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Autore: augurei    27/12/2023    0 recensioni
Il ponte cede sotto la rovinosa verità che vi riverso. Maitimo al mio fianco è un naufrago che non riconosce la terra che ha di fronte.
”Non è questa la maniera degli Eldar.”
“È la mia. Non sono forse anche io uno degli Eldar?”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Fingon, Maedhros
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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no sweeter innocence than our gentle sin

 

7 P.E.

 

Gli racconto del campo di primule. “C’era del sangue sui petali. Bellissime. Ho pianto come un bambino.”

Lo osservo infranto: il naso fratturato, l’orecchio mutilato, la mano assente, la grazia disfatta. A dispetto del volto martoriato, un inedito, pallido riverbero lo sublima di una tragica bellezza. È il compromesso che esige questa guasta terra: che nessuna vita possa nascere senza un primo, terrorizzato anelito; nessuna gloria vinta senza lo scotto del sacrificio. 
Spezzato, Maitimo non è mai stato più bello.
 
“Le ho guardate a lungo. Ho realizzato che mi guardi alla stessa maniera: come una primula insanguinata.”
Le mie parole gli scottano le guance.“Mi fraintendi.”
“Non ho detto che mi dia fastidio.”, rispondo brusco e seccato dalla colpa con cui mi guarda, come fossi una cosa guasta; ai suoi occhi voglio essere magnifico; voglio essere voluto. “Perlomeno mi guardi. A Alqualondë-”, espiro socchiudendo gli occhi. “La lama ti sibilava ancora quando ti sei voltato, cercandomi e trovandomi al tuo fianco, indenne e vittorioso, e mi hai guardato come io guardo le primule insanguinate dalla carneficina di orchi.”, come l’unica cosa pura e divina appena dopo il macello, lordo e profano.
 
“Ero grato di vederti salvo.”, ratto, per assolversi da un’accusa che non immagino nemmeno. “Ero grato di trovarti lì.”, confessa, infine, un peccato crudelmente estorto dal mio bisogno. 
 
Affetto una risata con i denti: lascio che la ruvida ironia forbisca un doloroso vagito. “Immagini spesso che tu chiami, e io non venga? Dopo tutto?”
“No, mai. Se potessi contenere il mio egoismo, non te lo permetterei comunque.”
“Non ero me stesso a Tirion.”, mugugno una litania antiquata e tediosa."Te l’ho già detto.”
“Avevi la grazia dei Valar, l’amore della tua famiglia e l’ammirazione del tuo popolo.”
“Ho tutto questo anche a Est del mare. Questa terra guasta e strana non è poi così male.”
Decido di far proseguire la litania - il mio assolo, antiquato e tedioso, che a forza di proporgli spero di fargli comprendere. “Non ero me stesso a Tirion, Russ.”
“Eri testardo anche allora. Per una buona volta: cosa vuol dire?”
 
Cullo tra le mani l’arto assente: gli ho inferto io la ferita più evidente ma sono arrivato troppo tardi per incidermi all’altezza del petto. Il mio desiderio inane immagina ora la mia lingua suturarne i lembi, infiltrarsi al suo interno e esorcizzare i demoni annidati nel suo cuore: forse infettarlo con un altro genere di veleno.
 
“Andammo a caccia con Makalaurë nei boschi di Formenos, e io mi distaccai per inseguire un cervo. Non eravamo distanti dal dominio di Oromë e m’imbattei in una delle sue serve, immersa fino alle cosce in uno stagno, nuda da quel che potei vedere. Accennò un inchino: doveva avermi riconosciuto nipote del re, e seguitò a fissarmi.” Mi sospendo a metà dall’aneddoto. L’attenzione di Maitimo è solenne e perplessa.”Io la fissai di ritorno - a lungo, infatti. Non fui affatto cortese.”
“Non biasimerò la curiosità di un ragazzo.”
Curiosità, in effetti. Vedi,”, umetto con la lingua parole che mi sarebbero valse il rogo.“All’epoca non ne provavo affatto per cosa si celasse dietro le sottane; era naturale che, qualsiasi cosa vi fosse, avrebbe fatto al caso mio.” Non gli confesso la mia solitudine: chiacchiere indecenti tra amici a cui non avevo diritto di partecipare; il posto lasciato vuoto accanto al mio da parte di un cugino corso appresso la sua prossima conquista. Maitimo era più astuto e discreto ma al mio sguardo pigro in fatto di donne non è mai sfuggita l’ombra di un morso alla base del collo, l’insolita piega dei vestiti, il timido graffio all’altezza della scapola. Inquisivo i segni di una passione segreta in offeso silenzio, biasimandone il malcostume. La nausea che mi montava nello scoprire la sua grazia svenduta la imputavo al disgusto puro e semplice anziché all’invidia; alla gelosia. 
“Ma così non è stato.”, sfuggo al baratro che tra noi le mie parole scavano socchiudendo gli occhi e cercando un ponte tra i nostri mondi: il corpo di una donna che, in diverso modo, conosciamo entrambi. “Era morbida e rotonda”, continuo. “Pensai che accarezzarla sarebbe stato un affare assai poco pratico: le mie mani sarebbero sicuramente scivolate sulle curve!”, rido di me stesso, della mia ingenuità che mi rattrista aver vissuto con terrore. ”Il suo corpo mi pareva gelatina, e il vuoto tra le sue gambe un posto solitario. La sua vista mi lasciò inappagato.” 
 
Il ponte cede sotto la rovinosa verità che vi riverso. Maitimo al mio fianco è un naufrago che non riconosce la terra che ha di fronte. ”Non è questa la maniera degli Eldar.”
“È la mia. Non sono forse anche io uno degli Eldar?”, ribatto: è un dato banale ma forse per questo il più importante: lo sfido a ribaltarlo. Io stesso vi ho a lungo provato. Sebbene in questa Terra di Mezzo la discordia del creato sia contesta nella sua singolare bellezza, i miei natali non conoscono che beato candore: sono nato incontaminato, perfetto, esattamente come dovrei essere. “Non siamo stati istruiti dagli stessi tutori? Non ci siamo saziati degli stessi frutti? Non patiamo le stesse ferite che tre decadi di tribolazioni ci hanno inferto? Sebbene, devo ammetterlo, per ragioni diverse.”
Alla mia logica inappellabile concede un sorriso. “Perdona la mia ignoranza, se puoi, ma non ho mai avuto ragione di dubitare della genuinità dei nostri costumi. Ero nobile, bello e benedetto: non ho fatto che prendere quel che mi veniva offerto.” Sorride sinceramente divertito e profondamente triste. “Da spossessato, mutilato e dannato avrò sicuramente modo di rifletterci più a lungo. Forse non comprendo la repulsione di cui parli ma conosco il tuo cuore più a fondo delle nostre leggi, e mi è più facile convincermi della sua bontà.”
 
Mi concede un’assoluzione che non avrei mai osato chiedere - mai sperato di ricevere. Mi ha tratto in salvo dal mio isolamento: potrei scoppiare a ridere se non fosse per la gravità del suo sguardo.
 
“Perché me lo hai taciuto?”
“Perché - perché?”
“Ti ho mai dato ragione di temermi?”
 
Il sopracciglio che inarco è un colpo basso: la stella a otto punte svettante sul suo petto segnala chiaramente a chi debba la sua lealtà - ma non voglio inferire ulteriormente. “Non ha nulla a che vedere con te. Non ne ho mai fatto parola con nessuno - capisci? La mia stessa esistenza era bandita dai decreti dei Valar, ma qui? Qui creiamo le nostre regole.”, sbuffo al ricordo dei primi scambi culturali con gli autoctoni. “Per Manwë: sapevi che per i Laiquendi non è nulla di eccezionale? Baciano sulle labbra chiunque a loro piaccia senza sprecare inchiostro in editti.” 
 
“Perché lo hai taciuto a me?”
 
Mi commuove il modo in cui si affranca un posto di riguardo nella mia vita, il segmento che traccia tra noi e tutto il resto: mi illudo di poter fare lo stesso svettando, brillante e prezioso, tra la masnada di fratelli e giuramenti che egualmente lo reclamano.
 
“Perché è aberrante questa brama per un mio simile tanto nel corpo.”, mi sospendo in quest’attimo che precede il tracollo. Potrei fermarmi del tutto: non mi comprende, forse, ma l’intensità del suo affetto detesta i miei segreti, pare, non me. Potrei trattenermi e accontentarmi di sapermi infine noto, visto e accettato almeno da qualcuno.
”Quanto nel sangue.”
 
Lungo il respiro che esala vedo scorrere tutti i momenti passati insieme, passati al setaccio, reinterpretati alla luce della mia grottesca libidine: ogni notte in cui mi sono appisolato nel suo letto, stremato dalla giornata e dalle nostre discussioni infinite; ogni sguardo, ogni abbraccio - persino quello in cui l’ho tenuto stretto portandolo in salvo. Vorrei difendere l’innocenza di ciascuno di essi. “Ti amo.”, e tanto basta, per me, a redimerli tutti. È vero: lo desidero assolutamente -  in modi che la mia innocenza riesce ad articolare solo attraverso un singolo imperativo: Prendimi. Il mio amore è molto più complesso di così. Vivo, incorrotto, a dispetto dell’emorragia di innocenza che tre decadi mi hanno inflitto solo grazie al mio amore. Un campo di primule insanguinate riesce ancora a commuovermi; guardo Maitimo - rotto e vinto, rinnegato e mutilato - con più tenera adorazione di quanto ne brami il corpo.  
 
Non è mero piacere.
 
No.”
 
È dolore. 
 
Sì.”, affermo testardo. “Cosa puoi sapere del mio cuore?”
 
“So che è turbato e oppresso.”, dice strofinandosi gli occhi e cancellandomi dai suoi pensieri. Quando li riapre, lo sguardo cala altrove - su una mappa che lo porterà dove la sua devozione giace: lontano da me. 



 

** Il titolo è tratto da Take me to Church di Hozier.
E' trascorso un bel po' di tempo dal mio ultimo ''cimento'': la ''penna'' è un po' atrofizzata ma mi ritengo soddisfatta, perlomeno, di averla tirata fuori! Da queste poche parole non speravo di cavare nient'altro che un esercizio di riscaldamento - o una prova a me stessa di essere ancora capace di produrre e terminare qualcosa che abbia le parvenze di un filo logico. Non ho intenzionalmente inserito coordinate spaziali per mia incapacità di farle fluire  in uno scritto che è per lo più introspettivo: fa niente! Imparerò col tempo :) ma per ora, questo è un gran traguardo personale. 
Comunque! Non ho maimaimaimai scritto niente nel fandom di Tolkien, quindi faccio un grandiiiiissimo saluto ai suoi frequentatori - e dato il periodo: buone feste! :)
  
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