ma nessuno sembrava soddisfarlo. Doveva essere di un bel verde acceso, con i rami ricchi di aghi ancora freschi, alto abbastanza e soprattutto simmetrico. Lo cercava esattamente identico all’illustrazione di un libro per bambini che gli aveva regalato Berenilde il primo anno in cui si era trasferito da lei. Era sulle tradizioni delle altre Arche e lui lo leggeva per ore, immagazzinando ogni informazione su quei mondi che sembravano così lontani dal suo mondo conosciuto fatto di studio e disciplina. Quando era piccolo, Berenilde lo chiamava nella sua stanza, mentre lei si stava preparando, e lui si metteva sulla grande poltrona di broccato, ben dritto con la schiena, con il suo libro. C’erano voluti mesi prima che iniziasse a parlare delle sue letture, mentre lei si allungava le ciglia facendole diventare nere e lunghe come i merletti dei suoi vestiti, si passava la cipria profumata di violetta sul viso già pallido, rendeva le labbra rosee e lucenti. Per un lungo periodo aveva parlato anche di quella strana usanza di alcune Arche, di festeggiare una cosa chiamata “Natale”, non la ricorrenza di metà inverno che culminava con il Gran Ballo al Palazzo Reale.  Lei aveva riso, chiedendosi chi mai fosse così folle da mettersi un albero vero dentro casa, pieno di resina e di ricordi del vento tagliente. Loro avevano i Miraggi che potevano creare ogni illusione, decorando ogni stanza con i fregi più delicati.

Quello che non aveva detto Berenilde, ma che lui aveva capito benissimo, era che portare qualcosa che manteneva l’impronta delle terre selvagge del Polo avrebbe rischiato di accentuare troppo il lato ferino della famiglia dei Draghi. Già i suoi fratellastri non perdevano occasione di sfogarsi su di lui, qualsiasi elemento che stimolasse il loro istinto di cacciatori, si sarebbe potuto trasformare in una vera e propria carneficina.

Il che, visto quello che era successo di recente, era quasi ironico, pensò mentre la bocca gli si stendeva in un accenno di sorriso, che subito represse severo in un atteggiamento più consono.

Avevano impiegato una mezza giornata piena, ma nel primo pomeriggio il maestoso e perfetto abete era ora nella camera di albergo che avrebbe ospitato Berenilde appena dimessa dalla clinica, in attesa che Gli Stati Generali si concludessero.

Di certo sua zia non avrebbe preso molto bene il fatto di essere circondata dalla numerosa famiglia di Ofelia durante quei primi giorni con la bambina, non lei che era ormai abituata alla tranquillità della sua casa o alla routine della Corte. Era quello uno dei pochi casi in cui Berenilde avrebbe dovuto ammettere di non riuscire a prevedere ogni possibile conseguenza delle sue azioni. Come quando aveva proposto il matrimonio con una lettrice, l’unico modo per riuscire a scoprire i segreti del Libro. Doveva essere un matrimonio di pura convenienza, un’unione economica più che un reale legame personale, la futura sposa una mera figura di contorno.

Invece, quella testarda e impacciata straniera si era fatta sempre più spazio nelle loro vite, al punto che era evidente che la lotta di sua zia per sapere Ofelia al sicuro non era dovuta solo al fatto di assicurarsi il potere di Famiglia. E anche la richiesta di diventare la madrina di quella nuova e strana creatura che le cresceva dentro. Berenilde poteva ingannare un’intera corte, persino il Sire Faruk, ma di certo non poteva mentire a lui.

Per questo sapeva che, nonostante una parte di lei sarebbe inorridita all’idea di avere metà suite occupata da un enorme albero ricoperto di vetri smerigliati e candele che passavano gran parte del tempo ad agitarsi sui grandi rami, avrebbe apprezzato il tentativo di quella stramba ragazza di dimostrarle il suo affetto.

Ofelia e gli altri membri della sua famiglia, infatti, avevano passato l’intero pomeriggio a ricercare oggetti, cucire grandi fiocchi rossi, animare cristalli e litigare con il direttore dell’albergo, ma ormai al crepuscolo tutto era pronto.

«Credete che piacerà a Berenilde? Nella nostra Arca…»  gli chiese Ofelia, facendo un passo indietro per ammirare con occhio critico l’opera, con le fiammelle delle candele che le tremolavano riflesse sul vetro degli occhiali.

«E’ consuetudine decorare un abete per le festività invernali»  , concluse per lei, distogliendo lo sguardo. «Da quanto ne so, però, è uso anche mettere dei regali sotto l’albero» .

Sentendo lo sguardo sgranato della giovane su di sé represse un sorriso, per la seconda volta in quella giornata.

«Temo che i nostri regali potrebbero non piacere a vostra zia. Nessuno dei nostri abiti sembra rispecchiare i suoi gusti»  sospirò Ofelia.

«Ho qualcosa io, non preoccupatevi», rispose serio, tornando ad osservare l’albero, toccandosi la tasca della giacca, dove teneva il suo prezioso orologio da taschino. C’era una cosa che poteva permettere a Berenilde, l’unico regalo che avrebbe sicuramente apprezzato: che avrebbe fatto di tutto per proteggere lei e la bambina. Persino contro Dio.

E Ofelia. Aggiunse una voce pericolosamente simile a quella di Berenilde nella sua testa.

Sentì lo sguardo interrogativo della giovane su di sé, mentre i nastri attorno all’abete si dimenavano allegri, quasi a ritmo di una musica invisibile. Ecco, quello era decisamente una parte dei poteri della sua futura moglie di cui non sentiva alcun modo l’esigenza di acquisire.

Però, al netto della confusione, delle urla dei bambini, dei bisticci tra i famigliari, c’era qualcosa in quel grande abete decorato che gli trasmetteva una sensazione di tranquillità. La stessa che provava da bambino in quelle lunghe ore seduto in poltrona, fingendo anche con sé stesso di non sperare che, per una sera, Berenilde non uscisse, ma rimanesse con lui a parlare di libri e di storie e di tutti gli aneddoti che aveva scoperto nelle sue letture.

Così come adesso stava ripetendo a sé stesso che non gli importava davvero se quell’albero, così simile alle illustrazioni su cui aveva passato le ore, non fosse anche per lui.

Si, decisamente non era una cosa che lo interessava. Aveva altro a cui pensare… il matrimonio era alle porte.

E poi lo vide, nascosto tra i rami panciuti, nascosto tra le decine delle schegge di metallo che tintinnavano dolcemente come spinti da una brezza invisibile, c’era un piccolo ingranaggio da orologio, perfettamente funzionante.

Era forse per lui?

O era un beffardo segno del destino del fatto che il suo tempo stava per scadere.

 

 

 

Mancavano poche ore e il destino di Thorn sarebbe stato segnato. Dopo la visita di Dio e l’incapacità di Thorn di leggere gli oggetti, Thorn e Ofelia sapevano che ormai le loro ore erano segnate. Si erano assopiti appena qualche minuto, lui nella cella fredda e umida dove l’avevano riportato, lei negli alloggi inutilmente sfarzosi che le erano state metti ridicolmente a disposizione.

In luoghi opposti, ma uniti da quell’amore che ormai avevano scoperto di provare, Thorn e Ofelia si riscossero dal loro torpore, inconsapevoli che i loro sogni coscienti si fossero intrecciati.  Entrambi avevano sognato un mondo diverso, un finale diverso a quella loro caccia agli Scomparsi. Un giorno di festa…

 

 

 

 

Thorn guardò il piccolo specchio che riluceva beffardo, stringendo l’inutile rivoltella tra le mani.

Guardò un’ultima volta la porta, dietro la quale sentiva i suoi aguzzini gongolare nel sapere che finalmente il suo destino da bastardo stava per compiersi.

Perché, nonostante i suoi sforzi, c’era una cosa di cui ormai Thorn era certo.

Ofelia non aveva bisogno di lui, non l’aveva mai avuto.

Ma lui aveva bisogno di lei, in un modo totalmente diverso da quello che aveva pensato.

E non avrebbe permesso che le accadesse nulla. Per quello doveva sparire.

 

 

 

 

 

 

Ofelia guardò un’ultima volta dietro di lei, prima di salire sul Dirigibile che l’avrebbe riportata a casa. Guardò ancora una volta le terre gelide del Polo.  Berenilde, che la guardava con gli occhi lucidi come se stesse perdendo un’altra figlia, Renard imbronciato e di malumore per la sua partenza, Archibald nel quale riusciva a stento intravedere lo sguardo avido di vita che aveva conosciuto.

La sparizione di Thorn aveva lacerato le loro vite come il più affilato artiglio dei Draghi.

Soprattutto per lei: avevano lacerato la sua corazza di burbero indifferente, mostrando la sua vera natura.

La stessa del Thorn del suo sogno che le procurava un albero per Berenilde e …

Vittoria. Si quello sarebbe stato il nome della bambina.

Un nome profetico, sperava.

Perché adesso Ofelia sapeva che non poteva abbandonare Thorn.  Perché nonostante i suoi sforza, c’era una cosa di cui Ofelia ormai era certa.

Thorn non aveva bisogno di lei, non nel modo in cui credeva.

Ma lei aveva bisogno di Thorn, in un modo che non avrebbe mai ammesso.

E non avrebbe permesso che gli accadesse nulla.

 

 

                                                                                                              

Fuggi via Ofelia, torna a casa.

Non scappare Thorn, torna da me.

Nel mezzo, il riflesso beffardo di un albero addobbato solo nei sogni e una promessa affidata al tintinnio degli Specchi.

 

   
 
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