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Autore: FreDrachen    04/01/2024    0 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 34 


Ero in preda alla tipica ansia da esordio, solo che la partita che avrei giocato quella sera era quella con il cuore.

Mi ero dato solo una sistemata ai capelli e vestito nel mio solito modo per non destare sospetti soprattutto in mia madre, che non si era risparmiata nel farmi domande. Ma saranno stati cazzi miei con chi passava il tempo?

Avevamo appuntamento in una delle pizzerie al Porto antico, abbastanza vicino alla fermata del bus per spostarci verso il cinema che avevo fatto scegliere a lui, e al mare. Era ormai diventata un'abitudine vederlo, avvertire il suo odore salmastro che aveva qualche sorta di effetto calmante.

Mia madre mi aveva accompagnato parlando per tutto il tragitto, sollevata per il fatto che al ritorno ci fosse Akira.

La salutai sbrigativamente dopo aver letto il messaggio di Aki. Si trovava già all'interno, per questo mi affrettai a spingermi in avanti con la sedia a rotelle.

L'esterno della pizzeria pareva molto accogliente, con piante disposte ordinatamente attorno all'entrata, la tenda verde scuro stonava un poco con il mare a poca distanza ma nel complesso il risultato era abbastanza piacevole alla vista. Le sedie in plastica bianca spiccavano all'interno, attorno a tavoli di forma rettangolare (peccato, non mi sarei potuto sentire importante come Re Artù) dalla tovaglia anch'essa verde selva.

Arrivai di fronte all'entrata della pizzeria ritrovandomi già di fronte a un problema insormontabile. A mettersi tra me e il mio obiettivo c'era uno scalino, banalissimo per uno che poteva muoversi liberamente ma non per me.

Notai quasi subito un ragazzo del locale dirigersi nella mia direzione. Mi seccava non poco chiedere a un estraneo di aiutarmi ma messo da parte l'orgoglio cercai di attirare la sua attenzione, ma come fossi fatto di fumo lui passò oltre per prendere un ordinazione di una famiglia con un bambino urlante che sembrava una sirena di un'ambulanza.

Dato che sembrava ci fosse solo lui a servire era la mia unica speranza.

Non appena smise con la famiglia esigente (ci ha messo la bellezza di cinque minuti, per scegliere una pizza...cose d'altro mondo!) ritornai alla carica.

Questa volta il ragazzo si voltò verso di me. Doveva avere la mia età o appena qualche anno in più, capelli e occhi castani. Un tipo abbastanza ordinario sul cui viso si stampò un'espressione seccata.

«Che cosa vuole? Come ben vede dovrei lavorare».

Ma va! Non l'avevo capito.

«Infatti, avrei problemi con...»

«Tutti abbiamo i nostri problemi. Senta, non mi faccia perdere tempo» tagliò corto lui senza darmi il tempo di replicare, lasciandomi con il braccio teso facendomi sentire un deficiente.

Lo abbassai lentamente mentre osservavo con occhi di fuoco la schiena dello stronzo allontanarsi. La tentazione di chiamarlo e fargli un dito medio era troppa ma non volevo rovinare il momento con Akira.

Tirai fuori il telefono e trovai un suo messaggio.

Akira:
Ciao! Dove sei?

Io:
Fuori dal locale. Ho un piccolo...problema

Piccolo era un eufemismo ma non volevo ingigantire la cosa.

Akira sbuccò subito dalla stanza di destra.

«Luca-chan» mi salutò e non appena abbassò lo sguardo colse subito il problema.

«Accidenti non me n'ero accorto, scusami. Ti do una mano». Prima di poterlo rincuorare che fosse tutto a posto si posizionó alle mie spalle e fece ruotare la sedia in modo da farmi entrare in retromarcia.

Giunti dentro lasciò subito la presa sulla maniglia di spinta, sapendo che non mi sentivo a disagio aiutato da qualcuno, e mi si affiancò.

«Ti faccio strada verso al nostro tavolo» dichiarò conducendomi nella stanza da cui era spuntato e che avevo intravisto di sfuggita in mezzo all'intreccio di steli e foglie delle piante fuori.

Il tavolo era posizionato in modo da essere abbastanza lontani dal resto della gente per permettermi di fare manovre con la sedia.

Akira si allontanò un attimo solo per raggiungere...lo stronzo di prima!

Colsi gran parte delle sue parole:«Si, è arrivata la persona che stavo attendendo. Arigatō gosaimasu...cioè mi scusi. La ringrazio» disse ritornando al tavolo. Era di spalle per questo non si godette la faccia sconvolta dello stronzo non appena si appoggiò su di me. La voglia di infierire era tanta essendo una persona matura mi limitai a trattenere gli insulti limitandomi a un sorrisetto.

Questo si avvicinò e in preda all'imbarazzo più completo prese le nostre ordinazioni e con altrettanta velocità si dileguò in direzione della cucina.

Akira lo osservò con espressione perplessa, per questo cedetti nel raccontargli ciò che era successo.

Mano a mano che procedevo lo vidi addombrarsi sempre di più. Fece per alzarsi ma lo bloccai, poggiandogli una mano sulla sua.

«Vado a cercare il responsabile».

«Lascia perdere Aki».

«Ma quello che ti è successo è un fatto gravissimo».

«Non lo metto in dubbio e ti ringrazio. Ma quello stronzo non merita tutta questa considerazione. Si è accorto del suo errore, la sua punizione sarà questa».

«Ribadisco, sei troppo saggio».

«Talmente poche volte che mi faccio paura da solo»ribattei con un sorriso.

A portarci quanto richiesto fu una ragazza dai capelli castani raccolti con una molletta e un sorriso dolce sul viso.
Lo stronzo lo intravidi al margine della stanza, intento a osservarci preoccupato. Aveva paura che lo mangiassimo? Con la fame che avevo era molto probabile, se non fosse che la pizza era indubbiamente più invitante di lui.

Avevo optato per una margherita con sopra patarine fritte, uno sgarro che raramente mi potevo concedere quando giocavo. Akira invece una marinara, senz'aglio per non far fuggire i potenziali vampiri. Fu in quel momento che scoprì che Akira era affascinato dalle creature paranormali, di tutti i tipi. E che il suo sogno segreto era essere trasformato in vampiro e vivere in eterno. Cercai di immaginarmelo, e la figura che fece capolino nella mia testa era davvero stupendamente sexy.

Arrossì e Akira cominciò a trattenere una risata, sicuramente aveva percepito il mio pensiero non del tutto innocuo, mentre addettava il primo boccone di pizza, subito imitato dal sottoscritto, dopo aver pronunciato in giapponese: «Itadakimasu».
«Cosa vuol dire?».
«Ah è una forma per augurare "buon appetito"»spiegò.

La pasta era morbida e subito avvolse il condimento, creando una perfetta armonia. Da bravo barbaro recuperai una patatina fritta che mangiai da sola.

Notando la faccia di Akira feci spallucce.

«Mi piacciono da mangiare così». Puntai i gomiti sul tavolo, fissandolo intensamente negli occhi. «Ne vorresti una anche te?» gli domandai, cercando di provocarlo prendendone una e sventolandogliela davanti.

Lui dischiuse le labbra pronto a dire qualcosa, parole che gli rimasero imprigionate nella gola. Il suo corpo si protese verso il mio apparentemente con un gesto involontario, ma subito dopo si ritrasse come se fosse stato scottato.

«Cosa c'è?»

Lui non rispose, rimase a testa china, tormentandosi le mani. Capì subito l'origine del suo disagio. Eravamo in pubblico e ai loro occhi dovevamo cercare di apparire come una semplice coppia di amici. Questa situazione mi fece particolarmente incazzare. Dovevamo avere timore di chiunque, dagli sconosciuti la cui unica cosa che gli doveva importare era farsi i cazzi loro, alla famiglia. Quella di Akira aveva trovato un suo equilibrio dopo essere stata distrutta da eventi più e meno prevedibili. Diversamente era per la mia. Se fossero venuti a conoscenza della mia nuova relazione mi avrebbero messo subito alla porta, con mio padre che mi riversava addosso tutto il suo disprezzo e mia madre alle sulle spalle forse fissandomi con biasimo.
Il resto dei miei parenti ancora in vita erano ancora peggio, per cui sarei rimasto da solo.

Notai con la coda dell'occhio che Akira stava mangiando in silenzio, non volevo che il nostro primo appuntamento continuasse in quel silenzio assordante.
Per cui presi la parola per chiedergli del film che aveva scelto di vedere. Lui si illuminò e cominciò a spiegarmi la trama. Era il terzo di tre per cui lui mi diede un'infarinatura dei precedenti. Era un titolo che avevo sentito nominare ma non avevo mai avuto l'occasione prima di quel momento per vederli.

"Maze runner" non c'entrava assolutamente nulla con gli anime che di solito vedeva, però a quando pareva qualsiasi cosa che avesse un alto tasso di nerdagine era apetibile per i gusti di Akira.

Durante tutta la durata della cena e della spiegazione dettagliatissima dei film, che mi parve quasi di aver visto in quel poco lasso di tempo, notai due ragazze sedute a poca distanza, che ci osservavano. Non appena una delle due notò che le stavo fissando tirò una gomitata all'altra che cominciò a ridacchiare. Che avevano da guardare?
Alla fine una delle due si fece coraggio e ci si avvicinò.

«Wǎnshàng hǎo. Nǐ shuō yìdàlì yǔ?*» disse rivolta ad Akira.

Non capì un accidente di quello che aveva appena detto, e lo stesso pareva Aki perchè le fissò perplesso.

«Scusate io...»

«Allora prova con l'altra lingua Angela. Magari questa la capirà» la incitò l'amica ignorando le sue parole.

«Annyeonghaseyo, itallia-eo hal jul aseyo?**»

Non sapevo quale delle due sembrava più complicata.

La ragazza parve delusa. «Insomma capisco che siamo delle estranee ma almeno risponderci». Si battè una mano sulla tempia. «Ah ma che scema, non avrai neanche capito il mio sfogo».

Scema si lo era, ma non per quello che pensava.

Poi rivolse l'attenzione su di me, soffermandosi sul volto dopo aver gettato un'occhiata imbarazzata alla sedia a rotelle. La odiai subito.

«Ho visto che stavi parlando con lui. Potresti tradurre nella lingua madre del tuo amico quello che abbiamo provato a chiedergli?»

Sentivo la necessità di divertirmi per questo feci un cenno ad Aki di stare al gioco. Non lo vidi convinto, lo intuì dalla sua alzata al cielo degli occhi, ma mi lasciò fare. Mi feci ripetere quello che avevano detto e in che lingua, giusto per sapere. Mi poggiai con i gomiti sul tavolo.

«Queste due ragazze, che sembra che ti abbiano preso per uno che non capisce nulla, hanno provato a chiederti in cinese e poi in coreano se sai parlare italiano».

Le due rimasero a bocca aperta.

«Guarda che così siamo in grado di farlo anche noi». Mi gettò un'occhiata e notai in fondo agli occhi un barlume di disgusto. «Ma cosa ci dovevamo aspettare da uno come te?»

«Uno come lui in che senso?» s'intromise Akira serio prima che postessi intervenire. Lo scherzo era finito. Le due lo fissarono come se avessero visto e ascoltato un fantasma. Non ottenendo riscontro sibilò tra i denti: «Anata wa shitsurei***».

Le due parvero non capire.

«È giapponese» specificai con un moto d'orgoglio. Avevo cominciato a farci l'orecchio, non ancora da capirci qualcosa, ma era già un passo avanti.

«Ci state prendendo per il culo?» dichiarò quella che acevo capito si chiamava Angela.
«Ma se sembri uno dei BTS!» rincarò la dose l'altra.

«Watashi wa hāfu****. Metà italiano e metà giapponese» sospirò Akira esasperato.

Queste due ci stavano rovinato la serata già non partita brillantemente ma che sembrava stesse prendendo una bella piega.

«Potreste andarvene? Vorremmo finire di cenare» le liquidai cercando di essere il più gentile possibile.

«Non prendiamo ordini da uno come te».

Stavolta m'incazzai ma rimasi calmo all'esterno.

«Spiegami, illuminami. Cosa appaio ai tuoi occhi da persona illustristissima quale sei e che ha la faccia tosta di commentare con superficialità ciò che non conosce?»

Capiva che la stavo prendendo per il culo, il suo volto si era imporporato dall'imbarazzo e incazzatura.
Se c'era qualcuno che doveva essere arrabbiato in questo momento dovevamo esserlo io e Akira.

«Fa rimangiare le parole al tuo ragazzo» disse l'altra in difesa dell'orgoglio ferito di Angela. Che paladina delle cause perse!

Akira aprì la bocca e la richiuse in evidente stato di shock. Queste due avevano capito come stavano le cose tra di noi? Non era buon segno. E Akira sembrava messo ko con queste parole. Dovevo subito far qualcosa.

«Non è che appena due ragazzi escono da amici, come nel nostro caso, diventano automaticamente una coppia. Voi fujoshi***** siete davvero strane».

A ogni parola pronunciata sentivo come una stilettata di dolore all'altezza del cuore, ma era un sacrificio necessario. Il nostro segreto doveva rimanere tale fino a quando Akira non si sarebbe sentito sicuro del contrario.

«Smettila di fare l'omofobo» mi attaccò Angela.

«Sciacquati la bocca prima di parlare. A essere omofobe del cazzo siete te e la tua amica» ribattei, sentendo il nervosismo salirmi sempre di più. Se avessero continuato non mi sarei più fermato, percepivo il corpo cominciare ad essere attraversato dall'adrenalina.

Strinsi le mani sui braccioli della sedia a rotelle per cercare di calmarmi, non per loro ma per Akira.

«Come osi insultarci in questo modo? Non sei altro che un handicappato del cazzo!» esplose lei, portandosi laano sulla bocca dopo essersi resa conto di quello che aveva appena detto.

Aveva alzato la voce e questo aveva attirato l'attenzione del resto dei presenti. Finalmente, oserei dire, si fece avanti il responsabile dell'attività. Era un uomo sulla cinquantina, dai capelli già brizzolati ai lati e con il corpo massiccio. Si fece raccontare i fatti da parte di entrambi, la deficiente lo fece tra le lacrime (di coccodrillo) agli occhi per suscitare pietà nell'uomo, mentre era abbracciata dall'amica che la stringeva a sè con fare protettivo come se temesse che le saltassi alla giugulare.
Esperienza interessante ma non ero un cannibale, per cui mi limitai a fissarle malissimo.

L'uomo sospirò. «Vi devo chiedere di allontanarvi dal locale. Non approvo queste dimostrazioni maschiliste e retrograde» disse infine rivolto a me e Akira.

Come cosa?
Ci stava prendendo per il culo?
Non poteva davvero aver pronunciato una cosa del genere.

L'essere immondo ci fissò tra le lacrime sfoderando un sorriso di vittoria, a cui ero tentato di rispondere con un bel dito medio, se non fosse che avrei aggravato di più la nostra situazione.

Decisi in quel momento di sfruttare per la prima volta la mia condizione. Tendevo a non farlo, per evitare la pietà altrui ma per impedire che quella serata andasse a scatafascio dovevo intervenire e l'unico modo che mi venne in mente fu quello.

«Va bene, vorrà a dire che divulgherò in giro che questo posto non è inclusivo con i disabili e che il proprietario permette a una ragazzina di insultare i clienti come le pare».

L'uomo sbiancò alle mie parole, e dal mio volto serio capì subito che non stavo affatto scherzando.

«Non avete alcun diritto di minacciarmi» balbettò l'uomo incerto ma ancora troppo saldo alla sua scelta. Mi sa che dovevo rincarare ancora di più la dose. Passare alla seconda arma che avevo a disposizione, ancora più fastidiosa, sperando potesse funzionare.

«Sono certo che mio padre non la penserà come lei». Mi sporsi un poco in avanti. «Alfio Tremonti, le suona famigliare?»

Dal volto dell'uomo intuì che sì, conosceva mio padre e come speravo lo temeva. Mio padre poteva essere quello che era però era davvero in gamba a fare il suo lavoro di avvocato. Ero certo che se il mio bluff non avesse funzionato non avrebbe mosso un solo dito ad aiutarmi, però chi mi vietava di usare il suo nome in caso di necessità? Speravo che non conoscesse questo tizio di persona, ma ero soddisfatto del risultato ottenuto.

Mi sentivo un po' come Draco Malfoy di Harry Potter (mi ero sorbito i film qualche anno prima per colpa di Agnese). L'uomo fasfugliò delle scuse in direzione mia e di Akira e si fece seguire dalle due ragazzine che cominciarono a strillare contrariate.

Soddisfatto riportai l'attenzione su Akira, constatando che mi stava osservando.

«Ho esagerato?» domandai pentendomi un po'. Forse non dovevo essere così incisivo.

Akira si riscosse, cominciando a tormentarsi le mani.

«No, è che non me l'aspettavo. E poi mi sento in colpa. Ti ho lasciato risolvere tutto da solo. Ero come pietrificato, non sapevo come agire. Sono patetico, vero?»

«Non dire più una cosa del genere» l'ammonì severo costringendolo a fissarmi negli occhi. «Non m'importa quello che è successo. Mi fa solo incazzare che se la siano presa anche con te».

Lui azzardò a sfiorarmi la mano con la sua, un tocco leggero delle sue dita pallide, come il volo di una farfalla.

«Su finiamo di mangiare, anche se fredda sarà una mezza schifezza».

La cosa giusta sarebbe stata andarsene dopo aver preso il proprietario a pizze in faccia, ma non lo facemmo per il bene della pizza.

Finimmo però in fretta per lasciare al più  presto quel luogo così retrogrado.
Fuori l'aria si era fatta più fredda, complice il fatto che era febbraio e il sole era tramontato da un pezzo.

Il cinema, che Akira aveva scelto come meta, distava dalla nostra posizione qualche fermata della linea di bus che faceva capolinea poco distante e altrettante di un'altra. Purtroppo era l'unico cinema più vicino, l'alternativa era quello che si trovavava accanto al più grande centro commerciale della città, per cui avremmo dovuto seguire un percorso troppo intricato e troppi mezzi coinvolti.

Vi dirigemmo verso il primo bus che per fortuna era di un formato doppio rispetto ai soliti, e abbastanza spazioso.
La gente non appena salimmo ci scoccò un'occhiata curiosa ma del tutto innocua, illudendomi che le disgrazie quella sera fossero finite.

Quanto mi sbagliavo!

~~~

Durante il breve tragitto Akira passò tutto il tempo a descrivermi tutti i manga che aveva intenzione di farmi leggere, lasciandomi disorientato. Troppe informazioni tutte assieme rischiavano di fondermi la testa.
Scendemmo in fretta per salire sul secondo bus che avrebbe fatto la fermata proprio a pochissimi metri dalla nostra meta.

Per fortuna salimmo a capolinea e il convoglio era vuoto ad eccezione di una coppia, un ragazzo e una ragazza apparentemente appena più piccoli di noi, seduta in fondo intenta a tenersi per mano. Per un attimo li invidiai. Avrei desiderato con tutto il cuore fare la stessa cosa con Akira.

L'autista fu molto gentile a posizionare la pedana in modo da facilitarmi l'entrata, che ringraziai con un cenno del capo. Quindi la gente simpatica e per bene esisteva ancora!

Sentì crescere una sorta di fiducia nei confronti del genere umano, più volte messa in dubbio da atteggiamenti stupidi ed egoistici degli altri.

Fiducia che si sgonfiò dopo appena qualche minuto, dopo che il bus fu partito da capolinea e si fermò alla fermata situata di fronte all'ospedale.
Nei nuovi bus di linea era presente quella che denominavo nicchia, uno spazio circoscritto in cui ci si poteva posizionare con un passeggino per bambini oppure una sedia a rotelle aperta. Appunto, solo una.

Per caso fortuito salì solo una donna di mezza età dallo sguardo stravolto, forse un'infermiera o un medico a fine turno.
Non mi era andata bene una volta, quando ero dovuto recarmi in ospedale per una piccola infezione a uno dei due monconi, e al ritorno mi ero beccato un tizio rompipalle che voleva che scendessi per far spazio a sua madre anche lei in sedia a rotelle. Incazzato nero, più o meno come a mio solito in quel periodo, l'avevo insultato pesantemente sotto lo sguardo degli altri presenti che non fecero nulla per intervenire, anzi! Le loro occhiate sembravano di biasimo e serietà nei miei confronti, come se fosse colpa mia.
Questo ovviamente aveva aumentato la mia incazzatura, facendomi salire la voglia di regalargli un bellissimo dito medio.

Mia madre era intervenuta in quel momento, solo nel modo sbagliato.
Si era scusata con quel tizio, che avrebbe dovuto solo strusciare ai miei...piedi inesistenti per implorare pietà, e sotto il mio sguardo inorridito e shockato aveva afferrato le maniglie di spinta della sedia a rotelle e mi aveva condotto fuori dal bus, come sottofondo le mie lamentele.

Il bus era partito con noi a terra. Lei aveva chiamato un taxi per portarci a casa, e fu quando aveva messo giù la chiamata che l'avevo affrontata.

«Che cazzo ti è venuto in mente?»

Lei non si scompose di fronte alla mia rabbia, il suo volto era rimasto imperscrutabile.

«È una forma di rispetto Luca. Quella donna era più anziana di te, meritava di essere...»

«Eravamo saliti prima noi. Lei poteva benissimo aspettare la corsa successiva. Se c'era dopo venti minuti chissene, aspettava come tutti gli altri essere mortali».

«Bisogna dare la precedenza agli anziani» aveva replicato lei calma.

«Anche se sono a un passo dalla fossa non significa che bisogna trattarli come Dei scesi in terra. Avevamo noi il diritto di rimanere lì e se davvero ci tenevi a me avresti dovuto difendermi da quello stronzo del figlio che mi ha insultato».

«Luca non ti riconosco più. Dall'incidente sei cambiato».

Avevo riso, senza traccia di gioia.

«Te ne sei accorta ora? Quello che ero non esiste più. Ho semplicemente aperto gli occhi sul marcio che esiste al mondo».

Eravamo stati in silenzio all'arrivo del taxi e anche per tutto il tragitto verso casa. Con difficoltà ero sceso dal mezzo e issato sulla sedia che mia madre aveva aperto. Aveva provato a intervenire ma l'avevo bloccata sul nascere. «Lasciami in pace» le avevo sibilato contro e lei aveva ritratto la mano come se avesse paura che gliela strappassi a morsi.
Il distacco da mia madre si era intensificato dopo quell'episodio, già dopo l'incidente mal sopportavo la presenza degli altri, da quel momento avevo chiuso tutti fuori dal muro che stavo costruendo attorno alla mia anima. Muro che solo Akira era riuscito a scalfire.

Lo stesso Akira che stava seduto accanto a me giocherellando con un bracciale che non avevo mai notato, anche lui perso nei suoi pensieri, speravo più allegri dei miei.

«Bello in bracciale» dissi non riuscendo a trattenere la curiosità.

Portò lo sguardo su di me sorridendo appena. «Me l'ha fatto Maiko. Le piace molto come attività».

Lo fissai più attentamente constatando che era costituito da un semplice cordoncino nero con le perline bianche dalle lettere nere, che insieme completavano il suo nome.

«L'ha fatto durante il mio periodo di ricovero in ospedale, quando ancora ero in coma. Era il modo per avermi vicino, così mi ha detto. Poi un giorno me l'ha messo al polso, forse per darmi la forza di riprendermi e in effetti qualche giorno dopo...mi sono risvegliato».

Nella mia mente premeva una domanda di cui temevo la risposta.

«Lei sa cosa ti è successo?»

Rimase in silenzio ma contro ogni aspettativa rispose con in filo di voce. «Ha assistito a tutto. È stata lei che, spaventata da ciò che stava succedendo, ha chiamato zia Marta che ha allertato le forse dell'ordine. È grazie a lei se sono sopravvissuto. L'ultimo ricordo che ho di quei momenti è la sua voce che mi chiamava implorante. Non ho avuto neanche la forza di rispondere al suo richiamo, per rincuorarla. Ho scoperto che mia zia, dopo essere diventata la nostra tutrice legale, l'aveva mandata dallo psicologo, si svegliava durante la notte in preda a incubi indicibili, e talvolta aveva paura di fare anche solo il tragitto macchina entrata di scuola per paura che comparisse nostro padre e le facesse del male come ha fatto con me».

D'istinto chiusi le mani a pugno, provando nuovamente odio nei confronti di una persona che non avevo ancora conosciuto ma che aveva fatto del male ad Akira, lo stesso sentimento che avevo avvertito farsi strada nel mio cuore nel momento in cui mi aveva raccontato i fatti per la prima volta.

Feci per rivelarlo ad Akira ma lui si alzò prenotando la fermata.

«La nostra è la prossima» sentenziò, al che tolsi il freno dalle ruote, che mi avevano impedito di essere sballottato da una parte all'altra, con Aki che mi tenne fermo in attesa di arrivare a destinazione.

Dopo che il bus si fermò Akira si premurò ad abbassare la pedana per permettermi la discesa, sotto lo sguardo attento dell'autista, pronto a intervenire in caso di bisogno, ma per fortuna filò tutto liscio come l'olio.

La fermata per fortuna si trovava a pochi metri di distanza dal cinema scelto, comodo anche per il ritorno a casa. Era un cinema piccolo, che si sviluppava sotto la strada, dandomi subito un senso di claustrofobia. Seguì comunque Akira in biglietteria per l'acquisto.

Trovammo un ragazzo dall'aria stanca che strappava i biglietti per consegnarlo a clienti un po' troppo esigenti e frettolosi. Ma gli andava a fuoco il culo o finivano vittime di combustione istantanea se non aspettavano un attimo?

Arrivò il nostro turno e il tizio mi volse una veloce occhiata.

«Non abbiamo posti in cui potrebbe mettersi con la sedia a rotelle ma possiamo comunque trovarne uno esterno in modo che possa tenere la sedia abbastanza vicina» suggerì lui. Meno che niente dovevamo imparare ad accontentarci.

Strappò i biglietti per il film, istruendoci a chi chiedere per la sedia. Manco il tempo di ringraziarlo che la sua attenzione era già passata al cliente successivo.

Poco distante trovammo il banco da cui si potevano comprare le varie cibarie da consumare nella sala.

«Ti vanno pop corn e cola?» mi propose e accettai di buon grado. «Purchè i pop corn non siano affogati nella nutella» aggiunsi con una smorfia disgustata.

«Quella è una pratica barbara» assentì lui.

Decisemmo di prendere un cesto più grande di pop corn da condividere e un bicchiere per uno di cola.

Dopo aver pagato scendemmo una leggera discesa per raggiungere le sue sale. Peccato che mancava la segnaletica per permetterci di sapere qual'era quella giusta. In una avrebbero trasmesso Cinquanta sfumature di rosso, nell'altra il film che ci interessava.

«Secondo me é quella a destra» dissi con decisione, pur non essendo affatto certo. Lui, malgrado tutto, mi seguì all'interno della sala, che trovammo abbastanza piena.

Forse, dopo un occhiata in piú, avrei dovuto intuire che qualcosa non quadrava. Dalla trama che mi aveva spiegato Aki non mi sarei aspettato così tante ragazze presenti. Certo il prestavolto del protagonista non sembrava male, Akira mi aveva rivelato di aver avuto una cotta platonica nei suoi confronti, ma non mi sembrava da quasi tutto esaurito. Ma se erano contente così, affari loro.

Trovammo i nostri posti disposti lateralmente.

Manco il tempo di posizioarci che subito si materializzò al nostro fianco una ragazza sui venticinque anni dai capelli castani.

Squadrò prima me e poi Akira che con fare dubbioso.

«Siete certi di voler vedere questa proiezione?»

Akira trasudava nerdagine da tutti i pori, il sottoscritto un po' meno ma quanto bastava per poter essere considerati degli ottimi osservatori.

«Certo che si. Problemi forse?» ribattei, al che la ragazza arrossì scusandosi e, dopo che mi fui posizionato sulla poltrona, si allontanò per parcheggiare la sedia a rotelle in una rientranza poco distante, dove potevo controllarla con una rapida occhiata.

Non appena mi sistemai sulla poltrona amaranto abbastanza soffice si spensero le luci e  partì la proiezione.

Nel buio allungai la mano per stringere quella di Akira, che intrecciò le sue dita pallide con le mie. Voltò appena il capo e mi regalò un sorriso dolcissimo, tanto che dovetti trattenermi dal protendermi e baciarlo.

Decisi di rispodere con un sorriso anch'io, sperando non notasse, alla poca luce generata dalle pubblicità pre film, il lieve rossore che si era propagato sulle mie guance.

Non capì nulla dell'inizio, e in effetti ci poteva stare, non avendo visto quelli precedenti.

Solo che andando avanti le cose si fecero più strane non appena comparve un certo Christian, bello certo ma non come il sottoscritto.

Guardai di sottecchi Akira e lo trovai vittima del mio stesso smarrimento.

A un certo punto questo tizio Christian prese la donna, Anastasia, e la sbattè contro la scrivania del suo ufficio, cominciando a farle...

Mi portai le mani davanti agli occhi per coprirmi da quelle scene che facevano sanguinare gli occhi. Due parole: che schifo!

Cazzo! Mi resi conto solo in quel momento che avevamo sbagliato sala!

Aprì un poco le dita per permettermi di osservarmi attorno, e cercando di non fissare lo schermo, anche se l'audio faceva anche troppo bene il suo lavoro, guardai gli altri presenti, per lo più ragazze. Non c'era un minimo di età per questi film? Sentivo i commenti di quelli di fronte a me, le loro risatine stupide che le facevano sembrare a dei criceti...con tutto il rispetto di quei simpatici roditori. Assomigliavano ancor di più alle Chipette.

Non ero un santo, non ero contro il sesso, ma solo contro quelle pratiche che erano solo violenze. Si vedeva che quella donna era costretta con qualche architettura mentale di quell'uomo che era un sex simbol seguito dalle donne di tutte le età.

Come aveva fatto a diventare così famoso, sia il libro quanto i film?

La gente aveva davvero dei dubbi gusti.
«Quanto è figo» sentì esclamare a voce abbastanaza alta la ragazzina che poco prima stava per balzare dalla sedia per buttarsi contro lo schermo nel tentativo di buttarsi sullo stronzo.

«Figo? Ma se è solo un arrapato, un po' bruttino a mio dire, che non sa tenere a posto l'uccello» mormorai, forse a voce un po' più alta di quello che pensavo perchè la vidi girare nella mia direzione con gli pcchi spiritati. Notai che indossava una maglia bianca con stampata sopra la faccia di quello che mi stava importunando il cervello da...solo un quarto d'ora? Quanto sarebbe durata questa tortura?

«Ma non avete un briciolo di amor proprio voi ragazzine affette da sindrome di Stoccolma?»

«Se sei qui anche te significa che ti piace».

«Abbiamo sbagliato sala» mugugnai irritato.

Come osava paragonarci a loro?

«Questa è la patetica scusa che ti dai per non ammettere a te stesso la perfezione di Christian» ribattè lei orgogliosa di aver difeso il suo beniamino.

Fui tentato di voltarmi verso Akira e implorarlo che se in futuro fossi diventato così aveva tutta la mia benedizione di gettarmi giù da qualche dirupo...o finestra se presente, possibilmente da un piano alto.

Prima che potessi dire qualsiasi cosa fummo zittiti aggressivamente dal testo delle ragazze presenti.

Per tutto il primo tempo fui assalito dalla tempesta ormonale delle ragazzine. Dovevano avere la mia età, gli anni che dovevano a parer mio avere per vedere, se desideravano, questi scempi, ma sembravano solo delle adolescenti in calore.

Finito il primo tempo implorai Akira di andarcene. Mi sentì patetico ma non avrei retto ancora un minuto di più lì dentro.

Ero rimasto talmente nauseato da non riuscire a mangiare manco un pop corn.
Akira assentì e recuperò la sedia a rotelle.

Uscimmo in fretta dalla sala, e finalmente riuscì a respirare normalmente.

«Tutto bene?» mi domandò Akira in apprensione.

Mi sentì un poco in colpa ad averlo fatto preoccupare in quel modo.

Annuì, non essendo però del tutto convinto e lo stesso mi parve dal suo sguardo.

«Sono solo rimasto un po'...shockato da quel film. Appena arrivo a casa e noto che mia madre legge quella storia le do fuoco...ai libri non a mamma» precisai alla fine.

Lui ridacchiò. «Immaginavo Luca-chan». Mi osservò con sguardo intenso prima di aggiungere, sempre con un sorriso sul volto: «Qualcosa mi dice che la prossima volta ti porterò all'acquario».
 

 

*Traduzione dal cinese: Buonasera. Parli italiano?
**Traduzione dal coreano: Buonasera. Parli italiano?
***Trad dal giapponese: Siete delle maleducate
****Trad dal giapponese: Io sono mezzosangue
***** termine giapponese per identificare ragazze fan di coppie omosessuali in diverse opere. La loro controparte maschile sono i fudanshi (n.b. Akira è uno di loro 😂)

   
 
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