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Autore: Melisanna    08/01/2024    1 recensioni
Genkai era forte e bella in un modo da far male al cuore.
Genere: Drammatico, Erotico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genkai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per l'Advent Calendar della pagina Facebook Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO
Prompt: Cambio d'umore
Ho visto la serie live-action su Netflix e mi è venuta voglia di rispolverare un mio vecchio (vecchissimo) amore, però la storia non ha niente a che fare con la serie né con l’anime che non ho visto, è ispirata solo al manga. Siccome l’ho letto in francese, prima che lo pubblicassero in Italia i nomi, anche dei colpi sono quelli dell’edizione francesi e le battute dove le ho riprese dall’originale le ho tradotte io.


 
L’ultimo avversario
 
La luce bionda e cristallina dell’alba disegnava lunghe ombre azzurre nel dojo. In quell’atmosfera soffusa, la fanciulla minuta che fluiva da una forma del kata a un’altra con perfetto controllo, assumeva un aspetto soprannaturale.
 
Non l’aveva interrotta, anche se era arrivato con urgenza e desiderio. Si era appoggiato allo stipite della porta ed era rimasto ad osservarla, inebriandosi della sua grazia e della sua forza, della perfezione di ogni suo movimento, dell’energia che vibrava dentro di lei. Era passato molto tempo prima che Genkai si fermasse al centro del tatami, riunisse le mani al petto e poi le separasse, rivolgendo i palmi verso il basso, liberando l’energia verso la terra, aprisse i grandi occhi e lo guardasse.
 
Non l’aveva salutato, non l’aveva accolto con parole di benvenuto, né gli aveva chiesto dove fosse stato. L’aveva solo guardato a lungo, seria e aveva detto “Sei diventato più forte” e in lui si erano riaccesi l’urgenza e il desiderio.
 
Aveva annuito “Combattiamo. A piena potenza questa volta. Non trattenerti”.
 
Lei aveva battuto una volta le palpebre, lentamente, come riflettendo. Come se lui avesse detto qualcosa di terribilmente triste “Va bene. Usciamo”.
 
Avevano scelto uno spiazzo isolato, dove non avrebbero potuto fare troppi danni. Si erano fronteggiati per pochi lunghi secondi, l’uomo alto più di due metri, severo e bruno e la fanciulla piccola come una bambina, con il volto di una bambola. Genkai lo valutava attenta e pacata e lui si sentiva bruciare.
 
Aveva attaccato per primo con un pugno che avrebbe dovuto spazzarla via e che aveva scavato un cratere nel punto in cui si era trovata. Era stato rapido, ma Genkai aveva schivato e il suo pugno non l’aveva nemmeno sfiorata. Aveva attaccato ancora e ancora e ancora e ogni pugno portava con sé devastazione e avrebbe potuto distruggere uomini e mostri con eguale facilità, ma lei li evitava senza sforzo, con movimenti così minimi che ogni volta Toguro era convinto di averla colpita e invece le sue nocche incontravano solo l’aria o affondavano nel terreno.
 
Aveva sentito crescere dentro di sé la frustrazione e l’ebbrezza, perché per quanto potente diventasse, per quanto forte, Genkai era sempre lì, un passo appena oltre di lui. E con la frustrazione e l’ebbrezza cresceva il desiderio. I suoi attacchi si erano fatti sempre più rapidi e sempre più forti, finché aveva visto gli occhi castani di Genkai spalancarsi per la sorpresa e poco alla volta ciuffi di capelli avevano cominciato a sfuggire alla sua treccia ordinata.
 
Alla fine, persino il suo respiro aveva cominciato a farsi affannoso. Forse, aveva pensato Toguro esaltato, travolto da quella possibilità, forse non aveva contrattaccato perché sapeva di non potergli fare più niente, che nemmeno la sua energia spirituale era più in grado di battere la forza bruta di lui.
 
E poi Genkai era passata sotto il suo pugno, dentro la sua guardia e gli aveva appoggiato i palmi sugli addominali e il mondo era svanito nel biancore accecante del suo Reikohadoken. Era volato indietro per una decina di metri ed era atterrato sulla schiena con una botta che gli aveva svuotato i polmoni di tutta l’aria. Genkai gli era piombata subito addosso. A cavalcioni sul suo petto gli aveva puntato l’indice alla fronte e Toguro aveva appena avuto il tempo di allungare un braccio e stringerle un fianco, prima che il suo Reigun lo colpisse.
 
Mentre perdeva conoscenza, aveva pensato solo Non è ancora abbastanza.
 
Quando si era svegliato, qualcosa gli stava sfiorando il viso. Aveva riconosciuto il profumo di lei e la stoffa del suo kimono che gli sfiorava uno zigomo e aveva realizzato di avere il capo appoggiato sulle sue cosce che erano soffici e calde. Aveva socchiuso gli occhi, restio a interrompere quel momento e da sotto le ciglia aveva visto il suo viso chino sopra di lui, concentrato, mentre con la mano sinistra gli teneva gentilmente fermo il capo e con la destra gli puliva le ferite con una pezza inumidita con acqua tiepida. Con attenzione gli strofinava lo zigomo e la tempia, sciacquava la pezzola, la strizzava con cura e riprendeva a pulirlo con delicatezza. Erano di nuovo nel dojo ed era straordinario che fosse riuscita a portarlo fin lì da sola, piccola com’era, ma aveva smesso di stupirsi della forza di Genkai da molto tempo. I suoi grandi occhi obliqui lo guardavano con una serietà carica di tenerezza e la piccola bocca era dischiusa nella concentrazione. La luce del giorno filtrava tra le ciocche di capelli rosati che le ricadevano ai lati del volto, rendendola ancora più eterea.
 
La testa gli pulsava e il lato sinistro del viso gli doleva ferocemente, sentiva l’occhio gonfio e non riusciva ad aprirlo. Eppure si era scoperto a trattenere il respiro, per prolungare l’attimo il più a lungo possibile, perché non ricordava di essersi mai sentito così in pace.
 
Genkai era forte e bella in un modo che faceva male al cuore.
 
Gli aveva disinfettato le ferite, poi aveva preso l’ago per mettergli i punti. Toguro non era riuscito a non sussultare quando aveva sentito il metallo infilarsi nella pelle e il filo scorrere sulla carne viva e lei si era accorta che era sveglio. Non aveva detto niente, aveva solo sorriso e gli aveva stretto il capo con più forza e Toguro aveva stretto i denti fino a digrignarli per non smettere di guardarla mentre l’ago entrava e usciva dalle carni e Genkai mordeva il filo a ogni punto, con le labbra così vicine al suo viso che Toguro poteva sentire il suo alito caldo sulla pelle e lo annodava, lasciando la presa sulla sua testa e ogni volta che ritornava ad affondare la mano tra i suoi capelli, Toguro desiderava che non la spostasse mai più.
 
Ma dopo il settimo punto, Genkai aveva appoggiato l’ago e gli aveva accarezzato il viso “Sarà meglio che vada a prendere il ghiaccio”.
 
Toguro le aveva preso il polso “Io ti amo” aveva detto e non sapeva se era una rivelazione per lei o per sé stesso, perché neanche lui lo aveva saputo fino a quel momento.
 
Genkai aveva riso, di una risata piccola e argentina e per un momento era sembrata la ragazzina che era.
 
“Toguro…” aveva detto.
 
L’aveva interrotta “Chiamami per nome” e lei aveva riso di nuovo e si era chinata e glielo aveva sussurrato all’orecchio e poi l’aveva baciato e lui le aveva affondato la mano libera nei capelli e aveva chiuso gli occhi cercando di fare durare il momento anche solo una frazione di secondo di più. Com’era terribile il passare del tempo.
 
Quando lei si era risollevata, Toguro aveva continuato ad accarezzarle il viso “Vorrei che rimanesse tutto sempre così, per sempre. Vorrei che non cambiasse mai niente, mai. Vorrei che rimanessi per sempre i più forti di tutti”. I più belli, almeno tu, la più bella di tutti, ma questo non lo aveva detto.
 
Genkai l’aveva guardato con quella sua aria saggia e severa, così diversa dalla fanciulla di poco prima “Invecchieremo, tu ed io. Come tutti, il tempo sarà l’ultimo avversario che dovremo affrontare e che non potremo sconfiggere” e poi aveva sorriso e il suo viso era stato come trasfigurato dall’affetto “Vorrei invecchiare con te, non avrei paura al tuo fianco”.
 
Eppure lui era stato pervaso dalla rabbia per quell’ingiustizia, perché dovevano invecchiare e decadere, perché tutta quella bellezza e quella forza dovevano sparire, perché Genkai doveva morire? Perché lui?
 
Aveva colpito il pavimento e crepe si erano allargate intorno al suo pugno “Non sopporto l’idea che possa arrivare un giorno qualcuno più forte di me, che io non sia più in grado di fermarlo” che non possa impedirgli di sfiorarti, di farti del male, di ucciderti, ma questo non l’aveva detto “Voglio essere forte, sempre più forte, per sempre”.
 
Una lacrima era scivolata lungo il viso di Genkai e lui si era voltato, perché non sopportava il suo sguardo.
 
E adesso che la guarda, dopo cinquant’anni, vecchia e fragile, Toguro si chiede quanto Genkai già avesse indovinato in quel momento, cosa sapesse delle sue ricerche, dei suoi desideri, per averlo guardato in quel modo. Se si fosse già immaginata come sarebbe finita, le sue scelte che lei tanto deprecava, il suo tradimento. “Avrei dovuto ucciderti allora, quando eri ancora bella e forte”. Quando mi amavi ancora, quando mi guardavi con così tanta tenerezza ed eravamo i soli avversari l’uno dell’altro, quando avremmo ancora potuto invecchiare insieme, invece che così disperatamente soli.
 
E adesso che la guarda, con le palpebre pesanti e i capelli ingrigiti e il volto devastato dalle rughe e lui è ancora giovane e forte e bello, Toguro si chiede se ne sia valsa la pena.
 
La pelle di Genkai è diventata sottile come carta velina e i suoi occhi castani sono pallidi e offuscati e la pelle del viso cadente ed è asciutta come sono asciutti i vecchi con le ossa che premono contro la pelle eppure è ancora così forte e così bella da fargli male al cuore e lui ha rinunciato a tutti quegli anni accanto a lei, ha rinunciato a sapere come avrebbe potuto essere, ha rinunciato ad essere il suo unico avversario e il suo unico amante, ha rinunciato a invecchiare accanto a lei.
 
Ma è troppo tardi per il pentimento. Lui è ancora giovane, forte e bello, eppure il tempo non si è fermato, neppure per lui. È troppo tardi per tutto, tranne che per i rimpianti.
 
Com’è terribile il passare del tempo.
  
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