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Autore: White Gundam    17/09/2009    5 recensioni
[4° classificata al "Lovecontest" indetto da Tifa Lockheart90 e vincitrice del premio speciale "Premio Het"]
Fanfiction dedicata a tutti gli utenti di strifeheart.forumcommunity.net, in quanto prima CloTi che scrivo. Cloud deve parlare a Tifa, le vuole dire una cosa importante, ma spiegare a volte è difficile e capire lo è altrettanto; quindi il giovane lo farà sulla musica e sulle parole della canzone “Vedi cara” di Francesco Guccini.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cloud Strife, Tifa Lockheart
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Ed eccomi a postare l’ennesima fanfiction su FFVII :) questa è la seconda song-fic che scrivo ed è ambientata post FFVIIAC (chiedo scusa a tutti i lettori della mia ficcy lunga e prometto che la prossima volta che mi metto a scrivere sarà per aggiornare col nono capitolo, ma oggi avevo proprio voglia di scrivere questa fanfiction…). Questa volta la song-fic è tratta da una canzone di Francesco Guccini, il cantautore che per me è secondo solo a De Andrè. L’album da cui è tratta la canzone è “Due anni dopo” e la canzone in questione è “Vedi cara”. Le sue parole mi hanno subito fatto pensare ad una fanfiction su Cloud e Tifa ed è la prima CloTi che scrivo e che dedico quindi al forum che frequento e a tutti i suoi utenti, lo strifeheart.forumcommunity.net ^___^

Sperando possa piacervi vi lascio quindi alle mie parole e a quelle di Guccini^^


 

 

Vedi cara

 

Vedi cara, è difficile a spiegare,
è difficile parlare dei fantasmi di una mente.
Vedi cara, tutto quel che posso dire
è che cambio un po' ogni giorno, è che sono differente.
Vedi cara, certe volte sono in cielo
come un aquilone al vento che poi a terra ricadrà.
Vedi cara, è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già...

Erano passati quasi tre anni dalla sconfitta di Sephiroth, da quando lui aveva salvato il mondo insieme ai suoi compagni, ridando speranza a tutti. Aveva battuto qualche tempo prima una sua riapparizione, mostrando ancora una volta la sua forza e le sue abilità. Eppure, lui che era diventato un eroe, ancora non era capace a parlare a Tifa, a dirle ciò che voleva spiegarle. E quel giorno erano al bar da soli, Denzel e Marlene erano usciti a giocare ed era ancora troppo presto perché arrivassero i primi clienti.

Cloud si intrecciò le dita delle mani, seduto su uno sgabello e sospirò. Tifa stava pulendo in silenzio i bicchieri con uno strofinaccio. Il ragazzo pensò che se Zack fosse ancora stato dentro di lui, nella sua mente, non avrebbe avuto nessun problema. Ma lui se ne era andato quando Cloud aveva ripreso i suoi ricordi, lasciando come fantasmi ormai liberi dalla prigionia, quelli fasulli legati al passato del suo amico.

Era da quel giorno che, con calma, aveva cominciato a cambiare, a divenire ciò che lui era. Cloud, nessun altro.

Aveva superato il trauma della morte di Aerith e poi aveva subito una ricaduta. Si era alzato, come sollevato dal vento e poi si era nuovamente schiantato a terra quando esso si era placato. Vi era stato un tempo in cui la vedeva ancora, in un giardino coperto di fiori, senza voler capire che tutto apparteneva ormai al passato e adesso… Adesso che aveva capito la sua bocca era arida come il deserto e non riusciva a parlare. Aveva atteso lui quel momento, il momento in cui sarebbero stati soli; ma adesso spiegare gli sembrava difficile, ormai che si era abituato ad usare poco le parole gli sembrava di non poter più riprendere la situazione in mano.

Diede un colpetto di tosse e si puntellò sui gomiti guardando i lunghi capelli neri della giovane e il suo viso preoccupato che incorniciava i suoi occhi castani, volto a guardarlo.

“Stai bene?”
Gli chiese, con preoccupazione. Cloud intrecciò nuovamente le dita nervosamente e fece segno d’assenso con la testa, poi sospirò e alzò un po’ il volto nella sua direzione. Tifa si era già voltata, tornando a lavare le stoviglie sporche per l’orario di apertura del “Sevent Heven”, con gli occhi castani che trattenevano quelle lacrime che sapeva di non dover piangere per dare forza a lui, a lui che non riusciva ancora ad aprirsi, chiuso nel suo guscio ispido e fragile.

“Tifa.”
Chiamò Cloud, mestamente. La giovane si voltò di nuovo.

“Ti devo dire una cosa… Ma non so da dove cominciare.”

Mormorò il ragazzo a bassa voce. A quelle parole seguì un fragore di vetro infranto e Tifa si chinò a raccogliere i cocci del bicchiere che prima teneva in mano.

 

Vedi cara, certe crisi son soltanto
segno di qualcosa dentro che sta urlando per uscire.
Vedi cara certi giorni sono un anno,
certe frasi sono un niente che non serve più sentire.
Vedi cara le stagioni ed i sorrisi
son denari che van spesi con dovuta proprietà.
Vedi cara è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già...

 

Cloud sospirò di nuovo, tornando a guardare fisso il bancone.

L’aveva fatta soffrire tante, troppe volte; e questo lo sapeva bene. L’aveva fatta soffrire chiamando Aerith, parlandole di lei e del modo in cui solo ella sapeva farlo sorridere. Parlandole degli occhi verdi che lei non aveva, e di quella magia che l’ultima Cetra sapeva portarsi attorno. Ma non vi era solo quello, lui scappava e si allontanava da lei e dai due bambini che tenevano in casa; ma soprattutto, l’aveva fatta soffrire col suo silenzio assordante, col suo star male che lei si era sentita come in dovere di curare.

“Si può comunicare anche senza le parole.”
Disse Tifa alzandosi e sedendosi dietro al bancone. Era una frase che Cloud le aveva già sentito ripetere più di una volta. Conosceva bene quelle parole ma ancora non riusciva a trovare una risposta che per lui valesse e quella frase gli suonava vuota e ripetitiva come gli oroscopi.

Alzò gli occhi verso di lei, scorrendo fino al suo viso. Tifa stava sorridendo. Gli sorrideva spesso, con quel suo sorriso triste che sembrava essere solo un modo per incoraggiarlo.

Lui invece non sorrideva quasi mai. Aveva sorriso spesso in un passato lontano, ma aveva visto ripagata quella felicità con lo sconforto. Lo aveva fatto con Zack, da ragazzino e con Aerith quand’era maturato. Due tra le persone più importanti della sua vita, morte entrambe tra le sue braccia impotenti.

E da allora sorridere gli era diventato difficile, e lo faceva poche volte; con la stessa frequenza che userebbe un taccagno nello spendere i propri soldi. Era avaro di quel gesto che un tempo gli appariva così semplice ma che ora si perdeva semplicemente nell’oblio del passato.

Cloud distese le braccia, appoggiando il mento sopra le stesse:
“E’ difficile da spiegare…”
Mormorò il giovane, con lo sguardo fisso su un mobile, ma perso nel vuoto. Tifa gli scompigliò i capelli biondi con una mano e quel gesto riscaldò l’animo del ragazzo.

“Io ho tempo.”
Rispose la giovane in un sussurrò. Cloud sospirò:
“Non è il tempo che mi manca.”
Mormorò, nascondendo il viso tra le braccia incrociate:
“Sono le parole per spiegarlo…”

Aggiunse con voce mesta.

 

Non capisci quando cerco in una sera
un mistero d' atmosfera che è difficile afferrare,
quando rido senza muovere il mio viso,
quando piango senza un grido, quando invece vorrei urlare,
quando sogno dietro a frasi di canzoni,
dietro a libri e ad aquiloni, dietro a ciò che non sarà...
Vedi cara è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già...

 


Tifa lo guardò coi suoi occhi castani in cui le si poteva leggere tutto. Cloud invece allontanò lo sguardo, perdendolo tra i tavolini in legno del bar. Stava cercando di creare un’atmosfera nella quale lui potesse trovare quelle parole che gli parevano perse nei meandri del suo cervello o infilate tra i candidi denti della sua bocca.

Tifa che sapeva capirlo con uno sguardo, Tifa che era in grado di rincuorarlo con una carezza anche quando non gliela dava sul serio. Lei che sapeva leggere ogni sua emozione nascosta nel suo volto. Che capiva la felicità anche dal suo viso serio, la sua tristezza dal suo volto impenetrabile, la sua rabbia dai muscoli rilassati. Era possibile che proprio lei non riuscisse a capire ciò che lui stava cercando di dirle?

La guardò, carezzandole con lo sguardo i capelli, le guancie così belle senza trucco alcuno, il suo seno prosperoso ed il suo corpo minuto e aggraziato. L’aria gli usciva lenta dalle labbra mentre la guardava allontanarsi dal bancone per dirigersi poco dietro, dove c’era lo stereo.

Tifa si avvicinò alla pila di dischi ammonticchiati senza ordine vicino all’apparecchio elettronico atto a diffondere la musica e ne scelse uno, inserendolo nello stereo asciugandosi in segreto una lacrima che aveva lasciato i suoi occhi per scorrerle sul viso.

La musica si espanse nell’aria, dolce e aggraziata. Cloud tese le orecchie, rilassando i muscoli del suo corpo, e ascoltò. Era un lento, un ballabile tenero ed elegante. Peccato che lui non sapesse ballare il valzer e che non sapesse ballare in generale. Conosceva la danza infuocata delle spade, quella sì, la conosceva bene; ma la danza come arte gli era estranea come ad un pesce la terraferma.

I suoi occhi si spensero e la sua fantasia cominciò a muoversi al ritmo della musica. Si immaginò di ballare, nel modo in cui lui non sarebbe mai stato capace, e si immagino lei, vestita in abito da sera, in un planetario coperto di stelle.

“Sei riuscito a trovare le parole?”
Le stelle si spensero e la musica tornò lontana. Cloud si umettò le labbra secche e scosse la testa.

“No.”
Rispose, ma la sua voce si perse nelle note musicali.

“Ti da fastidio la musica?”
Chiese ancora la ragazza. Cloud alzò le spalle e mosse la testa di lato. No, non gli dava fastidio, gli ricordava solo qualcosa che non avrebbe mai potuto essere. Ma Tifa non riusciva a capire e lui non riusciva a spiegarle.

“Lasciala pure.”
Rispose soltanto e la giovane ricambiò quelle sue parole con un sorriso, forse un po’ meno triste delle altre volte.

 

Non rimpiango tutto quello che mi hai dato
che son io che l'ho creato e potrei rifarlo ora,
anche se tutto il mio tempo con te non dimentico perché
questo tempo dura ancora.
Non cercare in un viso la ragione,
in un nome la passione che lontano ora mi fa.
Vedi cara è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già...

 

Cloud guardò quelle sue labbra, morbide e fragili, costrette ad atteggiarsi a sicure; come tutto l’essere della ragazza.
Le era grato per tutto ciò che ella era riuscito a dargli: per tutta la tenerezza, la vicinanza, i consigli ed i tentativi di farlo ridere apertamente. Anche se, pensandoci bene, tutto ciò che ella le aveva dato era stato perché lui aveva fatto in modo che così fosse.

Ancora trasportati dalla musica i suoi ricordi volarono ad un tempo lontano e ad una cittadina di montagna che prendeva il nome di Nibelheim. Faceva le elementari all’epoca e, nella sua innocenza di bambino ormai così lontana, si era infatuato di una bimba dai lunghi capelli neri e gli occhi castano chiaro. Le aveva promesso di diventare forte quando erano seduti su un mulino, sotto le stelle; e la sua gli era sembrata la promessa di un cavaliere ad una principessa.

“Era facile far volare la fantasia in quel tempo lontano…”
Pensò Cloud con un sorriso amaro e nostalgico.

Era tanto tempo che si conoscevano: da amici di infanzia, a compagni di battaglia, a conviventi nella stessa casa con due bambini, che non erano nemmeno figli loro, a carico. Erano stati insieme per tanti anni e lo erano ancora, forse legati indissolubilmente da quella sua promessa da bambino, o da cavaliere che fosse.

Tifa guardò il viso del ragazzo dai capelli biondi da lontano, quasi di sottecchi, e Cloud se ne accorse, voltando veloce la testa in un’altra direzione.

Che cosa sperava di vedere nei suoi lineamenti che andavano sempre più ad assomigliarsi a quelli di un uomo? Sperava forse di trovare le frasi che lui non riusciva a dirle, incastonate nei suoi occhi azzurro zaffiro? O credeva di rivedere quel bambino che se ne era andato tanti anni prima?

“Cloud.”

La voce di Tifa era un richiamo soffuso, come a voler farlo scendere da quelle stesse nuvole da cui prendeva il nome. Il giovane voltò appena il mento e alzò la testa nella sua direzione. Cloud. Si era il suo nome, ma niente di più.

La giovane distolse nuovamente lo sguardo in quel gioco di guardarsi senza farsi vedere e il ragazzo tornò a pensare alle parole giuste da dire.

 

Tu sei molto, anche se non sei abbastanza,
e non vedi la distanza che è fra i miei pensieri e i tuoi,
tu sei tutto, ma quel tutto è ancora poco,
tu sei paga del tuo gioco ed hai già quello che vuoi.
Io cerco ancora e così non spaventarti
quando senti allontanarmi: fugge il sogno, io resto qua!
Sii contenta della parte che tu hai,
ti do quello che mi dai, chi ha la colpa non si sa.
Cerca dentro per capir quello che sento,
per sentir che ciò che cerco non è il nuovo o libertà...
Vedi cara è difficile a spiegare,
è difficile capire se non hai capito già...

 

Con le dita delle mani nuovamente intrecciate in nodi in districabili come quelli del destino, Cloud ripensò a tutte le volte che aveva preso la moto per andarsene lontano. Per stare solo e distante da lei. Col cellulare acceso per paura di essere dimenticato, ma senza il coraggio di rispondere alle chiamate. Le sue fughe infinite, di cui adesso sentiva di nuovo di aver voglia, cercando un posto che non conosceva nemmeno lui. Le frasi di Tifa che dicevano che l’avrebbe aspettato, la sua voce al cellulare che gli parlava con calma e dolcezza quando riascoltava all’infinito i messaggi della segreteria telefonica. La sua fuga atta solo a ritornare.

Il ragazzo si alzò con un ultimo sospirò, slegando le dita fino a che non fossero più intrecciate tra di loro. Si alzò dallo sgabello e il rumore del legno che strusciava sul pavimento ferì la musica.

I suoi passi lenti arrivarono fino allo stereo e il suo dito premette il pulsante per spegnerlo. L’aria rimase ferma, privata di quel suono, e anche Tifa smise di lavare le stoviglie restando immobile.

Il tempo pareva essersi fermato, l’audio si era ammutolito, senza che una sola voce o un piccolo rumore rompesse l’atmosfera.

Cloud fece il giro arrivando a poco dietro il bancone e le sue mani tolsero il grembiule a Tifa. Prese fiato pronto a parlare, finalmente aveva capito: non c’era niente da spiegare, non c’era niente da capire, la sua speranza era solo quella che lei avesse già capito.

“Tifa.”
Silenzio. Ancora silenzio, la ragazza non aveva aperto bocca.

“Tu non potrai mai essere lei...”
Tifa si morse le labbra. Diavolo! Lo sapeva! Era inutile che glielo ripetesse. Lei non aveva quegli occhi verdi sicuri ed abbaglianti. Lei non possedeva quel sorriso capace di stregare chiunque. Lei non conosceva i meandri della psiche di Cloud… Ma perché egli glielo aveva detto? Voleva infilare il coltello nella piaga?

Gli occhi della giovane non riuscirono a trattenere oltre le lacrime, che come pioggia cominciarono a rigarle il viso. Cloud le avvicinò una mano al volto e con due dita le asciugò le lacrime, quindi con le braccia la strinse a sé:
“Non potrai mai essere lei, ma io ti amo.”
Sussurrò il ragazzo, stringendola forte.

 

   
 
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