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Autore: Sohanna    23/01/2024    1 recensioni
"Lui il buio lo rispettava e lo conosceva, e quindi chi, cercando di trovare una ragione della sua Oscurità, avrebbe potuto saperne più di lui?"
Voldemort non ha paura di camminare da solo nel buio, non esiste Oscurità che non possa sopportare.
Ma chi è abituato a vivere solo potrebbe scoprire una nuova debolezza, se qualcuno cerca di avvicinarsi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Riguardo l’Oscurità, c’è sempre qualcosa che non si è detto. Si potrebbe parlare per ore e ore fino a perdere il sonno, ma non si scaverà mai abbastanza a fondo nel buio da riuscire a trovare fino all’ultimo pezzo di anima. È come cercare di illuminare un intero bosco avanzando con solo una piccola luce, per quanto intorno a lui le persone si sforzassero di trovare una ragione per tutte le cose, lui sapeva che la ragione è solo la ragione, e non può arrivare a comprendere qualcosa che non le compete.
Immaginando, per assurdo, che esistesse una persona che lo conoscesse, avrebbe sicuramente pensato di lui le cose più scontate: Voldemort è un uomo potente, potentissimo, ma pur sempre un uomo. E gli uomini sono spaventati, lui forse lo era più di chiunque altro. Spaventato così tanto dalla morte da procurare a se stesso dolori ben peggiori della morte stessa, così terrorizzato da essere totalmente, irrimediabilmente schiavo della propria paura. Tom Riddle era nato con il disprezzo che gli scorreva nelle vene più caldo del suo sangue da rettile, ed era difficile dire se quel disprezzo fosse ereditario, se il buon vecchio Salazar avesse preso così a cuore i suoi discendenti da lasciare una benedizione alle future generazioni, in modo che non perdessero la retta via. O forse il disprezzo lo aveva imparato a proprie spese, crescendo tra i Babbani e vedendo, ogni giorno sempre più chiaramente, come odiassero tutto ciò che non riuscivano a spiegarsi. Una volta sfuggito al loro odio, dopo lo smistamento in Serpeverde, ecco che ne era arrivato altro di odio, di tutt’altra specie: essere un Riddle nella casa più conservatrice della scuola non era stato semplice, ma dalla sua aveva una grande ambizione, era determinato, talentuoso, intelligente, carismatico e soprattutto, soprattutto, non soffriva la solitudine, e quando sei disposto a camminare da solo nessuno ha il potere di ostacolarti. La persona del tutto immaginaria che lo osservava da fuori (quella che, per assurdo, lo conosceva), certamente avrebbe scosso tristemente il capo guardandolo, appena sedicenne, salire verso la casa di suo padre.
“E’ stato in quel momento che ha rifiutato il suo nome, e iniziato a odiare la sua bella faccia. Via Tom Riddle, via il ricordo di un bambino Mezzosangue rifiutato e deluso, via anche il viso di suo padre: meglio sfregiarlo, mutilarlo, deformarlo con le Arti Oscure, via per sempre il ricordo di quell’uomo insulso e abusato, che tuttavia ha avuto anche lui, persino lui, l’arroganza di non volerlo. Il viso di suo padre gli è stato molto utile, è vero, ma della bellezza te ne fai ben poco una volta che sei arrivato al traguardo. E allora via Tom Riddle, benvenuto Lord Voldemort. Senti bene questo nome, Lord Voldemort, è un nome che non può esistere sulla Terra. Il nome di chi non ha un passato perché non ha un cognome, non ha genitori, non ha amici, non ha mai frequentato scuola, non si è mai innamorato, non ha fatto mai niente di niente perché non è umano: nessuno lo ha partorito ma è nato già grande, ha preso corpo da una nuvola nera che preannuncia tempesta ed è da lì che è venuto. È così, altrimenti non si chiamerebbe Lord Voldemort, giusto?”
La domanda del suo amico immaginario sarebbe rimasta senza risposta, perché quel suo amico giudicava con abbastanza arroganza da non aver bisogno della conferma di nessuno. Ed era anche molto convincente, a dire il vero.
“E’ quello che devi fare se vuoi convincerti di non aver bisogno di nessuno e di non dover morire mai: cancellarti. Ora, si capisce benissimo che questa è una situazione disperata, una maschera di potere e sicurezza che è stata sapientemente costruita da una profonda vergogna di se’: Voldemort non si ama, fidati, Voldemort si odia dal profondo del suo cuore, se ancora un cuore gli è rimasto. Ma sì, certo che gli è rimasto, per forza devi avere un cuore per arrivare a farsi così tanto male; dicevo: si odia tanto da volersi distruggere, di se stesso ama solo l’idea che gli altri hanno di lui, non è chiaro? Povero, povero Tom… le anime più oscure sono quelle con le ferite maggiori, da squarci profondi perdono ombra a fiotti al posto del sangue, cola così copiosa che le ricopre del tutto e alla fine non riesci più a distinguere i loro volti.”
Immaginare questo suo amico che chiacchierava di lui, che si pavoneggiava spiegando ai profani la psicologia del Signore Oscuro, gli dava un certo divertimento. Non era solo il fatto di essere convinto che la mente fosse molto più semplice di così, che solo chi è negato nell’arte della Legilimanzia potesse arrivare a costruire strutture talmente complesse di negazione e autosabotaggio pur di tentare di capirci qualcosa, ma erano soprattutto le grandi certezze che aveva di se’: quando si guardava allo specchio e si compiaceva del suo volto spaventoso, molto più adatto a lui di quanto non lo fosse il bel viso nobile di Tom Riddle, riusciva a vedere che c’era ben più di questo. Era l’Inesplorato, era la fame fine a se stessa, era il mistero di una natura complessa che non voleva arrendersi a tutto ciò che è prevedibile e convenzionale: la convenzione vuole che le cose si chiedano per favore, vuole che si occupino posti già costruiti, e chi non rispetta le convenzioni è il più grande nemico del genere umano perché non solo gli toglie ogni sicurezza, ma gli ricorda anche che la prevedibilità non sia un obbligo, ma solo un accordo che rassicura i tanti deboli e opprime i pochi forti. Voldemort non era mai stato spaventato da ciò che non conosceva: al contrario, aveva l’istinto di avanzare nel buio il più possibile senza il bisogno di fare alcuna luce. Lui il buio lo rispettava e lo conosceva, e quindi chi, cercando di trovare una ragione della sua Oscurità, avrebbe potuto saperne più di lui?
Aveva passato tutta la vita nella convinzione di essere il solo capace di cogliere il senso di quella consapevolezza. Era un individuo unico, inconoscibile e inspiegabile, e forse era proprio questo il motivo che lo aveva destinato alla solitudine fin dal suo primo vagito. Eppure, a un certo punto, si era dovuto ricredere.
Alla fine di uno dei tanti addestramenti si era seduto davanti al camino acceso, con le braccia poggiate sul tavolo di legno rotondo. Bellatrix aveva occupato la sedia di fronte, con lo sguardo basso, ancora affannata e spettinata per la fatica. Era stata davvero brava. Lo era sempre, ma quella sera aveva dato tutta se stessa per sorprenderlo, e ci era riuscita. Erano ormai mesi che si allenavano lontano dal mondo, in una tenda che sembrava una reggia, perfettamente attrezzata a contenere Magie Oscure di ogni tipo, e ogni giorno Bellatrix si dimostrava l’unica degna di ricevere i suoi insegnamenti. Non era solo potente, oscura e leale, era qualcosa di più intimo che, fino a quella sera, non era ancora riuscito a capire.
La ascoltò cercare di regolare il respiro, osservando distrattamente le sottili gocce di sudore che scivolavano tra i seni, sotto la scollatura.
“Sei stata brava.” Disse semplicemente, e tanto bastò a farla fremere sulla sedia.
“Grazie, Padrone. È solo merito vostro.”
“No.”
Lei alzò lo sguardo su di lui, incerta e timorosa, e subito si irrigidì come se i suoi occhi rossi l’avessero arpionata.
“Posso fare molte cose, ma non posso tirare fuori la vita da un morto. Hai talento, Bella, sei una strega potente e arriverai lontano.”
Lei impallidì, e sembrò non credere alle sue orecchie. Tra i rarissimi complimenti che Voldemort aveva fatto nella sua vita, quello era in assoluto il più sincero e il più generoso. Non gli pesava riconoscere il talento di Bellatrix, al contrario, si beava sapendo che quel talento esisteva solo per compiacere lui. Era come avere un drago inginocchiato al suo cospetto, pronto a sputare fuoco, sopportare il freddo, la fame, la morte, e a fare le stesse fusa di un gatto indifeso, se solo lui glielo avesse chiesto.
Bella restò in silenzio per qualche minuto, senza staccare gli occhi dai suoi.
“No, Padrone, siete voi. Voi per me siete una continua ispirazione, non sono solo il vostro sapere e la vostra forza. Io… io vi sento, Padrone.”
Voldemort la scrutò in silenzio soppesandola per un po’, mentre lei continuava a guardarlo negli occhi come incantata. Ricordava di aver già visto un’espressione simile durante uno dei suoi molti viaggi, mentre era a nord, nascosto tra le distese di neve: un gruppo di Babbani si era fermato poco distante dal suo nascondiglio e neppure lo aveva notato avvicinarsi, perso col naso all’insù, gli occhi sbarrati e la mente sgombra da qualsiasi pensiero, piegati, annientati dalla prima volta che vedevano l’Aurora Boreale. Il lampo verde che aveva lanciato contro di loro si era fuso con la luce del cielo, e molti nemmeno si erano accorti che i loro compagni stavano cadendo uno alla volta, distratti anche dalla morte tanto grande era la loro meraviglia.
“Allunga la mano, Bella.”
“C-come?”
“Tendi il braccio, dammi la mano.”
Lei obbedì incerta e lo osservò tendere le dita sottili verso le sue. Bastò sfiorarle i polpastrelli con i suoi e sentì la scossa che attraversò il corpo di Bellatrix, facendola tremare in un sospiro. I suoi occhi scuri si fecero distanti, le pupille dilatate, le labbra dischiuse e arrossate. In quel momento si trovò sola e sospesa nel nulla con la meraviglia negli occhi, una meraviglia che la annientò e le svuotò la mente: sopra di lei si estendeva, così immensa e profonda da inghiottire il cielo, tutta l’Oscurità del suo Signore. Era indifesa e senza fiato, impotente e innamorata, piccola ben oltre i limiti che il suo orgoglio le permetteva, e le andava bene così.
Una lacrima scivolò sulla guancia pallida di Bellatrix, riportandola alla realtà. Si affrettò ad asciugarla con il dorso della mano libera, senza osare staccare le dita da quelle del suo Signore.
“Perdonatemi, mi lascio ancora prendere da troppe emozioni.” Disse cercando di controllare il tremore alla voce, ma Voldemort ignorò le sue parole.
“Lo hai visto?” Le domandò invece con un certo stupore.
“L’ho visto, io...” Deglutì, cercando di liberarsi dell’ingombrante nodo che aveva alla gola “Io vorrei annegare dentro di voi, Padrone. Sarebbe il momento più vivo di tutta la mia esistenza.”
Voldemort allargò uno dei suoi rari sorrisi, sentendosi fin troppo compiaciuto e divertito. Non avrebbe potuto fare scelta migliore: era la più adatta, solo lei poteva provare il suo stesso richiamo, solo lei poteva arrancare nel buio e sopravvivere insieme a lui.
Bella chiuse gli occhi e strinse le dita attorno alle sue. Si sporse oltre il tavolo senza rendersene conto, come attratta da una forza invisibile e languida, i seni sfiorarono il legno freddo, i lunghi ricci scuri rapirono la visuale del suo Signore, investendolo col profumo della Tuberosa.
“Vi imploro, datemene ancora. Fatemi entrare più a fondo, fatemi… fatemi morire come desidero, annegata dentro di voi.”
Bella aprì gli occhi, lo fissò sotto le palpebre pesanti come stordita. Voldemort restò immobile, in silenzio, sul volto non c’era più neanche l’ombra di un sorriso.
“Prima mi devi servire da viva.”
Lei dischiuse le labbra ferme a un soffio dalle sue, e lo seguì con lo sguardo mentre si alzava e si allontanava. Ci mise qualche istante ad accorgersi di essere rimasta semi distesa sul tavolo, e che lui l’aveva lasciata sola nella sua illusione. Sobbalzò e si rimise a posto sulla sedia, le guance rosse dalla vergogna e le dita tremanti.
“Mio Signore, sono mortificata… io non volevo, davvero non so cosa mi sia-”
“Basta, Bella.”
Alzò gli occhi grandi su di lui, come una bambina impaurita. Quell’immagine lo fece sorridere ancora, di nuovo, ed erano davvero troppe volte per una sola sera.
Ecco che il suo drago ricominciava a fargli le fusa.
“Se è davanti all’Oscurità, allora, e solo allora, va bene provare emozioni. Ma non ti spingere troppo oltre, Bella, ti voglio al tuo posto.”
Si era reso conto all’improvviso di essere del tutto impreparato a gestire la sensazione nuova di qualcuno che ti sta così vicino. L’idea che Bella potesse farsi ancora più avanti, che potesse addentrarsi nella sua Oscurità e arrivare addirittura a toccarlo, lo turbava terribilmente e lo faceva sentire come minacciato, offeso.
Si avvicina, ti tocca, e subito inizia a credere di conoscerti, di avere qualcosa in comune con te.
Non glielo avrebbe mai permesso e se un giorno fosse capitato e basta, come era successo quella sera, allora davvero l’avrebbe lasciata annegare, gettandosi alle spalle il ricordo di lei e tutto il tempo sprecato ad allenarla. Mai, mai, mai si sarebbe ripetuta una cosa del genere. Si cammina da soli se si vuole viaggiare leggeri, questa era una verità che aveva appreso molto presto e che non era così stupido da ignorare, non a quel punto della sua vita, non quando era arrivato così oltre, così lontano da chiunque altro. Si era fatto prendere dalla curiosità, dallo stupore di scoprirla capace e simile a lui, in un certo senso, ma non avrebbe più abbassato la guardia.
Eppure, per qualche strana ragione, l’ombra di un sorriso combatteva per distendergli le labbra.
Squadrò Bella dall’alto in basso, serio, vedendola irrigidirsi sulla sedia.
Per un istante gli sembrò si sentire il sospiro affranto di un fantasma, ma era solo uno scherzo della sua mente stanca: il suo amico immaginario, che credeva di conoscerlo, scosse il capo davanti a lui.
“Prendi la bacchetta, Bella, non abbiamo finito per oggi.”
Dopo un attimo di incredulità lei scattò come una molla sotto i suoi occhi, obbediente.
Povero, povero Tom.
Scacciò quelle parole dalla testa e sollevò la bacchetta, freddo come quando uccideva.
“Vediamo quanto resisti.”

  
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