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Autore: ClodiaSpirit_    28/01/2024    0 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore][Un Professore]Simone e Manuel sono rispettivamente un principe elfo e un guerriero.
E' un AU FANTASY. Un po' ispirata a LOTR e un po' con licenza poetica.
- - -
Sei un elfo, sei un soldato, sei un comandante.
Si ripetè in testa prima di approcciarsi all'altra metà del suo stesso esercito. Invece che sciolto, Simone risultò rigido di fronte alla vista di quell'intero schieramento, composto da facce sconosciute, in aspettative, altre invece note perché di gente cresciuta nella sua Terra. Per la prima volta, avvertì dopo tanto tempo, la paura attraversargli ogni fibra del corpo dalla punta delle orecchie fino ai piedi sospesi perché in groppa alla sua fidata cavalla.
Sei anche un principe, aggiunse.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Nero abisso.



 

Il rumore del vento nelle orecchie.

Stupido.

Rumore inesistente.
Un groviglio addosso, fuori e dentro. Simone si ritrovò senza sonno, senza rimedio, senza speranza.
Il sonno diventato un sonnambulo, il corpo duro, la tenda, le sensazioni ridotte a un freddo giaciglio.
C'era un senso se adesso ci pioveva dentro tutto.

Sono uno stupido.

Rannicchiato contro se stesso, solo. Meritava di essere indifeso, non aveva nessuna intenzione di convincersi del contrario.

Solo.

E Manuel chissà dove coi suoi pensieri, chissà se già assopito nella sua delusione, chissà se recuperabile la sua fiducia.
Non avevano mai litigato, forse era anche esagerato reagire così, ma il suo sesto senso aveva avuto un motivo d'esistere per tutte quelle ore: gli occhi dell'altro erano cambiati mentre gli apriva il cuore più sicuro che mai e il suo, era da poco fiorito, aveva imparato da poco ad illudersi.
Deglutì in mezzo ai singhiozzi liberi e incontrollati. Due punti di vista inconciliabili, due cuori simili ma da un'altra parte.
Simone scacciò altre lacrime, le mani non facevano altro che tremare e la colpa avvilirlo, il corpo desiderare tanto un abbraccio.

Era così che l'amore si muoveva?

Cieco e senza fare rumore, cadeva davvero e finiva quindi nell'abisso, si feriva nella caduta, restando immobile sul fondo?

Non conosceva le vie, non conosceva nulla, però aveva conosciuto Manuel.

Era così che si faceva spazio e colpiva la desolazione?

Mi dispiace amore mio.

Le mani sulla testa, gli occhi belli ed espressivi quasi massici, fatti di pietra.

Mamma, non puoi dirmi nulla, lo so, ho fatto tutto da solo.

L'acqua si spense per il pesante stato di stanchezza e quando quegli occhi gonfi e doloranti si aprirono, la notte era già diventata alba. Il mormorio era fastidioso, per fino il rumore naturale del respiro, del petto.
Gli sembrò di essere ritornato indietro a un mese fa, senza un appiglio, senza riuscire a capire chi fosse e perché fosse lì.
Simone si mise lentamente seduto, si scavò gli occhi con il dorso delle mani. Realizzò di non essersi nemmeno coperto durante il sonno e proprio per questo il corpo risultò più fiacco, meno tiepido di quanto doveva.
Alzarsi fu un'impresa titanica, anche per la sua tipica agilità.
Afferrare il mantello fu un gesto meccanico invece, diverso invece poteva essere guardare il suo aspetto ma si immaginava già come potesse apparire.

Dormire era stato impossibile.

Simone si tirò fuori dalla tenda molto tempo dopo rispetto a quando si era svegliato. Passò i secondi a fissare il punto dove aveva dormito.
Dove di solito lui e Manuel passavano la notte.
Si motivò soltanto con l'eco di un pensiero in testa.

Chissà se ho ancora importanza ai tuoi occhi.
E scostando la tenda trovò pochi soldati già in piedi.
Di lui però, non c'era ancora traccia.
Era vicino alla sua tenda e ancora non c'era nessuna ancora guardia che servisse al suo lavoro di supervisione e controllo.
Così, si accontentò di Neve, la sua fedele gli si era fatta vicina senza che la chiamasse, ciondolando con quel suo corpo, la coda oscillante, le zampe dirette sulla sua traiettoria.
Simone sprofondò col viso nel suo pelo, abbracciandola.
Si aggrappò alla sua amica senza alcuna remora.

« Ho fatto un grosso errore, Lossë » mormorò spezzandosi poco dopo.

Neve soffiò qualcosa contro il suo orecchio. Lo interpretò come un rimprovero.
L'elfo ne accarezzò il pelo, respirò l'odore caldo, l'odore di erba che aveva addosso, gli occhi lasciarono uscire le ultime lacrime protagoniste attese della mattinata. « Un grosso errore. » ripetè.

Cercò per tutto il giorno il viso di Manuel tra i soldati, si distraeva pranzando senza parlare con i propri simili, fino a quando non decise di parlarne con qualcuno per non scoppiare del tutto. Era l'ora in cui le donne prendevano le ciotole, l'ora in cui ci si preparava a pianificare un altro cambio di rotta.
Per Simone il tempo sembrava invece non passare mai, inesorabile, lento.
Si avvicinò ad Elvira in mezzo agli altri che parlavano mormorando di qualcosa che interessasse tutti nei pressi della sua tenda.

Manuel non era tra loro.

Elvira si alzò intercettando il suo sguardo, si fece forza sulle cosce e lo degnò di attenzione. Fece un cenno col capo e destando la curiosità degli altri, lo invitò dentro il piccolo spazio.

« Lo hai visto? » chiese Simone senza preamboli.

Elvira teneva le braccia serrate, la bocca contratta in una linea.

« Pensavo Manuel avesse passato la notte con... voi. »

In realtà Elvira avrebbe voluto tanto essere partecipe al tumulto dell'amico anche la notte precedente, ma poi ne avrebbe dovuto fare i conti. Era stata il suo confessore per giorni.

Simone buttò fuori un sospiro stressato.

« No, » debole nel fiato, non aveva finito nemmeno di mangiare « non è...non è rimasto con me.» 

Non riusciva a respirare. 

Mi ha odiato.

Ingoiò saliva, ricacciò indietro altre lacrime. Elvira riprese a parlare.

« Qualcuno ha già cominciato a fare domande tra di noi, cominciano a dire le cose più vaghe in sola mezza giornata...ma questo perché nessuno lo conosce bene quanto me. » Elvira si indicò testarda. « I vostri soldati, che dicono? »

« Non si sono accorti di nulla, non ancora, » il principe deglutì « ma appena si saprà, verrà visto come un disertore in ogni caso. E io purtroppo ho poca voce in capitolo rispetto al Re. »

Simone pensò alla colpa che sarebbe caduta su Manuel se suo padre fosse venuto a saperlo, i disertori venivano puniti in un modo diverso, non con la vita, bensì venivano tolti dal servizio militare a vita.
Una lettera o due circolavano veloci nel regno per rifiutare la richiesta di un soldato che lasciava il campo senza nemmeno essersi presentato e aver giustificato la sua motivazione.
E per Manuel quello, a parte casa sua, era tutto ciò che valeva la pena conoscere.
E togliergli quel mondo significava ammazzarlo.
Così come la sua assenza, stava ammazzando proprio lui.

Elvira scosse la testa rilasciò le braccia lungo i fianchi.

« Manuel non lascerebbe mai l'esercito in questo modo... » gli occhi le si accesero, carburò nel tono. « nella notte, come un vigliacco qualunque, no. La sua non è gloria, non è dimostrazione di nulla, è per la sua famiglia se è qui! »

« Lo so... »

Elvira si morse la lingua tra i denti. Aveva pensato all'amico tutta la mattina, di solito si svegliava e di buona maniera argomentava con il suo cavallo oppure fissava l'alba, privo di sonno. In più quell'elfo le sembrò sul punto di irrompere in un pianto senza fine.

« Se gli fosse successo qualcosa...non c'è modo che io possa perdonarmelo. »

Elvira lo guardava.

« Ragioniamo, se si è allontano di sua sponte, mi chiedo... che senso ha cercare già il colpevole senza nemmeno conoscerlo? »

Simone si ritrovò a confessare riluttante.

« Perché io ho la responsabilità. Sono l'ultimo ad averlo visto. »

« Non avevate detto che non aveva passato la notte con-»

« Non è rimasto a dormire, ma... quando è venuto da me era teso. Lo era da giorni...immagino saprai già tutto. Io non sono riuscito a capirlo. »

Elvira serrò la mascella.

La ragazza si aggrappò con le mani alla cintola dei pantaloni.
Non mentì a se stessa, il suo primo istinto le aveva suggerito di agganciare la mano alla prima arma meno tagliente che possedeva e di lanciarla contro quel tale in un moto crescente di rabbia, ma poi si era dissolto.
Non era giusto per Manuel, non era giusto per la sua stessa coscienza e non era giusto per quel tale inerme.
Simone se ne stava in piedi di fronte a lei, non possedeva nessuna arma addosso e sarebbe stato uno scontro impari. Poi, si rese conto che non avrebbe affrontato tanto un reale, quanto l'elfo che si nascondeva sotto.
L'elfo cercò infatti di reprimere il pianto, un'onda frastagliata sulle labbra.

« Si è allontanato per voi, quindi. »

Elvira abbandonò il suo primo pensiero.
Simone osservò la brandina ancora intatta, i vestiti per la notte, la camicia con i lacci quasi senza pieghe stesa ampia da una parte. Abbassò la voce come in stato di tranche.

« Non ti biasimo. Non biasimo lui, è colpa mia se abbiamo litigato. È solo colpa mia se Manuel è scomparso. » incurvò le labbra, spento.

Elvira gli diede le spalle quindi, allungandogli con una mano la sua borraccia con l'acqua.

« Sono sicura che presto si farà vivo. Sapremo qualcosa, non è da lui scomparire nel nulla. »

Simone rifiutò l'acqua. Elvira approfittò per berne un sorso, poi la richiuse veloce.

« Non sarebbe scomparso così, non ha senso. È testardo, sì, ma non sarebbe così avventato da mollare tutto. È una testa calda su certe cose ma io, Maximus, i suoi compagni sono pur sempre qua che lo aspettano...»

Elvira avrebbe voluto aggiungere anche voi qui ma rimase zitta.
I drammi d'amore non li aveva mai capiti, anche se era evidente, anche un cieco lo avrebbe percepito.
Quella di Simone non era semplice infatuazione, come allo stesso modo quello di Manuel era un sentimento vero su tutti i fronti.

Simone indurì il tono. Era anche chiaro che stesse cercando di darsene uno, per non mettere su scena pietosa una volta uscito via da quella tenda.

« Se domani non sapremo ancora nulla agirò di conseguenza. Anche a costo di muovermi da solo. »

Elvira annuì frastornata.
Simone era ormai voltato di spalle.

« Principe. »

L'elfo si girò.
La ragazza stringeva fin troppo forte la sua borraccia, come se fosse un oggetto dell'amico.

« Aggiornatemi se sapete qualcosa. »

Simone annuì, il petto di poco più leggero e svuotato.

« Non mancherò di farlo, Elvira. »

L'elfo pensava di sentirsi meglio e invece una volta ritornato fuori, alla visuale di tutti, si sentì un perfetto traditore.

 

 

 

 

**

 

 

 

 

Ancora stordito, Manuel ricordava di essere stato risvegliato con dell'acqua.
Ciò che portava addosso dalla maglia all'inizio dei suoi pantaloni era umido e chiazzato.
Due orchi gliela avevano buttata addosso ridendo sguaiatamente, parlando la loro lingua confusa e cacofonica tra loro prima di uscire fuori dal buco in cui lui si trovava.

Povero omuncolo, gli aveva sentito dire o almeno gli sembrava che fosse uscito dalle loro bocche deformi.

Le mani gli facevano così male e in un primo momento Manuel non capì perché. Poi provando a muoverle, avvertì la corda stretta stringergli forte contro i polsi, legati a loro volta ad un palo di legno conficcato nel terreno dietro la sua schiena.
Sembrava una colonna solo più dura, ruvida e grezza che rompeva la sommità di quella specie di tenda lercia, sudicia e più e di una consistenza rinforzata con fogliame e fango alle pareti per rattoppare qualche buco nella trama. Non sapeva come definirla se un tugurio o prigione toccata da un sentire simile al letame o un tentativo lontano di imitarne una.
Che fosse però una delle due aveva poca importanza, anche i piedi erano legati insieme dalla stessa corda, le ginocchia infatti cominciavano a indolenzirsi in quella posizione.
Venne lasciato dentro per un po' di tempo, incalcolabile.
Tutto quello non fece altro che portarlo a pensare.
Manuel si straziò perché le uniche cose che lo distraevano, erano anche le uniche che adesso, gli stavano facendo male.
Le uniche a cui riusciva a pensare: un unico viso, un unico suono, un unico sorriso e due occhi sul punto di scoppiare.

Strizzò gli occhi, impotente, con fiacchezza.

Non aveva con sé nemmeno un'arma, niente con cui potersi difendere.

Si aggrappò quindi a quelle immagini eccetto l'ultima, perché avrebbe voluto tornare indietro ed evitarsi di esplodere davanti a quelle due rarità grandi e che gli stritolavano il cuore.
Era rimasto tutto quel tempo nella foresta senza pensare a cosa poteva succedere, a lui, all'altro, era rimasto nascosto, furioso, senza prestare fede al proprio istinto, all'accortezza.

Manuel si distrasse da quelle immagini nostalgiche e aprì gli occhi per via di un rumore di un grugnito sempre più evidente fuori dalla tenda.
Cercò di cogliere qualcosa di utile da quei mormorii quando, un altro mostro diverso dai primi due che gli avevano dato il benvenuto, fece il suo ingresso. Degli occhi gialli sporco e triangolari lo guardavano con curiosità e disprezzo.

« Bene, ora sembri abbastanza sveglio, » l'orco rimase in piedi, braccia serrate « dicci tutto ciò che sai sul tuo esercito. »

Manuel serrò le labbra. Calò in basso la testa.

« Sei sordo per caso? RISPONDIMI » urlò l'orco in un boato.

Manuel rimase fermo e inerme, il silenzio ormai sua unica difesa e motivo di lealtà.« Ragazzo, te lo chiederò solo un'altra volta » intonò ancora l'orco meno paziente « rispondi che cosa sai? Dove si sposterà il tuo esercito la prossima volta? Parla! »

Manuel rialzò piano lo sguardo. Cercò di risultare sicuro.

« Non lo so. Non so a cosa di cosa stai parlando »

L'orco sbuffò spazientito.

« Uh che carino, non lo sai. » l'orco annullò la distanza con due soli passi a grandi falcate, Manuel poteva respirare meglio il suo fetore adesso « Parlo del tuo esercito di uomini, dei tuoi compagni misto a quello dei fetidi. »

Fetidi, è così che li vedono.

Manuel si infervorì.

« Se credi di cavarmi fuori qualcosa, » contrasse la mascella, il tono duro « se pensate davvero che possa parlare, siete degli solo degli illusi. »

« Pensi che qualcuno verrà a salvarti? »

L'orco si portò una mano a grattarsi la testa. Accovacciato com'era, riusciva a vedere i suoi denti storti e appuntiti su una bocca colore verdastra-bruna.
Manuel strinse i denti, sentiva il corpo già indolenzito, ma la tempra, il carattere erano sempre stati qualcosa che forgiava il corpo da dentro. Non da fuori.

« Continua pure, » mormorò con tono di sfida « tanto io non ti dirò nulla. »

L'orco l'apostrofò.

« Che prode e audace soldatino abbiamo. Ma qui il coraggio non ti aiuterà. Stupido. »

L'orco cominciò a ridere, Manuel invece decise di agire nell'unico modo che sapeva. Non poteva muoversi era vero, ma nulla gli impedì di sputare. Non dovette nemmeno calcolare la traiettoria.
Lo schizzo di saliva finì addosso all'orco centrandolo in un occhio.

Il mostro estrasse una lama affilata, non sembrava né un pugnale né un normale coltello, ramificato e incurvato, come una piccola falce a portata di mano.

« È davvero un peccato se succedesse qualcosa a questo bel faccino » la lama si posizionò parallela alla sua mascella, l'altro non deglutì nemmeno, fissò l'orco con lo stesso disprezzo « se proprio mi costringi » l'orco alzò la voce senza staccare gli occhi innaturali da quelli umani di Manuel « OZRAK, FELDERC! »

Due altri orchi entrarono dentro la tenda. Uno era più tozzo e tarchiato, l'altro più alto e smilzo e reggeva una mazza fra le mani.

« Ozrak posa quella, » l'orco sorrise ampio e inquietante verso i due sottoposti « darò che ci è concesso, ora ci divertiamo un po' qui. »

Quello lasciò spazio all'orco più tozzo e passò a quello più alto un coltello - questa volta Manuel lo riconosceva - per tagliare il pane. L'orco iniziale cominciò a cercare dentro quello che sembrava un sacco pieno di arnesi, abbandonato in una parte della tenda. Ne uscì fuori tutto ciò che gli serviva e lo buttò fuori dalla tenda. Ozrak stracciò la maglia di Manuel senza nessuna delicatezza, la punta del coltello sprofondò in parte sulla pelle nuda e il soldato emise un lamento soffocato. In un secondo, la sua maglia sarebbe stata ridotta a uno straccio, così come la sua carne. « Vediamo se adesso ti viene voglia di parlare. »

L'orco più tozzo, invece, gli abbassò le braghe fino agli stivali. Le narici si alzarono controvoglia, annusò.

« Fermi, riconosco questo odore, lasciate capire a me! » gracchiò il più alto, arricciò il naso disgustato e ancora più sproporzionato e sbilenco. « Tu odori come uno di loro. »

« Per forza, combatto in mezzo a loro. » sputò fuori Manuel già scoperto sul petto. La lama da coltello era ferma sulla pelle.

« Gelsomino » commentò l'orco « pregiato, delicato... questo non è odore di un semplice elfo »

Il maggiore che aveva iniziato l'interrogatorio recuperò la frusta da terra, teneva quel nastro di serpente con la sinistra. Con la destra, slegò le mani di Manuel e le portò in basso premendo sulla sua schiena. Il corpo di Manuel venne piegato di forza in avanti, vide i segni rossi sui polsi solo per un istante perché la corda ci passò quattro volte attorno stringendo bene e forte.

« Qualcuno c'è morto per questo puzzo. »

Ozrak e Felderch si scambiarono un'occhiata eloquente, piena di realizzazione e poi di odio. Lo sguardo di intesa al compagno si fece più forte. Il maggiore, strisciò la parte finale della frusta sull'inizio della schiena di Manuel.

« Mentre qualcuno qui ci si diverte. »

Ozrak puntò veloce il coltello sulla giugulare del ragazzo, si passò la lingua tra i denti.

« SBUDELLIAMOLO, UNA VITA PER UNA VITA! » gli occhi violacei brillarono nella penombra « NON MANCHERA' A NESSUNO »

Manuel ricambiò con il suo sguardo che seppur stanco, restava sempre di sfida. Sputò di nuovo e stavolta centro la punta del naso di quello. Ozrak fece più pressione.

« NO! » rispose perentorio l'amico di fronte a lui « Ozrak, al capo servono informazioni. Ci serve vivo. »

L'orco a comando cominciò a sganciare il primo colpo di frusta mentre Ozrak e l'altro lo tenevano fermo per il collo e le gambe che si dimenavano.

« Combatto con loro, è normale che il nostro odore si mescoli!» si lamentò Manuel. L'orco sferrò un altro colpo di frusta e il soldato rispose con un lamento.

« Stai facendo tutto questo per quell'elfo? » grugnì il mostro prendendolo in giro.

Gli diede un altro colpo, Manuel inarcò la schiena in uno spasmo.

« Lo sai che lui non morirebbe per te? Così ingenui, gli umani. Gli elfi non sono capaci di provare amore! »

Manuel sentì scivolare la prima goccia di cui gli bastò immaginare solo il colore per vederla, correre lì, sulla schiena. Strinse i denti e strizzò gli occhi. L'orco lo tirò per i capelli fissandolo per un attimo al palo conficcato al centro del suolo. « Loro hanno rubato il nostro territorio. Si fingono solidali quando in realtà ci disprezzano, ci perseguitano. Noi e voi umani, insieme. »

« Vi sbagliate » Manuel ringhiò senza limitarsi « qui siete voi gli assassini. E siete voi ad avere occupato le loro terre.»

L'orco rise insieme agli altri gorgogliando.

« Credi davvero che questo farà di te un esempio? » continuò. Il rumore della frusta risuonò agghiacciante sulla carne viva di Manuel.

Il soldato vibrò forte piegandosi indietro. I rivoli di sangue scivolavano ora più chiari, come lacrime rapide.

« Che loro si ricorderanno di te? Vuoi diventare un martire, morire per lui? »

Se era lì era per causa sua.

Dimenticava per fino, adesso, il motivo per cui avevano litigato.

Un altro al suo posto avrebbe potuto parlare e dire tutto pur di salvarsi e potere scappare, ritornare a casa.

Ma lui non era il tipo.

Simone non c'entrava nulla, il suo mondo non era dalla parte del torto, il suo, quello dei suoi compagni, di Elvira, della sua famiglia andavano preservati.

Manuel doveva soltanto prendere tempo.

Simone, amore mio.

Quelle bestie volevano solo entrargli in testa e strappargli ciò che ancora gli rimaneva di saldo e solido.

Pensava a Simone.

Ad ogni ferita, ogni piccolo strappo della carne che veniva a crearsi.

Quella sua immagine resisteva e con fatica Manuel, si sforzava di farla restare.
Le gambe erano come bloccate nel tentativo vano di scalciare le mani sporche e grandi di uno di quei tre esseri.

Pensava a Simone.

Pensava al suo di sangue, a quello che avrebbe versato se ci fosse stato lui incatenato, appestato da quell'aria sudicia.
Pensava in che modo uno di quelle bestie lo avesse toccato causandogli un trauma profondo.

Se ce la avrebbe fatta ad uscirne fuori, le sue ferite sarebbero guarite, prima o poi.
Quella di Simone non sarebbe mai passata invece.

Manuel deglutì forte allo spasmo successivo, si inarcò allo scroscio dell'arma commentato soltanto dall'eco di parole simile a un grugnito ora, straniero.

Pensava ancora a Simone.

La morte gli sarebbe venuta più dolce, con quella voce che cantava pronta ad addormentarlo, insieme a quel sorriso timido e sincero, proprio come in un sogno, tirandolo così fuori dall'incubo.

Manuel avvertì la corda divorargli la pelle, non sentiva più le sue gambe, la sua schiena.

Simone, per favore, fa presto.

Continuò a non dire nulla, a non rispondere sotto le provocazioni che subiva, a resistere per come poteva.

Sembrò pregare in quell'agonia fino a quando dopo urli ridotti a lamenti, il suo corpo non rispose più costretto in quella posizione. Manuel venne legato come prima al palo e lasciato abbandonato a se stesso, perdendo i sensi, accompagnato dalle stesse risate che lo avevano accolto, in sottofondo.

Non percepì nemmeno il tocco di uno di loro che posava la lama su una porzione di riccioli lunghi finali.

Non percepì nemmeno il grugnito che si stavano scambiando e nemmeno gli insulti.

L'unica voce che gli arrivò era la sua, delicata e dolce.
L'unica immagine che riuscì a vedere era quella sua pelle bianca e quei suoi grandi occhi, apriva la bocca e sussurrava litanie.

Quella melodia gli accarezzò le orecchie.

Manuel la ascoltò prima che piombasse ad occhi già chiusi, nel buio.









 

Erano trascorsi quasi due giorni dall'ultima volta che Manuel si era visto al campo.
I suoi compagni avevano cominciato a fare domande, rivolgendosi ai loro superiori. E più quel brusio di voci e preoccupazioni aumentava, più Simone si sentiva impotente. Stava richiedendo a Fëanor di poter organizzare una ricerca approfondita già da qualche ora, preparare il suo cavallo, ma gli era stato negato perché troppo pericoloso senza una traccia o un suggerimento su dove il soldato disperso potesse essere. In tutta risposta invece, Amras, era stato meno comprensivo. L'altra sua guardia era stata abbastanza lasciva sulla questione. Ed il principe stava provando a tenere una conversazione sana e logica in questo momento.

« È un soldato su quanti, quattrocento? È stato addestrato per sopravvivere, cunn nîn. Non possiamo mettere a rischio qualche altro uomo solo perché uno ha deciso di allontanarsi » Amras si massaggiò le tempie, lo sguardo del principe si era fatto cadaverico « o peggio, disertare. »

Il principe quindi, si rivolse all'altro.

« Fëanor per favore, tutto ciò non ha senso, » continuò Simone impuntandosi « è al nostro servizio, merita quanto meno di essere cercato, posso anche partire da solo, non c'è bisogno di scomodare nessun'altro!
Mi sembra davvero incredibile stare ancora qua a parlarne! »

Fëanor sospirò sommessamente rivolgendogli uno sguardo abbastanza eloquente. Simone serrò la mascella.

« Simone, ragiona, non abbiamo una pista, una traccia, qualcosa che ci dica dove possa essere. Potremo aspettare ancora un p-»

Simone si tirò fuori dalla tenda esausto.
Era già calato il sole e per quanto stessero ancora aspettando, a Manuel poteva già essere successo qualunque cosa. Poteva essere finito nelle mani di loschi o degli stessi orchi, per quanto ne sapeva. Stavano rischiando troppo lasciandolo in balia di chissà che cosa.

Non era un semplice soldato, voleva dire loro, ma non poteva spiegarlo.  

Così, mentre Elvira si avvicinava insieme ad altri soldati per ricevere notizie, Simone decise di dire la verità. Raccolse quegli occhi verdi della ragazza e tanti altri che rimanevano nel dubbio. Era sul punto di spiegare loro che aveva le mani legate, quando qualcosa in lontananza si avvicinava al campo e le sue orecchie si aprirono al rumore. Al principio sembrò una piccola ombra sfocata e Simone pensò che fosse ritornato. Che sopra quel cavallo vecchio, grigio, potesse esserci il suo soldato.
Quando quello che si rivelò essere un ragazzo, fu vicino, poteva avere poco più di quindici anni, malconcio, esausto, portava una vistosa ferita alla tempia, vestito di pochi stracci. Assomigliava più a uno schiavo. E come uno schiavo, impaurito e tremante indirizzò l'attenzione di tutti e parlò.

« Il p-principe dell'esercito? » chiese il ragazzo tremante.

Simone si fece avanti, il cuore gli rotolò più volte dentro al petto.

« Sono io. »

Il povero ragazzo spostò una mano sulla sacca attaccata alla cintola.

« Gli orchi v-vi mand-aano q-uesto » tremolante allungò il piccolo sacchetto chiuso con un nastro sporco di terra e di sangue secco.

Simone afferrò il piccolo oggetto.
Non provò a sfidare il suo olfatto perché come l'udito, era uno dei sensi che non lo tradiva mai.
Sfilò il nastro con una velocità paurosa, aprì il contenuto del sacchetto sporco.
Con poche dita tirò fuori le fibre sfilacciate e separate di quei capelli ricci che gli accarezzavano il viso, che gli erano arrivati quasi alle spalle.

Il cuore diventò minuscolo.

L'elfo portò al naso quelle poche ciocche.

La prima cosa che l'istinto gli suggerì di fare fu di piangere.

Ma non c'era tempo per quello. Non era più tempo per aspettare, doveva agire. Quello era un avvertimento, il segnale che cercavano ma nulla di più.

Manuel era vivo.

E se lui era vivo, non era ancora tutto perduto.

Volevano solo che lui in persona si presentasse al loro cospetto per trattare, per combattere forse, per chiudere la cosa una volta per tutte.

Non sapeva esattamente come avrebbe reagito a trovarsi faccia a faccia col loro capo, ma una sola cosa lo muoveva: Manuel era vivo.

Non si chiese nemmeno come avevano fatto a ricondurre Manuel a lui. Gli orchi come gli elfi, avevano un olfatto incredibile e il suo odore doveva essergli rimasto addosso.

Simone rimise quei capelli con cura dentro il sacchetto, lo strinse forte nella mano.
Guardò il ragazzino.

« Portami da loro. » ordinò.

Lo schiavo fece girare il cavallo, mentre il principe proseguì a ritroso per recuperare Neve, scioglierla e sellarla. La  preparò il più velocemente possibile.

Urlò alle sue guardie.

« Manuel e ganniel orchoth!»

E' stato catturato dagli orchi.

Strinse la briglia a Neve cerando di prepararla il più velocemente possibile.

« TORNERÒ CON IL NOSTRO SOLDATO, A QUALSIASI COSTO! » urlò ad ampi polmoni riferendosi a tutti quanti presenti all'ascolto.

Il vociare degli uomini si levò in alto e qualcuno affollò la zona circoscritta agli elfi per cercare di sapere di più.                                                                                                                                                                       Quelli cominciarono a essere contrastati per le buone da alcuni soldati elfici.
Simone recuperò le armi e il mantello, che gli vennero passati da Ingrid, la quale si era fatta si largo tra la piccola folla creatasi attorno.

L'elfo infilò il mantello e indossò l'arco sulla schiena, la borraccia e la spada alla vita.

Fëanor che aveva osservato la scena come tutti gli altri, gli si avvicinò senza trovare difficoltà. Lo prese per un braccio.

« Simone, lascia almeno che qualcuno venga con te! »

« Andrò io con lui! »

La voce di una ragazza tra i tanti.
Elvira non fece tante cerimonie, non consultò con nessuno, solo con chi adesso le scambiava un'occhiata di intesa. Simone si riferì a lei con un cenno del capo. Le rispose subito.

« Non prendere Maximus, basterà Neve per entrambi. Prendi qualcosa dalle scorte.
Studieremo un piano durante il tragitto.»

La ragazza annuì e andò a recuperare veloce le sue armi in tenda.
Il principe nell'attesa montò su Neve - la quale sembrò rispondere perfettamente all'umore del suo padrone.

« Simone-»

L'elfo guardò la guardia con uno sguardo che non accettava repliche.

« Manuel è in pericolo. Lasciami andare, io gli devo la vita, Fëanor. Lo sai.»

Gli devo molto di più.

« Se non tornerai prima di due albe, » lo ammonì Fëanor, ma non riuscì aveva occhi troppo comprensivi che tradivano il tono « o entro domani, noi verremo a cercarti. Io... tuo padre non ce lo perdoneremmo mai. »

Quando la ragazza arrivò, le diede una mano per aiutarla per salire.

« E io non mi perdonerei di aver perso una vita senza nemmeno aver provato a salvarla. »

La vita dell'uomo che amo.

Fëanor e Simone si scambiarono un ultimo cenno di intesa.

« Lo ringrazierò sempre per averti insegnato a usare una spada, altrimenti sai che ti farei seguire da tutti noi. »

Simone annuì senza sapere cosa dirgli. Manuel era l'unica cosa che lo teneva saldo, lucido. E l'ultima cosa a cui pensava era la sua di vita, al momento.

Il principe passò con quel cavallo bianco tra i suoi uomini. Il giovane schiavo a cavallo si voltò allora verso l'elfo in attesa, con quella ragazza soldato dietro di lui, gli disse senza esitare:

« Possiamo andare, guidaci. »

Manuel tieni duro, sto arrivando.

 

   
 
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