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Autore: Evali    12/01/2024    0 recensioni
Dopo ogni morte, vi è una rinascita.
Non tutti rinascono subito, alcuni
impiegano mesi o anni, altri secoli, mentre altri ancora sembrano destinati a
non rinascere più.
In base al nostro comportamento nella vita precedente, il Fato onnipotente ci
assegna un luogo e un nome nella prossima vita, i quali potrebbero essere gli
stessi della scorsa, oppure no. Possiamo ricordare la o le vite precedenti,
oppure restarne ignari. Così sembriamo totalmente diversi da quelli che
eravamo prima, oppure uguali. Vincent Van Gogh ha avuto quattro vite
differenti dopo la prima che lo ha reso famoso. Durante la seconda era un
generale che combatteva nella Prima Guerra Mondiale, nella terza un
mercenario, la quarta l’ha trascorsa a suonare e a cantare per le strade del
Congo, mentre nella quinta è morto da bambino a causa di un’aggressione in
casa. In nessuna di queste ricordava la precedente. William Shakespeare
invece, ha condotto quasi la stessa vita dopo ogni rinascita. Molti dicono che
non ne avesse dimenticata neanche una.
Che senso avrebbe la vita se la morte fosse la fine?
Che significato avrebbero le nostre azioni, la nostra anima, se fosse destinata
ad una sola vita?
Riesci ad immaginare un mondo senza rinascita?
Genere: Angst, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il tranello di Bianca
 

La mezz’anima camminò ancora e ancora, fino a quando non raggiunse la sua meta, il vagone dal quale proveniva quella musica ogni volta diversa.
Non appena vi entrò, la musica cessò e si ritrovò completamente sola in mezzo a tutti quegli splendidi e imponenti strumenti musicali. Si guardò intorno.
- È inutile che ci provi anche con me – quella voce ben riconoscibile e distinguibile da tutte le altre, si levò alle sue spalle.
Bianca si voltò individuando la figura che cercava, appoggiato con la schiena ad una parete, a qualche metro da lei. – Che vuoi dire?
Layt accennò un sorriso divertito. – Sono il guardiano di questo treno, mezz’anima. E sono qui da duecento anni. La tua sfacciata modestia non può arrivare a credere di riuscire ad ingannare me, né tanto meno di leggere i miei ricordi, così come sei riuscita a fare con tutte le anime del tuo vagone. Quindi è inutile che ci provi con me. Non funzionerà.
Bianca inghiottì a vuoto, arrendendosi. – Non riesco mai ad entrare nei tuoi ricordi le poche volte in cui appari. Non riesco neanche a vedere la tua pena …
- Dovresti dire loro cosa hai fatto. Non saranno felici di sapere che la tua cieca e smaniosa curiosità ti ha fatto compiere un gesto tanto ignobile come quello di scavare nella loro memoria senza il loro consenso. Vuoi continuare a far credere ai tuoi amici che i loro ricordi da vivi tornati prepotentemente a galla negli ultimi mesi, siano solo un caso?
- Se lo dicessi loro, mi odierebbero. So di aver sbagliato, ma … non sono stata capace di fermarmi quando mi sono accorta di essere in grado di farlo …
- Quando confesserai tutto, vorranno sapere come ci sei riuscita, dato che, non solo sei una mezz’anima, ma sei qui da neanche un anno.
- Non so neanche io come ci sono riuscita … dovresti averla tu la risposta a questa domanda – rispose la ragazza stringendo i pugni.
A ciò, Layt passò una mano sopra il pianoforte, sfiorandone la superficie con le dita. – È una capacità che si acquisisce dopo anni di permanenza nel treno, ma non tutte le anime la padroneggiano a prescindere. La tua è una vera e propria particolarità … quasi un’eccezione – rispose posando lo sguardo su di lei.
- Cosa dovrei fare ora? I sensi di colpa mi stanno divorando …
- Va’ da loro e dì ogni cosa. Dovrai essere pronta a pagare le conseguenze di ciò che hai fatto – disse dandole le spalle e camminando verso l’uscita del vagone.
- Layt – lo richiamò Bianca facendolo fermare. – Non stavi suonando tu prima che arrivassi, poco fa?
- La risposta ad una domanda del genere non ti riguarda. La tua famelica curiosità mi piace, mezz’anima, ma devi imparare a dosarla quando ti trovi dinnanzi ad un codice che non riusciresti mai e poi mai a decifrare. Sbrigati ad andare da loro. Quando avrai finito, ci sarà qualcos’altro ad attendervi.
Dopo quelle parole, Bianca ritornò nel suo vagone e, quasi come se le avessero letto nel pensiero, trovò i suoi compagni in piedi ad aspettarla, nei loro occhi una rabbia nera.
- Ciao, Bianca – fu Vik a parlare per prima, e sembrava avere lo sguardo più deluso di tutti. – Abbiamo parlato, durante la tua gita per i vagoni. Sono venute fuori alcune cose.
- André ha voluto parlarci dopo che ieri ha rivissuto tutta la sua tremenda storia dei suoi anni di vita, passando una notte colma di incubi e dolori - continuò Osmond.
- È successo a tutti noi. Per questo siamo giunti alla conclusione che ci fosse qualcosa di strano – proseguì Jaya.
- Vieni con noi, Bianca. Affronteremo questo argomento altrove: anche Barth merita la sua vendetta – parlò anche Andrè, riferendosi ovviamente al fatto che Barth non potesse muoversi da dietro il bancone del suo cafe situato due vagoni prima del loro.
Bianca prese a seguire quelli che ormai erano divenuti suoi amici e che sentiva di aver perso per sempre, avvertendo dei tremori alla base della spina dorsale. Sapeva che oramai avessero compreso.  -  Che cosa volete farmi …? – sussurrò, passando subito al dunque.
- Lo scoprirai presto – le rispose nuovamente Andrè, il quale la affiancava insieme a Vik.
Non appena giunsero nel vagone di Barth, dinnanzi al suo bancone, questo mostrò il suo volto addolorato, insieme agli occhi lucidi. – Io mi fidavo di te – le disse subito, con la voce rotta.
- Mi dispiace, Barth! Mi dispiace davvero tanto! Scusatemi tutti! – esclamò lei ponendosi una mano dinnanzi alla bocca, resistendo all’istinto di piangere.
- Hai idea di cosa hai fatto? Hai spiato nella nostra cazzo di mente senza il nostro consenso, facendo ritornare alla luce i ricordi peggiori che hanno segnato la nostra esistenza, quelli che con tanta fatica eravamo riusciti temporaneamente a seppellire. Ed io che credevo fossimo amiche! – aggiunse Vik.
- Lo siamo!
- Per te l’amicizia è questa? Essere amici significa entrare abusivamente nelle teste degli altri? Ti abbiamo accolta subito nel migliore dei modi, facendoti sentire parte della nostra quotidianità cristallizzata. Se solo avessi aspettato, con il tempo, saremmo riusciti ad aprirci, e con i nostri ritmi, a ritirare fuori quei ricordi con calma e pazienza, per raccontarteli e renderti partecipe del nostro passato, proprio come abbiamo fatto l’uno con l’altro ogni volta che un nuovo arrivato giungeva nel nostro vagone. Con i nostri tempi, Bianca – incalzò Andrè.
- Sei addirittura riuscita a vedere le mie vite seguenti alla prima … quelle che avevo dimenticato. Come diavolo hai fatto?? – le chiese Barth ancora sconvolto.
- Non lo so, ragazzi, davvero, dovete credermi … non avrei mai voluto violare la vostra privacy. L’ultima delle mie intenzioni era quella di tradire la vostra fiducia in questo modo … non so cosa mi sia preso. Sono sempre stata molto curiosa fin da piccola e, forse, queste premature capacità che non dovrei ancora possedere, sono dovute a questo … non lo so neanche io. So solo che non ho saputo darmi un freno e capisco in pieno la vostra rabbia. Al vostro posto mi odierei anche io … mi odierei al punto da non provare altro sentimento. Ma vi giuro, vi giuro su ciò che ho di più caro al mondo, che non era mia intenzione farvi soffrire e provocarvi tanto dolore! Sono stata impulsiva e incosciente, ma l’affetto che nutro per voi è qualcosa di inspiegabile, quasi innato. Vi considero la mia famiglia oramai, e, se fosse per me, non mi divederei mai da voi … - disse accorata, guardandoli uno per uno, mentre le lacrime scalpitavano per uscire dai suoi occhi.
 Trascorse qualche secondo di silenzio, poi Osmond prese la parola. – Lo stesso vale per noi, Bianca. Ma non possiamo ignorare quello che hai fatto.
- Meriti di essere ripagata allo stesso modo – aggiunse Jaya.
- Che intendete dire con “allo stesso modo”? – chiese timorosa la mezz’anima.
- Da un momento all’altro potresti risvegliarti dal coma, oppure morire e diventare una passeggera del treno a tutti gli effetti. Dato che la tua permanenza qui è così incerta, anche noi siamo impazienti di conoscere la tua storia – disse Andrè, facendo impietrire Bianca.
- La nostra vendetta consisterà nel farti ciò che tu hai fatto a noi, senza permesso – concluse Vik mentre tutti la circondarono in un cerchio comprendente anche il bancone del cafe.
Bianca si accovacciò a terra e cominciò ad abbracciarsi da sola, tremante. - Vi prego, vi prego, non fatelo …
- “All’età di quattro anni, una donna mi vide camminare su un bastoncino in bilico tra due alberi, attraversarlo senza problemi, come fosse una superficie solida. Ho letto che il senso dell’equilibrio è nascosto nel nostro cervello, molto in profondità, e fa parte di quelli che nessuno si ricorda di avere, come se si trattasse di ricordarsi di respirare. Proviene dalle orecchie e da un angolo del cervello nascosto al cervello stesso, mi piace pensare. Alcune persone ne sono sprovviste mentre altre, altre come me, ne sono fin troppo dotate. Così mi dissero” - cominciò Vik, pronunciando i ricordi che lesse nella mente di Bianca.
- “La donna disse a mia madre che avevo un dono, un talento.
Ma mai dire ad un’attrice fallita, frustrata e ambiziosa, che sua figlia ha un talento.
Perché la distruggerà pur di vederlo realizzato.
All’età di quattro anni, mia madre mi iscrisse ad una scuola di danza, seguendomi assiduamente in ogni fase dei miei progressi, soffocandomi in ogni momento della giornata. Non potevo avere amici, non potevo avere nessuno.
Mio padre era morto prima che nascessi, perciò l’unica che provò a combattere contro nostra madre per impedirle di rovinarmi già da bambina, fu la mia unica sorella maggiore, Melanie. Lei ci ha sempre provato, fino alla fine.
Tuttavia, quando si ha a che fare con una bestia feroce e affamata, la si placa solamente uccidendola. Mia madre era terribilmente e patologicamente affamata di successo, di gloria, di applausi” – continuò Andrè.
- “‘Hai i piedi da ballerina, il corpo di un fiore e il viso di ceramica’ mi dicevano. ‘Faresti invidia alla più colorata delle farfalle e al più aggraziato dei cigni.’ Era strano non sentirsi adatta, percepire di avere tutti gli elementi per eccellere in qualcosa, ma sentirsi comunque fuori posto. Io volevo solo tenermi in equilibrio, camminare tra il vento, ondeggiare in quel filo sospeso in mezzo al nulla che tanto mi faceva sentire al mio posto. Non volevo gli applausi, non cercavo la fama, non aspiravo alla perfezione. Lo faceva qualcun altro per me.
Trascorsi in questo modo l’infanzia e quando Melanie si trasferì nell’Oregon per andare al college, fu ancora peggio. L’unica mia ancora di protezione era svanita ed io ero sola nella gabbia del leone” – proseguì Jaya.
- “Cominciarono ad arrivare le prime gare di ballo, le competizioni di pattinaggio artistico, gli spettacoli di danza classica. Ottenevo sempre dei buoni risultati, ottimi per la mia età, ma, per qualche assurdo motivo, non bastava mai. Mi piaceva danzare, mi piaceva muovermi sotto le note della musica, percepire di toccare il cielo con la punta del dito anche in quel modo, quando mi prendevano in braccio e mi lanciavano in alto.
Poi, all’età di dieci anni, durante una gara di ballo, caddi, slogandomi una caviglia e rovinando l’intera riuscita della coreografia, dinnanzi ad un pubblico di più di quattrocento persone.
Dopo essere uscita dall’ospedale con la caviglia fasciata, quella notte, avvenne ciò che ricordo come il primo dei due momenti peggiori della mia vita” – fu il turno di Osmond.
- “Mia madre aveva completamente perso il senno dopo la mia caduta e la messa a rischio della mia intera carriera da ballerina. Così, fece qualcosa che, un tempo, era come una benedizione per le bambine piccole e costrette da una società che vedeva la donna solamente come un magnifico petalo di un fiore, mera e pura esteriorità, nonché piacere visivo e sessuale. Qualcosa che nessuna bambina dovrebbe provare.
Ma, almeno, al tempo, ad una pratica come quella venivano sottoposte bambine davvero molto piccole, quando le ossa dei piedi devono ancora formarsi del tutto e il dolore risulta estremamente minore.
Su di me, che avevo già dieci anni e i miei piedi erano quasi completamente formati, fu pari ad una lama conficcata nella testa che comincia a farti vedere tutto nero, come se al mondo non vi fosse altro che un buio intenso.
Mi infilò un panno in bocca per attutire le urla, mi prese entrambe le caviglie con le mani, togliendo prima la fasciatura su quella infortunata, e poi mi spezzò i piedi. Prima uno, poi l’altro. Sentii letteralmente uscirmi l’anima dal corpo e poi rientrarvi dentro mentre urlavo e mordevo la mia lingua fino a farla sanguinare, nonostante il panno. Quando ancora il buio non mi aveva invaso, vidi i miei piedi in una posizione innaturale, contorti su loro stessi, mostruosamente rigirati in un intreccio che non riuscivo a comprendere.
Quando le fasciature strette tenute per un anno intero e i dolori atroci quotidiani si alleviarono lievemente, mentre le mie ossa si adattavano a fatica a quella nuova, innaturale posizione distorta, rendendo i miei piedi ancora più piccoli e aggraziati, ricominciai a danzare” – disse Barth stoppandosi, non potendo fare a meno di versare delle lacrime amare nel pronunciare quelle atroci parole, mentre anche tutti gli altri percepivano il magone montare in loro. Tuttavia, si imposero di continuare.
- “All’età di tredici anni arrivò il giorno del tentato suicidio. Camminavo su quel filo sospeso tra due palazzi, accarezzata e avvolta dalla nebbia come un tempo, come amavo tanto fare. Le braccia allungate all’esterno e poste ad asta, mentre il vociare sotto di me, della folla ammucchiata e preoccupata nel notare una ragazzina che cammina su un filo sospeso a metri e metri di altezza, si faceva sempre più alto. Sarebbe stato un modo perfetto per morire, per porre fine a tutto quanto, per non sentire più dolore ai piedi, il peso di un macigno sulla schiena e il fiato rovente e asfissiante dinnanzi alla bocca. Sarebbe stato tutto perfetto, proprio come doveva essere. La mia esasperazione era arrivata ad un punto tale, da farmi sentire bene e felice in quel momento, nonostante l’azione che stessi per compiere.
‘Questa è la segreteria di Bianca Annjoy, ti prego di lasciare un beep dopo il messaggio. Cioè, intendevo un messaggio dopo il beep! Se non avessi una sorella schizzata che mi tirasse i vestiti in questo esatto momento, riuscirei a fare un discorso sensato! Mel, la smetti?? Sto registrando il messaggio per la segreteria, grazie! Comunque, chiunque tu sia, appena potrò ti richiamerò!   -    BEEP   -    Ehi, micetta, sono io, la tua sorella maggiore che ti manca tanto. Scusa, scusa e scusa altre mille volte se non ci siamo sentite per un’intera settimana! Dovevo recuperare alcune lezioni arretrate così mi sono messa sotto con lo studio! Spero di riuscire a tornare a casa per rimanere qualche giorno il prossimo mese! Mi manchi come l’aria, baby B. Non immagini quanto. Non vedo l’ora di vederti in videocall e di ascoltare tutti i tuoi pianti, sfoghi e lamentele, che poi si trasformeranno in risate non appena ti mostrerò la montagna di marshmellow dalle forme più assurde che ho comprato stasera per cena! Che diavolo stavamo facendo quando hai registrato questo meraviglioso messaggio per la tua segreteria?? Rinfrescami la memoria che ne ho bisogno! Ti voglio bene da impazzire, micetta, a dopo!’
Chissà perché mi venne in mentre quel messaggio ascoltato la mattina stessa proprio in quel momento. Forse perché, solo quando ci avviciniamo alla morte, il nostro corpo viene invaso da una scarica di istinto di sopravvivenza improvvisa e inaspettata. Ripercorsi la distanza che mi divideva dal palazzo e ritornai con i piedi a terra, buttando all’aria quella possibilità di suicidio perfetta” – riprese il giro Vik.
- “Trascorse un altro anno in cui la mia carriera riprese il via definitivamente, fin quando, eccitata ai limiti dell’umano, un giorno mia madre tornò a casa e mi disse di aver ottenuto una proposta senza pari: dei proprietari di un circo molto prestigioso fuori città, mi avevano offerto di essere il loro pezzo forte e di preparare un numero da trapezista, equilibrista e ballerina. Si trattava di un compito di estrema difficoltà dato che avrei dovuto ballare sopra un filo sospeso in aria, senza mai cadere.
Ovviamente, mia madre non mi avrebbe permesso di rifiutare, perciò accettò per me.
In quella nottata di luci e di stelle brillanti in cielo, io fui il raggio di sole in quel circo. Eseguii il numero perfettamente, fin quando, un rumore mi distrasse, facendomi perdere quel briciolo di concentrazione fondamentale a non farmi precipitare giù come una goccia di pioggia che si sfalda sul cemento. La rete attutì il colpo, ma l’altezza era talmente elevata, da non avermi risparmiato un forte colpo al piede, il quale riaccese in me il dolore per quelle ossa che mi erano state spazzate tanto dolorosamente e che non erano ancora al loro posto” – proseguì André.
- “Quella notte corrispose al secondo momento peggiore della mia vita.
Quando tornammo a casa, mi aspettai qualcosa come la rottura di qualche altro osso, magari della schiena, per farmi sembrare più elegantemente slegata nei movimenti, secondo gli assurdi parametri di mia madre.
Ma ciò non avvenne: mia madre mi chiuse in uno stanzino buio, non dicendomi né come né quando mi avrebbe fatta uscire di lì. Mi chiuse lì dentro senza dirmi nulla, lasciandomi con i miei atroci dolori ai piedi, a piangere per ore e ore intere, fino all’alba.
In quei momenti di buio e di disperazione totale, la mia rabbia e il mio dolore mischiati insieme partorirono qualcosa. Forse, la cosa migliore che avessi mai potuto partorire.
Mi misi alla estenuante ricerca di qualcosa di lungo e appuntito completamente al buio, aiutandomi solo con le mani e con il mio sviluppato equilibrio.
Alla fine, trovai una graffetta.
Se dal ventre di quella donna ero uscita io e non avevo fatto altro che soffrire a causa sua, a causa della sua decisione di darmi alla luce nonostante non fosse adatta a crescere una vita, allora la storia si sarebbe potuta ripetere … e non avrei mai e poi mai potuto rischiare che si ripetesse. Per niente al mondo.
Spaventata di divenire come lei un domani, decisi che mi sarei definitivamente tolta la possibilità di commettere il suo stesso errore. Se avessi optato per una soluzione meno drastica, avrei potuto nutrire dei ripensamenti negli anni, ripensamenti che mi avrebbero portata a compiere quello sbaglio. Perciò avrei dovuto farlo in quel modo, per renderlo perenne e irreversibile …”  - Jaya si bloccò, con le lacrime che le rigavano il volto. – Io non … non ce la faccio … - disse ai suoi compagni, leggendo nella mente della mezz’anima quello che sarebbe avvenuto in seguito.
Si guardarono tra loro e apparentemente nessuno sembrò trovare il coraggio di continuare.
- Continuo io – si propose infine André. – “Aprii la graffetta completamente, per poi sfilarmi le calze e l’intimo. Rimasi in ginocchio con la graffetta in mano per un po’, tremante.
Amavo i bambini, tutti i bambini che avevo conosciuto in vita. Ma dovevo comunque farlo. 
‘Non soffrirai, mai e poi mai, mio tesoro’ continuai a ripetermi per darmi coraggio, respirando piano, mentre le lacrime colavano giù a fiotti.
Dopo quasi un’ora in cui mi ripetei quella frase, infilai la punta della graffetta di metallo dentro il mio buco inviolato, applicando una forza bruta che non credevo di avere, per sfondarlo e per andare fino in fondo … alla fine ci riuscii. Bucai tutto e mi sentii come sventrare. Continuavo perché stavo male, perché mi facevano male i piedi e perché sapevo fosse la cosa giusta. Spinsi sempre più in profondità, fino a quando quel filo rigido, lungo e informe di metallo, non svanì quasi del tutto dentro il buco. Quando provai a farlo uscire fece ancora più male di prima e sentii colare fuori un lago di sangue denso mentre mi accasciavo a terra e chiudevo gli occhi, fiera, nel dolore, della scelta presa.”
- “Mi risvegliai in ospedale, circondata dai miei compagni di scuola, dai miei parenti, da mia madre, ma soprattutto da Melanie, la quale, grazie a ciò che era successo, riuscì ad ottenere la mia custodia totale. Tutto sembrò risolversi dopo quel gesto estremo: mia madre rinsavì come per miracolo e cercò di rimediare a tutti gli errori commessi, ovviamente senza successo. Mi rimisero a posto le ossa dei piedi, e mi fece ancora più male della prima volta, ma, dopo tutti i tormenti fisici subiti, riuscii a superarlo senza fatica.
Non potevo più avere un bambino mio; tuttavia, riavevo la mia vita, la possibilità di vivere come volevo e la sicurezza che per niente al mondo avrei messo alla luce una creatura che avrebbe sofferto le mie stesse pene.
Tutto ciò avvenne quando avevo quattordici anni. Nei due anni seguenti, feci tutto ciò che una normale adolescente dovrebbe fare, unendomi ad un gruppo di amici, coltivando le mie passioni, i miei hobby, vivendo momenti splendidi con Melanie e con altre persone che amo. Poi, per casualità, per un’assurda e stupida fatalità, c’è stato l’incidente in macchina. Eravamo diretti ad un party io, le mie due migliori amiche e altri due nostri amici, tra cui uno alla guida. Una semplice svista, una banale distrazione, ed eccomi qui, in coma, tra la vita e la morte” – continuò Osmond.
- “‘Tu non hai i piedi da ballerina, il corpo di un fiore, la pelle di ceramica o le ali da farfalla. Tu sei molto più di questo. Tu sei determinata come una tempesta dopo un’arida estate, forte come i lampi che squarciano il cielo, intelligente e brillante come i neon che illuminano un palco buio, appassionata come la musica, come il cibo caldo, come le onde, come i fuochi d’artificio. Sei impulsiva e curiosa come una dea bambina.’ Queste sono state le parole più belle che io abbia mai udito, parole uscite dalla bocca di Melanie, nonché la persona che più di tutte mi ha fatto apprezzare una vita perduta.”
Bianca era stesa a terra, in mezzo al cerchio, con le lacrime secche sulle guance, e le braccia ancora serrate al corpo. Era ferma e immobile, come in attesa di qualche altra pugnalata da parte dei suoi compagni e dei suoi ricordi.
- Che cosa abbiamo fatto … che razza di mostri siamo … - sussurrò inaspettatamente Vik, asciugandosi velocemente le lacrime e piombando su Bianca, tirandola su di peso, delicatamente, e stringendola a sé, accarezzandole i capelli come per cullarla. -  Mi dispiace, Bianca. Non avrei mai immaginato … non immaginavo facesse tanto male. Scusami … perdonami – la pregò.
- Va tutto bene, Vik, ho sbagliato anche io con voi … - sussurrò sulla sua spalla, stringendola a sua volta.
A ciò, anche gli altri cedettero e raggiunsero le due, inglobandole in un abbraccio collettivo, tutti eccetto Barth, poiché non poteva muoversi dalla sua postazione, e Andrè.
Non appena Bianca notò le fontane che stavano scendendo dagli occhi di Barth mentre la guardava dal bancone, si alzò e lo raggiunse, in modo da poter abbracciare anche lui. Andò dietro il bancone e lo strinse, mentre lui le diede due o tre baci sulla fronte, solleticandola con i suoi baffi. – Perdonami, bambina.
- Non c’è nulla da perdonare, Barth – disse sorridendogli, per poi dirigersi verso l’ultima persona che pareva ancora fare fatica ad avvicinarsi a lei.
André teneva le braccia conserte e la osservava con uno sguardo indecifrabile. – Hai vissuto davvero delle esperienze tremende, Bianca, ed è stato crudele fartele rivivere in questo modo. Ma io ero riuscito a dimenticare Audrey, Daniel e i rifiuti umani che per anni hanno abusato di me trattandomi come un animale. Ero riuscito a superarlo prima che tu arrivassi.
 - Lo so. Non ho scuse. Se mi darai una seconda possibilità, prometto che la sfrutterò al meglio. Se ti deluderò ancora, avrai ogni diritto di perseguitarmi per l’intera permanenza in treno.
A ciò, il ragazzo si arrese e abbracciò la mezz’anima a sua volta.
Fu proprio in quel momento di felicità incontaminata che Bianca ripensò alle parole che aveva udito poco prima dal guardiano: “Devi imparare a dosare la tua curiosità quando ti trovi dinnanzi ad un codice che non riusciresti mai e poi mai a decifrare. Sbrigati ad andare da loro. Quando avrai finito, ci sarà qualcos’altro ad attendervi.”
   
 
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