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Autore: thors    15/01/2024    2 recensioni
Un gruppo di turisti si reca a Bangkok per divertirsi con le bellezze locali, però Dietrich ha ben altro per la testa che passare il tempo con alcolici e prostitute. Lui ha la passione per il disegno, e la città gli offre un'infinità di luoghi meravigliosi da rappresentare. Il suo vagabondaggio gli fa incontrare una ragazza meravigliosa e straordinaria, ma lui non ha idea di chi lei sia in realtà e neppure di come gli cambierà la vita.
[Questo testo partecipa al contest Uno schizzo di trama indetto da elli2998 e inky_clouds sul forum di EFP]
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L’abbraccio della follia

 

La pioggia cadeva incessante sulla città, spegneva i colori delle bancherelle, attenuava il profumo dei cibi cucinati sotto i teloni e trasformava in fiumi le vie strabordanti di gente. Secondo le previsioni meteo, non ci sarebbero state che sporadiche schiarite nelle settimane a seguire, ma, per quasi tutti i tedeschi da poco giunti a Bangkok tramite un volo economico, l’unico fastidio dell’estate thailandese era rappresentato dall’afa intollerabile. Come consigliato da Viktor, un cinquantenne benestante che combinava modi squisitamente cordiali con un deprecabile debole per le bambine, i turisti avevano preso alloggio in un albergo arredato all’occidentale, dove nessuno si curava dell’età degli ospiti.

A differenza degli amici e dei connazionali conosciuti durante il viaggio, Dietrich non aveva voglia di passare il tempo bevendo e intrattenendosi con delle puttane. Coi suoi ventitré anni, un aspetto attraente, degli occhi di un verde intenso e una lunga capigliatura bionda, preferiva sfruttare il proprio fascino, e non il denaro, per portarsi a letto delle donne graziose. E comunque non era venuto in Thailandia per quel genere di divertimento. Ciò che desiderava era camminare nel centro storico della città, trovare scorci, scene o anche solo dei dettagli che lo ispirassero, per poi immortalarli su un foglio di carta. E così aveva deciso di fare anche quel mattino, sfidando calura, umidità e intemperie con un elegante cappello bianco a falda larga, un buon K-Way traspirante e un abbigliamento estremamente leggero.

Giunto innanzi a un paio di kinnara mirabilmente scolpiti, si fermò ad ammirarli, studiò le morbide linee dei loro corpi – per metà umani e per metà d’uccelli – e scattò un paio di foto con lo smartphone per poter riprodurre più tardi gli intricati ornamenti su busto e braccia. Entrò poi nel tempio di cui le statue erano custodi, si liberò degli scarponcini e della mantellina subito all’ingresso e studiò l’ambiente circolare che gli si apriva davanti, fittissimo di decorazioni variopinte, ma stranamente mancante di rappresentazioni del Budda.

Dopo una cauta esplorazione per non disturbare una piccola folla lì presente, si rifugiò all’imbocco di una delle numerose nicchie, la più distante dai fedeli, sedette su un gradino di marmo e osservò con attenzione il particolare affresco che occupava la parete del vano. Vi era raffigurata una distesa di terreni riarsi e una fanciulla eterea che camminava a mezz’aria, alle cui spalle avanzavano nubi cariche di pioggia. Presumendo che la ragazza fosse una personificazione del vento o della stagione delle piogge, Dietrich azzardò che interpretazioni analoghe valessero anche per la figura visibile nel lato opposto del tempio − un uomo dall’aria severa avvolto dalle fiamme − e per quelle ancor diverse che intravvedeva nelle altre nicchie.

Sin dal primo momento, però, aveva deciso di ritrarre un curioso gruppetto di monaci, la cui cerimonia attirava l’attenzione dei presenti. I religiosi da lui visti sino a quel momento indossavano panni del caratteristico color arancione degli sangha, mentre l’anziano celebrante, intento a spalmare qualcosa sulla fronte dei confratelli in ginocchio, vestiva un saio verde acqua e gli altri delle tuniche grigie. Il ragazzo era stato subito attratto dai particolari colori degli abiti, dalla solennità del rito e dagli affreschi che facevano da sfondo, così preparaò foglio, gomma e matite e creò un rapido abbozzo della scena. Lavorare con dei soggetti in movimento era inevitabilmente un fastidio, e Dietrich realizzò l’immagine che aveva in mente cercando di mantenere una equa fedeltà al reale.

Sotto lo sguardo curioso di due bambini, stava ultimando il disegno con l’aggiunta di ombre e rifiniture, quando i monaci si diressero verso di lui a passo deciso. Il più anziano aveva il volto scavato e la pelle rugosa di un settantenne, eppure guidava il drappello col passo svelto di un giovincello. Mostrando un ampio sorriso sdentato, sfilò il foglio dalle mani del ragazzo, ne approvò l’opera con un energico cenno del capo e, prendendolo di sorpresa, gli sottrasse anche il prezioso quadernone che lui usava come supporto.

Sconcertato e imbarazzato, Dietrich balzò in piedi ed esclamò in inglese: «Per favore, ridatemi il diario!»

Il vecchio monaco sfogliò le pagine senza badarlo, si entusiasmò alla vista di un nudo femminile e ne cercò avidamente degli altri, mostrando ogni scoperta ai confratelli. Inoltre, infondendo una rabbia violenta nell’animo già pregno di vergogna del ragazzo, spesso seguiva le linee dei disegni con le proprie dita grondanti di olio. Del tutto indifferente alle proteste sempre più vivaci che gli erano dirette − talvolta espresse con tutta la durezza della lingua tedesca − il sacerdote continuò imperterrito a sfogliare le pagine e a sorridere con aria compiaciuta, finché una figura angelica non intervenne per fermarlo. Ella non dimostrava più di vent’anni ed era dotata di una bellezza paragonabile a quella di una dea. Al di sotto di una lunga e sottile veste bianca, si distinguevano perfettamente le mutandine e un reggiseno di pizzo dello stesso colore, come anche le sue sinuose fattezze. Aveva capelli e occhi scuri come la maggioranza delle thailandesi, ma la chioma scendeva oltre le spalle come morbida seta, mentre lo sguardo possedeva un fascino magnetico. Con poche parole indecifrabili per Dietrich, lei riuscì a fargli restituire sia il foglio, sia il quaderno, nonché a ottenere delle scuse mortificate da parte dei monaci. Poi si rivolse al ragazzo e disse in un inglese quasi privo di accento straniero: «Così quello sarebbe il tuo diario. Devi esserci particolarmente attaccato se te lo porti in giro, ma sopratutto mi domando se hai disegnato dal vivo tutte le donne che ho visto.»

Dietrich non era il genere di persona che ha sempre la battuta pronta e in quell’occasione aveva la mente ottenebrata dalla sorpresa e da un forte imbarazzo. Inoltre la bravura artistica era per lui un mezzo efficace per conquistare l’interesse di una ragazza, ma, dopo l’esposizione dei nudi che sarebbero dovuti restare segreti, sentiva che quella carta era ormai rovinata. Rimandando a più tardi la constatazione dei danni alle pagine, si diede il tempo di recuperar la calma sigillando foglio e quadernone in una busta di plastica e dopo replicò all’ammaliante sconosciuta: «Mi piace raffigurarvi le donne che hanno lasciato un segno nella mia vita e lo trovo comodo come tavoletta. Ma evidentemente ho commesso un errore, perché non immaginavo che dei monaci potessero esserne tanto affascinati. Visto che tu mi hai salvato da una brutta situazione e che non manca molto a mezzogiorno, forse potrei sdebitarmi invitandoti a pranzo.»

«Ma quale insperata fortuna», rise lei, avviandosi verso la porta del tempio. «Qui vicino c’è un ristorante non esattamente economico che vorrei provare. Credi che me lo sia meritato un buon pasto?»

Dietrich le si affiancò, provando il forte desiderio di accarezzare la sua invitante pelle ambrata. «Era mia intenzione portarti in un locale raffinato e sono curioso di scoprire i gusti. E ora, mia seducente salvatrice, vorresti rilevarmi il tuo nome?»

«Suri. E tu, imprudente artista?» Dopo che il ragazzo si fu presentato, la ragazza lo guardò negli occhi e chiese con aria maliziosa: «Speri di disegnare anche me nel tuo diario?»

Dietrich sorrise e iniziò a rivestirsi per uscire sotto la pioggia. «Dovrei essere cieco per non desiderarti come modella. Per concederti un posto nel mio quaderno, tuttavia, devo prima conoscerti bene. Giusto per iniziare, come mai parli così bene l’inglese?»

Lei scrollò deliziosamente le spalle. «Il mio lavoro mi porta spesso a contatto con i turisti, e l’inglese è la lingua migliore per comunicare.»

Dopo esser stato sul punto di chiederle in quale modo si guadagnasse da vivere, il ragazzo preferì non porle quella domanda e lasciò che fosse Suri, se lo desiderava, a entrare nell’argomento. Non lo fece, ma a lui non importò: avrebbe continuato a bramarla anche se fosse stata una prostituta, a patto che il denaro non fosse stato un elemento decisivo nella loro relazione.

 

***

 

Di cattivo umore, Dietrich rientrò nella propria camera ripensando alla fantastica giornata passata insieme a Suri e all’inaccettabile comportamento di Albert, l’amico più caro che avesse. La meravigliosa thailandese si era dimostrata una piacevolissima compagnia, l’aveva guidato fra i molteplici padiglioni del Palazzo Reale e, guardandolo disegnare, lo aveva riempito di complimenti. Si era fatta offrire la cena nelle bancarelle di Khao San Road e in cambio lo aveva sorpreso con un abbraccio e un lungo bacio sulle sulle labbra, ma dopo se ne era andata senza offrire spiegazioni. Lui non contava di portarsela a letto quel giorno stesso, però perderla in quel modo, quando tutto sembrava andare per il meglio, lo aveva enormemente deluso.

In quanto ad Albert, in quel momento si trovava nella stanza accanto, in mezzo alle grida e alla musica di un festino, e si divertiva con delle ragazzine di neppure quindici anni. Dietrich non riusciva a capire perché l’amico avesse ceduto a una simile perversione e aveva una gran voglia di andare nell’altra camera e di prendere a pugni tutti i suoi amici. Ovviamente sarebbe stato il primo a crollare a terra con almeno un labbro sanguinante, se avesse cercato di far ragionare sei coetanei con la forza, perciò preferì sedersi alla scrivania e riversare sul quadernone tutto il proprio malessere.

L’abitudine di scrivere un diario gli era nata a dodici anni, nel mattino in cui aveva visto il padre rigirare un coltello nelle viscere della madre e poi infilare la testa in un cappio di filo elettrico. A quel tempo era già bravo a dar forma sulla carta a ciò che aveva visto o soltanto immaginato. Improvvisamente si era ritrovato da solo al mondo, senza nessuno a cui confidare cosa imperversasse nel suo cuore, e le semplici parole scritte su un foglio non erano state sufficienti per descrivere l’avversione che provava verso il genitore. Così lo aveva disegnato com’era stato negli ultimi istanti di vita, le mani lorde strette al collo e lo sguardo inerme, miserabile, cosciente dell’ignominia appena commessa.

Il primo quaderno lo aveva riempito in pochi giorni, e somigliava a un racconto riccamente illustrato delle meschinità del padre, dei suoi eccessi d’ira, della smodata passione per il vino. Successivamente aveva impresso sui diari tratteggi e sfumature con più moderazione, ossia quando desiderava serbare per sempre un’immagine nella memoria.

Quella sera lasciò gomma e matite dentro l’astuccio. Prese invece la penna e, con la consueta minuziosità, scrisse eventi e pensieri su una pagina dolorosamente macchiata d’olio. Stava ripensando alla lunga passeggiata fra le meraviglie del Palazzo Reale e agli affascinanti aneddoti raccontati da Suri – lei pareva conoscere alla perfezione qualunque evento bizzarro fosse accaduto nel corso degli ultimi tre secoli, sia all’interno delle residenze dei cortigiani, si di quella del re –, quando udì bussare alla porta e una giovinetta scalza entrò nella camera senza attendere riposta.

«Albert mi ha detto di pensare a te», annunciò lei, camminando verso il letto e levandosi la corta veste bianca che aveva indosso.

«Vattene!» sibilò Dietrich, adirato dall’insistenza dell’amico nel renderlo partecipe di quella scempiaggine e dalla propria eccitazione.

Trovava spregevole desiderare una ragazzina che dimostrava forse tredici o quattordici anni, tuttavia non poté fare a meno di guardare le acerbe rotondità del suo corpo nudo e di fissare imbambolato un volto straordinariamente somigliante a quello di Suri. Si riprese bruscamene dalla sorpresa, perché notò una strana luce negli occhi scuri della ragazzina, e all’improvviso il suo sorriso allegro gli parve falso e colmo di malvagità.

«Rimettiti il tuo abito, ti prego, e dopo tornatene a casa», disse con animo turbato.

Fermandosi a due passi da lui, la fanciulla gli rivolse uno sguardo sereno, forse addirittura contento, e incrociò le braccia sul petto. «Sono già stata pagata e non ho voglia di cercarmi un altro cliente. Riguardo al mio vestito, puzza di whisky locale e di birra tedesca, e credo che qualcuno ci abbia anche pisciato sopra. Sono sozza anch’io, perciò vorrei darmi una lavata. Tu sei sicuro di non voler venire con me?»

Era identica a Suri quando si divertita a sfidarlo: lo stesso sguardo vivace, le stesse labbra leggermente socchiuse e lo stesso modo grazioso di sollevare le guance. Dietrich la osservò incredulo per un lungo momento, conscio che nemmeno due gemelli potevano somigliarsi con tale perfezione, finché lei non corse ridendo verso il bagno. Si scosse sentendo l’acqua della doccia iniziare a scorrere, prese un asciugamano e una maglietta puliti e andò a posarli in bella vista sopra il lavandino. Poi tornò a sedersi al tavolo, si prese la testa fra le mani e si domandò se ciò che aveva visto era reale o se si era innamorato al punto da avere le allucinazioni.

 

***

 

La ragazzina uscì dal bagno con i capelli umidi e senza alcun indumento. Si sedette sul letto, strinse le ginocchia contro il petto e, guardando Dietrich negli occhi, disse in tono canzonatorio: «Adesso che non ti imbarazzi più a guardarmi, cosa vuoi fare? Vieni tu da me, oppure vengo io da te?»

«Hai proprio intenzione di tormentarmi», replicò lui, infastidito. «Perché non ti sei messa niente addosso?»

«Non mi andava. Allora cosa hai deciso?»

«Ti offrirò la possibilità di restare qui e di guadagnare qualche bath. Distendi le gambe, girati su un fianco e fammi vedere quanto sei brava a stuzzicarmi pur coprendo le tue tettine e il basso ventre con il lenzuolo. Mentre ti disegno, tu mi parlerai di te. E dopo potrai fare quel che ti pare, ma solo se fingerai di avere un minimo di pudore. Altrimenti ti infilerò nel tuo abito puzzolente e ti butterò fuori dalla porta. Siamo intesi?»

«Soltanto se farai il disegno sul quaderno grande.»

Perplesso, Dietrich le domandò: «Perché questa condizione?»

«Perché ho deciso così. Se non ti sta bene, credo urlerò come una pazza quando mi caccerai via e chissà cosa potrei raccontare a chi verrà a soccorrermi.»

Lui la maledisse fra sé e sé e decise che il luogo migliore dove immortalare quella ragazzina fosse proprio una pagina del diario, accanto a qualche commento mordace. «Va bene, ma non strapperò la pagina, perciò non sognarti di chiedermela quando avrò finito.»

«Abbiamo un accordo», dichiarò la giovinetta, armeggiando con il lenzuolo per celare le proprie nudità. Si mise in una posa provocante e continuò con aria pensierosa: «Da dove inizio? Uhm… Sono nata e cresciuta nelle topaie dello slum di Klong Toey, ma adesso vivo in un bel appartamentino, assieme a tre ragazze. Anya ha sedici anni, Nan diciassette e Min ventidue. Ah, io mi chiamo Suri.»

«Suri?» ripeté macchinalmente Dietrich, perdendo la presa sulla matita.

«Se pensi che sia un nome strano, ti sbagli. È molto comune in Thailandia.»

«Non intendevo questo, è che oggi ho conosciuto un’altra ragazza...» Lo stesso nome, lo stesso modo di parlare e di comportarsi, nonché l’aspetto di una sorella minore dell’altra Suri. Il ragazzo si domandò se qualcuno si stava prendendo gioco di lui e, con una gran confusione in mente, domandò: «Di’ un po’, anche tu hai imparato l’inglese per motivi di lavoro?»

«Hai indovinato!» esclamò la ragazzina in tono quasi euforico. «I turisti hanno più soldi da spendere, e la maggior parte capisce l’inglese. Ma adesso rimettiti all’opera: sono curiosa di vedere il disegno finito.»

Riprendere a tratteggiare con la matita aiutò Dietrich a calmarsi; tuttavia continuava a chiedersi se ciò che stava vivendo era un sogno o forse un incubo. «Che ne è dei tuoi genitori?» chiese con voce dura, per spegnere il divertimento che leggeva negli occhi della giovinetta.

«Neppure me li ricordo», rispose lei senza alterare minimamente il proprio umore. «Erano poveri, ma credo fossero delle brave persone. Certo, mi hanno abbandonata più o meno quando mi sono spuntati i primi denti, però chi li ha conosciuti me ne ha parlato bene.» Poiché non le furono poste altre domande, dopo un momento di silenzio, continuò: «Prima parlavi di un’altra ragazza. È una che ti piace?»

«La più bella che io abbia mai visto.»

«Così bella che rimarresti in Thailandia per lei?»

Dietrich si pensò seriamente e rimase a lungo in silenzio, tanto che aveva quasi completato il disegno quando le rispose: «Non so se qui troverei lavoro, ma sarei disposto a restare, se me lo chiedesse.»

«Anche se fosse una puttana come me?»

«Io non ho pregiudizi.» Diede un ultimo sguardo alla pagina, a una ragazzina seminuda e che gli sorrideva malignamente. Scrisse il suo nome in fondo al foglio e aggiunse accanto: “Il peggior regalo di Albert. Spero non diventi anche un brutto ricordo.” Poi posò la matita sul tavolo e riprese: «Le chiederei di non frequentare altri uomini e, se lei rifiutasse o mi tradisse, cercherei in ogni modo di dimenticarla.»

Avvoltasi nel lenzuolo, lei scese dal letto, gli andò accanto e osservò il disegno. «Ti sembro davvero così perfida?»

«La prima impressione è stata quella», rispose Dietrich, stancamente. «Senti, io mi metterò i tappi nelle orecchie per non sentire la musica di Albert e cercherò di dormire. Tu potresti prendere la maglietta che ho lasciato in bagno e tornare a casa, oppure puoi sciacquare il tuo vestito e andar via domani mattina. Il letto è abbastanza grande per starci sopra in due senza toccarci. È tutto chiaro?»

Suri lo baciò su una guancia, poi corse verso il proprio indumento e rispose: «Sì, chiarissimo!»

 

***

 

Nel cuore della calda notte thailandese, contro la quale i condizionatori dell’albergo non avevano speranze, Dietrich sentì premere contro la schiena un corpo gradevolmente più freddo del proprio. Ricacciò indietro il braccio minuto che l’avvolgeva, si spostò un po’ in avanti e ripensò al sogno che lo aveva svegliato. Stranamente ne ricordava perfettamente ogni dettaglio, e questo inaspriva il suo smarrimento, perché quanto aveva visto era straordinariamente folle. Gli era facile giustificare l’ultima parte del sogno con l’ardente desiderio di rivedere la ragazza, poteva presumere che il momento iniziale fosse stato dettato dall’abbraccio della giovinetta, però lo sorprendeva la fantasia dimostrata dalla sua mente nel collegare i due pezzi. Si spostò ancora un po’ più lontano dalla ragazzina, quindi si sdraiò supino e si chiese se doveva preoccuparsi della leggera ipotermia di lei. Decise di svegliarla per sincerarsi delle sue condizioni, però non volle seguire ulteriormente il copione scritto dal proprio subconscio. Così levò i tappi dalle orecchie, ma non la scosse come aveva fatto in sogno: le infilò invece un dito sotto il labbro superiore e trattenne il respiro mentre tastava un canino decisamente troppo lungo.

Suri aprì gli occhi di scatto, gli afferrò bruscamente il polso e domandò con aria turbata: «Non hai paura?»

Stupito dalla propria calma, Dietrich le rispose: «No, non ho paura. Forse perché sono impazzito. Se tu sei davvero una vampira, allora avresti potuto uccidermi nel sonno o anche un istante fa.» Scosse la testa e rise: «Una vampira… annunciata da un sogno premonitore… Non può essere reale…»

«Invece lo è», rispose la ragazzina con voce calma e divertita. «Cosa hai visto accadere nel sogno?»

«Avresti dovuto mordermi prima che scoprissi cosa sei, ma adesso non è più possibile. E dopo ti saresti trasformata nella ragazza di cui sono infatuato.»

«Le predizioni hanno il potere di non verificarsi, se il veggente adopera quanto ha appreso per cambiare gli eventi.» Suri gli si avvicinò sino a premere il seno appena abbozzato contro il suo petto, prese il viso di lui fra le mani e sussurrò: «Spero ci sia dell’altro, perché ancora non so se continuare a farti compagnia oppure andarmene come volevi all’inizio.»

«Abbiamo fatto l’amore fino alle prime luci dell’alba.»

«Credi sia inevitabile?»

«Assolutamente», affermò Dietrich, col cuore che gli martellava in gola.

«Allora devo proprio rassegnarmi. Non ti dispiace se prendo un po’ del tuo sangue?»

«Serviti pure.»

La ragazzina lo cinse stretto, affondò i canini poco sotto la sua spalla, provocandogli un breve attimo di dolore, e dopo leccò avidamente le due minuscole ferite, finché non si furono rimarginate. Nel mentre, il suo corpo immaturo si allungò e si riempì, tramutandosi in quello di una giovane donna nel pieno dello splendore. Saziatasi del fluido vitale, Suri iniziò ad accarezzarlo, a baciarlo e a rispondere con dei gemiti sempre più acuti alle attenzioni che riceveva.

 

***

 

Dietrich si destò verso mezzogiorno e non fu rattroistato dall’essere solo sul letto perché ciò che aveva saputo dal sogno e da Suri lo rendevano raggiante. Non sarebbe diventato un vampiro, avrebbe rivisto la ragazza nel pomeriggio e non doveva temere che lei si concedesse ad altri. Non ci pensava neppure alla possibilità che la fanciulla gli avesse mentito o che potesse infrangere le promesse fatte, perché i suoi occhi gli avevano ispirato la più competa fiducia. Si rammaricava di essersi addormentato mentre discutevano, prima di poterle porre la miriade di domande che gli turbinavano in testa, ma era certo di ottenere presto tutte le riposte.

Euforico come mai lo era stato, Dietrich canticchiò sotto la doccia e dopo, camminando nel corridoio, quasi saltellò dalla gioia. Cambiò drasticamente umore appena dopo esser entrato nella camera di Albert, quando gli giunse alle narici un penetrante odore di urina e vide sette giovinette svestite, le quali dormivano profondamente fra bottiglie vuote di birra e di superalcolici. Dopo aver cercato di svegliarne due, si diresse verso il bagno con il presentimento che l’amico fosse lì dentro e, trovando la porta chiusa a chiave, la colpì con tutta la furia che aveva in corpo. «Grandissimo pezzo di merda, hai fatto ubriacare le ragazze e hai ridotto la stanza a un macello! Spero tu stia vomitando l’anima!» Non udendo alcun rumore dall’altra parte, bussò ancora più forte e gridò: «Ehi, imbecille, mi senti?»

Stava pensando di andarsene e chiamare una cameriera, ma prese tutt’altra idea allorché notò una chiave dentro il vaso di una pianta ornamentale, posata su un terriccio umido e maleodorante. Immaginando l’amico chiuso in bagno e incosciente, la raccolse con l’intenzione di fargli pagare anche il luridume in cui stava mettendo la mano, fece scattare la serratura e spalancò la porta. L’acre odore del sangue rappreso lo colpì come una mazzata; poi l’estesa chiazza marroncina che macchiava le piastrelle bianche e il corpo nudo di Albert, ceruleo e riverso sul pavimento, lo sconvolsero sin nelle più remote profondità dell’animo. Pensava di essere anestetizzato a simili immagini, invece quella scena gli riportò alla memoria ricordi più vividi di quanto potesse sopportare. Mentre le convulsioni lo scuotevano con violenza, distinse fra le lacrime un reggiseno e un paio di mutandine di pizzo bianco, poi non ebbe più forza nelle gambe e continuò a piangere chino su se stesso.

 

***

 

Giaceva sul letto della propria camera senza saper cosa fare. Non aveva mai immaginato di poter amare una donna alla follia e allo stesso tempo odiarla con tutto il cuore. Eppure non aveva dubbi: Suri faceva parte del gruppo di fanciulle invitate da Albert per il festino, aveva lasciato la stanza di lui senza biancheria intima perché l’aveva lasciata nel bagno e, prima di andarsene, aveva lacerato l’arteria brachiale dell’amico senza neppure il bisogno di un coltello. La parte peggiore era forse che Suri, dopo essersi macchiata di un crimine terribile, aveva giocato e si era concessa a lui.

Non appena ne era stato in grado, Dietrich aveva telefonato ai genitori di un ragazzo che per lui era stato come un fratello e, scoppiando nuovamente in lacrime, li aveva informati delle sua morte. Per non esser preso per demente, aveva dovuto tener per sé ciò che sapeva, perciò la polizia e i connazionali credevano che la colpevole fosse una normale ragazzina di circa tredici anni. E invece l’assassina era una vampira, una creatura che non dava valore alla vita umana, forse neppure a quella di una persona che aveva detto di amare.

La nausea lo stringeva ancora in una morsa, e lui era stanco e affamato, quando la porta della stanza, sebbene fosse stata chiusa a chiave, cigolò lievemente sui cardini. Dietrich non se ne accorse e vide Suri all’ultimo momento. Cercò di alzarsi, di fermare la sua mano, di allontanare le sue labbra, ma il grido di paura gli morì in gola, e dalla bocca di lei fluì un liquido freddo e dolcissimo. Fu costretto a inghiottire, sentì immediatamente le palpebre farsi pesanti e l’ultima cosa che vide fu la vampira sedersi davanti al diario.

 

Dietrich si svegliò dopo un incubo lunghissimo, d’impulso si mise una mano fra le natiche e, dopo averla ritratta, fu sollevato dal non vedervi del sangue. Mentre il suo respiro rifiutava di calmarsi, Suri gli si accostò, lo fissò negli occhi con aria mesta e intrecciò le dita a quelle sollevate di lui.

«Ora sai cosa è accaduto nel bagno», sussurrò la vampira. «Se nonostante questo non puoi perdonarmi, io uscirò per sempre dalla tua vita.»

Ancora sconvolto da ciò che aveva vissuto in sogno, il ragazzo replicò: «Come ci sei riuscita? Mi hai stregato con un incantesimo?»

«Sono una vampira, non non una strega», obiettò lei con dolcezza. «Gli oggetti a cui siamo più legati possiedono un’anima, e il tuo quaderno è stato bagnato con l’olio sacro. Io ho solo disegnato me stessa mentre entravo nella camera del tuo amico, il resto lo ha fatto lo spirito che alberga nel tuo diario. Ti risponderà ancora, credo, se lo compiacerai affidando qualcosa di importante a una delle sue pagine.»

«È tutto così assurdo…» disse Dietrich, eppure non riusciva a dubitare di Suri. «Hai chiesto subito di me, ma Albert ti ha costretta a restare alla festa e poi…» Non riuscì a continuare, perché gli tornarono alla mente una serie di brutali violenze, qualcosa che aveva poco prima vissuto in prima persona e che lo aveva riempito di umiliazione e terrore. «È stato un mostro, ciononostante io non riesco ad accettare che sia morto. Tu…»

In tono rammaricato, Suri replicò: «Avevo il diritto di liberarmi ed ero furiosa, però adesso vorrei che le cose fossero andate diversamente.» Esitò per un lungo momento, infine domandò con voce tremante: «Vuoi che resti?»

«Non lo so», rispose Dietrich, accarezzandole il viso e provando il forte desiderio di stringerla a sé per trovare conforto. «Non voglio che tu te ne vada, però ho bisogno di stare da solo, per riordinare le idee.»

La vampira annuì. «Allora rimarrò accanto a te, senza disturbarti, e attenderò che tu abbia preso una decisione.»

Lo baciò delicatamente sulle labbra, sfiorò i suoi capelli biondi, madidi di sudore, e dopo si distese al margine del letto. Lui non poté far a meno di seguirla con lo sguardo, osservò a lungo il suo viso amareggiato e infine capì di non poter placare da solo la bufera che gli squassava l’animo. Così si mosse verso la vampira e fu subito stretto fra le sue tiepide braccia. Pianse finché una dolce cantilena non lo accompagnò verso il sonno e poi si destò di nuovo, ancora triste per la morte di Albert, ma anche lieto di aver Suri accanto.

   
 
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