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Autore: 18Ginny18    26/12/2023    0 recensioni
[Sequel di 'Light and Darkness']
Primordiali: entità senzienti che diedero vita alla magia stessa. Nati più di duecento milioni di anni fa, camminano sulla terra solo tramite un ospite corporeo, un umano. Ginevra Andromeda Black è uno di quest’ultimi e quello che credeva fosse un parassita, in realtà, è proprio un Essere superiore di nome Entity.
Purtroppo il potere che Entity e Ginevra condividono è minacciato dal Signore Oscuro, il quale vuole impossessarsene più di ogni altra cosa. Impedirglielo non sarà un’impresa facile.
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Remus/Ninfadora, Ted/Andromeda
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '~The Black Chronicles~'
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Capitolo 10 – Con le spalle al muro

Era passato poco più di un mese da quando era ricominciata la scuola. La clientela dei Tiri Vispi Weasley era diminuita notevolmente e, per quanto la gente avesse bisogno di ridere in quel periodo, non erano in molti quelli che passavano di lì per acquistare il Torrone Sanguinolento o le Pasticche Vomitose. I clienti più affezionati che frequentavano Hogwarts avevano aderito a un servizio di consegna via gufo, quindi gli affari continuavano ad andare bene… ma a lungo andare, presi dallo sconforto, Fred e George si resero conto che era pressoché inutile continuare a girare il cartello con su scritto ‘APERTO’, sapendo che non sarebbe entrato nessuno a fare acquisti.
 I passanti erano troppo spaventati per fermarsi più del dovuto in un negozio. Passavano a passo di corsa e scappavano via al minimo rumore, temendo l’arrivo improvviso dei Mangiamorte.
 Quella mattina di ottobre i gemelli erano in piedi dietro il bancone, intenti ad andare avanti con quella era diventata la loro routine quotidiana, preparando gli ordini diretti a Hogwarts; Fred teneva la figlia in un marsupio legato al petto e di tanto in tanto le dava un bacino sulla testa. George lo guardava con la coda dell’occhio e sorrideva. 
 - Signor Weasley – chiamò Elizabeth, da dietro uno scaffale. - Non trovo i croccantini delle Puffole Pigmee.
 Fred e George risposero in coro, senza distogliere lo sguardo da ciò che stavano facendo: - Sesto scaffale. Nello scatolo grande. 
 Ci fu un breve silenzio, seguito poi da un gran baccano e un: - Trovato! - urlato della ragazza. 
 Fred scosse la testa divertito e George sogghignò.
 Anche se non riuscivano a vedere la scena, sapevano che Lizzie aveva fatto cadere la scatola. C’era un’alta probabilità che era stata sommersa dalle bustine di croccantini e sapevano entrambi che lei non lo avrebbe mai ammesso nemmeno davanti a un giudice.
 La loro commessa era un vero portento e aveva un ottimo senso degli affari. Sapeva essere divertente e folle al punto giusto per lavorare con loro, ma era anche molto goffa. Da quando era arrivata in negozio i guai non mancavano mai.
 - Siamo coperti con l’assicurazione, vero? - domandò Fred al gemello, ma George lo ignorò. In quel momento la sua attenzione era rivolta altrove.
 Lì, in cima alle scale, vi era il suo desiderio più ardente. La sua amata dai morbidi capelli corvini.
 La vide inclinare la testa e mordersi il labbro inferiore, consapevole che in quel modo lo avrebbe fatto impazzire.
 George sentì uno strano e piacevole formicolio lungo la schiena al ricordo della notte trascorsa tra le lenzuola.
 Era bella come la notte precedente… e come quella prima ancora… e quella prima ancora. 
 - ‘Giorno - mormorò con un sorriso sensuale gli curvava le labbra, mentre gli occhi guardavano spudoratamente le gambe scoperte di lei.
 - Buongiorno, amore – rispose Ginevra, sorridendo.
 Indossava un leggero abito rosso con le bretelle sottili, che nascondeva appena le sue forme generose. Dei piccoli pois bianchi decoravano la stoffa aggiungendo un tocco di eleganza. La gonna arricciata era corta e sinuosa, e metteva in risalto le sue gambe. Ai piedi aveva delle scarpe da ginnastica bianche che completavano il look.
 George non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse splendida. Quell’abito rosso le donava moltissimo, e risaltava la sua figura. Le bretelle sottili evidenziavano le sue spalle delicate, sulle quali vi erano appoggiati i suoi lunghi capelli neri, sciolti e fluenti. 
 Si avvicinò al bancone e posò le labbra sulle sue, in un bacio soave.
 - Sei bellissima – le sussurrò lui a fior di labbra.
 Lei lo ringraziò con un sorriso malizioso e un altro bacio.
 Salutò anche Fred, sorridendo a lui e alla piccola.
 Provò una gran tenerezza per quel quadretto e apprezzò che il suo amico utilizzasse il regalo che lei e George avevano fatto a lui e alla piccola. Quel marsupio sembrava fatto apposta per loro due. 
 - Hai dormito bene? - le domandò George, spostandole una ciocca ribelle dal viso con movimento delicato delle dita.
 - Divinamente – rispose lei in sussurro appena percettibile, intimo. - Dopo tutto quello che abbiamo fatto ieri notte avevo bisogno di ricaricarmi. Ho fatto una lunga doccia… calda... tutta sola. 
 Gli occhi di George scintillarono di malizia e il suo cervello sfruttò quel momento per rivivere i loro giochetti in camera da letto e iniziò a replicarli immaginandola sotto il getto d’acqua della doccia… tutta bagnata.
 Al solo pensiero emise un ringhio gutturale. - Donna diabolica.
 - Magari la prossima volta potrai unirti a me.
 L’idea lo mandava già fuori di testa e la voglia di prenderla tra le braccia e riportarla al piano di sopra a fare l’amore spingeva con insistenza contro ogni priorità.
 Poi Fred si schiarì la voce rumorosamente, richiamando la loro attenzione e la magia del momento si affievolì. - Non dovrei dirvelo, ma qui c’è una minorenne e non voglio che lei veda questo tipo di effusioni per i prossimi quarant’anni – sbottò, indicando la dolce bambina che dormiva contro il suo petto. 
 - Scusa – ridacchiarono George e Ginevra, imbarazzati.
 Ignoravano entrambi che in realtà quella predica sorridente nascondesse la gelosia crescente del ragazzo. Lo stesso Fred non riuscì ad accorgersene subito. Si apprestò a sopprimere immediatamente quel sentimento, sentendo affiorare un gran senso di colpa all’altezza del petto. 
 Stava tradendo Angelina con il pensiero. Era morta da un mese e lui pensava già a un’altra! Quale altro verme tradirebbe la memoria della madre dei suoi figli pensando a un’altra? 
 Forse il suo sentimento era riaffiorato proprio per quel motivo, pensò. Aveva passato così tanto tempo accanto a Ginevra da pensare a lei non più come un’amica ma a qualcosa di più.
 Era sbagliato, e lo sapeva bene.
 Ginevra era la ragazza di suo fratello, praticamente era sua cognata. Non poteva lasciarsi ingannare dai battiti del cuore ogni volta che lei era nella stanza.
 Perdere Angelina era stato un duro colpo e non era semplice convivere con la consapevolezza che non sarebbe più tornata, che non avrebbe più rivisto il suo volto corrucciato o il suo sorriso. 
 Abbassò lo sguardo sulla sua bambina, che dormiva beata.
 Doveva pensare a Roxanne.
 Solo a Roxanne.
 Nessun’altra donna.
 - Cos’era quel baccano? - domandò ad un tratto Ginevra, curiosa.
 Fred alzò un sopracciglio, mascherando i pensieri che gli davano il tormento con un sorriso beffardo. - Secondo te? - La sua voce grondava ironia. E senza aspettare una risposta fece un cenno verso Lizzie, intenta a raccattare ciò che era caduto canticchiando un motivetto allegro fingendo che non fosse successo nulla.
 Ginevra strinse le labbra una contro l’altra per evitare di ridere. Elizabeth era una cara ragazza e anche molto simpatica, e Ginevra adorava passare del tempo con lei ma incidenti di quel tipo capitavano spesso quando lei era nelle vicinanze e l’ipotesi che ci fosse un Imp dispettoso seminasse il panico nel negozio era poco credibile.
 - Poverina. Capitano tutte a lei – disse piano per non farsi sentire. 
 - Sapevi che ha un appuntamento con Ron? - le bisbigliò George con complicità. Lei annuì, tutta sorridente. - Si vede che ha fatto colpo… non me lo aspettavo.
 - Non se lo aspettava nessuno, Georgie – specificò Fred quando si avvicinò a lui per accatastare l’ennesimo pacco alla pila pronta per la spedizione.
 La piccola Roxanne si agitò nel sonno e, per farla calmare, lui cominciò a passeggiare per la stanza mormorandole farsi dolci. - Vai da qualche parte? Mi sembra una tenuta un po’ singolare per gli allenamenti - domandò poi a Ginevra.
 - Infatti non vado ad allenarmi - rispose lei, stirando una piega invisibile sul suo vestito. - Vado a trovare mio padre.
 I sorrisi dei gemelli si affievolirono, lentamente.
 - Vengo con te - si offrì George, ma lei scosse la testa.
 - Non ti preoccupare. In ogni caso penso che rimarrò lì fino a sera, ho bisogno di stare un po’ da sola con lui, ma tornerò per l’ora di cena.
 - Ti vengo a prendere io.
 Sapeva che George non avrebbe mai accettato un altro rifiuto, soprattutto con i tempi che correvano. Bisognava essere sempre prudenti e non restare mai da soli per strada, Malocchio lo ripeteva in continuazione quindi chi era lei per contraddire quella regola?
 - D’accordo, Weasley. Hai vinto! - disse e gli baciò la guancia. - Allora a stasera.
 Si infilò il giubbotto di pelle nera che era appeso al suo braccio e uscì dal negozio, facendo tintinnare la campanella sopra la porta. 
 I gemelli la guardarono allontanarsi e sparire dalla loro vista. Un sospirò pesante sfuggì dalle loro labbra e incrociarono gli sguardi, senza dirsi una sola parola.
 Erano preoccupati per lei, inutile nasconderlo.
 Per quanto lei provasse a smentire il loro pensiero tra sorrisi e risate, da quando il padre era entrato in coma la luce dentro di lei sembrava spenta. Non era più quella di un tempo. 
 Lei e George facevano l’amore ogni notte. Si lasciavano andare, si amavano ed erano felici… ma una volta raggiunto il culmine del piacere, dopo essersi coccolati, baciati e abbracciati, lui sapeva che, in fondo in fondo, c’era qualcosa che la turbava. La guardava e sapeva che c’era un pensiero fisso che non la mollava mai. 
 Non voleva darle il tormento, farle pressioni, convincendola a parlargliene. Non lo aveva mai fatto e non aveva intenzione di cominciare in quel momento. Sapeva che Ginevra era una testa calda e che odiava sentirsi con le spalle al muro. La conosceva talmente bene da sapere che l’approccio diretto non era mai la scelta migliore, anche se a volte era servito.
 Se aveva un problema era sempre lei a decidere quando e con chi parlarne. Se avesse voluto parlare, lui l’avrebbe ascoltata. Se non avesse voluto, l’avrebbe lasciata in pace. L’avrebbe ascoltata quando ne avrebbe avuto bisogno e le avrebbe concesso tutto lo spazio necessario finché non si fosse sentita pronta ad aprirsi.
 Aveva bisogno di tempo. 
 Fred, al contrario del gemello, non riusciva a pensare a mente fredda. Era talmente preoccupato che sentiva il forte bisogno di domandarle quale fosse il problema e perché non volesse confidarsi con nessuno. Voleva confortarla, darle tutto l’aiuto di cui aveva bisogno. 
 Era convinto che un contatto diretto fosse la soluzione migliore. La pazienza non era mai stata il suo forte.
 Decise che, una volta soli, l’avrebbe aiutata a sfogarsi e sarebbe rimasto al suo fianco anche tutta la notte, se necessario.
 Doveva farlo. Per lei. 

 Ginevra raggiunse l’uscita del Paiolo Magico in una manciata di minuti.
 Un vento freddo e leggero soffiava per le strade di Londra, tipico della stagione autunnale, ma tutto sommato piacevole. Aveva sempre apprezzato il vento e la sensazione di sentirlo scompigliarle i capelli.
  Il cielo azzurro era cosparso qua e là da nuvole grigie, ma niente di minaccioso. Si preannunciava una giornata tranquilla e priva di pioggia.
Inspirò l’aria fresca e uno sbuffo del profumo invitante del panificio lì vicino penetrò nelle sue narici. Quando era stata l’ultima volta che si era concessa a una colazione tranquilla? O apprezzare una bella giornata?
 Non lo ricordava più. 
 La sua vita era cambiata tanto e in poco tempo. Era piena di responsabilità e priva di tempo per rilassarsi e godersi la vita. Persino in quel momento, mentre si era persa ad osservare le nuvole che si rincorrevano veloci nel cielo, provò un gran senso di colpa per aver perso del tempo prezioso.
 Distolse lo sguardo e si incamminò. 
 Doveva raggiungere il San Mungo e dare il cambio a Regulus. Quel povero uomo era rimasto lì per settimane, senza lasciare il capezzale del fratello maggiore, per darle la possibilità di allenarsi e concentrarsi su qualcosa che non fosse il dolore.
 Regulus aveva fatto tanto per lei, da sempre, ma non voleva approfittare della sua bontà. E poi voleva stare vicino a Sirius tutto il tempo possibile, quindi quel giorno aveva deciso di mandare al diavolo gli allenamenti e andare dritta al San Mungo, da Sirius.
 “Secondo me dovevamo continuare ad allenarci”, borbottò Entity per quella che era l’ennesima volta da quando Ginevra aveva aperto gli occhi quella mattina. 
 “Ne abbiamo già parlato, Entity”, ribatté lei perentoria, ma l’Essere superiore non si lasciò abbattere.
 “Dobbiamo approfittare di ogni momento possibile per allenarci! Voldecoso sta diventando sempre più forte” disse. “Lo percepisco ogni volta che si intrufola nella nostra testa. Non dobbiamo abbassare la guardia. Ieri siamo state brave, abbiamo evitato un suo attacco… ma oggi? Cosa ti fa pensare che oggi non ci attaccherà?”.
Ginevra sospirò. “Non abbasseremo la guardia e non smetteremo di allenarci”.
 Entity sembrò sul punto di ribattere, ma poi cambiò idea e alla fine disse: “Bene. Fa come vuoi”.
 E la conversazione terminò.
 Aveva paura. Ginevra lo sapeva, ma non ne parlavano mai apertamente. Era come se entrambe avessero pattuito un tacito accordo in cui non bisognava ammettere ciò che più le spaventava: non Voldemort in sé, ma il controllo che lui poteva avere su di loro. 
 Entity aveva ragione, l’allenamento era importante, ma Ginevra aveva bisogno di spegnere il cervello per un po’ e dedicarsi a suo padre. Doveva vederlo. Ne aveva bisogno.
 Vagò per le strade, già affollate dal traffico di inizio giornata da taxi, turisti e impiegati d’ufficio con le loro valigette strette tra le dita e lo sguardo fisso sull’orologio al polso, lamentandosi del ritardo. Quest’ultimi non guardavano dove andavano e il più delle volte sballottavano i passanti che si trovavano sul loro cammino senza nemmeno degnarsi di chiedere scusa.
 Stanca del via vai di persone che la spingevano da un lato all’altro senza riguardo, Ginevra decise di cambiare direzione e proseguì verso un’altra strada. Non era proprio una scorciatoia, ma almeno lì non avrebbe trovato una grande e soffocante folla.
 Imboccò un vicolo stretto, sbucando subito dopo in un quartiere tranquillo, occupato da molti negozi e un piccolo ristorante dall’insegna un po’ storta, ma comunque carina e dall’aria accogliente. La maggior parte dei pochi pedoni che bazzicavano per quella strada puntavano tutte verso il centro, curiosando qua e là tra i negozi che si lasciavano alle spalle.
 Colpita dal dolce profumo proveniente da una piccola pasticceria e dai meravigliosi colori pastello dell’insegna sulla vetrina, Ginevra si fermò ad acquistare qualche pasticcino per Regulus. Quando Regulus non faceva colazione era sempre intrattabile, quindi pensò che era meglio fargli cominciare la giornata nel modo giusto.
 Quando uscì dal negozio si incamminò verso la sua meta. Non prestava grande attenzione a dove andava: conosceva tutte le strade che portavano al San Mungo a memoria.
 D’un tratto, però, avvertì uno spiacevole formicolio lungo la schiena. Un presentimento. Capì che non era frutto della sua mente quando Entity disse: “Qualcuno ci sta seguendo”.
  Senza lasciarsi prendere dal panico si fermò davanti a una vetrina con tre manichini esposti. Finse interesse per i vestiti, mentre i suoi occhi osservavano il riflesso alle sue spalle.
 Alle sue spalle, poco più in là, c’erano due uomini vestiti di nero. I loro lunghi mantelli erano troppo vistosi per passare inosservati tra i Babbani, eppure nessuno sembrava averli notati. 
 Mangiamorte.
 “Cazzo”, imprecò Entity a denti stretti.
 “Non possiamo attaccarli. Ci sono dei Babbani”.
 “E allora che facciamo? Gli diamo qualche pasticcino e li invitiamo a prendere un tè con il Cappellaio Matto e il Bianconiglio?”, sbottò Entity, nervosa. “Merda! Te l'avevo detto che dovevamo allenarci. Qui siamo troppo esposte!”
 Ginevra la ignorò. “Non si sono accorti che li abbiamo notati. Facciamo finta di nulla. Continuiamo a camminare finché non troviamo un punto isolato per smaterliazzarci o per combatterli”.
 “Chi ti ha eletta capo? Io ho voce in capitolo tanto quanto te”.
 “Hai un’idea migliore?”, la sfidò Ginevra, ma alla fine Entity non fiatò.
 Con gli occhi che continuavano a vagare per la vetrina, si passò le dita tra i capelli un paio di volte, con disinvoltura. I due Mangiamorte camminavano da un lato all’altro del marciapiede, lanciandole occhiate attente di tanto in tanto, ma nessuno di loro sembrava intenzionato ad attaccare tanto presto.
 Ginevra fece qualche respiro profondo, fingendo sconforto nel guardare il cartellino del prezzo di uno dei vestiti esposti nella vetrina, poi proseguì, svoltando l’angolo.
 “Sono proprio dietro di noi”, la informò Entity.
 “Mantieni la calma. Andrà tutto bene”. O almeno era quello che sperava, ma quando vide spuntare altri quattro uomini in nero dall’altro lato della strada, proprio di fronte a lei, per poco non arrestò il passo per la sorpresa.
 Indossavano già le maschere.
 “Merda!”.
 “Entity”, la richiamò Ginevra. “Guarda che imprecare non aiuta!”.
 “Be’, aiuta me a non mandarti a quel paese!”, ribatté lei pronta. “Ti avevo avvertita, ma tu non hai voluto darmi ascolto”.
 Mano a mano che si avvicinavano, Ginevra si accorse che alcuni di loro non dovevano essere molto più grandi di lei. Si scambiavano frasi sussurrate e spregevoli risatine rauche mentre i loro occhi si soffermavano su qualche donna di passaggio o su un bambino.
 Una serie di pensieri spiacevoli le sfiorò la mente provando paura per quello che avrebbero potuto fare a quei poveri innocenti, ma per loro fortuna i Mangiamorte non si soffermarono a lungo sui Babbani. Il loro obiettivo era lei, ormai era ovvio.
 Ginevra finse indifferenza e lanciò un’occhiata discreta alla sua sinistra. 
 C’erano altri tre Mangiamorte diretti verso di lei, dunque svoltò a destra e il suo cuore perse un battito quando vide altri due Mangiamorte avanzare da quella direzione.
 “Siamo circondate!”.
 “Ma va? Non me n’ero accorta”, replicò Entity, ironica. 
 “Non ti preoccupare, ce la faremo”.
 “Se hai un piano ti conviene parlamene, altrimenti mi metterò a bruciare le chiappe di qualche schifoso Mangiamerda”.
 “Sono in troppi e la strada pullula di Babbani. Non possiamo”.
 “Oh, al diavolo i Babbani! Qui c’è in gioco la nostra vita”.
 “A volte il tuo altruismo mi commuove, Entity”.
 “Lo so, sono un amore”, cinguettò lei con tono infantile. 
 Ginevra accelerò il passo, puntando lo sguardo verso il bar a pochi passi da lei e, senza un attimo di esitazione, entrò.
 - Buongiorno, cosa prende? - domandò il barista quando la vide entrare. Era un uomo alto, stempiato, e con un gran sorriso stampato sulle labbra. 
 - Buongiorno - salutò educatamente. - Vorrei un tè al limone. 
 - Arriva subito.
 Lo ringraziò con un sorriso esitante e cominciò a guardarsi attorno, contando i Babbani attorno a lei. Sette Babbani, incluso il barista. Con discrezione lanciò un’occhiata verso l’uscita del bar e vide alcuni dei Mangiamorte passare a turno, senza perderla mai di vista. Sembravano degli avvoltoi. 
 Digrignò i denti. “Sono troppi”.
 “Ce la possiamo fare”, fu l’eco incoraggiante di Entity.
 “Ma non senza ferire qualcuno di innocente”. 
 Il suo pensiero andò subito a Kingsley, al quale aveva bruciato metà del volto il giorno in cui il suo potere era esploso a causa della Umbridge. Non voleva che accadesse di nuovo.
 “Ci serve aiuto”.
 Un lamento di Entity le echeggiò nella mente: “Ma è imbarazzante!”, piagnucolò.
 La ignorò.
 L’istinto le diceva di avvertire Regulus telepaticamente, ma non poteva permettere che lasciasse Sirius da solo, incustodito. Regulus non doveva sapere nulla. Controllò che il muro mentale tra di loro fosse alto e impenetrabile, in modo che lui non potesse vedere e sentire ciò che stava accadendo, e iniziò ad elaborare un piano insieme a Entity.
 - Ecco a lei, signorina - disse il barista versando la bevanda calda in una tazza. Ginevra lo ringraziò, ma prima di servirsi gli domandò a bassa voce: - Avete un telefono? Sono passata per una cabina telefonica ma era fuori servizio.
 Era una bugia, ovviamente, ma anche se era passata più volte davanti a un telefono pubblico non si era nemmeno azzardata a farsi vedere da uno dei Mangiamorte. Troppo pericoloso. Doveva essere discreta.
 Per sua fortuna il barista le disse che il telefono era in fondo a destra, vicino al bagno delle signore. Un ottimo escamotage per trarre in inganno i suoi aguzzini.
 Si allontanò dal bancone e andò dritta verso il telefono. Digitò il primo numero che le era venuto in mente e restò in attesa.
 - Pronto?
 Ginevra fu presa un po’ alla sprovvista da quella voce sconosciuta, ma dopo un attimo di esitazione, si lanciò. - Emily?
 La donna all’altro capo del filo rispose. - No. Sono Claire, la sua coinquilina. Chi la sta cercando?
 L’ansia cominciò ad assalirla. - Sono Ginevra. Sua nipote. 
 - Oh, ciao! - cinguettò Claire. - Emily mi ha parlato tanto di te e ho visto tutte le foto. Sono felice di dare una voce al tuo volto.
 Anche Ginevra conosceva Claire di fama: sapeva che era una Babbana, una ragazza dolcissima e divertente, stando ai racconti di Emily, e che non sapeva nulla sul mondo magico e sul vero lavoro della sua coinquilina.
 Ma di certo quello non era il momento adatto per fare una conversazione tranquilla e gioiosa.
 - Emily è in casa? - domandò glissando ogni tentativo della coinquilina Babbana della zia acquisita di fare conversazione. - È importante - aggiunse poco dopo, sentendosi in colpa per il tono sbrigativo.
 - Oh, ma certo. Te la chiamo subito - la voce di Claire si spense. Forse aveva intuito l’urgenza o che c’era qualcosa che non andava. 
 Dopo un ‘grazie’ appena mormorato da parte di Ginevra, chiamò Emily dopodiché ci fu solo il silenzio.
 Poi la voce di Emily Tonks risuonò dall’apparecchio. - Pronto? Ginevra, che succede?
 - Mi stanno seguendo.
 Non era necessario dire chi.
 Emily lo aveva capito immediatamente ed esitò qualche istante prima di chiedere con tono greve: - Sei sicura? Quanti sono? 
 - Ne ho contati undici. Ma non so se ce ne sono altri - rispose Ginevra, con il cuore in gola. Il respiro cominciava ad accelerare. Poi aggiunse a voce ancora più bassa: - Mi hanno seguita tutto il tempo ma non hanno attaccato, nemmeno una volta. Sono circondata. 
 - Sei da sola?
 - Sì, ma qui è pieno di Babbani. Non posso attaccare o seminarli tanto facilmente senza coinvolgere qualcuno - disse. - Ho bisogno di rinforzi.
 Emily sospirò, cominciando a pensare a una soluzione. - Dove ti trovi adesso? Da dove chiami? Dammi la tua posizione.
 Ginevra ubbidì immediatamente e, poco prima di riattaccare, Emily le raccomandò di rimanere lì e di non muoversi, a meno che non fosse strettamente necessario, promettendole di tirarla fuori da lì al più presto.
 Riagganciò la cornetta e sospirò.
 “E adesso? Che facciamo?”, domandò Entity. 
 “Aspettiamo i rinforzi”.
 “Scherzi, vero? Non possiamo restare qui senza far niente! Siamo abbastanza forti per battere ognuno di loro”.
 “Non voglio coinvolgere innocenti”, ribatté Ginevra, mostrandole il ricordo di quel giorno nell’infermeria di Hogwarts. “Ti prego”.
 Entity sospirò pesantemente e si arrese. “Detesto quando fai questi giochetti con me!”.
 Ginevra si allontanò dal telefono e si voltò per tornare al bancone. Ma si arrestò di colpo quando si ritrovò dinanzi a un Mangiamorte.
 Il cuore sobbalzò per la sorpresa.
 “Ma perché devo avere sempre ragione?”, fu l’immediata esclamazione di Entity.
 Il Mangiamorte mascherato, il cappuccio del mantello nero gli copriva la testa. - Sei appena arrivata e già te ne vai? - le disse a mo’ di saluto, con voce lenta e divertita. Tra le dita inguantate rigirava la bacchetta.
 Ginevra restò immobile. I pugni stretti lungo i fianchi, mentre i suoi occhi vagavano veloci per il locale in cerca degli altri Mangiamorte, ma era da solo; gli altri attendevano fuori. Non smettevano di tenerla d’occhio.
 I Babbani nel locale erano aumentati e alcuni di essi erano ragazzi poco più giovani di lei, forse persino di Harry. Ognuno di loro era in pericolo.
 Il Mangiamorte davanti a lei la osservò per qualche secondo inclinando la testa di lato, poi fece sparire la maschera con un leggero movimento della bacchetta, mostrandole il suo volto.
 Per quanto fosse cambiato, Ginevra lo aveva riconosciuto immediatamente; ricordava quel sorriso spregevole meglio di quanto pensasse. Era Marcus Flitt, l’ex capitano della squadra dei Serpeverde. Non si stupì più di tanto nel ritrovarlo in quelle vesti; il suo disprezzo per i Babbani e per i Mezzosangue non era mai stato un mistero.
 Fin dai tempi in cui frequentava Hogwarts, Flitt era stato il tormento di quei poveri ragazzi che lui e suoi compagni definivano “sporcizia”, “sangue sporco”. 
 In quel momento il disgusto di Ginevra era aumentato, più di quanto lo fosse già. 
 Lo vide arricciare le labbra, prima di avanzare d’un passo e sollevarle il mento con due dita. Gli occhi blu e profondi di Flitt erano fissi su di lei. - Ciao, bambolina. Ti sono mancato?
 Bambolina. Ancora quel nomignolo orribile! Le vennero i brividi quando lo sentì pronunciare quella parola con tono lascivo. Per non parlare poi di quell’inquietante abitudine del ragazzo di odorarle i capelli ogni qualvolta le stava vicino.
 - Per niente - sibilò lei. Si scostò in fretta e incatenò il suo sguardo a quello del Mangiamorte, rabbiosa. - Che cosa vuoi?
 Nonostante fosse visibilmente infastidito dal modo brusco in cui si era allontanata, Flint curvò le labbra in uno strano sorriso.
 - Che domanda stupida! Credevo che fossi una ragazza intelligente, ma evidentemente mi sbagliavo - disse.
 Avanzò di un altro passo, obbligandola a poggiare la schiena contro il muro accanto al telefono e le bloccò ogni tentativo di fuga, piantando le mani inguantate ai lati della sua testa e si abbassò a colmare la distanza fra di loro.
 La sua voce divenne poco più di un sussurro quando disse: - Chiunque tu abbia contattato non potrà aiutarti… Tu e tutti questi stupidi Babbani… sarete morti prima del loro arrivo se non farai quello che ti dico - il suo sorriso era crudele. 
 In quel momento la voce di Entity sibilò nella mente di Ginevra: “Uccidiamolo”. Stava ribollendo di rabbia quasi quanto lei e la voglia di accontentarla era sempre più invitante.
 “Non ancora”, ribatté Ginevra alla sua amica. “Sii paziente”.
 Doveva mettere più distanza possibile tra lei e quello schifoso, ma doveva sapere. Doveva sapere il perché lui e gli altri Mangiamorte non l’avevano ancora attaccata e quale fosse il loro piano.
 - Che cosa vuoi? - ripeté, mostrandogli che non aveva paura. 
 “Ho un pessimo presentimento”, sussurrò Entity mentre il sorriso del giovane Mangiamorte si ampliava.

 Dopo aver chiuso la telefonata, Emily si era messa le mani tra i capelli. La sua mente cominciò a elaborare un piano di soccorso, in fretta.
 Si sforzò di ignorare la sua amica, nonché coinquilina, Claire, che da quando la telefonata con Ginevra si era conclusa non aveva fatto altro che tempestarla di domande.
 - Che cosa ti ha detto? - fu una delle tante domande della ragazza. - Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma… Si trova nei guai? Chiamo la polizia? 
 Era preoccupata e temeva che fosse successo qualcosa di grave, ma Emily non sapeva cosa risponderle. Non poteva dirle la verità, era troppo da digerire.
 Disse solamente: - Niente polizia. Non è successo nulla. Stai tranquilla.
 Ma quella risposta non era riuscita ad ammansire Claire nemmeno un po’. Anzi, sembrava che fosse appena esplosa. - Come puoi dire una cosa del genere? - esclamò, stralunata. - Guarda che c’ero anch’io qui. E da quello che ho sentito sembra che sia successo qualcosa di grosso.
 Emily scosse la testa. - Ti fai i film mentali. 
 - Film mentali? - ripeté Claire. - Wow… Fai sul serio? Ti sembro un idiota? È da settimane che ti comporti in modo strano, ma ho fatto finta di niente perché pensavo che ti saresti confidata con me, ma a quanto pare mi sbagliavo.
 Emily non le diede retta. Andò dritta verso l’attaccapanni e prese il giubbotto. 
 - Si può sapere perché mi stai ignorando? - sbottò Claire tutt’a un tratto.
 - Non ti sto ignorando - esclamò. - È colpa del lavoro se ci siamo viste poco.
 Non era una bugia. Il lavoro l’aveva davvero sommersa, soprattutto nell’ultimo periodo. Claire credeva che facesse la hostess, il ché giustificava le lunghe assenze e le sparizioni improvvise, o almeno in parte, e non poteva sapere che il vero lavoro di Emily fosse così impegnativo.
 Claire sbuffò, stanca. - Oh, ti prego! So benissimo che mi nascondi qualcosa! Io voglio solo aiutarti - disse. - D’accordo. Non chiamerò la polizia, ma mi devi almeno dire la verità. Ci siamo dette sempre tutto. Tu conosci tutti i miei segreti e io conosco i tuoi. Perché adesso ti comporti così? 
 Sentirle pronunciare quelle parole fu come ricevere venti coltellate tutte, una dopo l’altra. Per sua fortuna le dava le spalle e non poteva vedere l’espressione contrita sul suo volto. 
 - Non puoi capire - disse mentre si infilava il giubbotto.
 Claire le fu accanto. - Certo che posso capire. Sono la tua migliore amica - disse. Dopodiché prese il suo giubbotto di jeans attaccato all’attaccapanni e se lo infilò.
 Emily la guardò. - Che stai facendo? Non ho tempo di giocare con te.
 - Vengo con te - rispose con determinazione.
 - Assolutamente no. 
 Voleva gridare, ma la voce sembrava non voler collaborare.
 - Allora dimmi la verità - la sfidò l’amica.
 Emily sbuffò, contrariata.
 Con Claire andava sempre a finire in quel modo. Doveva vincere la maggior parte delle conversazioni e delle liti. Per lei ciò che importava era che la verità saltasse fuori, dovevano essere trasparenti l’una con l’altra. La trasparenza, però, era una delle qualità in cui Emily non eccelleva affatto. Riusciva quasi sempre a mascherare con altre bugie, creando un circolo vizioso, e Claire non si era mai accorta di nulla o non aveva indagato più del dovuto davanti alle sue bugie… ma non quella volta. 
 Quello non era più un gioco tra loro. Era spaventata e voleva davvero sapere quale fosse il problema. Ma Emily non poteva dirle la verità. 
 Tutta quella insistenza, tutte quelle domande, la stavano facendo innervosire e tutto lo stress che aveva accumulato fino a quel momento sembrava fosse arrivato al limite. Si sentiva prossima a un'esplosione emotiva, e fu proprio quello che accadde all’ennesima insistenza di Claire.
 Emily esplose.
 - Vuoi la verità?
 Non aspettò una risposta. Tirò fuori la bacchetta che teneva nascosta nello stivale e la puntò contro le riviste di moda babbana di Claire, ammassate sul tavolino dell’ingresso, ed esclamò: - Wingardium Leviosa!
 Con immensa sorpresa di Claire le riviste cominciarono a fluttuare sopra le loro teste, poi fu il turno delle chiavi, delle scarpe abbandonate vicino alla porta d’ingresso e dei libri sugli scaffali là vicino.
 Fece tornare tutto al suo posto e, con le lacrime agli occhi, incrociò lo sguardo sconvolto di Claire. 
 - Sono una strega - disse con un’alzata di spalle. - Ecco la verità. Mentre parliamo, mia nipote si trova in pericolo, circondata da maghi oscuri che vogliono farle del male, e io devo andare a salvarla.
 Claire era sconvolta, ma non pronunciò una sola parola. Guardava ancora le riviste, i libri e le scarpe come se si aspettasse in qualche modo che riprendessero vita e la circondassero.
 Non si accorse nemmeno che Emily le aveva appena puntato contro quel bastoncino di legno magico. 
 - Avrei voluto dirtelo in un altro modo - le confessò Emily, affranta. - Ma ora devi dimenticare.
 Claire la guardò, confusa, e non ebbe il tempo di obiettare o di dire alcunché quando Emily sussurrò l’incantesimo: - Oblivion!


ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti! So che non è un granché come capitolo, ma ho avuto problemi con il mio computer e ho dovuto riscrivere tutto il capitolo. Spero comunque che vi sia piaciuto e vi do appuntamento al prossimo! 
E ci tenevo ad approfittare dell'occasione per augurarvi buone feste e ringraziare ognuno di voi che continuate a leggere questa storia.
A presto, 
18Ginny18 


 
  
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