Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: LubaLuft    29/12/2023    1 recensioni
È un sabato di gennaio, e a Sendai nevica.
Manca poco alla partenza per il torneo di Tokyo e al
坂ノ下 si festeggia il compleanno di Keishin Ukai. Fra gli invitati, c'è un giovane uomo ormai conclamatamente innamorato e che crede di non avere alcuna speranza. Eppure, una canzone rimescola tutto...
Soundtrack dei Rolling Stones
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ittetsu Takeda, Keishin Ukai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Happy Birthday, Mr. Coach”


Ittetsu Takeda osservava la sua immagine riflessa nello specchio. Era la terza volta che entrava e usciva dall’oshire. Sconsolato.

Provò a fare mente locale e arrivò alla triste conclusione che il suo abbigliamento consisteva ultimamente solo in tute e completi di sobrio stile professorale.

Non ci era proprio abituato, a vestirsi diversamente! 

Ma poi tornò a infilarsi nell’armadio e dopo un altro quarto d’ora abbondante di ricerche, aperto un cassetto dimenticato, trovò finalmente qualcosa che forse poteva fare al caso suo: un paio di jeans scoloriti, che risalivano ai tempi dell’Università. 

Li indossò e improvvisamente, come in un dejà vu, si rivide più giovane, con la stessa identica occhialuta magrezza, a fare la fila insieme ai colleghi del corso di Storia del Teatro per entrare al Tokyo Dome a vedere i Rolling Stones.

 

La maglietta! Da qualche parte doveva esserci! Ficcò nuovamente le mani nello stesso cassetto e ne tirò fuori una t-shirt che non aveva mai visto un ferro da stiro in vita sua e sulla quale era stampata la copertina del 45 giri Let’s spend the night together. 

La infilò. Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo con un treno proiettile.

Una risata lievemente imbarazzata si impadronì di lui mentre decideva che con quella maglietta addosso avrebbe fatto gli auguri di buon compleanno a Keishin Ukai.

Guardò che ore fossero. Il cellulare segnava le sei del pomeriggio e fuori nevicava ormai dalla prime ore del giorno. Aveva montato le catene sugli pneumatici della sua vecchia Toyota e avrebbe potuto spingersi così fino al centro commerciale sulla collina, per cercare un regalo di compleanno.

Poi avrebbe traccheggiato quel tanto che bastava per non arrivare in anticipo a casa sua, e far sì che si presentassero prima gli altri. Il problema era tutto lì: la consapevolezza di ciò che provava per quell’uomo dall’aspetto selvatico, per i suoi occhi pungenti, i suoi capelli assurdi, la sua voce tagliente e burbera, goccia dopo goccia aveva ormai raggiunto il limite ed era prossima a uscire dai confini che le aveva costruito intorno, pronta a travolgere qualsiasi principio sensato, qualsiasi freno

Non che Ittetsu fosse tutta questa intraprendenza, ma l’amore, per un uomo di letteratura come lui, passava inevitabilmente attraverso strati di rocce permeabili, si caricava di minerali preziosi, e quando fosse arrivato troppo in superficie non sarebbe più riuscito a dissimulare la verità.

Per questo motivo, Ittetsu evitava ormai sistematicamente di rimanere da solo con lui. Non passava neanche più al 坂ノ下 per fare due chiacchiere, dal momento che il modo in cui Ukai si accendeva la sua cicca aveva acquisito un tale potenziale erotico da confonderlo profondamente, al punto da ridurre la sua capacità di eloquio a dei meri monosillabi.

Ukai doveva essersene accorto perché ultimamente gli buttava sempre più spesso un che ne dice di una birretta al volo, sensei? Sono giorni che non parliamo dei suoi beneamati ingranaggi. Il torneo nazionale è alle porte e io sono a mille!!, e lui a declinare con altrettante mille scuse.

 

Tornò a guardarsi allo specchio.

Con quella tenuta da matricola non stava affatto male, doveva riconoscerlo. 

E poi gli venne l’idea. 

Si tolse gli occhiali e li ripose nella loro custodia.

Aprì l’armadietto del bagno e tirò fuori le lenti a contatto monouso che, in un accesso di terrore, aveva comprato per salvarsi letteralmente la faccia durante gli allenamenti, dopo che una schiacciata di Asahi Azumane lo aveva sfiorato mentre raccattava palloni.

Mai messe.

In quell’occasione, i denti aguzzi di Ukai avevano fatto capolino mentre scoppiava a ridere con la testa all’indietro e le mani sui fianchi, e poi aveva continuato a sorridergli canzonandolo per la sua costante distrazione, eppure lo aveva avvisato: mai raccogliere palloni mentre l’Asso scaricava a terra la potenza del suo braccio!

Fu uno dei sorrisi più belli che avessero mai raggiunto le iridi miopi di Ittetsu. Forse era iniziata proprio lì, quella faccenda di sentimenti e ormoni, più grande di lui e della sua capacità di gestirla.

Indossate anche le lenti, tornò a osservare nello specchio quell’insolito professor Takeda, che sembrava ancora più ragazzino di quanto non sembrasse già normalmente  - lui che avrebbe voluto apparire più virile.

Ma tant’era. Sospirò.

Indossò la giacca pesante, i guanti, il berretto di lana con i paraorecchi, gli scarponi tecnici e, quando stava già con un piede sulla soglia di casa, rientrò per prendere la custodia degli occhiali - alla prima battutaccia sulle sue lenti a contatto, se li sarebbe rimessi e tanti saluti.


****


Il centro commerciale di Sendai era particolarmente affollato, quel sabato pomeriggio. 

Ittetsu fece un paio di volte il periplo dell’intera struttura senza cavare un ragno dal buco. Che cosa poteva regalargli? Qualsiasi cosa vedesse esposta e che gli piaceva gli sembrava caricarsi di altri significati che non voleva assolutamente trapelassero: un maglione caldo come immaginava fosse il suo abbraccio, un libro divertente per sentir ridere la sua voce così sexy, una bottiglia di sake da scolarsi insieme.

Nel centro commerciale c’era anche una temperatura insana, per cui, al terzo giro a vuoto si infilò in un megastore che vendeva libri e musica e dopo aver frugato tra gli scaffali, trovò un libro fotografico sulla pallavolo.

Gli tornò alla mente la mattina in cui si era appostato fuori dal suo negozio per convincerlo ad allenare il nuovo Karasuno, in vista dell’amichevole con il Nekoma. Ukai stava cantando una canzone che parlava di un fiume, di ricordi, e nel mentre spolverava gli scaffali… Idea! Provò a canticchiarla a un improbabile commesso e - miracolo! - il tizio mostrò una certa preparazione e gli allungò un CD che conteneva una raccolta di musica folk, rivisitata in chiave moderna. Fra le tracce, c’era anche quella!


Un quarto d’ora dopo, era di nuovo in macchina, contento dei suoi regali, impaziente di rivederlo, innamorato perso.

La radio, a tradimento, passò proprio la canzone stampata sulla maglietta:

 
Don't you worry 'bout what's on your mind, oh my
I'm in no hurry, I can take my time, oh my
I'm going red and my tongue's getting tied
(Tongue's getting tied)
I'm off my head and my mouth’s getting dry
I'm high, but I try, try, try, oh my….
 
Let's spend the night together
Now I need you more than ever
Let's spend the night together now
 

Come doveva prenderlo? Un segno del destino? Una divertente coincidenza? 

Mentre cantava, e la macchina arrancava per la collina, il cuore iniziava ad accelerare. Il negozio si intravedeva in lontananza, luci accese e ombre dietro i vetri. I ragazzi erano arrivati e lui poteva imbucare tranquillamente in quella confusione, sicuro di potercisi nascondere dentro.

Parcheggiò, raccolse i pacchetti, lasciò gli occhiali nel porta documenti e preso un bel respiro, scese dalla macchina.

Suonò al campanello del negozio, che era chiuso al pubblico e aperto solo per la loro combriccola festaiola.

Ukai venne ad aprire, una sigaretta in bocca e gli occhi che, già brillanti di suo, erano ancora più accesi dal primo giro alcolico che doveva essersi già concesso.

Sensei, finalmente! Venga ad aiutarci a tenere separati Kageyama e Hinata, stanno già litigando…”

E poi Ukai si interruppe, di colpo, la bocca socchiusa e il filtro in equilibrio precario fra le sue labbra magnetiche.

Ittetsu non riusciva a capirne il motivo, non riusciva a capirci più nulla: bastava quel mezzo metro di distanza che lo separava da lui ad accendere nel suo corpo una serie di interruttori che, lo sapeva, prima o poi sarebbero andati in sovraccarico.

“E gli occhiali…?”
“Ah! Sì… beh, vede, dopo quella schiacciata di Azumane avevo comprato delle lenti monouso ma non le avevo mai messe… e siccome stavano scadendo…”


Bugiardo, Ittetsu, miserabile e penoso bugiardo!

 

“Ah, ok… benvenuto allora…” e con una pacca sulla spalla lo spedì dentro senza tante cerimonie.

Ittetsu riprese fiato, tutto nella norma, tutto regolare. Nella bustina che aveva in mano, c’erano i suoi regali per lui, e un altro pacchetto invisibile, pieno d’amore.


****


Keishin ghignava ai fornelli.

I corvi del Karasuno si erano avventati già sul primo giro di leccornie e sugli analcolici. Solo il trio dei terzi - Sugawara in testa, chi lo avrebbe mai detto - si era tuffato sulla birra.

I suoi ex compagni di liceo, Makoto e Yusuke, facevano il filo a quella scheggia impazzita di Saeko Tanaka, e in un angolo, Daichi Sawamura parlava fitto fitto con Yui Michimiya, sua controparte nella poco fortunata squadra femminile del liceo.

Keishin li osservava, contento di assistere a quello che forse era il primo cambio di passo in quel gruppo di ragazzi ancora piccoli ma già grandi sul campo. Yui guardava Daichi con un tale trasporto che non potevano esserci dubbi, e anche Daichi - complice la birretta di prima - sembrava in via di scioglimento.

Kageyama e Hinata, continuavano a questionare da quando erano arrivati, non gli era chiaro il motivo. Forse il segreto della loro alchimia in campo stava proprio in quella tensione continua, alimentata da una rivalità che non si smorzava mai del tutto, nonostante fossero ormai compagni di squadra.

Ma quella sera c’era qualcosa di diverso anche fra di loro. Hinata ridacchiava e gli dava dei colpetti blandi fra le costole e Kageyama rispondeva dandogli dei cazzotti in testa che però sembravano più carezze brusche.

 

Era stato Tsukishima, però, la vera sorpresa. Keishin era fondamentalmente un sentimentale e ogni volta che gli tornava alla mente la scena del suo primo muro a Ushijima durante la finale contro lo Shiratorizawa, gli si riempivano gli occhi di lacrime. Quel ragazzo taciturno e serio aveva una visione pazzesca del gioco avversario e se lo era meritato tutto quel momento di gloria sotto rete.

Yamaguchi gli stava intorno con la sua faccia lentigginosa, anche lui arrivato a dominare il suo fondamentale, il suo servizio flottante, passando per le ire del coach - d’accordo - ma era servito a sbloccarlo!

I due ragazzi avevano uno sguardo sereno, finalmente a loro agio nella squadra, finalmente orgogliosi, com’era giusto che fosse.

E su tutti, le voci di Tanaka e Nishinoya, i rumorosi samurai a protezione del loro castello incantato, Kiyoko.

Insomma, il suo compleanno, in quel freddo sabato di gennaio, sarebbe stata l’ultima occasione per loro di rilassarsi. Mancava una settimana alla partenza per Tokyo e poi lui e Takeda avrebbero dovuto occuparsi di loro dalla panchina: scaldare il loro morale, aiutarli a rialzarsi se cadevano, ricordare loro che erano tutti dei piccoli giganti.

Senza Takeda non avrebbe potuto farcela, lo sapeva. 

Si scolò l’ultimo sorso di sake. Era lontano dall’essere alticcio ma quel liquido profumato e caldo lo aveva già caricato a dovere. Era davvero a mille il suo morale, era felice di quel compleanno con gli amici e i ragazzi! 

Il campanello suonò, quello doveva essere proprio lui, il sensei.


Si affrettò ad aprire.

Sensei, finalmente! Venga ad aiutarci a tenere separati Kageyama e Hinata, stanno già litigando…” e poi… la sua voce si fermò.

Chi era quello? 

Keishin aveva davanti il suo compagno di panchina, lo conosceva benissimo, eppure la sua fisionomia era cambiata, senza quelle lenti quadrate che sembravano un tutt’uno con il suo viso.

Tanto per iniziare - e per finire, anche, mica poteva tenerlo sulla porta! - i suoi occhi castani erano diventati più grandi, o si sbagliava? 

Takeda lo osservava con una comica espressione piena di punti interrogativi.

“E gli occhiali…'” disse allora Keishin.

“Ah! Sì… beh, vede, dopo quella schiacciata di Azumane avevo comprato delle lenti monouso ma non le avevo mai messe… e siccome stavano scadendo…”


E perchè non le hai mai messe prima? E perché te lo sto chiedendo, così, in silenzio, sulla porta, con questo cazzo di freddo?

Un occhio gli cadde sulla busta che aveva in mano, nella quale si intravedevano dei pacchetti regalo.

Uno strano calore gli salì allora sul viso, mentre Takeda stava ancora fermo sulla porta con una comica espressione di attesa e ogni tanto un fiocco di neve che gli si posava sul giaccone.

“Ah, ok… benvenuto allora…” e con una pacca sulla spalla, Keishin lo spedì dentro, senza tante cerimonie.

Si affacciò un attimo sulla strada. 

L’aria era azzurra di neve, fredda. Si riprese da quello strano inciampo ma restò teso perché quello sguardo grande e caldo che Takeda gli aveva rivolto, senza i suoi cocci di bottiglia, era stato un tiro imprevedibile.

Rientrò e tornò ai fornelli.


****


Ittetsu accettò il secondo giro di sake, seduto a un tavolino con Makoto, Yusuke e Saeko Tanaka, il bastione dei maggiorenni di quella festa di compleanno.

Intanto i ragazzi avevano spostato i tavolini e avevano attaccato il lettore mp3 di Tsukishima alle casse dello stereo.

Musica da ragazzini imberbi, pensò Ittetsu, che ancora non si era tolto la felpa ma che già sentiva caldo - e Saeko Tanaka in canottiera era il chiaro segno che faceva caldo.

 

Abbassò la lampo della felpa e se la tolse.

La sua maglietta dei Rolling Stones attirò subito l’attenzione di Saeko.

“Però, sensei! Lei ha un’anima rock!...”
“Eh, sì!” rispose Ittetsu mentre un velo di imbarazzo gli incatenava i muscoli della faccia in una espressione un po’ smarrita. Anima rock… ma quando mai? Erano anni che l’aveva lasciata nel cassetto, spiegazzata come la sua maglietta.

Che idea assurda quella di conciarsi come una matricola…

Ukai gli passò accanto mentre andava a liberare Azumane dalle grinfie di Tanaka e, soprattutto, di Nishinoya, che lo stavano ammazzando di solletico.

 

Parapara - pappappara… parapara - pappappara….” gli canticchiò allora alle spalle la voce morbida e bassa del coach

Il primo interruttore di Ittetsu saltò. 

Il black out che seguì spense tutto quanto intorno non fosse lui. Un brivido gli strinse le spalle, gli sfiorò il collo e poi scese lungo la spina dorsale, mentre sentiva ancora le note della canzone che gli rimbalzavano nelle orecchie.

 
I'll satisfy your every need
(Your every need)
And now I know you will satisfy me
Oh my my my my my my
 

Dannazione! Riaccese la luce sulla realtà, si scolò un altro sake e si affrettò a mettere qualcosa nello stomaco. La serata era ancora lunga e lui doveva reggere, e per tutti gli Dèi, ce l’avrebbe fatta!

Prese a parlare con Makoto delle battute flottanti, mentre piano piano abbassava il volume della voce di Mick Jagger, carica di troppe promesse…
 

 

****

 

Keishin NON ascoltava solo musica folk. Eh, no. 

Intanto, quella maglietta, che non gli stava appesa addosso come le magliette “Karasuno High School” con le quali, evidentemente, non aveva mai beccato la taglia giusta. 

Gli stava bene, e mostrava che il suo compagno di panchina poteva essere, sì, mingherlino ma aveva sicuramente più muscoli di Tsukishima, che fra poco sarebbe sparito se non metteva massa.

La maglietta gli cadeva perfetta sulle spalle e rendeva più rilassata la sua postura, sempre un po’ rigida.

Chissà chi era davvero quel ragazzo di poco più grande di lui, pieno di entusiasmo e di iniziativa. Chissà perché quella canzone un po’ particolare ora gli risuonava nella testa - un paio di versi soprattutto … com’era? 

 
I'll satisfy your every need
(Your every need)
And now I know you will satisfy me
Oh my my my my my my
 

Parapara - pappappara… parapara - pappappara….” si trovò allora a cantargli alle spalle mentre andava a liberare Azumane dalle grinfie di Tanaka e, soprattutto, di Nishinoya, che lo stavano ammazzando di solletico.

Poi tornò al tavolo dei grandi e gli sedette proprio di fronte.

Takeda rideva con Makoto, il viso allegro, le mani che gesticolavano e raccontavano, e ancora quegli occhi grandi che brillavano, e Keishin ora era curioso… voleva sapere perché se ne sentiva attratto, ma che diavolo avevano sciolto in quel sake?

Gli passarono davanti i fotogrammi delle partite, con loro due fianco a fianco. Takeda che gli chiedeva spiegazioni sulle azioni a cui assistevano e ascoltava con umiltà ciò che aveva da dirgli e gli chiedeva di più, curioso fino allo sfinimento.

Takeda che si guadagnava gli sguardi attenti, e un po’ emozionati, dei ragazzi tutte le volte che durante un time out li riempiva di un po’ del suo entusiasmo.

E ce n’era anche un po’ per lui, per Keishin, di entusiasmo. 

Era stato solo grazie a lui se aveva ripreso la palla fra le mani.

Microsecondi di analisi approfondita che si interruppero di botto quando Takeda gli riempì di nuovo il bicchiere, riversando i suoi occhi castani, grandi e liquidi, in quelli di un Keishin Ukai che ora era turbato dalle sue stesse reazioni. 

“Uh… Grazie” Riuscì a dirgli. Si ficcò in bocca l’ennesima sigaretta, stavolta però era piuttosto nervoso, le mani infatti fecero cilecca e l’accendino gli cadde per terra.

Si chinò sotto al tavolino e quando allungò la mano per riprendere l’accendino capì che Takeda aveva avuto la stessa iniziativa. Lo capì perché le loro mani si toccarono sul pavimento. A quel tocco alzarono entrambi gli occhi e si guardarono, soli sotto al tavolo. 

Negli occhi di Takeda c’era qualcosa in più, adesso, qualcosa che però forse vedeva solo lui.
Keishin, che diavolo cerchi, a parte il tuo accendino?

“Ah… ecco il suo accendino…” gli disse Takeda allungando la sua mano.

“Grazie.” 

Keishin allora si alzò, si scusò e tornò alla carne che sfrigolava ai fornelli.

 

****

 

Quando Ittetsu se lo ritrovò seduto davanti, continuò a dedicarsi alla conversazione che stava avendo con Makoto ma, allo stesso tempo, era forte la tentazione di fare qualcosa, un gesto che li mettesse in connessione -  e quale migliore mossa di versargli ancora da bere? 

Cavolo, perché doveva inciuccarsi da solo? Dopo tutto, la causa del suo turbamento ingovernabile era lui, era solo colpa sua se stava così da quando era arrivato!

Prese la bottiglia e gli versò del sake. Ukai lo guardava con quelle pupille che pungevano come spilli, ma forse era solo la sua mente eccitata e malata che trasformava il desiderio in percezione.

Il coach accettò il rabbocco ringraziandolo. E poi, quando gli cadde l’accendino sotto al tavolo pensò bene di piegarsi e di raccoglierlo, come risarcimento per tutte le volte che i suoi occhiali erano caduti sotto la panchina, mentre saltava come un grillo dopo l’ennesimo ace in battuta di Kageyama, e lui li aveva raccolti scuotendo la testa e la chioma bionda

“Ah, sensei! Faccia più attenzione, di questo passo li romperà!”

Ed ecco la sua mano, sul pavimento, più grande e ruvida, che sfiorava la sua.

Ittetsu gli allungò l’accendino e restò incastrato fra le sue pupille, le sue sopracciglia folte e la fronte perennemente aggrottata. Sembrava che Ukai gli stesse studiando la faccia e si spaventò all’idea che avesse subodorato qualcosa. 

Ma fu un attimo, e dopo essere riemersi, Ukai li lasciò tutti alle loro chiacchiere per tornare a cucinare.


****


“Coach, è il momento!! SCARTA LA CARTA!”

I ragazzi del Karasuno lo tirarono in mezzo.

“Yeah!!!” Esclamò Saeko Takeda, mentre suo fratello fischiava rumorosamente. 

Daichi gli si avvicinò e gli consegnò un pacchetto da parte di tutta la squadra del Karasuno, Kiyoko e Hitoka comprese.

Keishin scartò la carta e trovò una maglietta del Karasuno con davanti il numero 0 e la scritta Il Nostro Gigante. Dietro, le firme dei ragazzi.

Una cosa come quella riempiva il cuore e lo scaldava nonostante la neve. Si trovò a sperare, contro ogni pronostico che li vedeva indifesi in mezzo ai colossi, che arrivassero davvero sul podio del torneo nazionale.

Makoto e Yusuke gli regalarono pezzi di ricambio per la moto che stava sistemando nel garage di suo nonno Ikkei.

Saeko, un paio di boxer che Keishin, ridendo, si rifiutò categoricamente di mostrare ai presenti.

Quando fu il suo turno, Takeda gli allungò la sua busta. Un doppio regalo: un bellissimo libro di fotografie sulla pallavolo e un CD di musica folk, che lo fece sorridere.

“Può cambiarlo se non le piace…” si affrettò ad aggiungere Takeda.

“No, no... ma sono curioso… come mai questa scelta?”
Qualcuno alzò il volume dello stereo, con il risultato che tutti si fiondarono a ballare e loro due rimasero da soli.


****

 

“Vede… è stato quel giorno, quando sono venuto al negozio per dirle dell’amichevole con il Nekoma… lei cantava ad alta voce una canzone che parlava di un fiume, e di ricordi.”

Ittetsu sorrise a quell’immagine, ormai lontana. Gli aveva fatto le poste per convincerlo…

“Fu il giorno in cui le ho messo le mani addosso….” Disse allora Keishin, con un’espressione buffa.

Se la ricordava, tutta la sua tiritera sulla pallavolo che apparteneva al passato e bla bla bla, e poi era bastata la parola magica Nekoma e le mani avevano preso a formicolare, come quando percepiva la palla sui polpastrelli prima ancora di toccarla. Tutto grazie alla testardaggine di quel ragazzo che non si era lasciato respingere.

“Beh, grazie sensei però…”

 

Però… che? pensò Ittetsu.

Già. Però, che?pensò a sua volta Keishin. 

Tuttavia, il servizio era suo. Aveva otto secondi dal fischio dell’arbitro per concludere quella frase appesa.

“Ecco, mi farebbe un altro regalo se…”

… Se?… chiedimi quello che vuoi!

“…Se imparasse a darmi del tu.” Che male c’era?

Ittetsu pensò che quello era in realtà un inconsapevole regalo che Ukai - Keishin -  stava facendo a lui. 

“D’accordo coach!”

Si voltarono entrambi a guardare gli altri che ballavano. Gli altri tranne Kageyama che era rimasto in disparte e fissava Hinata come se lo vedesse per la prima volta, e Tsukishima che chiacchierava ancora con Yamaguchi, come se non gliene fregasse di null’altro.

Fu un attimo, e anche Keishin e Ukai si gettarono nella mischia.


****


Nel frattempo, erano arrivate anche le ragazze della squadra di Yui, con immensa gioia dei giovani corvi.

Dopo diversi balli sfrenati, specialmente dei senpai del secondo anno, i ragazzi del Karasuno, raggiunta ormai una certa temperatura di fusione, decisero che il modo migliore per raffreddarsi era fare a palle di neve.

Furono spalancate le porte del locale e alla luce dei lampioni della strada, iniziò la battaglia.

Keishin e Ittetsu non si tirarono indietro e a parte Nishinoya che le prendeva tutte in bagher, il resto della ciurma si infarinò dalla testa ai piedi.

Dopo un’ora abbondante di tuffi, e servizi al salto, avevano rivoltato tutta la neve del piazzale.

“Ora basta! Direi che possiamo rompere le righe!” disse Keishin battendo le mani

“Ukai-san, grazie per questa festa!”

“Grazie coach!”

In pochi minuti, gli invitati sciamarono via: Daichi e Yui da soli, mano nella mano, le ragazze della squadra femminile con Hitoka, per darle uno strappo a casa, Nishinoya e Tanaka di scorta a Kiyoko, Azumane e Sugawara con Tsukishima e Yamaguchi verso la fermata dell’autobus, Kageyama e Hinata per conto loro dalla parte opposta.

Yusuke, Makoto e Saeko diretti al centro di Sendai per continuare la serata.

Ittetsu, in piedi, appoggiato alla porta del locale. 

Avrebbe dovuto solo tirare fuori le chiavi della macchina, ma certi semplici gesti risultano complicati da fare quando non si ha nessuna voglia di farli.

Keishin si era acceso una sigaretta e aveva iniziato a ricomporre la devastazione del suo locale. Il pavimento era appiccicaticcio di succo di frutta e coca cola, cenere di sigaretta e briciole.

Ovunque piatti e bicchieri di carta, una vera discarica.

“Dèi, sono disgustosi! La prossima volta non mi fregano…” bofonchiava il coach mentre passava la scopa.

Ittetsu rientrò.

“Keishin, non vorrai sistemare tutto da solo? Siamo una squadra, no?...”
Si tolse la felpa e presa una busta della spazzatura, iniziò a raccogliere robaccia da terra. 

Keishin annuì, con un sorrisetto lieve e si mise ad aiutarlo.

Il silenzio era irreale, dopo la musica e il chiasso. 

Nessuno dei due parlava.

Sul loro tavolino c’era ancora del sake. Sotto quello stesso tavolino, le loro mani si erano incontrate per sbaglio.

Ittetsu sapeva che era tutto uno sbaglio ma non poteva farci nulla. Con la coda dell’occhio vide Keishin che si toglieva prima la felpa, poi la maglietta sudata, che aveva tenuto fino a quel momento, indossando al suo posto, quella con il numero 0. 

Rubò l’attimo perfetto dei suoi muscoli dorsali che si contraevano.

Gli interruttori nel suo corpo irrequieto si erano spenti e i vapori del sake si diradavano. Alla fine, rimanevano pur sempre il coach e il sensei, altro fra loro non poteva esistere.

 

E poi Keishin esordì, out of the blue.

“Al Tokyo Dome, al concerto dei Rolling Stones, c’ero pure io.”
Ittetsu spalancò la bocca stupito.

“Quella maglietta volevo comprarla ma non c’era della mia taglia.”
Fu un attimo e Ittetsu allungò le mani come per afferrare l’orlo della sua t-shirt, poi realizzò che stava per togliersela e darla a lui - peccato che anche quella non fosse la taglia giusta.

Fermò in tempo le mani ma non fermò in tempo la lingua.

“Ti va di ascoltarla? Questa?” E indicò la canzone che lo aveva scandalizzato tutta la serata e che ora voleva disperatamente cantare a squarciagola.

Keishin lo accontentò. Infilò un CD nello stereo e partì. 

Don't you worry 'bout what's on your mind, oh my
I'm in no hurry, I can take my time, oh my
I'm going red and my tongue's getting tied
(Tongue's getting tied)
I'm off my head and my mouth's getting dry
 

Keishin chiuse gli occhi mentre si scolava l’ultimo sorso di sake direttamente dalla bottiglia.

Non sapeva spiegarselo. Voleva strappargli di dosso quella maglietta e indossarla lui. O forse no, forse voleva togliersi anche la sua. E forse neanche quello, non sapeva esattamente che cosa volesse dal professore a cui ora dava del tu come se provenissero davvero, nella vita, dalla stessa panchina.

Poi Ittetsu esclamò qualcosa di molto prossimo a una invocazione agli Dèi.

No, era proprio “cazzo!

“Una lente! Ho perso una lente…!”
“Vabbè, tanto erano usa e getta, no?” rispose pacifico Keishin.

“Sì ma a me mancano quattro decimi per occhio! Ah, che idiota, ho gli occhiali in macchina!”

Prese il giaccone e infilò la mano nelle tasche. Ma le chiavi della macchina non c’erano. 

Non. C’erano.

Keishin capì al volo, gli era bastato guardare le espressioni di concentrazione, sorpresa e disperazione che erano passate come nuvole sugli occhi grandi di Ittetsu.

Dopo aver controllato ogni angolo del locale, apparve loro abbastanza verosimile che le chiavi potessero essergli cadute di tasca durante la battaglia sulla neve.

“Vado a controllare fuori…” Disse Keishin. 

La neve sul piazzale era stata completamente spianata da quell’invasione barbarica. Compattata, cementata.
Keishin afferrò un rastrello.

“Tu torna dentro, qui ci penso io. Se vuoi continuare a sistemare mi fai una cortesia enorme.”
“Ok”

Dopo una mezz’ora, Keishin rientrò senza chiavi, soffiandosi sulle mani tramortite dal freddo.

Alla vista di quelle dita arrossate e contratte, gli interruttori di Ittetsu scattarono di nuovo, stavolta tutti. 

La frizione si abbassò, il freno si alzò, le ruote presero velocità.

Si avvicinò a Keishin che, stupito, lo vide prendergli le mani fra le sue. Mani piccole e delicate, che sfogliavano libri di letteratura e che ora si stringevano alle sue. Mani calde sulle sue mani fredde. 

Che altro poteva fare… se non lasciarlo fare? Lasciargli fare quello che voleva. E lui che cosa voleva fargli?

Al centro della sala, con le dita che ora si intrecciavano, Keishin e Ittetsu, che avevano visto lo stesso concerto e cantato la stessa canzone, si avvicinarono un po’ di più, finché uno dei due ebbe l’ardire di sussurrare all’altro sensei, aspettavo questo momento da tutta la serata e l’altro, per tutta risposta io aspettavo già da un po’, coach.

Ciò che accadde dopo, fu un unico brivido fatto di caldo e freddo, perchè calde erano le mani di Ittetsu sulla schiena di Keishin e più fredde quelle di Keishin, che aveva combattuto con la neve, sulla schiena di Ittetsu. 

Poi fu un bacio, tanto per iniziare bene, un bacio avido e insaziabile, non dissetabile, non gestibile se non con le mani sul viso, sulla nuca, per aggiustare meglio il tiro. Furono magliette che volavano via sul pavimento sudicio.

Fu una sana, disperata voglia l’uno dell’altro.

 
I beg you baby
Oh come on now
Oh baby 
 

(Fine…)

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: LubaLuft