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Autore: Shireith    29/12/2023    2 recensioni
Shiho si morse il labbro. C’era qualcosa di sbagliato in quel nome in bocca a uno Shinichi Kudo adulto, ma in qualche modo l’alternativa le sembrava ancora più sbagliata. Se Shinichi se ne accorse non lo diede a vedere. Shiho però sapeva che era bravo, bravissimo, a mentire.
Fin troppo.
«Stavo pensando… dovrei chiamarti Miyano, adesso?»

Storia scritta per la challenge Scambiamoci le penne indetta da Sia e Mari Lace sul forum Ferisce la penna.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lacerazioni

 È il regno di nessuno, un limbo dimenticato in un ritaglio di spazio e tempo. I ricordi le si accavallano in testa come monete in un barattolo. Una nebbia la separa dalla comprensione. Una voce le sta parlando.
 Le dice, urla: ricorda, ricorda.
 Ricorda: di avergli urlato contro. Erano in una stazione di polizia e stavano litigando. Non le importava degli agenti che li guardavano, che potessero pensare che erano solo due adolescenti che non avrebbero dovuto stare lì. Che lei era una criminale che non avrebbe dovuto stare lì.
 Aveva preso la frustrazione di entrambi e l’aveva resa di Shinichi, gliel’aveva riversata addosso come vomito. Lui le aveva preso la mano e lei si era ritratta come scottata.
 «Vuoi parlare?» gli aveva detto. «Allora parliamo.»
 
 
 L’adrenalina si era impossessata di lei tutta d’un colpo. Se ne andò lentamente, come acqua che fuoriesca da una perdita, e tutto quello che rimase fu la sensazione di tanti aghi che le si conficcavano nella pelle mentre qualcuno la prendeva a pugni.
 Shiho buttò un’occhiata veloce alla stanza in cui si erano rifugiati. A ridosso di un muro c’era un letto, al centro il tavolo, dall’altra parte un lavandino e il gabinetto. Nessuna doccia.
 «Chiunque fosse qui non ci teneva molto all’igiene.»
 Con la mano sulla porta Shinichi le lanciò un’occhiata allarmata. Diceva: come fai a scherzare in un momento simile? Ma non lo disse ad alta voce, si limitò a scuotere la testa come a volersi scrollare quella domanda di dosso. 
 Combattendo contro l’istinto di premere una mano sulla ferita che pulsava, Shiho si esaminò allo specchio. La maglietta era più rossa che bianca e Shiho soppresse un gemito quando la parte asciutta si staccò dalla ferita.
 Shinichi le si fece vicino ed esaminò la ferita con gli occhi. «Bisogna fermare il sangue. Faccio io.»
 Lo disse come un’affermazione, con quel tono che le faceva sempre venire voglia di protestare, o almeno di farlo penare prima di arrendersi al sì. Ma questa volta non c’era modo di evitarlo. 
 Con un cenno di riluttanza, Shiho piegò il collo di lato e sistemò la spalla per dargli accesso alla ferita. «Prima però lavati le mani.»
 Shinichi alzò gli occhi al soffitto. «Non mi dire.»
 Shiho non si era chiesta se le tubature funzionassero finché Shinichi non aprì il rubinetto dell’acqua. Shinichi prese della carta da un rotolo e si pulì le mani, poi si sistemò alle sue spalle. Con un panno pulito iniziò a tamponarle la ferita. Shiho serrò la mascella; i suoi occhi percorsero la stanza alla ricerca di una distrazione.
 «Dovremmo preoccuparci che qualcuno torni?»
 Shinichi non alzò gli occhi, si limitò a scuotere la testa. «No, siamo a posto. La stanza è inutilizzata al momento, chiunque vivesse qui non ci viene da un po’.»
 Seguì un silenzio durante il quale Shiho si rigirò in mente una possibile risposta. Era sempre così con Shinichi, un qualsiasi input lo portava a una deduzione piazzata con una noncuranza tale che non fare a meno di fissarlo e desiderare di sapere di più. Curiosità e orgoglio si batterono un attimo nella mente di Shiho prima che la curiosità vincesse; Shiho la maledisse con un’alzata di occhi al soffitto. 
 «Come lo sai?»
 «C’è un sottile strato di polvere su quel tavolo. Non c’è una sola sigaretta nel posacenere, il che è strano, perché chiunque vivesse qui non è abbastanza metodico da ripulirlo ogni volta.»
 L’ombra di un sorriso gli danzava sulle labbra.
 Poiché l’unica alternativa era il silenzio, Shiho disse: «Non so come hai avuto il tempo di notarlo.»
 «Mi sorprende che tu non l’abbia notato.»
 «Non sono io la detective.»
 Shinichi scrollò le spalle. «È un buon allenamento.»
 Senza contare che si trovavano in una base dell’Organizzazione e l’accortezza non poteva che giovare.
 C’era un silenzio fastidioso in quella stanza, una calma troppo calma per i suoi gusti. Shiho non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che in qualsiasi momento qualcuno sarebbe potuto entrare e sparare a tutti e due.
 Poi Shinichi disse: «Hai smesso di perdere sangue.»
 Fece un movimento brusco e Shiho sussultò.
 «Scusa.»
 «Fai piano.»
 «Prego per non averti lasciata morire dissanguata per terra.»
 «La ferita non è abbastanza profonda da farmi correre quel rischio.»
 «Ma potrebbe infettarsi.»
 E così dicendo Shinichi prese il kit del pronto soccorso e lo aprì sul tavolo.
 «Mi passi le forbici?» chiese Shiho.
 Shinichi le passò le forbici, la fissò un attimo di troppo. «Vuoi una mano?»
 «No.» Almeno questo preferiva farlo lei. 
 Lentamente, non senza che la spalla urlasse dal dolore al minimo movimento, Shiho tagliò una parte della camicia e la lasciò cadere per terra. Cercò di ignorare l’assoluto senso di vulnerabilità che provava in quello stato e tornò a guardare Shinichi. Avrebbe potuto girarsi, ma c’era qualcosa di protettivo nel guardarlo attraverso uno specchio, quasi fosse un vetro che li separava. 
 Shinichi prese un po’ di cotone e lo bagnò di disinfettante.
 «Devi…»
 «So come si disinfetta una ferita, Haibara.»
 Shiho si morse il labbro. C’era qualcosa di sbagliato in quel nome in bocca a uno Shinichi Kudo adulto, ma in qualche modo l’alternativa le sembrava ancora più sbagliata. Se Shinichi se ne accorse non lo diede a vedere. Shiho però sapeva che era bravo, bravissimo, a mentire.
 Fin troppo.
 «Stavo pensando… dovrei chiamarti Miyano, adesso?»
 Per l’appunto.
 Solo il suo cognome pronunciato ad alta voce era un’ammissione di colpa, un errore che si ripeteva ogni volta che veniva pronunciato. Shiho strinse le labbra. «Fai come vuoi.»
 Shinichi inarcò un sopracciglio ma non ebbe tempo di obiettare. 
 «Sai come si sutura una ferita?»
 «Per chi mi hai preso?»
 Shiho lo studiò nello specchio. Shinichi inspirò dalle narici.
 «Potrei avere un vuoto di memoria.»
 «Mh.»
 In altri contesti avrebbe gioito del trionfo, ma non aiutava che la ferita fosse su di lei. Comunque si permise di aspettare il tempo di un battito o due.
 Shinichi sbuffò. «Me lo vuoi spiegare o aspetti che mi metta in ginocchio?»
 No, bastava quello. 
 «Ti serve un porta aghi per tenere fermo l’ago», disse Shiho. «Non dimenticarti i guanti.»
 «Sì, sì.»
 «Sai come applicare il filo?»
 Shinichi la guardò serissimo. «Che cos’è un filo?»
 Optando per l’alternativa matura, e cioè ignorarlo, Shiho gli spiegò come usare le pinze per prendere un lembo di pelle mentre con l’altra iniziava la sutura. 
 «Assicurati che entri a un angolo di 90 gradi.»
 Shinichi fece come detto e Shiho strinse i denti quando sentì l’ago trapassarle la pelle.
 «Scusa», disse Shinichi.
 «Stai andando bene.»
 Shinichi sapeva essere un buon studente se ascoltava, il problema semmai era convincerlo ad ascoltare. Con l’aiuto delle pinze, Shinichi portò l’ago dall’altro lato della ferita e lo avvolse tre volte attorno al porta aghi, poi si servì della mano libera per tirare e fare un nodo.
 «Vedi? Facilissimo.»
 Shiho si lasciò scappare un sorriso. 
 Rimasero in silenzio mentre Shinichi ripeteva il procedimento una seconda volta. Ogni tanto Shiho lo scrutava da sotto le ciglia, attenta a distogliere lo sguardo non appena Shinichi avesse alzato il suo. Cosa che a un certo punto fece.
 «Posso farti una domanda?»
 Shiho si limitò ad alzare un sopracciglio, il che nella sua lingua significava sì. «Quella sensazione che hai quando c’è un membro dell’Organizzazione nei paraggi», Shinichi disse piano, «la senti anche adesso?»
 «Pensi che qualcuno di loro possa essere nei paraggi?»
 Shinichi scosse la testa. «No.» Fece una pausa, poi aggiunse: «È solo che non ho mai capito come funziona questo tuo ‘sesto senso’.» Lo disse come fosse una bugia che reputava stupida. Shiho non poteva biasimarlo. 
 La verità era che nemmeno lei sapeva come spiegare quella sensazione che s’impossessava di lei violenta come uno schiaffo, sapeva solo che era abbastanza da congelare ogni centimetro del suo corpo fino a farle desiderare di sparire. Avrebbe potuto dirgli una bugia, ma Shinichi era bravo, fin troppo, a scoprire le sue bugie. Il velo sottile che separava le bugie di Shiho dalla verità di Shinichi era un’intimità che la metteva a disagio. Di solito optava per mezze verità o sarcasmo, ma nessuna delle due al momento sembrava potesse avere qualche valenza.
 Così, anziché andare alla ricerca di un modo, gli disse proprio quella verità.
 «So solo che a volte posso percepire il pericolo.»
 Soprattutto se si trattava di Gin, che infinite volte le era danzato attorno in laboratorio e il cui solo sguardo la faceva sentire nuda. Lo odiava tanto da desiderare che fosse morto, che fosse lei stessa a ucciderlo. Solo sapendo che non era più vivo in nessun luogo al mondo poteva sentirsi serena in un corpo che non sapeva come occupare.
 Shinichi annuì. «Mi capita di provare una sensazione simile quando sto per risolvere un caso.»
 «Non quando senti che una persona nei paraggi sta per essere colpita dalla tua sfiga?»
 «Ah-ha.»
 Quarta sutura andata.
 «Sono serio. È come un prurito fastidioso, una cosa di cui non riesco a liberarmi.»
 I sei mesi vissuti nel corpo di Ai Haibara non le sembravano reali. Anche come bambina, non poteva scrollarsi di dosso la sensazione degli occhi di Gin.
 Lo capiva bene.
 Shiho stava per rispondere, ma qualsiasi cosa volesse dire fu inghiottita dal rumore di una porta che veniva aperta sbattendo.
 
 
 Particelle di polvere danzano alla luce del sole che fende la stanza attraverso le persiane. Shinichi è seduto su una sedia alla destra del letto d’ospedale; più Shiho lo osserva e più le sembra che le scoppi la testa.
 «Poi è arrivato qualcuno», Shinichi continua, «e mi ha sparato. Ma tu ti sei presa il proiettile per me.»
 Shiho si passa le mani tra i capelli. Vorrebbe premere contro il cranio finché non smette di pulsare. «Quelli dell’Organizzazione mi hanno scambiata per un manichino al poligono.»
 Di nuovo si aspetta quell’espressione allarmata di Shinichi, invece Shinichi scoppia in una risata piena di isteria.
 Shiho chiude gli occhi.
Ricorda, ricorda.
 ‘Se muori adesso ti vengo a prendere e ti ammazzo io, è una promessa.’
 L’ha detto Shinichi? Sono parole così strane in bocca a lui, eppure la voce che le rimbomba in testa è proprio la sua.
 «Jodie-san è qui fuori», Shinichi dice prima che Shiho possa scavare a fondo in quel pensiero. «Vuole parlarti.»
 «Di cosa?»
 Shinichi si stringe nelle spalle.
Ricorda, ricorda. 
 La litigata che hanno avuto in una centrale di polizia prima che tutto andasse a rotoli. Shinichi che insisteva che rimanesse al sicuro, lei che, stanca, gli rinfacciava tutto. Le bugie, come se poi lei non ne avesse avute di sue. 
 «Kudo?»
 Edogawa, stava per dire. Ma va bene, Kudo va bene: finché è un cognome quello che esce dalla sua bocca c’è distacco, non intimità. Anche se il fatto che si sia presa un proiettile per lui non fa che suggerire altro.
 Lui piega la testa di lato, in attesa.
 «Scusami. Per… non lo so. Tutto, immagino.»
 Scusami, e grazie, dovrebbe aggiungere: grazie di avermi salvato la vita più volte di quante ne possa contare, più di quante possa ripagare. La lista delle persone che si sarebbero sacrificate per Shinichi Kudo è più lunga della lista di persone che la vogliono morta, eppure questa volta, in cima a quella lista c’è lei. 
 Shinichi sta per uscire dalla stanza quando gli dice: «Vedi di non prenderti un altro proiettile mentre sono via.»
 E Shiho pensa che va bene così. Per una volta, va bene così.
 
 
NOTE ⇨ E niente signore e signori, a me continua a far ridere il fatto che nel manga siano passati sei mesi, ma ogni tanto il canon faccio finta di prenderlo in considerazione (quando mi fa comodo e non mi tange). E tu, cara Ily, tu mi avevi chiesto Shiho che veniva ferita, e io l’ho ferita e poi l’ho ferita di nuovo, quasi uccisa – insomma, va bene lo stesso, no? Spero di sì. Ti ringrazio di avermi lanciato questo prompt perché ogni tanto mi fa bene una spinta in più a scrivere, sennò continuo sulla strada dei trecentoventimila-e-qualcosa (numero accuratissimo) WIP iniziati e mai finiti. E grazie anche a Mari Lace che mi ha betato la storia 🩷
 
   
 
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