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Autore: Ode To Joy    29/12/2023    1 recensioni
[Chuuya & Dazai]
[Odazai]
Chuuya si sedette sullo sgabello, accanto al suo partner. Nessuno lo aveva invitato, ma non gli importava.
“Che stai facendo?” Domandò Dazai, cercando di mantenere tra di loro tutta la distanza possibile - meno di una ventina di centimetri.
“Ai pianisti serve molta pratica, l’hai detto tu,” disse Chuuya, poi indicò i tasti con un cenno del capo. “Avanti, fai pratica.”

Chuuya si perde tra i gli innumerevoli piani dei cinque grattacieli della Port Mafia e sorprende Dazai suonare un pianoforte a coda. Da lì, le cose degenerano…
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
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Note d’introduzione: questa storia nasce un paio di anni fa per un Cow-T, con l’intenzione di pubblicarla una volta finita la storia principale di cui è una sorta di Spin- Off. Ma, è risaputo, sono lenta. Pur essendo collocata all’interno dell’universo della serie These Brand New Pages, questa one-shot si può leggere tranquillamente da sola. Per chi ha familiarizzato con questo Macro-What if, invece, si colloca cronologicamente tra gli eventi di Too Red To Be Blood e quelli di Poems By A Ghost (Dazai ha 17 anni in questa storia). 

Vi sono dei riferimenti alla novel Stormbringer. Non è necessario averla letta per comprendere la storia, consideratelo un avvertimento spoiler per chi non l’ha ancora letta e vuole evitare anteprime indesiderate.

Gran parte di questi 10k sono retti dalla dinamica tra Dazai e Chuuya, che considero i protagonisti effettivi di questa. Piccola digressione Odazai nella seconda parte e sul finale. Anche se, come spesso accade nelle mie storie, è Mori che ruba la scena.

Spero di non avervi annoiato e che questa storiella vi faccia buona compagnia.

Buona lettura.


Le Pianiste Nocturne 


"Tre cose sono necessarie per un buon pianista: la testa, il cuore e le dita.”
(Wolfgang Amadeus Mozart)


Chuuya si era perso.

Succedeva almeno una volta al mese ed era un’umiliazione non da poco. 

A Dazai quelle cose non capitavano mai e anche se il rosso avesse chiamato il Boss in persona per farsi dare una mano, sarebbe toccato allo Sgombro andarlo a recuperare.

“Chuuya si è perso nella sezione 3 del grattacielo 4. Ci pensi tu?”

“Con piacere, Boss!”

Sì, lo faceva anche con piacere, così poteva sbattergli in faccia tutte le smorfiette derisorie del suo repertorio e mortificarlo, mentre lo accompagnava alla meta che Chuuya aveva - sempre per poco - mancato.

Il Boss non si faceva problemi con quel genere di piccoli imprevisti. “Questi grattacieli sono come dei labirinti anche per me,” lo rassicurava, ogni volta. “Può capitare di smarrire la strada.”

Poi arrivava lo Sgombro, con la stronzata del giorno già pronta in punta di lingua. “Se rimanessi a lavorare nel settore di tua competenza, invece di proporti come uomo Jolly da usare dove serve, mi eviteresti la noia di venirti a recuperare,” diceva, poi sfoggiava un sorriso diabolico dei suoi e aggiungeva: “se mi faccio sfruttare, la strada per divenire Dirigente sarà più breve, è questo che pensi, vero? Prenditi tutto il tempo del mondo, Chuuya, ormai ho vinto io!”

A quel punto, al rosso rimanevano due opzioni: strangolare il proprio partner a morte - ma Mori non avrebbe mai lasciato correre anche quell’imprevisto - o andarsene, tenere il prurito che sentiva alle mani per sé e sfogare la rabbia che provava per Dazai Osamu ringhiando un insulto dopo l’altro.

Chuuya guardò il foglietto tra le sue mani, su cui erano state scritte tutte le indicazioni del caso: entra dal secondo ingresso, usa le scale fino al terzo piano, poi prendi l’ascensore 5 e premi il pulsante 63. In fondo alla pagina, il Boss aveva aggiunto un ottimistico non puoi sbagliare! con tanto di smile che faceva la linguaccia.

La verità era che a Chuuya piaceva prendersela con Dazai, ma Mori non era meno colpevole delle sue disgrazie in quelle circostanze.

Prese un bel respiro e, con la mente, ripercorse i passi che aveva fatto: era andato tutto bene, fino all’ascensore 5. Una volta che le porte scorrevoli si erano aperte e Chuuya si era ritrovato di fronte alla pulsantiera, era cominciato il panico. In cima aveva visto il 34, nessun 63. A seguire, aveva trovato delle opzioni assurde come 34-ovest o 34-est.

Nel pallone totale, Chuuya aveva selezionato il piano che a suo parere lo avrebbe dovuto portare più in alto, con l’intenzione di ripiegare poi sulle scale. Si era consolato con il pensiero che nessuna rampa lo avrebbe mai portato a sbattere contro un muro.

Peccato che di scale lì non ce ne fosse l’ombra, nemmeno di quelle di emergenza. Nulla l’avrebbe fermato dal parlare al Boss, con tutta la veemenza di cui era capace, della mancanza di dispositivi di sicurezza al qualunque-cazzo-di-piano-sia. Ma non poteva farlo se non usciva di lì.

Chuuya decise di farsi furbo: il Boss e lo stronzetto nero erano fatti della stessa pasta e andavano evitati a priori. Certo che sarebbe stata una vittoria facile, il diciassettenne cercò in rubrica il contatto della salvezza e premette il tasto di chiamata.

“Non ho la minima idea di dove tu sia.” Fu la risposta di Kouyou alla sua richiesta di aiuto. “E sono troppo impegnata per allontanarmi dal mio settore. Chiama Mori, tanto non ha mai niente da fare, a parte stare seduto tutto il giorno nel suo ufficio.”

La sua Maestra riagganciò senza dargli nemmeno il tempo di ribattere. E Chuuya se ne rimase così: a bocca aperta come un idiota, nel bel mezzo di un corridoio che poteva benissimo trovarsi all’altro capo del mondo a interoggarsi sul perché tutti muovessero mari e monti per Dazai, mentre lui doveva essere quel povero stronzo che si risolveva i problemi da solo.

Si trattenne dal gettare l’apparecchio a terra e ridurlo a mille pezzi per i nervi: era il suo unico mezzo di salvezza.

“Calma,” si disse. “Adesso busso a qualche ufficio e mi faccio dare indicazioni.” Non era un’opzione così tragica, non prevedeva la presenza di Dazai ed era funzionale allo scopo.

Chuuya guardò su, poi guardò giù. Ci mancò che gli cadessero le braccia per la frustrazione: in quel corridoio non c’era neanche l’ombra di una porta.

Chuuya fissò la vetrata alla sua destra e uno scorcio del porto di Yokohama rispose al suo sguardo - se si fosse spostato un po’ di lato, sarebbe anche riuscito a intravedere Suribachi. Si diede una dozzina di secondi per riflettere attentamente su quanto un vetro rotto potesse provocare l’ira del Boss. 

“Meglio un vetro che tutto il palazzo,” concluse in autonomia. Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, poi sollevò il piede dentro. 

Le note di un pianoforte arrivarono e lo distrassero dal suo intento. Anzi, lo colpirono tra capo e collo, al punto che perse l’equilibrio e atterrò di faccia contro la vetrata. “Porca puttana,” la voce gli uscì nasale, patetica, a causa del forte dolore al naso. Se lo massaggiò, certo che si sarebbe ritrovato con i guanti sporchi di sangue. Fu fortunato: aveva fatto un gran male, ma non si era rotto nulla.

“Ma chi cazzo è che suona in un posto come questo?” 

Armato della sua pazienza ridotta a brandelli e dell’immenso bisogno di sfogare il malanimo contro qualcuno, Chuuya tornò a camminare lungo quel maledetto corridoio. Su quel piano non c’erano porte, non c’erano scale, solo un ascensore che era come l’ingresso in un vicolo cieco, però qualcuno ci aveva portato un pianoforte. Mentre rifletteva sull’assurdità della cosa, Chuuya si ritrovò di fronte all’ingresso di una grande stanza circolare che non aveva porte. Da lì, la vista sul mare era molto più chiara e decisamente pittoresca. In linea d’altezza doveva trovarsi direttamente sotto - di molti piani - all’ufficio del Boss della Port Mafia, o quasi.

Per quanto incantevole fosse il panorama, Chuuya non gli dedicò più di un’occhiata fuggevole. “E tu che diavolo ci fai, qui?”

Se il pianoforte a coda al centro della stanza era una sorpresa, chi vi era seduto davanti era un vero e proprio colpo di scena.

Dazai Osamu allontanò le mani dai tasti di colpo, come se scottassero, interrompendo la sua esecuzione con una nota stonata. Entrambi gli occhi scuri - evento più unico che raro - guardarono Chuuya come se la sua sola presenza bastasse a offenderlo.

“Vattene,” disse, lapidario.

Fermo sull’ingresso, Chuuya strabuzzò gli occhi. “Prego?” Aveva cercato una via di fuga fino a pochi istanti prima, ma ora aveva delle domande a cui pretendeva che qualcuno rispondesse. Suo malgrado, lì, oltre a lui, c’era solo lo Sgombro. Per una volta, era proprio la sua presenza a rendere tutto più interessante.

“Non bastava che fossi un idiota, ora sei anche sordo?” Dazai era arrabbiato. Era un sentimento sincero, che di rado il suo partner gli aveva visto esprimere. Nelle loro dinamiche quotidiane, Chuuya era sempre quello a perdere le staffe per primo e lo Sgombro a ridersela a sue spese. Se il rosso aveva mai toccato un nervo scoperto del partner, lo aveva fatto in modo totalmente involontario. Quando accadeva, le conseguenze erano essenzialmente due: primo, Dazai aveva una reazione esagerata a qualcosa di oggettivamente stupido; secondo, troppo impegnato a contenere tale reazione, Chuuya non aveva il tempo di capire che cosa avesse detto di sbagliato.

Quel giorno era diverso.

Chuuya non aveva detto qualcosa, aveva fatto molto di più: lo aveva beccato sul fatto. 

E l’evento gli provocò un’euforia che non provava da un po’.

“Ah!” Gli puntò l’indice contro, con un ghigno vittorioso a illuminargli il volto. “Non puoi più nasconderti: tu suoni il piano!” Il pensiero attraversò la mente di Chuuya, sedimentò e prese forma per quello che era. Un istante dopo, quegli occhi azzurri rifletterono solo delusione. “Tu suoni il piano?” Ripeté, rendendosi conto che non era né assurdo né compromettente.

Dazai sbuffò, gli occhi scuri fissi sui tasti bianchi e neri.

“Sei arrossito?” Domandò Chuuya.

“No, scemo.”

Per nulla convinto dalle parole del coetaneo, il rosso si fece più vicino. “Ah, sei arrossito!”

Dazai lo spintonò via. “Stai lontano da me!”

“Giammai, voglio arrivare fino in fondo a questa storia!” Chuuya spostò gli occhi sullo strumento musicale. Non era un esperto, ma non sembrava particolarmente nuovo. “Da quanto tempo suoni?”

“Ho cominciato a quattordici anni, per sbaglio,” rispose Dazai, controvoglia.

Chuuya tornò a guardarlo in faccia. “Per sbaglio?” Domandò. “Sei caduto di faccia su di un pianoforte durante uno dei tuoi tentativi di suicidio, e ti sei riscoperto come nuovo Mozart?”

Dazai non lo degnò nemmeno di un’occhiata. “Il Boss ti ha raccontato di Ginevra e di quella nostra prima missione,” sollevò entrambi gli indici e i medi per imitare il gesto delle virgolette, “quando io avevo quattordici anni e lui era appena divenuto il nuovo Boss della Port Mafia? Bene, ho imparato in Germania.”

Chuuya sbatté le palpebre un paio di volte. “Eravate a Ginevra o in Germania?”

“Oddio, Chuuya, che differenza ti fa?”

“Che Ginevra è in Svizzera. Sono due fottuti paesi differenti!”

“Prima siamo stati a Ginevra. Forse ho suonato per la prima volta lì, non ne sono sicuro,” raccontò Dazai, poggiando il gomito sul pianoforte. “Dopo siamo stati trasferiti in Germania per una questione di sicurezza.”

“Nazionale?”

“No, del Boss e mia.”

“Da quando la sicurezza di un Boss mafioso del Giappone diviene una questione di stato?” Da quando Chuuya era arrivato alla Port Mafia, nessuno gli aveva fatto segreto degli avvenimenti che avevano preceduto la sua entrata in scena. Dopo che il Boss gli aveva confessato di aver ucciso il suo predecessore, sarebbe stato ridicolo fare altrimenti. Tuttavia, un conto erano i resoconti lineari e sensati di Kouyou, un altro era quando il Boss cercava di raccontare qualcosa e Dazai interveniva, poi Mori non concordava con la versione del più giovane e finivano per battibeccare tra loro.

Chuuya sapeva di un incidente avvenuto a Ginevra con un certo Lord Byron, ma i dettagli di quell’accadimento gli erano più che altro ignoti. Ora, dal nulla, saltava fuori che, tra la Svizzera e la Germania, Dazai si era riscoperto pianista.

“Non era una questione di stato,” precisò Dazai. “Era una questione personale ma…” S’interruppe e sbuffò di nuovo. “Perché sto perdendo tempo a parlare con te? Devo esercitarmi, ai pianisti serve molta pratica. Vattene, sciò!” Sottolineò quell’ultima parola con un esplicito gesto della mano, come se stesse scacciando una mosca.

Chuuya la colpì, infastidito.

Dazai lo guardò scandalizzato. “Le mani sono tutto per un pianista!”

“Tu non sei un pianista, sei solo un rompicoglioni!" Chuuya si sedette sullo sgabello, accanto al suo partner. Nessuno lo aveva invitato, ma non gli importava.

“Che stai facendo?” Domandò Dazai, cercando di mantenere tra di loro tutta la distanza possibile - meno di una ventina di centimetri.

“Ai pianisti serve molta pratica, l’hai detto tu,” disse Chuuya, poi indicò i tasti con un cenno del capo. “Avanti, fai pratica.”

I due diciassettenni si scambiarono una lunga occhiata. A un certo punto, il rosso si chiese se stessero giocando a chi avrebbe riso per primo - a volte lo facevano.

Alla fine, Dazai scosse la testa. “Io non sono qui per suonare per te.”

Chuuya allargò le braccia. “Pubblico a sorpresa!” Esclamò. “Se ti senti sotto pressione, meglio!”

Dazai assottigliò gli occhi. “Mi vuoi solo dare fastidio e prendermi in giro.”

“Certamente.” Chuuya non aveva motivo di nascondersi. “Ma ammetto di essere anche curioso.” Si guardò intorno. “Il Boss ti ha riservato questo piano appositamente per i tuoi esercizi?”

“Non esattamente,” rispose Dazai. “Questo piano è il regalo di un amico.”

“Amico tuo?”

“No, del Boss.”

“Un amico del Boss, che vive in Germania?”

“Sì, vive in Germania, Chuuya, smettila di sovrapporre i discorsi!” Esclamò Dazai, spazientito. “In breve: il Boss lo ha fatto spostare qui, perché questo piano è praticamente un vicolo cieco, non ci viene nessuno. A parte chi si perde… Ti sei perso?”

Chuuya era fermo nel non dire una parole delle circostanze che lo aveva condotto in quella sala della musica segreta. “Insomma, questo piano è qui per te, dove nessuno può disturbarti,” concluse. “Quando hai voglia, vieni qui, guardi il mare e suoni.” Mimò il gesto di suonare con tutte e dieci le dita.

Dazai lo giudicò in silenzio. “Non lo faccio solo io,” disse. “Anche il Boss viene a suonare, quando ne ha voglia.”

Chuuya lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. “Anche il Boss suona il pianoforte?”

“Lumaca, puoi smettere di dirlo come se fosse una specie di effetto speciale?” 

“Tu. Il Boss. Un pianoforte.” Chuuya insisteva perché davvero c’era qualcosa che non aveva senso in quella storia.

“È perché tu sei convinto che un mafioso non possa avere un talento che non abbia a che fare con sparatorie, spionaggio e insabbiamenti.” Dazai gli rivolse uno dei suoi sorrisi sarcastici. “Il fatto che tu non sia capace di fare nulla, a parte casino, non significa che le altre persone siano altrettanto aride e mediocri.”

Chuuya strinse i pugni e cercò una buona ragione per non afferrare quel pianoforte e gettarlo lontano, in direzione mare. 

“Dazai, ho-!”

“Ma porca puttana!” Chuuya saltò come una molla, con la mano destra cercò la sua pistola ma non appena vide chi gli era davanti, rinunciò. “Ah,” sospirò, aggiustandosi il cappello sopra la testa. “Hai portato qui anche Angoscia.”

Akutagawa Ryuunosuke, armato di un vassoio con sopra un sandwich e una bottiglietta d’acqua, si risentì molto per quel soprannome e non si vergognò a mostrarlo.

“Lo hai offeso,” disse Dazai. “Chiedigli scusa.”

“Non sa parlare da solo?” Domandò il rosso, indicando il ragazzino. “Siamo arrivati al punto che ti esprimi tu per lui?”

“So parlare benissimo da me, Sir,” rispose Akutagawa, appoggiando il vassoio sopra il pianoforte.

“Sir,” ripeté Chuuya, con una smorfia. “Moccioso, che ti sta mettendo in testa questo Sgombro? Chiamami per nome e falla finita!”

Dazai puntò l’indice verso il suo allievo. “Si chiama Lumaca. Te lo ricordi, vero?”

Akutagawa fece per rispondere.

“Giuro sull’intera Port Mafia che se solo provi a chiamarmi così, tu, lui,” Chuuya indicò Dazai, accanto a sé, “e questo cazzo di pianoforte, vi ritrovate in mezzo alla baia senza sapere come avete fatto.”

Akutagawa non pronunciò parola, rimanendo dritto al suo posto, come un soldatino ubbidiente in attesa di un ordine. Chuuya non poteva quantificare quanto aveva voglia di prenderlo a schiaffi e urlargli di darsi una svegliata. Sarebbe stato come sparare su di un uomo già a terra, così il rosso tornò a rivolgersi al suo partner. “Non puoi suonare davanti a me, ma suonavi davanti a lui.”

Dazai aveva la bocca piena, così si limitò a scuotere la testa.

“Quando siamo arrivati, mi ha mandato da Hirotsu perché gli preparasse un sandwich,” spiegò Akutagawa. “Dazai aveva fame.”

Lo Sgombro prese ad annuire, confermando la versione del suo cagnolino nero.

Chuuya era ancora lì, con una gran voglia di sbattere entrambi contro il muro. “Tu ordini al leader della Black Lizard di prepararti degli spuntini?” Non ne era veramente sorpreso: le volte che Hirotsu aveva fatto servizio al tavolo nell’ufficio del Boss non si contavano. 

Dazai ingoiò. “Come li fa Hirotsu…”

“Oh, certo, la Black Lizard per il prossimo anno aprirà una panineria.”

“Devo fare altro, Dazai?” Domandò Akutagawa, tradendo un poco di urgenza.

La sua postura era composta e l’espressione indecifrabile, ma Chuuya sentì che era nervoso: non voleva intromettersi in un momento tra i membri del Duo Nero. Beh, gli era andata male.

“Vieni un po’ qui.” Chuuya lo tirò per il braccio, spingendo Dazai a farsi più in là.

Con il boccone in bocca, il Dirigente si lamentò di qualcosa ma il suo partner lo ignorò. In un modo o nell’altro, tutti e tre si sedettero sullo stesso sgabello.

“Finisci di mangiare e suona,” ordinò Chuuya, assicurandosi di stringere Akutagawa in modo abbastanza saldo da evitargli ogni possibilità di fuga.

Dazai borbottò per tutti i cinque minuti che gli ci vollero per addentare quel sandwich fino all’ultimo boccone. Si pulì le mani strofinandole tra di loro e prese un respiro profondo. “Preferenze?” Domandò, sarcastico.

Chuuya sorrise soddisfatto. “Il Notturno di Cho-“

“Non lo so,” lo interruppe Dazai.

Il rosso lo guardò storto. “Ti scarico lo spartito da internet.”

“Non so leggere gli spartiti.”

“Mi prendi per il culo?!” Chuuya si agitò e, a causa dello spazio millimetrico in cui erano compressi, Akutagawa cadde a terra. Non fece in tempo a chiedergli scusa, che il quindicenne si alzò in piedi, guardandolo con rancore.

Chuuya strabuzzò gli occhi. “Ha intenzione di mordermi?” Domandò al suo partner.

Dazai simulò un sorriso intenerito. “Oh, ti ha rivolto la sua occhiata rabbiosa,” disse. “Nah, questo è niente. Quando risponde male, allora sì, che viene voglia di buttarlo dal grattacielo.”

Chuuya aggrottò la fronte. “Tu hai la facoltà di rispondere male?” Domandò al diretto interessato.

Il modo in cui Akutagawa dischiuse appena le labbra per prendere un respiro profondo fu la prova più evidente di quanto, in realtà, la sua pazienza fosse messa a dura prova sia dal Dirigente che dal suo partner.

Chuuya decise di avere pietà e di lasciarlo in pace. Tornò su Dazai. “Spiegami questa cosa per cui sei un pianista, ma non riesci a leggere uno spartito.”

Dazai sbuffò. “Anche Hans si era fissato su questo punto, quanto siete noiosi!”

“E adesso chi diavolo è Hans?”

“Memorizzo la sequenza dei tasti,” spiegò Dazai. “Non posso suonare un nuovo pezzo dal nulla. Prima di farlo, devo vedere qualcuno eseguirlo. Capisci?”

Chuuya tentò di fare due più due. “Se ora tiro fuori il cellulare e trovo il video di qualcuno che suona il Notturno di Chopin-“

“Se l’inquadratura è buona, me lo guardo un paio di volte e poi posso suonartelo,” concluse Dazai.

Chuuya era certo che lo stesse prendendo in giro. “Quando sono arrivato, stavi provando un pezzo. Che cos’era?”

“Nulla di classico.”

“Allora suona quello.”

“No, non posso.”

Chuuya alzò gli occhi al cielo. “Sentiamo, quali sarebbero le tue ragioni?”

“È una cosa intima, non ti riguarda.” 

“È una tua composizione?”

“Ti ho appena detto che non so leggere lo spartito, figurarsi scriverci sopra!”

“Allora suonala e basta!”

“No!” Dazai era irremovibile. “Ti ho detto che è una cosa intima.”

Chuuya a stento riusciva a immaginare che Dazai avesse una sfera tanto personale da definirla intima. “Ti ho chiesto di suonare, non di toglierti le mutande.”

Forse intimorito dalla piega che stava prendendo quel battibecco, Akutagawa si allontanò dal pianoforte per fingersi interessato al panorama.

“È una canzone noiosa,” insistette Dazai. “Non ti piacerebbe.”

Chuuya sbuffò. “Tra i pezzi che sai suonare, c’è qualcosa che mi piacerebbe?”

“Odio la musica che ascolti, quindi ne dubito.”

“C’è qualcosa di cantabile nel tuo repertorio?” 

Dazai non aveva bisogno di pensarci. “C’è molto di cantabile,” rispose. “La musica classica è utile per fare pratica, ma è noiosa.”

Almeno su qualcosa erano d’accordo, ma Chuuya lo tenne per sé. “Suona qualcosa che potrei conoscere anche io.”

Il Dirigente si grattò il mento, esaminando in silenzio le proprie possibilità. Una volta giunto a una scelta, le belle labbra si piegarono in un sorriso furbetto. Non disse nulla, si limitò a suonare.

E Chuuya gelò. Lo sapeva fare davvero.

Ipnotizzato dal movimento delle dita di Dazai sui tasti bianchi e neri, il rosso non si concentrò minimamente sulla musica suonata e non riconobbe il pezzo. 

Quando Dazai sollevò lo sguardo sul suo partner, alzò gli occhi al cielo nel vedere che si era come inceppato. Smise di suonare. “Chuuya!” Schioccò le dita in faccia alla Lumaca e questi scattò sull’attenti. “Hai riconosciuto la canzone?”

Chuuya aprì la bocca, vide Akutagawa - rimasto di stucco quanto lui - comparire alle spalle di Dazai e la richiuse. “Puoi ripetere?” Domandò, cortesemente.

“Che noia,” si lamentò il Dirigente, poi riprese a suonare il pezzo da capo.

Dopo un primo momento di confusione, Chuuya si animò di colpo. “Oh, sì, questa la conosco!”

“Cantala,” disse Dazai, sorridendogli.

“Eh?”

“Dai, lo sappiamo tutti che sai cantare. Cantala,” insistette il Dirigente.

Chuuya rimase fermo a boccheggiare, aspettando il momento giusto per intervenire. Non appena riconobbe le note una strofa che conosceva bene, cominciò a cantare: “We could have had it all. Rolling in the deep.”

Nel sentirlo, la sorpresa sul viso di Akutagawa si fece più evidente. Chuuya lo mandò al diavolo con un gesto della mano e ci mise anche più impegno: “you had my heart inside of your hands. And you played it to the beat.”

“Aspetta…” Dazai s’interruppe. “C’è una doppia voce su quel pezzo.”

Chuuya allargò le braccia. “Io ne ho solo una di voce. Come vuoi che la faccia?”

Dazai smise di suonare, si umettò le labbra e fece la sua proposta. “Canto io.”

“Canti tu?”

“Posso intonarmi a te senza problemi.”

“Oh, certo, prima pianista e adesso cantante.”

“Pronto?” Domandò Dazai.

Chuuya era nato pronto. “Vai.”

La musica riprese e il rosso seppe esattamente a che punto cominciare. “We could have had it all.”

“You're gonna wish you never had met me,” seguì Dazai. Lo stronzo aveva ragione: si era intonato alla perfezione.

“Rolling in the deep.”

“Tears are gonna fall, rolling in the deep.”

“You had my heart inside of your hands.”

“You're gonna wish you never had met me.”

“And you played it to the beat.”

“Tears are gonna fall, rolling in the deep.”

Dazai non gli diede altre istruzioni, ma non ce ne fu alcun bisogno. Si era innescato quel meccanismo che a Mori piaceva chiamare la magia del Duo Nero. Nessuno dei due aveva bisogno di dire nulla ad alta voce, ma entrambi sapevano esattamente come muoversi. 

Senza smettere di suonare, il Dirigente cantò la strofa successiva, poi fu il turno del suo partner. Andarono avanti così, perfettamente coordinati, fino al gran finale.

But you played it. You played it. You played it. You played it to the beat.” Cantarono Chuuya e Dazai in coro.

La canzone si concluse con una singola nota prolungata. Con le dita ancora sul pianoforte, Dazai sollevò lo sguardo sul coetaneo. I due membri del Duo Nero si guardarono negli occhi. Immobili.

Il primo a scoppiare a ridere fu Chuuya, ma Dazai gli andò subito dietro.

“Va bene,” disse il rosso, alzando le mani in segno di resa. “Sei uno stronzo, Sgombro, ma sai sia suonare che cantare. Che tu sia maledetto!”

“Mi stai facendo un complimento o mi stai mandando al diavolo?” Domandò Dazai, divertito. “Quale dei due?”

Tutte e due. Si ritrovò a pensare Chuuya, ma aveva il fiato troppo corto per parlare.

Un battere di mani li riportò entrambi alla realtà. 

Non appena portarono lo sguardo su di lui, Akutagawa smise di applaudire e intrecciò le dite dietro la schiena. “È stata un’ottima esecuzione, Sir.”

Chuuya storse la bocca in una smorfia. “Insisti con questo Sir, ragazzino?” Il cellulare nella sua tasca prese a vibrare e rispose, senza leggere sul display chi fosse. “Pronto?”

Disinteressato, Dazai continuò a suonare qualche nota a caso.

“Oh, Hirotsu!” Esclamò Chuuya, appoggiandosi sgraziatamente allo strumento e guadagnandosi un’occhiata storta da parte del partner. “No, non so di cosa parlasse Kouyou, non mi sono affatto perso. Sono qui, con Dazai, al 34-Est. Musica dal vivo, non puoi perdertela!”

Dazai sgranò gli occhi e cominciò a scuotere la testa.

Chuuya lo ignorò. “Anzi, sai che ti dico? Porta su tutti quanti! Chiama anche Kaji e che qualcuno si carichi in spalla una cassa di bottiglie di vino, insieme ai bicchieri!” Una pausa. “Esatto, piano 34-Est. Fai prima dall’ingresso secondario, ascensore 5 del terzo piano. Non puoi sbagliare!”

Una volta riattaccato, gli occhi scuri di Dazai gli riversarono addosso tutto il suo disprezzo. “Ti odio.”

Chuuya scrollò le spalle. “Puoi farlo anche mentre continui a suonare,” ribatté. “Avanti, stiamo per fare una festa qui, serve musica. Capito? Musica!”



 

Non appena il cielo divenne scuro, Mori sollevò gli occhi dai documenti che lo avevano tenuto impegnato tutto il pomeriggio e si stiracchiò per sciogliere un nodo doloroso alla base della schiena.

“È stata una lunga e noiosa giornata,” decretò, a nessuno in particolare.

Sbatté le palpebre un paio di volte e si sorprese di trovare il suo ufficio completamente vuoto. Sì, Elise era lì, accanto alla scrivania, che disegnava con i suoi pastelli colorati, ma dov’erano tutti gli altri?

Difficilmente una giornata di lavoro finiva senza che qualcuno della sua cerchia più stretta venisse a trovarlo in ufficio. A volte per ragioni di lavoro, altre per semplice diletto. Quella sera era diverso: non solo non c’era nessuno nel suo ufficio, ma non udiva alcun rumore da nessuna parte.

Nel dubbio, si alzò in piedi e attraversò la stanza per dare un’occhiata fuori: gli uomini di guardia al suo piano si erano volatilizzati.

“Sono fuggiti tutti?” Si domandò confuso.

Se c’era stata un’evacuazione di massa, nessuno si era disturbato a informarlo. Recuperò il cellulare dalla tasca del cappotto. Chiamò in quest’ordine: Dazai, Hirotsu e, infine, Chuuya.

Il primo gli buttò giù senza ritegno, gli altri due fecero partire la segreteria telefonica. 

Indispettito, Mori guardò l’apparecchio telefonico come se fosse il responsabile di tutte quelle stranezze. “Sotto un certo punto di vista, questa è vera e propria insubordinazione.”

A correre in suo soccorso fu la sua più affidabile alleata. Non appena vide il suo nome sul display del cellulare, il Boss della Port Mafia si sentì improvvisamente più leggero. “Kouyou,” disse. “C’è qualcosa di stra-“

“Mori, parla a voce più alta o non ci capiremo mai!” Urlò lei, dall’altro capo della linea.

Temendo per il suo timpano, Mori allontanò il telefono dall’orecchio. “Ma dove sei?” Chiese a voce alta, disturbando l’attività ludica della sua Elise. Gli sembrava di sentire della musica, ma più che altro un gran vociare. I suoi uomini stavano improvvisando un coro da stadio, per caso? E se fosse, per andare a fare il tifo per cosa?

“Scendi al 34-Est!” Ordinò Kouyou. 

Mori lasciò correre perché era lei. “Che diavolo sta succe-?”

“Scendi al 34-Est, invece di perdere tempo in chiacchiere!” La donna chiuse la comunicazione, lasciando il Boss della Port Mafia più confuso di prima.



 

Odasaku non fu tra i primi né tra gli ultimi a raggiungere il piano 34-Est.

L’ordine di presentarsi gli arrivò per telefono, dal leader della Black Lizard in persona. 

“Non ne sono sicuro,” disse Hirotsu, con un tono che il tuttofare non seppe interpretare. “Ma ho la netta sensazione che se ti perdessi questo spettacolo, non te lo perdoneresti.”

Non era un’emergenza, così Odasaku si prese tutto il tempo per arrivare dove doveva. Non era mai stato al 34-Est e arrivarci non fu così immediato. Non appena uscito dall’ascensore, il corridoio affollato di uomini vestiti in nero, impegnati a cantare o a bere, gli suggerì che qualcuno aveva organizzato una festa non ufficiale.

Le note del pianoforte lo raggiunsero in un secondo momento, mentre si faceva strada tra la folla. Intuì che l’unico modo per scoprire le ragioni dietro l’invito di Hirotsu era seguire la musica. L’assenza di una vera organizzazione e di un catering degno di tale nome, fece intuire a Odasaku che la festa era stata messa in piedi in un battito di ciglia. Non era l’evento privato di un mafioso dei piani alti. Piuttosto, l’atmosfera era quella di uno dei momento ricreativi del P.Pub, ma con più canti e più aggregazione.

Qualcuno lo spintonò in avanti e un uomo dai capelli biondi gli pestò un piede, senza fargli male. 

“Pardon monsieur,” disse costui, aggiustandosi la giacca bianca sulle spalle e sparendo tra la folla. 

Odasaku non ci fece particolarmente caso. Dopo mezz’ora di vagabondaggio a gomitate e spintoni, si ritrovò sull’ingresso di una stanza circolare. Fu allora che la situazione divenne improvvisamente chiara.

La nera folla di mafiosi era radunata intorno a un pianoforte a coda, cantando a squarciagola le canzoni suonate dal pianista. In un primo momento, Odasaku non fece affatto caso al ragazzo, vestito di nero a sua volta, alle prese con i tasti bianchi e neri. Non gli era possibile, non quando Nakahara Chuuya era in piedi sul pianoforte e incitava tutti a cantare più forte, brandendo una bottiglia di vino a mo’ di microfono.

“Forza, gente, tutti insieme!” Esclamò, poi aspettò che partissero le note del ritornello. “So wake me up when it's all over. When I'm wiser and I'm older. All this time I was finding myself, and I didn't know I was lost!

Come dei fan sfegatati a un concerto, tutti gli uomini della Port Mafia presenti lo seguirono in un coro abbastanza scoordinato, ma non così spiacevole d’ascoltare.

“So wake me up when it's all over

When I'm wiser and I'm older

All this time I was finding myself, and I

Didn't know I was lost.”

Chuuya alzò ancor di più la voce, cercando di sovrastare quella di tutti gli altri. Difficile dire se fosse ubriaco o semplicemente euforico, ma la bottiglia stretta tra le sue dita faceva presupporre più la prima ipotesi. 

“Da non crederci…” Quel commento dalle sfumature un po’ acide e un po’ incredule raggiunse Odasaku tra le cento voci che lo circondavano. Si guardò intorno e, in breve tempo, trovò e riconobbe l’uomo che lo aveva pronunciato. Superò un gruppetto intento a saltellare e allungò la mano per afferrare la spalla dell’amico.

Ango sobbalzò nel voltarsi, poi il suo volto divenne il ritratto del sollievo. “Oh, grazie al cielo sei qui!” Esclamò, a voce abbastanza alta perché l’altro potesse udirlo.

Odasaku gli arrivò accanto. “Che sta succedendo qui?” Domandò, con voce neutrale.

Ango gli circondò le spalle per parlargli vicino all’orecchio. “Circa un paio d’ore fa, è stato diramato un ordine dal leader della Black Lizard che diceva di dirigersi qui, al 34-Est e di portare vino e bicchieri.”

Odasaku diede un’altra occhiata ai mafiosi in festa intorno a lui. “Beh, di vino sembra esserne arrivato in quantità.”

Ango si allontanò da lui per sbuffare apertamente e indicare il diciassettenne dai capelli rossi in piedi sul pianoforte. “Guardalo, intransigente sul posto di lavoro, poi si trasforma in una rock star!”

Odasaku scrollò le spalle. “Non sta lavorando. Ha il diritto di divertirsi.”

“Non lo difendere!” Esclamò Ango, indispettito. “Già sento la sua voce fin troppo, durante le ore di lavoro. Stasera ha deciso anche di mettersi a cantare!”

“Non me ne intendo, ma sembra piuttosto intonato. È praticamente il cuore della festa.”

Ango assottigliò gli occhi. “Da che parte stai?” Non gli diede il tempo di rispondere. “Non ha importanza. Ora che sei qui, vedi un po’ di porre fine a questo casino. Fai finire la musica e facciamo tornare tutti alle loro postazioni di lavoro!”

L’angolo destro della bocca di Odasaku si sollevò un poco, divertito da quella richiesta a tratti disperata. “E come credi che possa fare?” Domandò. “Vuoi che spari due colpi in aria o preferisci che spari al pianista?” Stava facendo del sarcasmo, ovviamente.

Ango non la prese per nulla a ridere. Lo guardò come se gli fossero spuntate di colpo due teste. “Sei serio?”

“Non dovrei esserlo?”

“Hai visto chi sta suonando?” Ango lo prese per la giacca e lo spinse in avanti, regalandogli una visione chiara del pianista che stava animando la festa.

Dazai era in piedi, lo sgabello dimenticato alle sue spalle, muoveva la gamba destra per darsi il ritmo e suonava come se non fosse circondato da centinaia di persone urlanti. Le sue dita si muovevano su quella tastiera come se la musica fosse la sua seconda natura.

“Ti aveva detto che sapeva suonare il piano?” Domandò Ango.

Odasaku lo udì ma non gli rispose, come se fosse ipnotizzato da qualcosa. Era impossibile allontanare gli occhi da Dazai in quel momento e il fatto che avesse entrambi gli occhi scoperti non era neanche il dettaglio più impressionante.

“Sta sorridendo,” disse Odasaku, a voce troppo bassa perché qualcuno potesse udirlo.

“Eh?!” Chiese Ango, sporgendo l’orecchio nella sua direzione. “Che cosa hai detto?”

“Mi aveva detto che sapeva suonare il pianoforte,” disse Odasaku, tornando alla sua prima domanda. “È la prima volta che lo vedo con i miei occhi. Con me, si è descritto come un novellino alle prime armi.”

“Novellino?” Ripeté Ango. “Certo, come no! Novellino nel vocabolario di Dazai deve avere un significato a noi ignoto. Sta andando avanti da due ore e non si è vista l’ombra di uno spartito.”

“Andrà a memoria,” ipotizzò Odasaku, per nulla sorpreso.

“No, non hai visto la scena,” spiegò Ango. “Mezz’ora fa, sia Dazai che Chuuya erano a corto di pezzi di cui fare la performance. Mentre la gente beveva, si sono guardati un paio di video con il cellulare e sono ripartiti, come se nulla fosse.”

Odasaku scrollò le spalle. “Allora andrà a orecchio?”

Ango strabuzzò gli occhi. “So che stiamo parlando di Dazai, ma può andare avanti per decine di canzoni soltanto a orecchio?”

Il tuttofare non aveva una risposta da dargli. La canzone era arrivata al suo ultimo ritornello e Chuuya si stava scatenando ancor più di prima.

“So wake me up when it's all over. When I'm wiser and I'm older. All this time I was finding myself, and I didn't know I was lost. I didn't know I was lost. I didn't know I was lost. I didn't know I was looooost~” Preso dall’euforia, allungò l’ultima parola più del dovuto e continuò a cantare, sebbene la musica fosse ormai finita.

Poco male.

Non appena calò il silenzio, partì un fragoroso e sentitissimo applauso. Il tipo alla destra di Ango per poco non lo sbalzò dalla parte opposta della stanza per l’eccessiva agitazione. Odasaku lo afferrò al volo e lo rimise in piedi.

“È appena calato il sole su Yokohama!” Esclamò Chuuya, impugnando la bottiglia di vino come se fosse un microfono.

Da dove era, Odasaku vide Dazai alzare gli occhi al cielo.

“Sapete cosa significa?” Domandò il diciassettenne dai capelli rossi a tutti i presenti. “Che sono scese le tenebre ed è giunto il nostro momento!”

La folla gli diede ragione esultando e alzando le mani in aria.

“Perciò…” Chuuya puntò la bottiglia contro Dazai. “Musica Maestro!”

Il giovane Dirigente sbuffò. “Ho sete, Chuuya!” Si lamentò, guadagnandosi subito un’occhiata storta da parte del partner.

“Sta volando vino da almeno un’ora!” Esclamò il rosso. “Prenditi un calice. Qualcuno gli porti un calice!” Si rivolse alla folla.

“Voglio dell’acqua!” Ribatté Dazai, mettendosi in piedi sullo sgabello da pianista. Così facendo, Chuuya smise di essere il più alto nella stanza e l’atmosfera si fece di colpo meno festosa. 

Persino Ango trattenne a stento una risata. Sentendosi chiamato in causa - da non si sa chi o cosa - Odasaku allungò il collo per valutare se qualcuno si fosse premurato di portare dell’acqua, oltre a tutto il vino delle cantine della Port Mafia. Il suo intervento non fu necessario.

A evitare che la festa finisse in tragedia, con un bisticcio tra le due metà del Duo Nero, fu Akutagawa Ryuunosuke, che emerse dalla folla solo per passare una bottiglietta d’acqua al suo superiore e scomparire l‘instante seguente.

Dazai ne bevve una buona metà in un sol sorso. Una volta soddisfatto, saltò giù dallo sgabello e cercò gli occhi del partner.

Lo sguardo di Chuuya urlava ”muoviti!”

Quello di Dazai, invece, lo minacciava: ”indispettiscimi e la festa finisce qui.”

La musica riprese un istante dopo.



 

Non appena le porte dell’ascensore si aprirono, Mori vide qualcuno sfrecciare davanti a lui e schiantarsi contro il muro. Ci mancò poco che finisse investito e subito si pentì di aver ascoltato le parole di Kouyou. Mentre l’uomo a terra delirava qualcosa, forse ubriaco, quelli in piedi lo riconobbero e non ebbero il coraggio di fare o dire niente.

Mori non si curò di nessuno di loro, uscì nel corridoio e si fece spazio più o meno velocemente: all’inizio doveva sgomitare un po’, ma non appena lo guardavano in faccia, erano pronti ad arrampicarsi sui muri pur di lasciarlo passare. 

Quando udì chiaramente la musica del pianoforte sopra tutto il gran caos di voci e bicchieri che brindavano, era già oltre la porta della stanza circolare.

Lo spettacolo che gli si presentò davanti andò oltre ogni sua immaginazione.

“I've been reading books of old. The legends and the myths. The testaments they told. The moon and its eclipse. And Superman unrolls. A suit before he lifts. But I'm not the kind of person that it fits.”

Mori sapeva che Chuuya aveva una bella voce. Era capitato più volte che lui e Dazai si mettessero a fare gare canore in macchina, fino ad arrivare ad urlarsi in faccia l’un l’altro. Quello che mai si sarebbe aspettato era che riuscisse ad avere tanta presenza scenica su di un palco improvvisato - che era il pianoforte suo e di Hans, motivo per cui il moccioso avrebbe ricevuto un sonoro rimprovero.

“She said, where'd you wanna go? How much you wanna risk? I'm not lookin' for somebody. With some superhuman gifts. Some superhero. Some fairy-tale bliss. Just something I can turn to. Somebody I can miss.”

La canzone non era rumorosa e la voce di Chuuya la rendeva particolarmente godibile. Anche la folla doveva pensare, perché non cercava più di fargli da coro, bensì ascoltava.

Merito anche dell’arrangiamento perfetto del pianista. Mori allungò il collo e quando vide Dazai seduto di fronte al pianoforte, che muoveva le dita come se volassero, non poté evitare di sorridere in quel modo che non mostrava mai a nessuno.

“Bellissimo, vero?” Kouyou comparve dal nulla, attaccandosi al suo braccio. “Dov’eri finito? Credevo ti saresti perso questo spettacolo memorabile.”

“Potevi avvisarmi prima,” ribatté il Boss, imbronciato.

“Prima non ti sarebbe piaciuto,” si giustificò lei. “Chuuya ha dato il meglio e il peggio di sé nello stesso momento. Avresti disapprovato e basta, noioso come sei.”

“Chuuya sta cantando meravigliosamente,” commentò Mori. “Ma ti sei accorta che usa una bottiglia di vino come microfono, sì?”

Mon Dieu, non si può dire che brilli per i suoi modi aggraziati.”

Nell’udire quell’inconfondibile accento francese, Mori sgranò gli occhi e si voltò. “E tu che cosa ci fai qui?”

Sotto la frangia bionda, Paul Verlaine aggrottò la fronte. “Non ho il permesso di essere qui?” Domandò, perplesso.

“Non ha il permesso di essere qui?” Gli fece eco Kouyou.

Mori si ricompose. “No, certo, sei libero di andare dove vuoi, ma non mi aspettavo fossi qui.”

Verlaine incrociò le braccia contro il petto e appoggiò la spalla al muro. “Ho sentito la musica del pianoforte e mi è venuta curiosità,” si giustificò il francese.

Il Boss non gli credette per mezzo secondo. “Un pianoforte non ha una cassa di risonanza tale da-“

“L’ho chiamato io,” intervenne Kouyou, annoiata. “Aveva il diritto di vederli quanto te. Su, Mori, ora stai zitto, rovini la musica.”

Verlaine sospirò, abbattuto. “È così poco aggraziato.” Si riferiva a Chuuya.

“Mi duole dirti che non è mai stato un Petit Prince,” lo informò Mori.

“No, certo che no. Ha la natura di un guerriero e si atteggia come tale, ma speravo fosse più…” Verlaine cercò la parola giusta. “Raffinato, ecco.”

Di colpo, Mori ricordò perché tra tutti i suoi pretendenti europei, i francesi non avevano mai avuto alcuna speranza. “Domani lo iscriviamo a un corso di danza classica, ci stai?” Domandò sarcastico. “Ce lo portiamo, io e te. Immagina la scena.”

Verlaine simulò un sorriso, fingendosi divertito. “Le petit connard, invece, è molto bravo, non me lo aspettavo.”

Mori sbatté le palpebre un paio di volte. “Le petit… Come lo hai chiamato, scusa?”

“Basta, voi due!” Esclamò Kouyou, come se stesse richiamando all’ordine due bambini ribelli. 

Verlaine però aveva qualcosa d’aggiungere. “Non ti ricorda niente?”

“Cosa?” Domandò Mori, indispettito dalla presenza del francese che aveva appena insultato Dazai.

“L’Europa,” rispose Verlaine. “Quando ad animare i salotti dell’alta società era un pianista poco più grande di quello.”

Mori non ribatté. Pur non volendolo, la sua mente tornò indietro e all’immagine di Dazai si sovrappose quella di un giovane che non gli assomigliava quasi per niente, ma che suonava nel suo stesso, identico modo. Ingoiò a vuoto per scacciare via quel ricordo molesto, ma Kouyou si accorse che si era fatto più teso. 

“Di che state parlando, voi due?” Domandò la giovane donna.

Mori la ignorò e si rivolse al francese. “Ci siamo mai incontrati in Europa, io e te?”

“Un paio di volte,” rispose Verlaine. “Ma io non ero ancora nessuno, tu eri il Fiore d’Oriente di tutta Europa.”

Nel sentir pronunciare quel vecchio soprannome, Mori sbuffò. “Ti prego, dimentica quel nomignolo,” disse. “Ne dovremo parlare,” aggiunse, cambiando tono.

“Con molto piacere,” concordò Verlaine.

”Just something I can turn to. Somebody I can kiss. I want something just like this. Oh, I want something just like this. Oh, I want something just like this. Oh, I want something just like this.” Chuuya smise di cantare e tutti applaudirono.

Mori si ritrovò a fare lo stesso. “Da quanto stanno andando avanti?” Domandò.

“Non lo so con esattezza,” rispose Kouyou. “Chuuya si è perso mentre cercava un ufficio per te, ha trovato Dazai che suonava e da cosa è nata cosa. Sai come sono fatti i ragazzi.”

Mori inarcò il sopracciglio destro. “Avevo scritto a Chuuya di prendere l’ascensore 3.”

Kouyou alzò le spalle. “Lui ha letto 5.”

“Vogliamo sentir cantare il Dirigente!” Esclamò qualcuno, probabilmente ubriaco.

Mori rise tra sé e sé: nessuno nel pieno delle sue facoltà avrebbe chiesto a gran voce una performance canora del Demone fanciullo della Port Mafia. Peccato che lì, a causa del vino, fossero davvero in pochi a essere rimasti lucidi. Nel tempo di un respiro, decine di voci si alzarono, chiedendo che Dazai cantasse.

Il Boss divenne serio di colpo e fissò gli occhi sul diciassettenne seduto di fronte al pianoforte.




 

Di fronte a quel coro di richieste, Dazai guardò Chuuya, che alzò le spalle come a dire: che vuoi che ci faccia?

Il Dirigente scosse appena la testa. “Io non canto,” disse, a voce abbastanza bassa perché solo il partner potesse udirlo.

Chuuya alzò gli occhi al cielo e scese dal pianoforte con un saltello. “Il pubblico chiede di te, Sgombro,” disse, come se non fosse abbastanza evidente.

“Non so cantare,” ribatté Dazai.

“Inventane un’altra!”

“Non riesco a improvvisare come te!” Esclamò Dazai. “Devo prepararla una canzone, prima di cantarla in modo convincente!”

Chuuya reclinò la testa da un lato. “Prima, con me, hai improvvisato.”

“Stavamo giocando.”

“Lo stiamo facendo anche ora, Dazai,” ribatté il diciassettenne dai capelli rossi. “Lasciati andare, non stiamo decidendo le sorti del mondo. La gente è qui per divertirsi. Fai una cosa nuova: divertiti anche tu.”

Dazai sbuffò. “È tutta colpa tua!”

“Può darsi…” Chuuya si prese le sue responsabilità. “Mi fa piacere scoprire che anche una lagna umana come te è troppo orgogliosa per tirarsi indietro di fronte all’intera Port Mafia.”

“Che dovrei suonare e cantare, di grazia?”

Chuuya ci pensò. “Quando ti ho interrotto, stavi provando qualcosa,” ricordò. “Canticchiavi, ti ho sentito.”

Dazai sgranò gli occhi, poi aprì la bocca per parlare ma non fece in tempo a dire nulla.

“Stavi preparando una canzone per qualcuno?” Domandò Chuuya, dubbioso. Il pensiero lo colse lì, all’improvviso. La parte peggiore fu vedere Dazai sospirare, esasperato.

Il rosso sbatté le palpebre un paio di volte. “Stavi preparando una canzone per qualcuno, per davvero?

“Non è una canzone ballabile.” Dazai provò a togliersi dall’impiccio.

“Li senti?” Chuuya indicò la folla tutt’intorno a loro. “Non vogliono ballare, ma sentirti cantare.”



 

Ango cominciava a essere su di giri, ma Odasaku era certo che non avesse toccato una goccia di vino. Non da quando lui era lì, almeno.

“Giuro che se si mette a cantare…” Cominciò, prendendosi la testa tra le mani, quasi che la voce di Dazai da sola potesse scatenare qualche evento catastrofico.

Odasaku non lo capiva. “Canta bene,” disse, per rassicurarlo. “L’ho sentito, sa cantare.”

Ango lo guardò. “Qui non si tratta di canticchiare un brano in macchina, soprapensiero.”

Odasaku non poteva confidargli che lo aveva ascoltato anche in altre occasioni, tipo quando Dazai si faceva la doccia, dopo aver passato la notte insieme, mentre lui preparava la colazione per tutti e due. “Non è stonato,” insistette.

“Va bene, ma se comincia a cantare, io svengo.” Ango guardò l’amico dritto negli occhi. “Se svengo per davvero, mi sostieni, vero?”

Odasaku non ebbe il tempo di rispondergli. Sollevò lo sguardo sul Duo Nero solo per controllare se fossero arrivati a una conclusione. 

Fu questione di un millesimo di secondo.

Dazai si voltò, i loro occhi s’incontrarono e lo riconobbe tra la folla.



 

“Tu canti la tua canzoncina,” disse Chuuya, appoggiando la bottiglia a terra e mettendosi a sedere a cavalcioni sul lato dello sgabello lasciato libero. “Loro sono tutti contenti, poi io continuo lo show e chiudiamo in bellezza. Non se lo dimenticheranno per il resto della loro vita e sarà fantastico.” Ci mise un po’ a notare che Dazai fissava qualcosa tra le folla e non lo stava degnando della minima attenzione. “Ehi, Sgombro!” Chuuya gli strinse la spalla e lo scosse. “Mi stai ascoltando?”

“Va bene, lo faccio,” disse Dazai di colpo, portando gli occhi sui tasti talmente velocemente che il rosso fu certo di sentire il suo collo fare crick.

“Ok…” Mormorò Chuuya, incerto. Non si era aspettato che sarebbe stato così facile, né che Dazai ci avrebbe messo tanta determinazione. “Io resto qui… Così ti guardo da vicino…” Non sapeva neanche lui cosa stava dicendo, ma qualcosa era cambiato sul viso del suo partner e questo lo rendeva nervoso. “Dazai se proprio non vuoi-“

L’altro si voltò di nuovo verso la folla, come per cercare la conferma di qualcosa. 

Chuuya si sporse verso destra, ma non vide nulla che potesse giustificare quegli sguardi disperati.

Dazai drizzò la schiena, inspirò dal naso e Chuuya lo vide rilassare le spalle e concentrarsi.

La musica riempì il silenzio.

“Tell me you love me just one time. Just give me one night. I'll be the secret on your lips. Let me be that one kiss. If you fall. Fall into my arms. Come and fall. Break down your walls and…”

Dazai aveva una bella voce. Forse non aveva la stessa potenza di quella di Chuuya, ma nel momento in cui cominciò a cantare, gli occhi di tutti furono su di lui.

Non guardarlo divenne impossibile fin dalla prima strofa.



 

Non c’era nessuno.

“Tell me you love me one time. I can see the truth in your eyes. Say you will. Forget tomorrow and be with me tonight. Just tell me you love me one time. And this isn't goodbye.”

No, nessuno. Tranne loro due. 

Così Dazai si era sempre immaginato quel momento.

”I know I can't ask you to stay. But I've stayed awake. Now my eyes are open I won't miss a thing. Here is my heart and I hope that's ok. You are the one.”

Aveva raccontato a Odasaku del pianoforte, di come Hans gli aveva insegnato nella casa con giardino di Weimar - anche se, di fatto, aveva imparato completamente da solo.

E Odasaku gli aveva detto che gli sarebbe piaciuto sentirlo suonare, un giorno.

Da quando lo aveva fatto, Dazai non aveva pensato ad altro. Era tornato a esercitarsi tutti i giorni, aveva riflettuto su cosa Odasaku avrebbe preferito sentirgli eseguire.

”So If you fall. Fall into my arms. Come and fall. Break down your walls. And…”

Poi i suoi pensieri avevano invertito il senso di marcia. 

Il proposito era cambiato. “Voglio usare la musica per dire qualcosa?” Si era domandato Dazai. “Che cosa voglio dire a Odasaku?”

La risposta gli era arrivata in modo semplice, tanto che gli era sembrata banale, scontata.

Eppure…

”Tell me you love me one time. I can see the truth in your eyes. Say you will. Forget tomorrow and be with me tonight. Just tell me you love me one time.”

Dazai cos’altro avrebbe dovuto dire all’uomo che rappresentava il mondo per lui?

”Tell me you love me one time…”

Alla fine, andò proprio come lo aveva immaginato.

”Just…”

Tutto smise di esistere. 

”Tell me you love me one time.”

Tranne loro due.




 

La musica finì e con essa il canto di Dazai.

Seguì un silenzio decisamente attonito, come se la canzone avesse trasportato tutti verso orizzonti possibili solo in una dimensione onirica e ora li avesse lasciati svegli e boccheggianti, di fronte alla realtà materiale.

Chuuya stesso, che era rimasto a mezzo metro dal pianista per tutto il tempo, non sapeva dire che cosa fosse successo. Se avesse dovuto usare delle parole da teen-novel di seconda mano, avrebbe detto che Dazai li aveva fatti sognare e lasciati a bocca aperta nello stesso momento.

Di fronte a lui, Dazai era tornato a guardare quel qualcosa - o qualcuno - tra la folla, ma era troppo stordito per tentare di capire di nuovo chi fosse.




 

Ad un certo punto, tra la prima nota che Dazai aveva intonato e l’ultima, Mori si era pietrificato. Attaccata al suo braccio, Kouyou lo fissava, come se si aspettasse un qualche tipo di spiegazione.

Alle sue spalle, Verlaine disse quello che pensavano tutti. “Quella canzone era dedicata a qualcuno,” si sporse in avanti per sbirciare l’espressione del Boss. “Ton prince noir è innamorato, per caso?”

Mori si ricompose immediatamente. “Non diciamo sciocchezze,” disse, irritato dal semplice fatto che qualcuno lo avesse ipotizzato ad alta voce. “Dazai è annoiato dalla vita, figuriamoci se riesce a provare interesse per le persone. Per chiunque.”

Kouyou continuava a guardarlo fisso. “Quella era passione, Mori,” gli fece notare. “Non era una canzone, era una confessione d’amore.”

Il Boss allargò le braccia. “È un attore consumato, lo sappiamo bene. Verlaine, racconta di quando ti ha convinto che voleva tradire la Port Mafia e fare il doppio gioco con te.”

Il francese non gli diede soddisfazione. “A me sembrava più disperato che consumato, Mori.”

“È sempre disperato,” ribatté il Boss della Port Mafia. “Il suicidio è il suo primo pensiero, vi ricordo.”

Kouyou scosse la testa. “Quella era passione,” insistette. “Dazai dove la nascondeva tanta passione?”

“Basta,” disse Mori, fermo. “Da oggi in avanti, a voi due è categoricamente vietato frequentare gli stessi ambienti, specie in mia presenza!”



 

Si guardavano, Dazai e Odasaku e nessuno si accorgeva di loro, nonostante fossero sotto gli occhi di tutti.

Così era sempre stato e così sarebbe continuato a essere.

E andava bene.



 

Nell’udire Ango tirare su col naso piuttosto rumorosamente, Odasaku fu costretto ad abbandonare gli occhi di Dazai per valutare lo stato in cui versava l’amico.

“Ti sei commosso?” Domandò il tuttofare.

“No,” mentì Ango, aggiustandosi gli occhiali sul naso. Si ricompose, poi prese ad applaudire con un’espressione esageratamente solenne. Chi gli era intorno seguì il suo esempio e così via, fino a che tutta la stanza venne riempita da un fragoroso battere di mani.




 

“Cazzo, Dazai…” Furono le prime parole che Chuuya pronunciò, stringendo la spalla del partner. “Ma dove lo nascondevi tutto… Tutto… Tutto quello.” Non sapeva come definirlo, ma aveva incantato tutti. Suo malgrado, lui compreso.

Dazai lo guardò con un sorrisetto insopportabile dei suoi. “Visto?” Domandò, altezzoso. “Ti ho battuto anche stavolta.”

Tutte le intenzioni amichevoli di Chuuya finirono lì, con quelle cinque parole. “Ma vaffanculo!” Tuonò. “Dovevi farli divertire, mica piangere!”

Dazai accarezzò i tasti con la punta delle dita. “Domani, quando parleranno di questa strana festa, spenderanno due parole per te e passeranno il resto del tempo a commentare incantati la mia performance!”

Chuuya assottigliò gli occhi. “Adesso ti faccio fare una performance volante, vuoi vedere?” Tuonò.

“Basta così!” 

La voce di Mori arrivò a Chuuya e Dazai come un colpo in testa. Si scambiarono un’occhiata sconvolta, a tratti terrorizzata, e si voltarono molto lentamente nella direzione da cui proveniva.

“Vi siete divertiti abbastanza!” Disse il Boss della Port Mafia, gettato in mezzo alla folla tra un mafioso di basso rango e l’altro. “Direi che possiamo chiudere qui la- Ah!”

Tutti - ma proprio tutti - i presenti s’inginocchiarono al cospetto del loro leader nello stesso momento. Il movimento fu tanto brusco che Mori fu certo di avvertire la terra tremare sotto i suoi piedi.

Bene, si disse. Faccio ancora il mio effetto scenico.

Cercò Kouyou e Verlaine ma, come c’era d’aspettarsi, si erano volatilizzati, lasciandolo solo sulla scena.

Il palco era tutto suo.

“Signori miei,” cominciò. “Chi ha finito il turno, vada a casa. Chi deve ancora lavorare, se non è completamente ubriaco, torni alla sua postazione. Hirotsu?” Chiamò.

Il leader della Black Lizard si alzò in piedi dall’altra parte della stanza, vicino alla vetrata. “Sì, Boss?”

“Cerca di capire chi può reggere sul posto di lavoro e chi è troppo su di giri,” ordinò Mori, poi rivolse la sua attenzione ai due adolescenti vicino al pianoforte. Chuuya si era inginocchiato in un punto strategico: nascosto dietro lo sgabello. Dazai non si era affatto scomodato - e quando mai! - e lo guardava con le braccia incrociate contro il petto e l’aria annoiata, certo che nulla e nessuno l’avrebbe salvato da un’inutile ramanzina.

“Voi due andate a farvi una doccia e dritti a letto,” disse Mori, stancamente. “Domani mattina, vi voglio nel mio ufficio.”





 

Il concerto non era ancora finito, non per Dazai.

Sul momento, fece contento Mori e se ne andò insieme a tutti gli altri. Si chiuse nel suo appartamento al quartier generale, si fece una bella doccia calda e si mise dei vestiti puliti. Aspettò un paio d’ore, tenendo il cellulare sempre a portata di mano. Come ogni giorno, intorno a quell’orario, aspettava una chiamata, ma dopo gli eventi di quel pomeriggio, l’attendeva con una certa urgenza. Quasi con bisogno. 

Seduto scompostamente sul suo divano di pelle, Dazai controllò il display del cellulare tre volte in meno di mezz’ora. Alla fine, si diede del patetico da solo e si tirò in piedi con un saltello. Non poteva restare fermo a contare i minuti, doveva sgombrare la mente.

Si affacciò sul corridoio del suo piano per controllare che Mori non gli avesse mandato una scorta contro la sua volontà - un vizio che il Boss aveva fatto suo, dopo l’incidente con il Marchese De Sade. Non c’era nessuno in vista e sorrise soddisfatto.

Dazai era sempre stato bravo a muoversi senza farsi vedere, come se avesse il potere di confondersi con le ombre stesse. Nessuno si accorse di lui che usciva dall’ingresso principale e rientrava da quello secondario, per salire al 34-Est.

Aveva bisogno di suonare.

Era stato un pomeriggio di pratica intensa e sentiva le dita indolenzite e i polsi rigidi, ma c’era troppo caos nella sua testa e la musica era il solo mezzo attraverso cui poteva fare ordine, senza distruggere nulla. Mentre entrava nell’ascensore, controllò ancora una volta il display del cellulare: non vi erano notifiche di chiamate perse o messaggi non letti. Sbuffò.

Gli sarebbe bastato sentire la voce di una persona per resettare i pensieri. Conoscendolo, stava aspettando la fine del turno per chiamarlo in tranquillità, senza dover mettere un timer alla loro conversazione.

“Non dovevo cantare,” disse tra sé e sé, con voce lamentosa. “È tutta colpa di Chuuya.” Sì, sua e della brillante idea della festa organizzata su due piedi. Doveva pensare a qualche dispetto ai suoi danni, così da riportare le cose al loro naturale equilibrio. 

Le porte dell’ascensore si aprirono, Dazai mise un piede nel corridoio del 34-Est e il cellulare nella sua tasca prese a suonare. Il nome che illuminava il display bastò a strappargli un sorriso. “Ehi,” mormorò, come se qualche orecchio indiscreto potesse udirlo anche su quel piano fantasma. “Pensavo fossi ancora al lavoro.”

“Sono ancora al lavoro,” confermò Odasaku. “Volevo avvisarti che qui ne avremo ancora per un po’ e farò più tardi del solito.”

“Non importa,” rispose Dazai, facendo un passo alla volta, senza fretta. “Sono ancora qua, al grattacielo principale, anche io. Penso che ti aspetterò suonando qualcosa.”

Odasaku rimase in silenzio per il tempo di un paio di respiri. “Ti ho sentito suonare.”

Il sorriso sul volto di Dazai si fece più luminoso. “Lo so, ti ho visto.” 

“Ti ho sentito cantare,” aggiunse Odasaku.

“Sì, mi hai sentito cantare.” Le note del pianoforte lo bloccarono a metà del corridoio. Non fece un passo in più. “Ne parliamo faccia a faccia, di fronte a un drink? Seduti al bancone del P.Pub, magari. Non è il nostro Lupin, ma c’incontreremo tardi, troppo per arrivare là in una serata di metà settimana.” Inoltre, domani mattina devo cominciare la giornata con una paternale nell’ufficio dell’ultimo piano. Non lo disse, ma il motivo per cui non aveva alcuna voglia di affrontare chi lo aspettava nella stanza della musica.

“Pensavo a qualcosa di diverso,” ammise Odasaku. “Passiamo la notte insieme?”

Quella proposta gli era arrivata in decine e decine di circostanze, ma Dazai aveva l’impressione di camminare tra le nuvole ogni volta. “Rilancio: sali tu da me. Fatti una doccia, mettiti comodo…” Propose, trattenendo uno sbadiglio. “Domani sono convocato nell’ufficio del gran capo di buon’ora.”

Odasaku esitò. “Sotto gli occhi di tutti?” Obiettò. “Sei sicuro?”

“No, sotto gli occhi dei miei uomini, che sono ben pagati sia per farti passare che per essere discreti. Ricordi la strada?”

“Ricordo la strada.”

A Dazai gli angoli della bocca facevano male da quanto sorrideva. Questo era l’effetto che Odasaku aveva su di lui e non sarebbero bastate tutte le canzoni del mondo per descriverlo. 

“Ci vediamo in camera tua,” promise Odasaku. Il più giovane si mordicchiò il labbro inferiore, godendosi un brivido caldo che gli attraversò la schiena.

“Cerco di finire in fretta,” aggiunse Odasaku.

“Non ti preoccupare.” L’espressione sul viso di Dazai cambiò drasticamente. “Ho un ultimo lavoro da finire anche io.” Mentre il diciassettenne pieno di emozioni tornava a essere il Demone fanciullo della Port Mafia, la telefonata s’interruppe.

Le note che riempivano il corridoio semi-buio erano quelle della Für Elise di Ludwig van Beethoven. Un pezzo d’ingresso di poca difficoltà, ma che tra quelle mura era il biglietto da visita del padrone di casa.

Non appena Dazai comparve sull’ingresso della stanza circolare, Mori sollevò lo sguardo e gli sorrise. “Come immaginavo…”

Dazai alzò gli occhi al cielo. “Sì, sono qui, hai previsto bene le mie mosse. Devo far entrare la banda per la marcia trionfale?”

Mori non gli diede corda. Si spostò per fargli spazio sullo sgabello. “Vieni,” disse. “Siediti qui con me.”

Dazai trascinò i piedi fino al pianoforte. Non ne aveva voglia per niente e voleva che si vedesse. 

“Hai sorpreso tutti, questo pomeriggio,” disse il Boss, eseguendo il brano musicale da capo. “Non è la prima volta che ti sento cantare, ma non pensavo che nascondessi un simile talento.”

“Uhm…” Fu l’unica replica che Dazai gli concesse, gli occhi fissi sulle mani dell’uomo, che si muovevano con maestria sui tasti bianchi e neri. 

“Quando hai ricominciato a suonare?” Domandò Mori, curioso.

“Non ho mai smesso,” rispose Dazai. Non era propriamente vero: la costanza non era mai stata il suo forte; pigrizia e noia facile, invece, sì.

“Hai degli impegni?” Domandò Mori. 

“Non nell’immediato.”

“Vuoi suonare qualcosa?”

Dazai gli lanciò un’occhiata storta, sospettosa. “Non vuoi intavolare un lungo e noioso discorsi dei tuoi?”

Mori ridacchiò. “Perché dovrei perdere tempo, quando so che non mi ascolteresti né mi risponderesti?” Smise di suonare. “Scegli il pezzo, io ti seguo. Lasciamo che la musica faccia il resto.”

Dazai decise che era un buon compromesso. Per quel che lo riguardava, preferiva coprire il silenzio con la musica, piuttosto che con le parole. Quelle, ormai, le riservava solo a un uomo e non era Mori Ougai.

“Il Notturno di Chopin,” scelse Dazai. Quando aveva detto a Chuuya di non saperlo suonare, aveva mentito per noia. Niente di strano da parte del giovane Dirigente.

“E Notturno sia,” disse Mori. “Musica, maestro!”

Le sue dita di Dazai toccarono il pianoforte e si mise a suonare. 




 

Dazai fece più tardi del previsto.

Mori doveva aver intuito che aveva qualcosa di meglio da fare ed esisteva piacere più sadico di farlo arrivare volontariamente in ritardo?

Il giovane Dirigente si era stufato di quei giochi infantili da tanto tempo e questa era una delle ragioni per cui s’intratteneva sempre di meno con quella che a Chuuya piaceva chiamare famiglia.

Non incontrò nessuno sulla strada per i suoi appartamenti, proprio come aveva ordinato. Odasaku doveva aver già superato la fase doccia - su cui Dazai aveva ricamato tante fantasie, anche se l’aveva già fatta da solo - e con ogni probabilità stava già dormendo. Fosse stata una giornata tranquilla, Dazai non si sarebbe fatto scrupoli a svegliarlo, ma non lo era stata e il week end era troppo lontano. A dispetto di quello che credeva Chuuya, riusciva a imporre un limite ai propri capricci da solo.

Come Dazai varcò la porta della camera, i suoi sogni di gloria andarono in fumo.

Odasaku si era cambiato con dei vestiti comodi lasciati lì in precedenza, il braccio destro era piegato dietro la testa, l’altro sul grembo. Sotto la mano aperta, Dazai riconobbe uno dei suoi libri - o uno di quelli che Mori gli aveva prestato e non era mai tornato al legittimo proprietario.

Il Dirigente fece spallucce. Lasciò cadere il cappotto sul baule in fondo al letto e si avvicinò al comodino, dove l’abat-jour era ancora accesa. 

La mano di Odasaku gli afferrò il polso, prima che potesse spegnerla.

“Sono sveglio,” lo rassicurò l’amante, con la voce impastata dal sonno e gli occhi semi-chiusi.

Dazai piegò le labbra in un sorriso comprensivo. “No, non lo sei,” ribatté, riponendo il libro sul comodino. Si liberò di scarpe e pantaloni velocemente e rimase con la t-shirt che nascondeva sotto la camicia. Si stese accanto all’altro senza preoccuparsi delle fasciature, ci avrebbe pensato poi - o forse c’era ancora speranza che ci pensasse Odasaku.

Il giovane uomo dai capelli rossi si strinse a lui pigramente, affondando il naso contro il suo petto. “Dazai?”

“Uhm?” Il Dirigente giocava coi capelli un po’ arricciati sulla nuca.

“Cantami qualcosa.”

La mano del più giovane si fermò. “Sei serio?” Domandò, divertito.

Odasaku si sollevò su di un gomito e, sebbene fosse mezzo intorpidito dalla stanchezza, rubò un bacio piuttosto convincente dalle labbra di Dazai. “Cantami qualcosa,” ripeté, tornando al rifugio caldo e comodo da cui era brevemente emerso.

Dazai fissò indispettito la sua nuca per un minuto abbondante. Odasaku sapeva benissimo come incastrarlo e impedirgli di dire di no. Dazai lasciò andare un sospiro frustrato, passando distrattamente le dita tra i capelli rossi, mentre provava qualche motivetto a bassa voce, cercandone uno che lo convincesse.

“I have died everyday, waiting for you,” cominciò.

Per nulla contento dal significato controverso di quella prima strofa, Odasaku sollevò il viso per protestare. Dazai gli premette l’indice sul naso, costringendolo a stendersi su di lui. “Darling, don't be afraid, I have loved you for a thousand years.

I'll love you for a thousand more.”

Odasaku lasciò andare un grande sospiro, rilassandosi completamente contro il corpo del più giovane, cullato sia dalla sua voce che dalle sue carezze.

Nella quiete di quel momento, un sorriso segreto comparve sulle labbra di Dazai. And all along I believed, I would find you. Time has brought your heart to me, I have loved you for a thousand years. I'll love you for a thousand more.”



 

Note finali:

Le canzoni in ordine cronologico sono.
Rolling In The Deep - Adele
Wake Me Up - Avicii
Something Just Like This - The Chainsmokers & Coldplay
Tell Me You Love Me - Boy Epic
A Thousand Years - Christina Perri
Un rigraziamento particolare a Europa91 che due anni fa mi aiutò con le parti in francese. Mi auguro di avervi fatto buona compagnia.

Buone Feste.

 

Marta Magro


 
   
 
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