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Autore: Mannivu    26/01/2024    0 recensioni
Un bambino viene svegliato molto presto dalla madre. Il disagio viene presto eliminato dall'imminente viaggio.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi la mamma mi ha svegliato presto, molto prima del solito. Fuori dalla finestra il sole ancora non si vede e si sentono i grilli cantare. Ho avuto un po’ paura quando mi ha svegliato perché era ancora tutto buio, ma lei mi ha dato il bacio del buongiorno sulla fronte e mi ha rassicurato con un forte e lungo abbraccio.
Ha un buon profumo questa mattina, lo stesso del nuovo sapone che ha comprato per fare il bagno. Dice che anche io questa mattina devo fare il bagno perché è una giornata importante: dobbiamo fare un lungo viaggio e devo essere bello e profumato per fare bella figura.
Mi piace sempre fare il bagno: la mamma mette tanto sapone e la vasca si riempie di schiuma e io posso usarla per giocare, facendo finta che sia la nebbia che nasconde la barca blu dal polpo delle profondità coi lunghi tentacoli che ogni volta vuole affondarla.
Finito il bagno, mamma mi asciuga coprendomi con il suo morbido asciugamano e dandomi un forte abbraccio. Quando mi asciuga i capelli, prova a darmi uno stile diverso dal solito, uno più da “ometto”, come dice lei, ma è sempre insoddisfatta: sbuffa, prova a usare tre spazzole diverse ma i capelli non fanno quello che vuole; alla fine si arrende e mi pettina i capelli da un lato. Non mi piace molto come me li ha sistemati, mi fanno sembrare così simile al nonno, ma lei ha uno sguardo fiero, quindi non dico nulla e la bacio sulla guancia. Mi mette un vestito nuovo, tutto lucido, come quello che mettono i signori che presentano i programmi in televisione, quelli che guardiamo insieme quando ceniamo a casa.
Suonano al campanello, vado ad aprire e la mamma si raccomanda che io stia attento a non cadere e rovinare il vestito che, ho scoperto, è stato fatto da un signore che si chiama “A. Noleggio”. Che nome buffo.
Dalla porta entrano i nonni, anche loro sono vestiti molto bene. Il nonno ha un bel completo argento che mette in risalto la sua pelle scura. La nonna ha un abito lilla e un capello molto largo, con sopra un mazzo di bei fiori azzurri, che le nasconde il viso quando guarda in basso.
Sono un po’ triste perché i nonni non mi hanno portato nessun regalo, come invece fanno quando vengono a trovarmi la domenica. Però mi hanno riempito di baci e abbracci e il nonno mi ha fatto volare in alto, quindi so che mi vogliono comunque bene – anche se la mamma lo ha sgridato perché così si rischia che il vestito si riempì di pieghe.
Mamma stava versando dell’acqua alla nonna, ma è arrivato uno strano signore alla porta che mi ha chiamato “Campione”. Io non lo conosco, sembra simpatico, ma a mamma non piace: non gli ha sorriso quando ha aperto la porta; anzi, il suo sguardo si è fatto più triste. E se a mamma non piace, non piace nemmeno a me.
Quel signore guida una macchina tutta nera e in auto non accende la radio, quindi mi sono addormentato e non ho potuto guardare gli alberi che corrono veloci fuori dal finestrino e ora sono triste. È stata brava la mamma a capire subito che non era un signore simpatico.
Ci ha portati in un posto strano, tutto vuoto, che ha spazi grandi come il parco vicino al mio asilo, ma che non ha nemmeno un filo d’erba. Mamma mi tiene per mano e seguiamo i nonni verso un grosso elicottero verde, uguale al giocattolo che Babbo Natale mi ha portato l’anno scorso.

Ci sediamo in silenzio e il pilota ci fa mettere delle cuffie che non fanno sentire alcuna musica. Poi, preme qualche pulsante e l’elicottero comincia a fare un rumore fortissimo che sento anche se le porte sono chiuse e ho le cuffie. Vedo le pale che cominciano a girare sempre più veloci fino a che diventano un cerchio grigio. L’elicottero fa un saltello e poi si alza sempre di più.

Seduto in braccio alla mamma, riesco a vedere dal vetro del finestrino il parco senza erba su cui eravamo prima che diventa sempre più piccolo. Pian piano, le persone non si vedono più e le case sembrano zollette di zucchero tutte colorate.
Provo a cercare casa mia, ma da qui le case sono tutte uguali. L’unica cosa che riesco a distinguere è l’asilo – che è molto grande, tutto giallo e con un parco pieno di alberi – e il campo dove il nonno mi porta a vedere le partite di baseball.
Il viaggio è lungo, io ho sonno ma il forte rumore dell’elicottero non mi fa dormire. Poi però, vedo il sole che spunta dalla lunga linea che la nonna mi ha detto che si chiama “orizzonte”. Il cielo era già luminoso, ma quando è spuntato, il sole ha colorato di arancio tutto quello che c’è sotto l’elicottero. Non avevo mai visto il sole di questo colore e mi piace molto. Penso che lo disegnerò la prossima volta che la maestra ci dice di disegnare qualcosa che ci piace.
L’elicottero atterra e questa volta è un prato con dell’erba vera. Mamma mi stringe forte e sento il nonno urlare alla nonna «Tieni bene il cappello o vola via!». Quando la portiera si apre, mamma mi stringe ancora di più, salta giù dall’elicottero e corre veloce tenendo la testa molto bassa. Da sopra la sua spalla, vedo le pale dell’elicottero che girano ancora veloci. Fanno molta aria e faccio fatica a tenere aperti gli occhi, ma vedo il nonno che aiuta la nonna a scendere dall’elicottero prendendola in braccio e appoggiandola delicatamente a terra. Le prende la mano e la accompagna correndo lontano dall’elicottero. Siamo abbastanza lontani e l’elicottero riparte, mentre il pilota mi saluta con la mano dal suo finestrino.
Un altro signore, vestito come quello che ci ha portato da casa all’elicottero, ci saluta senza un sorriso e ci apre la portiera della sua macchina. Saliamo e lui, senza parlare, si siede al volante e parte; sembra che tutti quelli vestiti così e che guidano una lunga macchina nera non ascoltino mai la radio e siano tutti antipatici.
Mamma è molto silenziosa oggi. Di solito quando siamo in macchina parla spesso, mi parla delle sue amiche e mi racconta delle notizie buffe sugli animali, che sono le mie preferite perché quando le racconto a Kathy, la mia amica dell’asilo, lei ride sempre e a me piace farla ridere.
Oggi, invece, mamma guarda fuori dal finestrino mentre io, in braccio al nonno, guardo il suo grosso orologio da taschino che ha una grande lepre che ha fatto incidere – così mi ha detto – perché quando era giovane era stato il ragazzo più veloce della contea per quattro anni di fila e quindi il suo papà – o il mio pisnonno, credo – lo aveva soprannominato “La lepre di famiglia”.
L’autista ci sta portando a spasso da un po’, e io mi diverto a guardare i giardini delle case che sfilano silenziose davanti al finestrino: mi piace notare quelle che hanno il prato in disordine, pieno di giocattoli. È così che sapevo esattamente cosa rispondere alla mamma quando mi ha chiesto che regalo volessi per il mio compleanno: avevo visto un bellissimo robot blu nel giardino dei Patterson; il robot era in mano a George e quando l’avevo visto giocare, mi innamorai di quel giocattolo in plastica.
La macchina poi gira su un lungo viale, tutto in ombra per i grandi alberi che ci sono ai lati. La macchina si ferma, io salto giù e cerco di capire dove siamo: davanti ho un grande prato con tante croci bianche. Mamma ha indossato gli occhiali scuri; il sole è sorto da poco, ma è molto fastidioso. Mi prende la mano e mi dice: «Andiamo».
Camminiamo tra le croci e raggiungiamo un piccolo gruppo di persone: una parte è vestita elegante, la restante indossa delle uniformi mimetiche come quella che ha il papà nella fotografia che mamma ha in camera, quella dove sono abbracciati e sorridono felici. Mentre ci avviciniamo alle persone, mamma mi stringe forte la mano. La guardo e lei ha quello sguardo che usa di solito per dirmi che devo starle vicino; peccato, ero proprio curioso di sapere cosa fossero tutte quelle croci.
Quando siamo vicino al gruppo, molte persone salutano mia mamma e i miei nonni. Io ricevo molte carezze, alcuni buffetti sulle guance e qualche caramella e ringrazio sempre educatamente, come mi ha insegnato la nonna.
Arriva uno strano signore vestito di nero con una strana sciarpa viola. Noi ci sediamo e quel signore da poco arrivato comincia a parlare e non la smette più; sembra voler parlare per sempre.
Quando finalmente smette di parlare, i signori in divisa militare si alzano, prendono la grossa bandiera che stava davanti a me e alla mamma e la piegano in un grosso triangolo. Nel frattempo, un giovane ragazzo con uno strano cappello suona la tromba, ma non è una canzone felice, è molto lenta e senza altri strumenti ad accompagnarlo sembra una canzone molto triste ed è anche un po’ noiosa.
I militari danno la bandiera alla mamma e vedo che la bandiera prima copriva una grossa scatola marrone, che ora sta scendendo in un grosso buco che hanno fatto nel prato.
Il macchinario che la sta facendo scendere ha un suono strano, come il sibilo di un grosso serpente; mi fa paura. Una volta finito il rumore, mamma si alza e mi dice di seguirla. Prende una manciata di terra, si abbassa e la lancia nel buco. Poi mi dice di fare la stessa cosa; vedo due grosse lacrime scendere sulle sue guance.
Io prendo la terra e la lancio nel buco. Mentre mamma saluta il signore in nero che ha parlato per tanto tempo, vado a vedere sulla piccola croce che si trova vicino al grosso buco.
Curioso. Sulla croce c’è scritto il mio nome, ma manca il “jr.”.

   
 
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