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Autore: Fiore di Giada    25/12/2023    0 recensioni
− E cosa sarei? − domandò.
− Sei incosciente, impulsivo e hai gusti discutibili. Ma sei anche leale e coraggioso. E chi ti conosce lo sa bene. − concluse.
Ken si coprì gli occhi con le mani e deboli singhiozzi sollevarono la sua schiena. Quella fiducia, così sincera, riscaldava il suo cuore.
Non tutto era perduto per lui.
N.B: è stato un Natale un po' così.
Avevo bisogno di una storia dolce (e vale anche per il povero Ken, dopo gli eventi di Street Fighter VI)
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Guile, Ken
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La neve, lenta, cadeva dal cielo e ricopriva le strade d'un manto bianco, mentre un vento freddo soffiava tra le case, scintillanti di luci natalizie. 
Lo sguardo di Ken, malinconico, studiava l'ambiente. Gli abitanti di quelle abitazioni potevano godere del calore di una famiglia.
I suoi sensi riuscivano a percepire gli odori, i suoni e i sapori di quell'intimità che, da tanto tempo, a lui era negata.
Un mezzo sorriso, colmo d'amarezza, sollevò le sue labbra. Mel ed Eliza aspettavano l'ora di pranzo.
Ne era sicuro, suo figlio si era svegliato ad un orario improponibile, pur di vedere i suoi regali.
A che serve pensarci?, si disse, amareggiato. I ricordi dei Natali passati avrebbero acuito la pena di una separazione non voluta.
Eppure, il suo cuore si aggrappava a quelle memorie dolci, eppur così amare.

Le note di testa del bergamotto avevano raggiunto la sua mente, ancora immersa nel sonno.
Si era svegliato e si era girato, un leggero sorriso sulle labbra.
Eliza, vestita d'un corto abito verde menta, i lunghi capelli biondi raccolti in una coda, era seduta accanto a lui.
− Buongiorno, dormiglione. − aveva detto, un lampo divertito nelle iridi cerulee.
Lo sguardo di Ken aveva percorso la sua esile figura. Dei, come era bella…
− Hai scelto il modo più bello per svegliarmi. Buon Natale, tesoro. − le aveva sussurrato.
Poi, le loro labbra si erano unite in un bacio ardente.



Un forte rumore di colpi alla porta scosse Ken dai suoi pensieri.
Il giovane marzialista si passò una mano tra i capelli biondi. Perché non lo lasciavano nel silenzio?
Si avvicinò alla porta e la aprì.
− Guile? − domandò, stupito. Perché suo cognato era lì?
Un mezzo sorriso sollevò le labbra del marine. Presto, tutto sarebbe cambiato.
− Che domande! Sono venuto a prenderti. Hai una famiglia che ti aspetta.− annunciò.
L'ex campione statunitense aggrottò le sopracciglia, stupefatto. Ma era uno scherzo?
− Ti devo ricordare quello che è successo? − domandò, il tono irritato.
A quelle parole, Guile roteò gli occhi, irritato. Le manipolazioni di JP e la carcerazione ingiusta avevano aperto una voragine nel suo cuore.
Oltre la sua maschera di fierezza, scorgeva l'ombra della vergogna nelle sue iridi blu.
Ma lui l'avrebbe strappato a quella lontananza dolorosa.

D'istinto, il marine appoggiò le mani sulle spalle dell'altro e le strinse un poco.
A quel tocco, Ken si irrigidì. Sentiva la premura in quel gesto, apparentemente banale.
Da tanto, troppo tempo lui non era abituato a simili gesti.
− Perché vuoi dare loro ragione, Kenneth? − domandò, il tono apparentemente pacato.
Sorpreso, Ken sbarrò gli occhi. Quale era il senso delle parole di suo cognato?
Sei uno stupido, Ken., si disse il marzialista. Con la sua schiettezza brutale, Guile aveva rivelato la sua paura.
Temeva l'ambiente sciocco dell'alta società, incapace di andare oltre l'apparenza.
− Dovrei condannarli a sopportare il peso della maldicenza? E' vero, ho distrutto Johann Petrovich a Nayshall… Ma niente laverà questo marchio. Non posso però costringere anche loro a sopportarlo. − affermò Ken, il tono apparentemente impassibile.
A stento, il marine trattenne un gemito di frustrazione. Comprendeva le paure di Ken, ma non poteva assecondarlo.
− Non li ami come dici. − dichiarò, fermo.
A quelle parole, l'interpellato si irrigidì, come una sbarra di marmo, mentre un debole rossore colorava le sue guance.
Come osava mettere in dubbio il suo amore?
Bene., si disse il marine, compiaciuto. Oltre quella maschera d'amarezza, l'animo di Ken viveva.
− Una volta, Julia mi disse che un venticello non può buttare giù un palazzo di marmo. E concordo con lei. Tua moglie e tuo figlio non si piegheranno alle calunnie, perché sanno chi sei. − continuò ancora.
Ken strinse i pugni, mentre le lacrime tremavano nei suoi occhi.  Perché voleva togliergli gli ultimi brandelli di dignità?
Non bastava quello che gli era accaduto?
− E cosa sarei? − domandò.
− Sei incosciente, impulsivo e hai gusti discutibili. Ma sei anche leale e coraggioso. E chi ti conosce lo sa bene. − concluse. 
Ken si coprì gli occhi con le mani e deboli singhiozzi sollevarono la sua schiena. Quella fiducia, così sincera, riscaldava il suo cuore.
Non tutto era perduto per lui.
Per alcuni istanti, Guile tacque. Finalmente, le catene di una forza artefatta si rompevano.
Ken, in quel momento, afferrava la mano che gli era stata tesa.
Poco dopo, il più giovane fissò sul marine uno sguardo fiero, risoluto, seppur velato di lacrime.
− Andiamo. Portami da loro. −
Guile, con un cenno della testa, uscì e i due uomini uscirono dall'appartamento.

   
 
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