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Autore: The Writer Of The Stars    20/01/2024    1 recensioni
“Sono un pianista.” Replicò con fierezza, come se non avesse mai smesso di calcare i palcoscenici più importanti della Germania, come se quella stessa mattina non avesse pensato di buttarsi giù dal settimo piano del suo palazzo per farla finita, come se non avesse appena rubato il portafoglio di un avvocato per potersi permettere un pezzo di pane, come se quel muro non fosse mai stato costruito.
[...]“Draco”, esclamò, incrociando all’improvviso il proprio mignolo grande e affusolato con quello di Hermione. “Io sono Draco e vivo a Berlino Ovest.”
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Dramione AU! Ispirata dal brano "Alexanderplatz" di Franco Battiato.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Alexanderplatz - Come ti trovi a Berlino Est?

Nel Febbraio del 1966 a Berlino c’era la neve. I primi fiocchi erano caduti nella notte del 31 gennaio e da allora non aveva mai smesso e una bufera ormai sembrava la normalità, e il freddo aveva mangiato le ossa degli abitanti e aveva ammazzato i senzatetto. La mattina del 12 febbraio Hermione si ferì il polpastrello dell’indice destro. Stava contemplando i fiocchi che danzavano il walzer con il vento dietro la finestra della propria stanza, ma quella era una casa fatiscente e il vetro era scheggiato e sporco; Hermione voleva accarezzare la neve ma un pezzo di cristallo si era intrufolato al di sotto del tessuto epiteliale. E mentre il giornalaio correva per la strada sventolando il quotidiano appena uscito, lei, nel suo squallido monolocale alla periferia di Oderberger Strasse, succhiava via il sangue dall’indice ferito. Mentre saggiava la consistenza dell’emoglobina, le venne in mente di tutte quelle volte in cui, da bambina, giocava come una scalmanata e tornava a casa piena di lividi ed escoriazioni e sua madre, sempre troppo accondiscendente secondo il parere del vecchio James, le sorrideva esasperata mentre disinfettava e medicava le sue ferite una ad una. “Forse dovrei disinfettare questo piccolo taglio”, pensò guardando i bambini raccattare la neve dai marciapiedi e lanciarsela contro, “ma in fondo non fa così male.”
 
Il turno in fabbrica durava dodici ore. I primi mesi le era sembrato di vivere in un carcere, seduta su quella sedia scomoda e rotta, con la testa china sui tessuti da cucire e le erano mancati da morire quei pomeriggi dove a sudare non era su un tavolo da lavoro ma su di un libro di anatomia. L’università le mancava così tanto che, quando ogni mattina entrava in fabbrica e sentiva l’odore d’aria consumata dello stabile e dei coloranti per tessuti, le veniva da piangere per la nostalgia del disinfettante che aleggiava nei corridoi asettici dell’ospedale. Nell’ aprile del 1960 Hermione si era laureata a pieni voti in medicina e chirurgia alla Freie Universität Berlin, e dopo pochi mesi aveva trovato impiego presso l’ospedale locale. La sua vita sembrava perfetta: a venticinque anni praticava il lavoro dei suoi sogni, aveva una bella casa, un padre che l’amava e l’agrodolce nostalgia di sua madre, scomparsa quando lei aveva poco più che sette anni.
Il 13 agosto 1961, Hermione vide la sua vita frantumarsi e sgretolarsi come un castello di carte. La famiglia Granger era emigrata in Germania dall’Inghilterra durante la guerra alla ricerca di lavoro, nonostante lasciare l’amata e devastata patria per il paese del nemico era stata una decisione che non avrebbero mai voluto prendere. Erano persone di estrazione sociale modesta, suo padre era un semplice commerciante, ma aveva idee politiche ben radicate e scomode per il paese. Tendenzialmente vicino alla sinistra sovietica, “Granger” era diventato un nome che rimbalzava di bocca in bocca per le vie di quel distretto che a breve sarebbe diventato Berlino Ovest. James non temeva per sé perché aveva imparato ad ignorare le dicerie altrui, ma tra i quartieri dell’ospedale dove lavorava Hermione serpeggiava sempre più spesso quel cognome sibillino; James temeva il peggio e, quando Hermione venne licenziata di punto in bianco, ebbe la certezza che la divisione era vicina. Costrinse sua figlia ad andarsene e trasferirsi vicino ad Alexanderplatz, sordo alle sue proteste, alle sue lacrime e alle sue grida. All’inizio dell’estate del ’61 Hermione viveva nella parte opposta della città rispetto a suo padre, che voleva sfidare da solo il mondo e aveva deciso di rimanere lì, tra i suoi nemici. Ad agosto, il muro si erse e nacquero Berlino Est e Berlino Ovest.
***
Erano le 18 ed Hermione uscì dalla fabbrica dove era stata costretta a trovare lavoro per mantenersi. In strada ancora nevicava e i marciapiedi erano stati ricoperti di uno strato bianco altro un metro e mezzo; si poteva soffocare, tra quel metro e mezzo. Si soffiò il naso rosso con forza, mentre gli occhi delicati le lacrimavano per il vento e le mani candide sanguinavano per i calli e i tagli causati dal freddo. Sarebbe dovuta andare subito a casa, ma non voleva incontrare il proprietario del condominio perché gli doveva un affitto arretrato e rischiava lo sfratto, perché già le aveva staccato il riscaldamento e tanto dentro o fuori non aveva importanza, avrebbe comunque rischiato l’assideramento. Passeggiò per forse mezz’ora verso il nulla fino a scorgere per caso Alexanderhaus e Berolinahaus e si rese conto di essere giunta ad Alexanderplatz, il centro di Berlino Est. La piazza era ammantata di neve e faceva quasi impressione scorgere tutto quel bianco tra il cielo nuvoloso e la terra. Continuava a nevicare. Hermione proseguì la sua passeggiata, lasciandosi alle spalle il Polizeipräsidium e, camminando a testa bassa, urtò un passante. Lui la insultò, ma Hermione fece finta di non sentirlo e si scusò mestamente. Sapeva che a breve sarebbe giunta al limite del territorio calpestabile; un muro, in fondo, serve a questo: creare limiti invalicabili.
 ***
Draco poggiò la fronte contro il muro scheggiato prendendo lunghe boccate d’ossigeno nel tentativo di riprendere a respirare regolarmente. Nella tasca interna del suo cappotto sdrucito il portafoglio rubato a quell’avvocato di passaggio bruciava contro il maglione ed era soddisfatto, perché era riuscito a sfuggire alla polizia e aveva di certo talmente tanti marchi in mano da poter mangiare per una settimana. Alzando un poco lo sguardo incontrò una fessura nel muro, un buco di almeno cinquanta centimetri di diametro che gli permetteva di sbirciare attraverso e per poco non gli venne un infarto; non vedeva Berlino Est da cinque anni. Gli era capitato spesso di suonare nella Konzerthaus quando ancora era un pianista di successo, il prodigio dagli occhi di ghiaccio e l’anima imperturbabile che aveva conquistato le folle, il rampollo della nobile casata dei Malfoy, l’unico erede di quel titolo e di quella ricchezza che avrebbe fatto sbiancare mezza aristocrazia tedesca. Invece era andato tutto perduto: odiava suo padre e non si era sorpreso nel vederlo andare in rovina insieme agli altri sostenitori del partito nazista dopo la caduta di Hitler. Era un bambino all’epoca ma aveva capito perfettamente cosa stesse accadendo, mentre sua madre si consumava giorno dopo giorno nel letto che la polizia confiscò loro per ultimo. Suo padre era finito in carcere dopo un processo di cui non aveva voluto sentire nulla, se non la condanna definitiva, unica soddisfazione. Lo aveva odiato per tutto ciò che aveva fatto e soprattutto perché si era portato via sua madre, che consumata e stremata gli era morta tra le braccia di ragazzino in quella magione ormai vuota dopo la requisizione del governo: non erano rimasti neanche i loro ritratti appesi alle pareti granitiche. Si portava addosso un cognome pesante e che avrebbe voluto rinnegare, ma gli restava solo quello di tutto ciò che un tempo aveva sempre dato per scontato: soldi, cibo, una casa immensa, una madre che lo amava. Si era rimboccato le maniche ingoiando l’orgoglio che gli squarciava la trachea ogni volta in cui si piegava a chiedere di poter suonare in qualche teatro, anche solo come sostituto pianista. All’inizio gli era anche andata bene perché alcuni impresari erano riusciti a comprendere che il suo cognome non equivaleva alle idee politiche e di purezza della razza di suo padre e per fortuna gli avevano concesso di tenere qualche concerto. Per un po’ la fortuna sembrava essere stata dalla sua parte: i concerti andavano bene, la gente iniziava a bisbigliare sempre meno, sapevano che era un Malfoy ma compativano quel ragazzino la cui unica colpa era stata di essere figlio di suo padre. Draco si stava redimendo dalla sua colpa famigliare rinnegando tutto ciò che in nome della sua famiglia era stato detto e fatto e rabbrividiva ogni volta in cui ripensava all’immagine di suo padre seduto nello studio della magione, con un sigaro in bocca e un bicchiere di whiskey in mano, mentre discuteva con altri colleghi della questione degli sporchi mezzosangue. Aveva avuto l’ingenua illusione che il successo sarebbe durato per sempre ed invece la Germania continuava ad annegare nella crisi del dopoguerra e nel giro di pochi anni si era ritrovato con un portafoglio vuoto e un muro invalicabile davanti casa. La prima volta che si era trovato costretto a rubare per permettersi di mangiare aveva avuto l’istinto recondito di correre subito dalla polizia e ammettere il crimine. Eroicamente diceva che avrebbe preferito la morte all’elemosina, ma ogni volta che tentava di togliersi la vita lasciava cadere in terra la lametta, o scioglieva il nodo della corda dopo aver contemplato il cappio per interminabili minuti. Aveva finito per fare il ladro. Aveva imparato a restare giorni senza mangiare, se le sue abili mani da pianista non riuscivano ad agguantare il tesoro dalla preda prescelta. Aveva finito per vergognarsi di se stesso, perché era un vigliacco incapace di mettere fine a quell’esistenza insulsa.

“Anche a Berlino Ovest nevica così tanto?”
Draco era sobbalzato violentemente, soffocando una bestemmia in gola e portandosi una mano al cuore all’udire quella voce. Da quella insignificante fessura erano apparsi due occhi color del miele e del caramello, con un taglio talmente dolce da sembrare lo sguardo di una bambina.

“Come prego?” chiese cinico, dopo essersi ripreso dallo spavento. La ragazza al di là del muro abbassò gli occhi e Draco immaginò che stesse sorridendo mestamente.

“Mi chiedevo se anche lì ad Ovest stesse nevicando come da questa parte. Sai, ormai esistono due mondi differenti.”
Draco ingoiò la cinica disperazione insita nelle parole di quella ragazza, sbuffando scocciato. Tornò a guardare il buco e da lì scorse il mignolino screpolato della giovane protendersi verso di lui.

“Vorrei stringerti la mano, ma non ci passa di qui.” Spiegò la giovane donna con semplicità. “Io sono Hermione, piacere.”


Draco considerava quella situazione assurda, perché non gli era mai capitato che una donna dall’altra parte del muro cercasse di approcciarlo così da un momento all’altro e soprattutto considerava estremamente stupida quella cosa del mignolino ed infantile per un trentenne come lui; perciò non rispose e osservò la ragazza e il suo mignolino con la tipica freddezza che caratterizzava il suo sguardo. Hermione sembrò delusa, ma Draco si sorprese nel notare che non mutò posizione ma lasciò quel dito lì, come se attendesse un suo ripensamento.

“Non hai freddo con quel cappotto così leggero?” gli chiese. Draco capì che quella donna stava cercando disperatamente qualcuno con cui condividere il proprio dolore, di quale dolore si trattasse non lo sapeva e francamente non gli interessava.

“Tsk, non sai che alla fine d’inverno si vive bene come in primavera?”
Hermione sgranò gli occhi già enormi e Draco pensò che quella donna doveva essere bellissima solo guardando gli occhi e un mignolo minuto, perché quel dannato muro non gli permetteva di vedere altro.

“Sì, è proprio così.” Continuò, alzando le spalle infreddolito.

“Che si dice a Berlino Ovest?” gli chiese bramosa di notizie per poi aggiungere, pochi attimi dopo, “Conosci per caso un certo James Granger?”
Draco sospettava che volesse chiedergli notizie riguardo qualcuno. Non era di certo normale che qualcuno si approcciasse così ad un estraneo senza un motivo preciso. Gli dispiacque quasi risponderle negativamente.

“No, non ho idea di chi sia.”
Hermione abbassò lo sguardo rattristata, scuotendo la testa piano.

“Capisco, non fa niente.” Gli fece pena, perché sembrava davvero una bambina e questo, stranamente, non lo infastidiva. A dirla tutta quasi lo inteneriva, sebbene non lo avrebbe mai ammesso.

“Come ti trovi a Berlino Est?” le chiese allora, senza rendersene conto. La giovane lo osservò sorpresa, per poi rispondere, con un sorriso amaro:

“Tiro avanti.”
Poi abbassò lo sguardo, strofinandosi gli occhi arrossati dal vento.

“Non è che sono strana, eh. Di solito lavoro fino a tardi e mi piace fare quattro passi a piedi fino alla frontiera, ma non avevo mai incontrato nessuno dall’altra parte del muro. Speravo sapessi qualcosa di mio padre – James Granger, lui è mio padre – perché sono cinque anni che non lo vedo e non so nemmeno se è vivo o morto ed è tutta colpa di questo dannato muro…”
Sospirò nel tentativo di placare il respiro e le lacrime che erano uscite sotto il suo controllo, perché lo diceva sempre che era una stupida sentimentale ma non riusciva proprio a controllare le sue emozioni. Draco la guardò in silenzio, conservando un’espressione impassibile. Affondò di più le mani nelle tasche rotte del cappotto, perché Hermione in realtà aveva ragione a dire che quel giubbetto era troppo leggero per il freddo di febbraio.

“C’è ancora Alexanderplatz?”
Hermione inarcò le sopracciglia, confusa a quella domanda inaspettata e, soprattutto, colpita dal fatto che lui non avesse detto niente riguardo il suo sfogo improvviso.

“Di solito ci passavo sempre quando suonavo da quelle parti.” Continuò con tono neutro e la ragazza cambiò d’improvviso umore e gli sorrise, forse come non sorrideva da anni.

“Suoni uno strumento?” gli chiese con la curiosità di una bimba. Draco raddrizzò le spalle ricurve in un moto d’orgoglio sopito.

“Sono un pianista.” Replicò con fierezza, come se non avesse mai smesso di calcare i palcoscenici più importanti della Germania, come se quella stessa mattina non avesse pensato di buttarsi giù dal settimo piano del suo palazzo per farla finita, come se non avesse appena rubato il portafoglio di un avvocato per potersi permettere un pezzo di pane, come se quel muro non fosse mai stato costruito. Hermione sorrise ancora di più e iniziò a sproloquiare su quanto amasse la musica classica, sciorinando i nomi dei più grandi compositori mai esistiti e Draco la lasciò parlare perché in fondo era piacevole ascoltare il suono della sua voce che sembrava una melodia meravigliosa, un po’ come la Sonata per Piano di Schub…

“Quando avevo dieci anni, mio padre mi portò ad ascoltare un concerto omaggio a Schubert e da lì mi sono innamorata della musica.”

“Ti piace Schubert?” le chiese immediato, interrompendola di colpo. Hermione annuì, con un sorriso piccolo ma sincero. Draco studiò i suoi occhi, pensando che era la prima volta che incontrava qualcuno che si fosse innamorato della musica grazie a Schubert, proprio come era accaduto a lui stesso. Lanciò uno sguardo al mignolino intirizzito dal freddo ancora poggiato sulla fessura tra il cemento e pensò che, se non ci fosse stato quel dannato muro a dividerli, gli sarebbe piaciuto conoscere meglio quella Hermione di Berlino Est.

“Draco”, esclamò, incrociando all’improvviso il proprio mignolo grande e affusolato con quello di Hermione. “Io sono Draco e vivo a Berlino Ovest.”
 
   
 
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