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Autore: Tynuccia    13/01/2024    1 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Era dolorosamente ironico, ragionò con mestizia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Femminilità 
 
 
 
 
L’acqua era tiepida, ormai, e le mille bolle del bagnoschiuma utilizzato si erano dissolte quasi tutte, facendole intendere che si era concessa molto più tempo a mollo di quanto preventivato inizialmente quando, di ritorno dall’ennesima giornata sfiancante, aveva deciso di affogare la stanchezza con un bel bagno, bollente e rilassante. 
 
Si sollevò dalla vasca, ben attenta a non allagare il pavimento, e posò i piedi sul tappetino, stiracchiando le membra contratte che, all’età di diciannove anni, avrebbero dovuto essere così malconce soltanto in seguito a nottate brave in compagnia degli amici. 
 
Pensando ai suoi, di amici, trovò il pensiero alquanto buffo, perché se Dearka probabilmente avrebbe volentieri fatto l’alba in discoteca, a suon di shot di tequila, Yzak si sarebbe fatto venire una sincope anche solo al pensiero di mettere piede in un locale gremito di gente, e con la musica talmente alta che avrebbe tranquillamente sovrastato il volume della sua voce. Un’impresa titanica e miracolosa. 
 
Passò una mano sullo specchio appannato del bagno, e guardo per un istante il riflesso che la superficie trasparente le restituì. Essendo una Coordinator, il suo volto non tradiva particolarmente la stanchezza che la sconquassava, ma non ci voleva un genio per capire che avrebbe potuto apparire molto meglio, se solo non avesse scelto di arruolarsi e diventare un soldato di ZAFT. 
 
Solitamente avrebbe preso un asciugamano e se lo sarebbe avvolta attorno al torace, ma quella sera rimase con gli occhi incollati sul suo corpo nudo, complice un piccolo fraintendimento di quel pomeriggio che le aveva affossato l’umore in maniera decisamente esagerata, viste le implicazioni inesistenti. 
 
Di certo il Comandante Joule non aveva fatto apposta, né le sue parole erano state mirate ad offenderla personalmente in alcun modo, ma quando, per l’ennesima volta, si era risolto a definirla uno dei suoi uomini, in ambito lavorativo, qualcosa dentro di lei si era spezzato. Poco era importato che il significato intrinseco di quella frase infelice fosse di elogio nei suoi confronti. Si era sentita soltanto un soldato, e non una donna, ai suoi occhi. Come giusto che fosse: del resto erano uniti, oltre che dall’amicizia, da un vero e proprio vincolo contrattuale in cui il suo sesso non era importante. 
 
Era dolorosamente ironico, ragionò con mestizia. 
 
Quando lei e Dearka erano entrati in confidenza, anche solo un minimo, il collega non si era proprio trattenuto dal chiederle come mai indossasse la versione maschile dell’uniforme, aggiungendo che aveva delle bellissime gambe e che era un crimine contro l’umanità nasconderle. 
Lì per lì si era sentita quasi lusingata da quel complimento, non essendo avvezza a riceverne troppi, ma ben conscia che Elthman fosse un amante del corpo femminile, per cui non era da prendere eccessivamente sul serio in merito a certe questioni. 
Gli aveva risposto brevemente che era una questione di praticità, ma la verità era un’altra, e non se l’era proprio sentita di svelargliela.
 
Quando, in seguito alla caduta di Heliopolis, si era arruolata, mandando su tutte le furie suo padre, aveva scoperto che era decisamente portata per il ruolo di soldato, coadiuvata anche dal traballante status mentale dell’epoca. Senza troppi sforzi si era affermata come la studentessa migliore del suo corso, surclassando i suoi compagni, tutti maschi, con facilità estrema. 
Ovviamente, quel branco di decerebrati non aveva preso bene l’essere messi in ombra da una femmina, e tutti avevano iniziato a malignare che la vera ragione dietro ai suoi encomiabili successi fosse che, nel tempo libero, si dilettava a sfruttare il suo corpo per convincere l’intero corpo docenti a darle voti migliori, al di là delle sue effettive capacità di studio e combattimento. 
 
Quelle voci le avevano dato parecchia noia, e all’inizio si era anche ribellata con ferocia in una difesa di se stessa e del suo onore che era andata inascoltata e, con il passare del tempo, si era arresa all’evidenza dei fatti. 
Si era diplomata, con voti migliori degli altri, e quando la segretaria dell’Accademia le aveva consegnato la Redcoat femminile, lei aveva stortato il naso di fronte a quella striminzita gonnellina rosa, pretendendo che le venisse data la versione maschile. 
 
Agli albori della sua carriera si era ripromessa che si sarebbe impegnata al massimo, così tanto che non sarebbe contato che cosa avesse tra le gambe. L’unico vezzo che si era concessa di mantenere, simbolo della sua femminilità, erano i lunghi capelli, a cui era troppo affezionata perché li tagliasse. 
 
Poi era stata convocata al fronte, come giusto che fosse, e il suo cuore si era riempito di orgoglio nello scoprire che il Comandante a cui avrebbe dovuto rispondere era niente meno che Rau Le Klueze, lodato eroe che aveva coordinato la presa di Heliopolis ed il furto di quattro dei cinque Mobile Suit di serie G, conosciuti come Gundam
 
Tutti, nell’esercito, erano a conoscenza di quella squadra, composta da nomi talmente blasonati che quasi si faticava a credere che fosse finita in disgrazia, lasciandone vivo soltanto uno. Yzak Joule. 
 
Inizialmente aveva potuto intuire che anche lui si era fatto prendere dallo sconforto, e dal nervosismo, nello scoprire che avrebbe avuto alle dipendenze un soldato donna, ma doveva ammettere che era bastato veramente poco perché tra loro due nascesse un rapporto basato sulla fiducia e sulla stima reciproca, totalmente unisex. 
 
Le venne da ridere, amareggiata, perché era riuscita nel suo intento proprio con l’unica persona al mondo da cui non avrebbe disdegnato un’occhiata lusinghiera per gli attributi estremamente femminili che la manipolazione genetica le aveva regalato. 
Perché quei sentimenti, che davvero inizialmente erano di semplice stima nei confronti del suo allora Capitano, si erano man mano trasformati in qualcosa di più profondo; in un bisogno sincero e quasi atavico. I complimenti, che tanto l’avevano inorgoglita ai tempi di Jachin Due, ora non le bastavano più e, dentro di sé, nutriva il desiderio che l’oggetto di quelle parole di lode non fosse il Maggiore Hahnenfuss, bensì Shiho e basta. 
 
Si sciolse i capelli dalla crocchia in cui li aveva raccolti perché non si bagnassero, e li lasciò ricadere morbidamente sulle spalle e sul petto, che fu tentata di afferrare e stringere. Anche quello, inizialmente, era stato motivo di disagio, vista la sua taglia maggiorata, e aveva usato delle bende per contenere il seno; soltanto in seguito non se ne era più data pensiero, accettando la cosa e spingendosi addirittura ad una scelta di biancheria più audace. Sapeva perfettamente che nessuno l’avrebbe mai vista, ma si era riscoperta più baldanzosa nell’indossare completi intimi tanto sensuali. E quella, insieme ai capelli, era l’unica cosa che faceva per se stessa in qualità di appartenente al gentil sesso, ma evidentemente non era abbastanza per arrivare ad esaudire i propri desideri. 
 
Certo, al Comandante non sarebbe sicuramente mai venuto in mente di rivalutarla in un’altra ottica qualora avesse adottato un comportamento più delicato, o un modo di parlare più carino. Anzi, probabilmente l’avrebbe attribuito ad un carico di lavoro fin troppo pesante, per poi costringerla a ferie forzate per farle recuperare la sanità mentale persa per strada. 
 
Sospirò e lasciò perdere il suo riflesso, e le sue riflessioni, coprendosi finalmente con un asciugamano. 
 
Forse, però, qualcosa avrebbe potuto provare a cambiarlo. In fondo, pensò, non c’era nulla di male, e lo doveva a se stessa. 
 
*
 
“Hai fatto qualcosa”.
 
Non era una domanda, e l’intonazione autoritaria lo sottolineava alla perfezione, così come l’intrinseca scocciatura. 
Shiho sollevò appena il capo dal documento che stava leggendo e strinse la penna tra le dita, rivolgendo al suo superiore uno sguardo di falsa sorpresa. “Come dice, signore?”.
 
Yzak incrociò le braccia sul torace e si abbandonò contro lo schienale della poltrona. “Non riesco a concentrarmi perché non riesco a capire cosa ci sia diverso in te, oggi”. La indicò con il mento, stringendo le labbra. “Quindi, per il bene di questo lavoro di merda, vorrei che lo dicessi una volta per tutte, così potremo tornare a leggere le castronerie delle reclute e decidere come punirli per essere così ottusamente sciocchi”.
 
“Assolutamente nulla di diverso”, mentì lei, sorridendo di poco. 
 
“Shiho”.
 
La ragazza dovette imporsi di non sobbalzare, e si strinse nelle spalle, come se non fosse niente di che. “Mi sono truccata”, concesse, notando che il suo superiore sgranò gli occhi, come se avesse appena detto un’eresia. 
 
“E perché mai?”, inquisì Yzak, comunque soddisfatto per aver fatto centro, con il suo dubbio su qualcosa di nuovo in lei. Poi, dentro di sé si insinuò una domanda ancora più pressante e non riuscì proprio a non sputarla: “Hai un appuntamento galante?”.
 
Shiho aggrottò le sopracciglia, ma scosse il capo. “No, volevo solamente provare qualcosa di nuovo”, spiegò con aria indifferente, quando invece aveva le palpitazioni al limite di un infarto. “Se lo trova inappropriato posso andare a lavarmi la faccia, Comandante”.
 
Lui rimase qualche istante in silenzio, a rimirare la linea di inchiostro nero che aveva sulle palpebre, e le ciglia ancora più lunghe del solito, e si risolse a sospirare. “Che assurdità. Ci sono tue colleghe che si presentano in ufficio conciate come se dovessero andare per locali notturni, non credo che ci sia bisogno di arrivare a tanto”.
 
Già pronta ad andare a nascondersi nel cockpit del suo ZAKU e non uscirne mai più, Shiho rilasciò il respiro che stava trattenendo. 
 
“E poi”, continuò ancora Yzak, ignaro del tumulto interiore della sua sottoposta, “ti sta bene. Il trucco, dico”. 
 
Fu il turno di lei per sgranare gli occhi a quel complimento, non indirizzato al Maggiore Hahnenfuss, esattamente come si era auspicata. 
 
Non pago, l’albino sospirò, lievemente divertito e stupefatto al contempo. “Tendo sempre a dimenticarmelo, ma effettivamente sotto quell’uniforme sei una ragazza”. 
 
Shiho, senza farsi vedere, si pizzicò la coscia, per svegliarsi eventualmente, ma dovette intensificare la forza nell’istante in cui il suo Comandante incurvò appena le labbra in un sorriso e si alzò dalla poltrona. 
 
“Ti andrebbe di andare a bere un caffè?”.
  
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