La
storia dovrebbe durare pochi capitoli da 3 a 5 ... e avere un po' di
angst. O potrei sclerare e decidere di lasciara OS.
Pronomi maschili per Yamato
La
notte più lunga dell'anno
Ragazzo
incontra ragazzo
Yamato
aveva indossato i pantaloni e la maglietta larga, non aveva avuto il
tempo di
fasciare il seno.
Era fastidioso e quando era in casa tendeva a non farlo, in
realtà non gli
importava di farlo neanche quando usciva, ma sapeva che la gente aveva
difficoltà a capire quando non lo faceva, a capire davvero.
Aveva infilato il giaccone pesante e poi aveva afferrato gli stivali,
ma non li
aveva indossati, attraversando il parquet della sua stanza con i
calzettoni di
spugna pesanti.
Era una notte di dicembre quasi stereotipata, faceva un freddo da
bruciare le
ossa e rendere l’aria difficile da respirare, il cielo scuro
era annerito
maggiormente da una coltre di nuvole spesse e grige ed infuriava una
tempesta
degna di un libro horror, ma Yamato era deciso.
Aveva aperto la finestra incurante dell’acqua e
dell’aria gelida che avevano
colpito il corpo e inumidito la stanza.
Aveva fatto pressione con i palmi sul davanzale per issarsi
sull’imposta,
quando due tocchi alla porta lo avevano distratto.
“Signorino Yamato, tutto bene?” aveva sentito una
voce candida e quasi
divertita, “Sì, Maria, tutto bene” aveva
risposto, mentre si sistemava sul
davanzale, sentendo le gocce insistenti inzuppare il giubbotto e la
nuca, che
non aveva ancora coperto. “Io pensavo di farmi un
tè, con Page One, vuole
venire con noi? È una notte così fredda e
lugubre” aveva aggiunto Maria, “No,
no, voglio rimanere imbronciato ed arrabbiato nella mia stanza ad
ascoltare
musica metal … dalle cuffiette” aveva risposto,
cercando di non permettere al
suo tono di tradirlo.
“Come desidera” aveva risposto la donna e Yamato
aveva ascoltato i passi
delicati, come quelli di un ragnetto, sul parchè, fuori
dalla stanza
allontanarsi.
Erano usciti tutti quella notte, meno lui, Black Maria e Page One che
erano
rimasti a Onigashima, la spaventosa villa della dinastia Hyakuju.
Lo Yonko, il signore della famiglia – in ogni senso
– aveva deciso che quella
sera dei conti che avevano lasciato in sospeso dovessero essere
sistemati. A
Yamato non era interessato, le altre persone con cui suo padre, per
quanto egli
rigettasse quel nome, erano malvage come lui e per tale non erano suo
interesse, ma quell’occasione aveva dato una
possibilità. Di uscire
indisturbato.
Suo padre non sarebbe rincasato fino all’alba o anche
più tardi.
Page One non avrebbe avuto alcun interesse nel controllare Yamato,
offeso di
aver pescato la pagliuzza più corta che lo aveva costretto a
rimanere alla
villa, vittima delle spietate prese in giro di Ulti e Black Maria come
un
orologio ben organizzato sarebbe andata a dormire dopo il suo solito
te, per
avere le ore di sonno che desiderava ogni volta.
Non avrebbe controllato Yamato, sicura che lui non avrebbe tentato di
fuggire
alla sua punizione, non dopo l’ultima volta.
Yamato tremava ancora e sentiva dolore fino alle ossa nel ricordare la lezione
– come si ostinava a chiamarla il suo vecchio
– che gli era stata
impartita.
Kaido Hyakuju era una strana bestia, in ogni senso, non voleva molto di
quello
che possedeva e tutto ciò che anelava era morire in maniera
gloriosa, ma non
sopportava che nulla di ciò che fosse suo smettesse di
esserlo, anche se lo
disprezzava, Yamato incluso.
Yamato, d’altronde, aveva ereditato dal suo vecchio la
testardaggine e non
sarebbe stata ne una tempesta ne la promessa delle botte che avrebbe
ricevuto a
limitare quel poco di libertà che poteva avere,
così aveva accavallato le gambe
ed era sgusciata fuori dalla finestra, buttando poi gli arti inferiori
a
penzoloni e tirando su il cappuccio del giaccone per nascondere i
capelli e il
viso dall’acqua. Con molta calma aveva infilato gli stivali
impermeabili, prima
di sistemarsi in una posizione cucciata e posare le suole sul ballatoio
della
finestra e sollevarsi sui talloni – poi sulle punte
– per darsi lo slancio e
lanciarsi sul grosso albero secolare che si trovava di fronte la sua
finestra.
Per tutta la vita Yamato si era aggrappato ai rami degli alberi che
aveva
popolato i suoi cortili, come una piccola scimmia, e a suo padre non
era mai
importato che lo avesse usato nel tempo come mezzo per la sua fuga
– a volte
Yamato sospettava che suo padre volesse vederlo fuggire, non sapeva se
per
qualche intrinseco bisogno di orgoglio di dimostrare al mondo che suo
figlio
aveva abbastanza fegato per sfidarlo o per la punizione che avrebbe
potuto
infliggerli dopo.
Si era lanciata, aggrappandosi ai rami spessi e resistenti, un essere
così
solido e vecchio, da reggere il peso di Yamato, che non era mai stato
destinato
ad un esistenza ne mingherlina ne sottile, con la sua altezza e stazza
naturale, su cui aveva impresso quanto più
tonicità.
E poi era scivolata tra i rami, come un soldato in guerriglia, attento
e poi
quando non aveva potuto più, osservando le guardie
pattugliare i giardini, era
saltato fuori ed era corso verso il muro e si era arrampicato, nei
piccoli
spiragli ed aveva scavalcato il vetro e le punte di ferro, senza
vergognarsi di
strappare il giaccone o i jeans in più punti e sentire il
dolore, mischiato
alla pura gioia.
“Signorino Yamato!” aveva sentito come ultimo
disperato urlo, mentre correva
con le gambe lunghe, verso le strade, alla ricerca della fermata della
metro
più vicina, ringraziando Nika e il cielo stesso che il suo
stupido padre si
fosse annoiato della villa in campagna presto e avesse occupato al
residenza in
città.
Lo avrebbero cercato comunque, ma meno, l’ordine era di
rimanere alla villa e
suo padre non voleva essere mai disturbato fino a che non terminava
i
suoi inconvenienti, ma Page One l’avrebbe inseguita, era suo
compito vigilare
sulla villa e su tutto ciò che c’era
all’interno, Yamato incluso.
Yamato
aveva fatto i gradini della metro a due a due prima di scavalcare un
casello e
correre a prendere la prima metro che si era trovato davanti, per
prendere più
tempo possibile.
Solo quando era stato su un vagone ed era scivolato su una sediolina
arancione
scomoda aveva estratto il biglietto che Kiku aveva scritto con le
istruzioni e
le linee della metro.
“Scusa, ehi, scusa che corsa è?” aveva
chiesto all’unico altro uomo presente
nel vagone. Si era lanciato nella metro senza guardare ne che linea
fosse, ne
dove fosse diretto, solo deciso a mettere più spazio
possibile tra lui e gli
altri.
L’uomo era seduto a diversi posti da lui e sembrava
più interessato al libro
che stava leggendo che a qualsiasi altra cosa. Era un signore
dall’aria un po’
alticcia, con arruffati capelli rossi, che indossava sandali in una
notte
fredda e piovosa, tre linee bianche scavavano la faccia attraversando
un occhio
rimasto sano.
Yamato era cresciuto tra abbastanza criminali da riconoscerne uno.
“Ah? La West Blu” aveva risposto lui tranquillo.
Yamato aveva annuito, fingendo di aver compreso esattamente dove fosse,
ma la
cosa non era esattamente così. Non aveva quasi mai preso
metro e quando l’aveva
fatto era stato guidato, oltre che rarissimo, ogni suo spostamento era
stato
cupamente sorvegliato e organizzato e negli ultimi anni, le cose erano
solo
peggiorate.
Yamato non usciva da casa sua da almeno un anno e mezzo ed anche
l’ultima volta
era stata senza sorveglianza.
“Si ecco …” aveva parlato di nuovo,
l’uomo l’aveva guardato ancora, aveva occhi
intensi ma non malvagi, non per un criminale almeno, “Devo
raggiungere la …”
aveva guardato il biglietto, “Calm Belt” aveva
letto, guardando le linea che
era stata segnata.
“Ah, da qui è un po’ lunga”
aveva considerato il signore, doveva avere meno di
quarant’anni ed era abbastanza piacente, a parte
l’area leggermente stralunata
– aveva anche qualcosa di famigliare che Yamato non riusciva
a comprendere –
“Allora devi prendere questa fino alla fermata Reverse
Mountain, sei sai
la stazione dei treni, quella della metro
si trova sotto, sei fortunata questa va nella direzione giusta
… poi, ecco, da
lì prendi la Grand Line direzione Lougetown non Sakura, fino
a Marijoa … no
Marijoa è chiusa per i lavori Fishmen Island, quindi
dovresti scendere a
Sabaudy e da lì puoi andare a piedi fino a Marijoa o
prendere il bus
sostitutivo. Tecnicamente dovresti prendere la Red-Line, ma la hanno
chiusa
tutta per gli scavi; quindi, o prendere l’autobus sostitutivo
o centoundici
fino alla fermata di Amazon Lily, non ricordo come si chiami quella
del bus
ma se lo chiedi all’autista sicuramente te lo dice. Comunque
da lì c’è la
corrispondenza per la Calm Belt” aveva spiegato
l’uomo pratico, Yamato aveva
annuito, ignorando, sebbene con fatica, l’improprio pronome.
“Grazie” aveva
detto solamente, prima di tastare le tasche del giubbotto e dei
pantaloni alla
ricerca di qualcosa che sapeva già di non avere.
Aveva lasciato il telefono a casa per non essere rintracciato ed aveva
preso
solamente il portafoglio, non aveva carte ma solo contanti e monetine
– e
sperava gli sarebbero bastati – e null’altra cosa,
niente per ascoltare la
musica e distrarsi. “Sai molto delle linee
metropolitane” aveva commentato,
“Questa è una città dedalica, imparare
a muoversi al suo interno è il modo più
semplice per sopravvivere” aveva risposto schietto lui. Un
po’ troppo tragica
messa così.
“Inoltre, potrei aver sacrificato la mia macchina in una cosa
molto, molto,
stupida” aveva detto l’uomo con una mezza risata.
“Sono le cose migliori, quelle molto, molto,
stupide” aveva convenuto Yamato.
L’uomo le aveva sorriso accomodante, concorde, il senso di
famigliarità le era
penetrato nelle ossa.
Per un solido momento, Yamato aveva pensato che lo strano uomo in
sandali in
una notte di pioggia fosse lo Yonko Akagami Shanks, con i suoi capelli
rossi e
le cicatrici sul viso, un uomo che anche suo padre temeva, ma aveva
avuto il
buon senso di tenere le sue domande per se.
Le altre fermate della linea non erano state solitarie e presto gli
scompartimenti si erano riempiti di ridente vita notturna e
l’uomo era
scomparso tra i corpi.
Yamato non era neanche sicuro di sapere a quale fermate fosse sceso,
quando
aveva abbandonato il mezzo per scendere nella caotica fermata di
Reverse
Mountain, centro nevralgico della città, aveva visto la
folla inghiottire tutta
la stazione.
Aveva seguito le iscrizione del sospetto-Shanks, orientandosi con le
iscrizioni
e le insegne luminose, fino a cercare la pedana per la Grand Line.
Differentemente dalla West Blu, quest’ultima, si era mostrata
straripante dal
primo momento che aveva messo piede sulla banchina e poi sul treno dove
non
solo non era riuscita a trovare posto a sedere, ma si era ritrovato
schiacciato
in una marmaglia senza volto. “Oh che donnone!”
aveva sentito qualcuno alle sue
spalle e la sua pigra risposta era stata una gomitata accidentale
alle
sue spalle.
Le
istruzioni dell’uomo erano state piuttosto precise, Yamato
era sceso a Sabaody
ed aveva preso l’autobus sostitutivo fino a Marijoa, poi da
lì aveva preso la
fermata di Pangea del bus, con l’autobus centoundici per il
tratto che seguiva
in superficie la linea rossa, godendosi la città caoica e
vivace anche in una
fredda notte umida e piovosa come quella.
Luci sfocate, che vibravano dietro al vetro.
Era sceso alla fermata di Rusukaina, che era vicino
all’ingresso della piazzola
di Amazon Lily – per l’ultima azione era stata
guidata dal gentile autista
– e
lì aveva preso la corsa che
terminava ad Impel Down, come era stato indicato da Kiku.
Il treno della Calm Belt non era ne straripante di persone ne
l’abitacolo di un
fantasma, aveva un traffico moderato e dei colori sgargianti, con le
fermate
annunciate chiare e segnate su uno schermo.
I sedili erano piatti, ma colorati, come un arcobaleno.
Yamato aveva riletto il biglietto: Calm Belt, direzione Impel Down,
Momoiro,
via Kamabakka, Livello 6.5. Aveva sentito un bruciante nervosismo
davanti
quella notizia ed aveva rimesso il biglietto a posto nella tasca della
giacca.
Kiku era una studentessa che aveva frequentato le stesse scuola di
Yamato –
prima che suo padre lo costringesse a studiare a casa –
qualche anno avanti a
lui e l’unica persona che Yamato avesse mai conosciuto che
fosse simile a lui.
Dopo il liceo Kiku aveva cominciato a lavorare in una casa di
tè, assieme ad
una brava signora, e con questa scusa lei e Yamato erano riusciti a
vedersi –
fare delle commissioni per Black Maria e per le occasioni in cui lo
strano
Orochi veniva a casa loro e voleva solo tè di Wano-kuni.
Kiku gli aveva detto di incontrarla al Livello 6.5, non importava quale
sera,
lei era quasi sempre lì. E Yamato sperava che quasi
sempre includesse la
piovosa notte più lunga dell’anno, in mezzo alla
settimana.
Era
sceso alla stazione di Momoiro, circondata da più colori di
quanto fosse
abituata e da una sregolatezza quasi vibrante, non era stupito
d’altronde,
Momoiro era il quartiere LGBT della città, dove era
più facile trovare locali
amichevoli, bandiere e brillanti colori – e che molto spesso
era vittima di
atti vandalici e cassonetti incendiati.
Yamato si era avvicinato a due ragazze con un po’ di
titubanza. Erano due
giovanissime donne dall’aspetto carino, con fisici snelli, in
abiti di
lustrini, anche sotto il diluvio, allegre e felici, che si tenevano la
mano e
di tanto in tanto posavano la fronte l’una
sull’altra ridacchiando. Avrebbero
potuto essere fidanzate quanto amiche, per quanto Yamato fosse bravo a
leggere
le informazioni. Si erano riparate dalla pioggia sotto la protezione
data da un
balcone, davanti un negozio di alimentari ancora aperto.
“Oh! Scusatemi!” aveva detto titubante.
Una delle due si era voltata, stizzita di essere stata interrotta a
metà, ma la
sua espressione si era addolcita appena aveva visto Yamato,
“Oh, no, prego,
disturbami per tutto il tempo che vuoi” aveva scherzato,
aveva occhi marroni
dolci e scintillanti capelli mandarino, lunghi fino alle spalle.
“Nami!”
l’aveva rimproverata bonariamente, aveva un aspetto
leggermente più giovane,
con un viso di una bellezza regale, capelli azzurri scintillanti e
perle tra i
capelli. Yamato si era sentito cotto di imbarazzo e di fastidio,
“Io cercavo
via Kamabakka e … il Livello 5.5”
aveva detto pieno di imbarazzo.
“Vestita così?” aveva indagato Nami
senza vergogna, con un tono leggermente
supponente. “Vestito” aveva
lasciato scivolare fuori Yamato, Nami aveva
sollevato un sopracciglio, “Come scusa?” aveva
chiesto, “Sono vestito, non
vestita” aveva ammesso. “Oh! Grande Nika,
perdonami” aveva risposto subito
quella con un tono un po’ più morbido,
“Questo non cambia che sei vestito male”
aveva aggiunto, riprendendo il tono mellifluo. Yamato questa volta
aveva
aggrottato le sopracciglia, “Quello che Nami cerca di dire e
che il Livello 5.5
ha un certo tipo di dresscode… che si
potrebbe tradurre con il termine
esuberante” aveva spiegato l’altra, “Come
sempre è diplomatica la mia Vivi, si
vede che studia diritto internazionale, vero?” aveva detto
tronfia Nami,
schioccandole un bacio sulla guancia. Yamato aveva guardato il suo
giaccone che
si era bucato durante la fuga sui pezzi di vetro, sotto cui stava la
maglia
grigia informe, i blu jeans e gli stivali antipioggia. “Non
mi faranno
entrare?” aveva chiesto preoccupato, “Il Livello
5.5 non esclude nessuno – è la
regola” l’aveva rassicurato Vivi con un tono
pacato, mettendoli anche una mano
sul braccio, “Solo che potresti sentirti un po’
fuori luogo tra boa di piume e
brillantini” aveva ridacchiato Nami, “Potete
spiegarmi come arrivarci?” aveva
indagato, comunque. Vivi si era voltata verso Nami, con gli occhi
azzurri
speranzosi, prima di sorridere in maniera divertita, l’altra
aveva fatto
roteare gli occhi ed aveva sbuffato, “Ti guidiamo
noi” aveva concesso,
interpretando lo sguardo dell’altra ragazza, “Ma
facciamo veloce, che abbiamo
un appuntamento con quella strafiga di
Tashigi” aveva sentenziato Nami.
“Non so
più come dirtelo Nami, ma lei
è chiaramente
etero e chiaramente
innamorata di Zoro” aveva borbottato Vivi e il suo tono
sebbene divertito,
aveva assunto una leggera sfumatura di tristezza. “Nessuna
donna che si vesta
in quel modo è etero e se lo è chiaramente uno
spreco” aveva sentenziato
divertita Nami, mentre prendeva a braccetto Yamato da un lato,
“Inoltre, Zoro
chiaramente è sulla mia stessa sponda.”
Yamato non aveva idea di cosa stessero parlando, ma quella
confidenzialità l’aveva
fatto stare bene. Vivi lo aveva preso a braccetto dall’altro
lato, era
leggermente più bassa di Nami e un po’ meno
voluttuosa, aveva un viso più dolce
e occhi leggermente più grandi, però aveva
piegato le labbra in una smorfia
leggermente crucciata, “Peccato non aver preso un
ombrello” aveva considerato
l’altra.
Vivi
era più incerta sui suoi stivali con il tacco a rocchetto,
ma Nami sembrava
nata per camminare su dei vertiginosi tacchi a spillo come se
camminasse sulla
sabbia. Non sembrava neanche infastidita dalla pioggia scrosciante,
mentre
cercavano di camminare attaccati ai muri dei palazzi per cercare di
scappare
dalla pioggia. Nel viaggio, che era durato poco meno di un quarto
d’ora, Yamato
aveva scoperto molto delle due. Nami aveva diciannove anni e Vivi
diciotto, si
erano conosciute durante il liceo, sebbene venissero da due ambienti
diversi; Yamato
lo aveva intuito dal fatto che Nami avesse dichiarato di aver
frequentato il
liceo pubblico di Coco mentre Vivi si era diplomato lo scorso anno al
liceo
privato da ricchi figli-di-papà di Arabasta, dove anche
Yamato sarebbe dovuto
andare se suo padre non avesse deciso che le soffocanti mura di
Onigashima fossero
più adatte al suo carattere indisponente.
Erano amiche Vivi e Nami per qualche ragione e vivevano assieme
– come coinquiline,
Nami lo aveva sottolineato strizzando un occhio verso Yamato, mentre
Vivi aveva
distolto lo sguardo con un labbro tremolante – in una casa
nel quartiere di
Waetheria, che non era lontano da lì a sentir le due, una
studiava Diritto
Internazionale all’università di Pangea, mentre
Nami dopo un anno ad economia,
aveva deciso di provare con grafica ad un istituto di nome Oykot, che
era
proprio vicino Momoiro. Aveva anche scoperto anche che Vivi appariva
leggermente più timida di Nami, ma che era vivace e
risoluta, l’altra
ragazza era sveglia e con una lingua
velenosissima e che a Nami piacevano le donne quasi quanto i soldi,
come aveva
tenuto a specificare.
“Hai un contatto di Instagram? Snapchat? Tik-tok?”
aveva chiesto Vivi con
gentilezza, mentre si arrestavano davanti un edificio di un rosa
brillante con
un’insegna al neon della forma di un cuore alto almeno un
metro e mezzo per
larghezza e largo altrettanto. ‘Mio padre non me lo
permette’ era stato sul
punto di rispondere, “No” aveva ammesso,
“Sono riservato” aveva mentito.
“Non avrei detto. Comunque, siamo arrivati!” aveva
considerato Nami, indicando
proprio il locale in vistoso rosa gomma-da-masticare, sotto il cuore a
neon
rosa, svettava il un viola non meno vibrante l’insegna con il
nome: Livello
5.5.
“Grazie ragazze, davvero, è stato un piacere
conoscervi” aveva ammesso Yamato,
inchinandosi anche formalmente davanti alle due, “Anche per
noi. Spero ci
rivedremo. Se vieni qui il martedì ci trovi assolutamente,
è l’unica sera dove
accettano canzoni a richiesta, quindi ogni tanto la musica è
buona” aveva
risposto Nami, mentre Vivi scrupolosa cercava qualcosa nella sua borsa,
prima
di allungarlo verso di Yamato, “O se vuoi
chiamarci” aveva detto.
“Non ci credo hai un bigliettino con il tuo
numero!” aveva esclamato Nami,
sconvolta, “Sì, lo do al parco alle mamme quando
sento che cercano
baby-sitter!” si era difesa Vivi, facendo ridere
l’altra.
Yamato aveva preso il biglietto, “Grazie di cuore”
aveva detto.
“Buona serata Yamato!” si era congedata Vivi,
ricambiando un inchino moderato,
“Fa strage di cuori, mi raccomando!” le aveva
strizzato un occhio Nami.
Yamato
le aveva viste allontanarsi e umido di pioggia mentre scherzavano tra
loro, con
un sorriso mesto, certo che non le avrebbe mai più riviste;
erano stati meno di
quindici minuti ma erano stati davvero belli, mentre le vedeva sparire
tra la
gente e la pioggia, Yamato aveva immaginato per un secondo –
un lungo secondo –
come sarebbero state le loro giornate nel prossimo futuro e come
sarebbe stato
per lui unirsi in quella caotica vita. Yamato non sapeva neanche che
università
frequentare, aveva passato il liceo con il minimo dei voti e
l’unica cosa in
cui era mai stato veramente bravo era il kendo e a tirare pugni. Quando
la sua
voglia di vagabondare si era esaurita e i suoi capelli si erano
inzuppati,
Yamato aveva sospirato ed era entrato nel Livello 5.5.
Era stato accolto dal trambusto, nella sua forma più pura,
composto di luci
sfolgoranti dai mille colori, specchi, fumo e corpi stretti e sudati e
sì,
Yamato, nei suoi abiti semplici spiccava come un cuculo in un nido di
passerotti.
Si era diretto a tentoni verso il vano del guardaroba, dove una signora
aveva
raccolto il suo cappotto, “Oh, tesoro, sembri un pulcino
bagnato” le aveva
detto, mentre gli restituiva il biglietto con il numero del guardaroba,
era
l’unico ambiente che sembrava più pacato in quel
luogo, ma anche osservando i
capotti appesi, Yamato poteva intuire cosa avesse inteso Nami quando
aveva
fatto riferimento ai vestiti.
“Non avevo controllato il meteo” aveva risposto
evasivo, infilando il biglietto
in tasca dei jeans, mentre riponeva anche i soldi lì.
“Divertiti, allora” aveva
risposto la donna, aveva labbra grandi, una mascella definita e
riccioli
rosso-aranciato lunghi, “Però, ti prego, apprezzo
l’audacia di quei capelli, ma
permettimi di aggiungere qualche stellina” aveva detto senza
vergogna.
Yamato si era morso il labbro, “Va bene” aveva
ceduto e senza vergogna si era
fatto appiccicare due stelline sul lato del viso.
Aveva
attraversato la calca di corpi con un po’ di
difficoltà, evitando qualche mano
che lo invitava a ballare, fino a che non aveva raggiunto il bancone.
“Ciao!” aveva gridato, sperando che la sua voce
potesse superare l’assordante
musica del locale, per rivolgersi verso il banconista. Era una figura
alta e
longilinea, con occhiali da sole anche in un locale chiuso, con i gonfi
capelli
cotonati che alternavano l’arancio-e-bianco ed un vestito
abbinato, che
fasciava la figura slanciata. Aveva dipinto sul viso una vistosa saetta
rossa e
bianca che a Yamato ricordava l’immagine di un cantante, ma
non era sicuro di
ricordare bene quale. “Ciao a te” aveva risposto il
suo interlocutore, “Sei la
prima persona a salutarmi effettivamente questa sera” aveva
risposto, “Cosa
posso fare per te?” aveva chiesto.
“Cercavo Kiku … Kikunojo, intendo” aveva
borbottato Yamato, realizzando di non
conoscere il cognome della ragazza, “Alta, capelli scuri
nero-viola e veste
sempre elegante” aveva specificato, “Mi ha detto
che viene spesso qui.” L’altra
persona aveva sorriso, “Conosco Kiku”
l’aveva rassicurato, “Effettivamente di
solito e qui, in realtà ci ha lavorato per un bel
po’, ora è un po’ più
saltuaria, ma questa sera non c’è” aveva
confermato.
Yamato si era seduta su uno degli sgabelli foderati di rosso davanti al
bancone, “Pensi che verrà?” aveva
chiesto, “Sta sera ha un incontro con I Foderi,
quindi, forse più tardi, molto più
tardi” aveva risposto, “Di buono
c’è che il
Livello 5.5 chiude solo quando arriva il giorno” aveva riso.
Lui si era sentito leggermente demoralizzato, non aveva idea di cosa
fossero I
Foderi, e si rendeva conto di non conoscere praticamente nulla di una
dei suoi
pochi amici. “Peccato”
aveva detto
incerto Yamato, portando la mano alla bocca e mordendosi
l’unghia dell’indice
della mano destra, con nervosismo, “Dimmi un po’
è la prima volta che vieni
qui?” aveva inquisito l’altro, “Non
è ovvio?” aveva risposto Yamato, senza
particolare sarcasmo.
La persona aveva annuito, “Io sono Inazuma” si era
presentato, “Tu?” aveva
chiesto.
“Yamato” aveva mormorato. “Bene Yamato,
facciamo così: come benvenuto e scusa a
nome della cara Kiku questo bicchiere lo offro io. Cosa
prendi?” aveva chiesto
con gentilezza. “Secondo quella vecchia scimmia-toro di mio
padre gli unici
alcolici che valgano la pena di essere bevuti sono sakè,
rhum e wisky” aveva
sentenziato Yamato, “Quindi cosa tra sakè, rhum e
wisky?” aveva chiesto Inazuma
retorico, “Il completo opposto a cui riesci a
pensare” aveva risposto Yamato
sagace, facendo ridacchiare Inazuma, “E così
sia” aveva detto.
Yamato
aveva avuto il bicchiere colmo di vodka, succo di fragole, menta e
zucchero di
canna, annacquato con il ghiaccio. Era dolciastro e poco piacevole, ma
Yamato
se ne sarebbe nutrito e lo avrebbe amato se quel genere di bevuta era
disprezzata da suo padre.
Aveva infilato la mano nella tasca dei pantaloni in cerca del biglietto
da
visita di Vivi, non aveva il telefono con se, ma forse poteva chiedere
ad
Inazuma di poter fare una chiamata, probabilmente avrebbe potuto
raggiungere le
due ragazze dove avessero deciso di passare la serata, già
chè quell’ambiente
sembrava fin troppo eccentrico per lui – capelli a parte.
Ma aveva lasciato il biglietto nel giaccone e si era detto che in un
posto come
quello anche se mezza marmaglia agli ordini di suo padre fosse irrotta
tra il
fumo e le luci psichedeliche non lo avrebbero mai trovato.
Stava succhiando l’ultimo sorso, ghiaccio sciolto e zucchero,
valutando se
succhiare il lime incastrato nell’orlo del bicchiere, quando
lo aveva visto.
Yamato pur nella clausura della sua casa aveva visto bei ragazzi, ma
mai così.
E mai così consapevoli.
Lo aveva intravisto con la coda dell’occhio ma appena la
figura appannata era
entrata nel suo campo visivo non aveva potuto far altro che far
scattare il
viso.
L’uomo, il ragazzo, aveva la pelle olivastra, capelli neri e
scuri, lunghetti
ed arruffati, coperti da un capello arancio fluo, nudo dalla vita in
su, come
se non fosse stata la notte più maledettamente fredda da
settimane ed il
sorriso sornione sul viso.
Tra il fumo e le luci si era avvicinato al bancone, così
Yamato aveva visto
quanto lucenti fossero i capelli, neri gli occhi e deliziose le
lentiggini sul
naso piccolo e all’insù e le gote.
Lui l’aveva visto, probabilmente accorgendosi di essere stato
osservato e Yamato
aveva girato improvvisamente la testa rosso in viso.
Il ragazzo si era accomodato con i gomiti sul bancone,
“Whisky doppio!” aveva
detto ad un barman, con voce ruvida e forte, non Inazuma che si era
spostato in
un'altra zona del locale. “Subitissimo!”
aveva risposto il barman con un
sorriso fin troppo sciolto.
Yamato aveva succhiato ancora dalla sua cannuccia, cercando di
recuperare il
suo coraggio. Era solo una notte si disse, probabilmente
entrò il tramonto del
giorno prima sarebbe finita all’ospedale a fare i raggi;
quindi, con l’ultimo
sorso di alcool annacquato si era voltata verso quello.
Aveva tolto il capello, che con un laccio era rimasto agganciato al
collo ed
era dunque sceso fino alla schiena e si era passato una mano sui
capelli per
toglierli dal viso.
Nika, Kami, era bello. In maniera definitiva. A
Yamato era quasi colato il
liquido dalle labbra quando l’aveva visto.
“Possooffritidabere” aveva
strillato Yamato, guardandolo. “Come?” aveva
chiesto l’altro, avvicinandosi appena – troppo
– a lui, “Posso pagartelo io?”
aveva chiesto, meglio, più lentamente Yamato, imponendosi di
ricordare a sé
stesso chi fosse e che un bel ragazzo non era niente. Lui
l’aveva guardata
aggrottando sopracciglia scure, “Di norma non sarei contrario
a farmi offrire
qualsiasi cosa, ma devo dirti che non sono particolarmente interessato
alle
donne, anzi diciamo per niente” aveva risposto quello,
schietto.
Yamato si era morso il labbro, pentendosi di non aver fasciato il seno
o messo
un binder, “Bene, perché io non sono una
donna” aveva stabilito con sicurezza.
Kiku l’aveva avvertita, che certe persone, anche nella comunità
non
erano sempre ben disposte, in particolare nel comprendere ciò
in cui lui
si riconosceva, Yamato sapeva tragicamente come appariva.
Il ragazzo aveva sollevato le sopracciglia, prima di scoppiare a
ridere,
“Allora, per farmi perdonare lascia che sia io ad offrirti da
bere” aveva
replicato, prima di voltarsi verso il barman, “Un altro di
quello che sta
bevendo” aveva stabilito. L’uomo dietro il bancone
aveva gettato uno sguardo
critico a Yamato prima di annuire, aveva offerto il wisky doppio a
quello ed
aveva cominciato a macchinare per fare un altro pestato a Yamato,
“Era una caipiroska,
si?” aveva inquisito stizzito, così basso che a
malapena lo aveva udito, “Non
so me lo ha fatto Inazuma” aveva borbottato.
Il ragazzo dai capelli scuri aveva recuperato uno sgabello e si era
accomodato
accanto a Yamato, ad occhio doveva essere più basso di lui
ed aveva i polpacci
nudi, infossando dei pantaloni che arrivavano appena alle ginocchia e
degli
stivaletti. “Non senti freddo?” aveva urlato
Yamato, sapendo che si
quell’ambiente era caldo, ma fuori infuriava un diluvio.
L’uomo aveva
ridacchiato, “La mia ipofisi è messa male, sento
sempre troppo caldo”
aveva risposto, prima di gettare giù il suo wisky, Yamato
aveva ricevuto la sua
bevanda.
Era più dolce e stucchevole della precedente.
Il barman si era girato forse chiamato da qualcun altro e allora il
ragazzo a
sorpresa aveva afferrato la mano di Yamato e l’aveva
trascinato via in mezzo
alla pista. Yamato aveva quasi rovesciato il bicchiere, “Che
fai?” aveva
chiesto.
“Non pago mai! Fa parte del mio fascino” aveva
risposto lui secco e con un tono
che trasudava con ovvietà, facendoli poi
l’occhiolino. Yamato si era fatto
rosso in viso, “E mi hai offerto da
bere?” aveva chiesto sconvolto.
Inoltre, all’uomo sarebbe bastato davvero sbattere le ciglia
perché il
cameriere gli offrisse quei bicchieri e tutti gli altri ‘Gli
uomini sono
così imbarazzanti, signorino Yamato, non
capisco perché vuoi essere uno
di loro’ aveva sentito la voce acuta e cattiva di
Black Mariah
nell’orecchio, con una risata secca. L’uomo si era
voltato verso Yamato, pronto
a sollevare le spalle, prima di lasciarsi sfuggire un fischio:
“Oh, Re della
Scogliera! Sei grosso!” aveva esclamato poi. Yamato era
avvampato, distogliendo
lo sguardo. L’altro aveva un fisico tonico, con i pettorali
piatti, gli
addominali definiti e i muscoli delle braccia evidenziati –
con un buffo
tatuaggio, ma era effettivamente più minuto di Yamato che lo
superava di una
buona testa e meno importato. “Con cosa ti hanno sfamato?
Elefanti?” aveva
chiesto brutale ma divertente, “Ah son tutti così
da me” si era difeso Yamato,
grattandosi la nuca, sotto la coda cavallina, “Buoni
geni” aveva pensato,
almeno in quello suo padre non era stato malvagio.
“Perché ho anche l’impressione che sulla
tua pancia potrei grattugiarci il
formaggio” aveva considerato, Yamato si era morso il labbro,
“Puoi provare”
aveva detto, raschiando tutto il coraggio che sapeva di avere. Il
ragazzo aveva
riso, anche se la sua risata si perdeva nel baccano della discoteca;
aveva
delle lentiggini adorabili, che risaltavano sul viso e sulle fossette
quando
rideva.
“Io sono Portgas D. Ace, comunque” si era
presentato allungando una mano verso
Yamato, che non era sicuro di aver capito bene con tutta quella musica,
“Mi
sembra più appropriato presentarsi prima di parlare di come
usare il cibo in
modi creativi.”
“Si scrive come sul braccio?” aveva chiesto Yamato,
cercando di ignorare
apertamente il secondo commento di Yamato, “Senza la
S; ho beccato un
tatuatore dislessico” aveva risposto lui. “E hai
pensato che farci una X sopra
fosse meglio?” aveva chiesto Yamato, “Senti, ero ad
un festival musicale, ero
ubriaco marcio e avevo mangiato forse un po’ troppa
space-cake, lo ho trovato
un’idea geniale, adesso faccio un sacco di battute che la S
sta per Sabo, mio
fratello” aveva spiegato pacato, “E adesso mi dici
il tuo nome o devo
inventarne uno io?” aveva chiesto retorico Ace,
“Perché devo darti la notizia
che sono pessimo con i nomi, potrei cominciare con un Bob.”
Yamato aveva ridacchiato divertendo, ricambiando la stretta che Ace
aveva teso
verso di lui ed aveva detto il suo nome. “Nessun cognome con
cui cercarti su un
social network, dopo?” aveva risposto quello.
Yamato aveva ridacchiato, “Non ho social network ed ho ancora
il cognome di mio
padre, che non ho ancora avuto modo di cambiare e non mi piace”
aveva
risposto, chiedendosi perché lo avesse detto. Ace aveva
sorriso verso di lui,
comprensivo, “Io lo ho fatto a diciassette anni, la mia
tutrice non ne era
entusiasta, ma io preferivo così” aveva detto
intimo prima di recuperare il
cappello da Cowboy e rimetterò sulla testa.
“Balliamo, allora, Yamato?” aveva
proposto Ace, “S-sì” aveva risposto lui.
Yamato
non sapeva ballare, decisamente, ma Ace sembrava decisamente a suo
aggio. “Non
è la prima volta che vieni qui, vero?” aveva
chiesto, ma si erano addentrati
all’interno della calca e la sua voce non aveva raggiunto le
orecchie di Ace,
che sembrava più interessato ad ondeggiare sulla pista ed
ogni tanto farsi
distrarre da qualche audace ragazzo mezzo-nudo come lui. Yamato aveva
cominciato
a sentire caldo e in un atto di audacia aveva sfilato la maglia larga,
rimanendo solo con la canotta pesante, con le bretelle spesse,
legandosi poi le
mani alla vita. Ace aveva fischiato ancora, mentre distoglieva lo
sguardo dal
ragazzo con cui stava ballando.
Qualcuno aveva cercato di trascinare Yamato in una danza, ma lui aveva
risposto
sfuggendo senza vergogna, sapeva di svettare una buona testa sopra gli
altri e
di spiccare, ma per una volta non era importante,
preferendo di gran lunga ondeggiare ad una
musica che non conosceva neanche e in cui non sapeva muoversi, sapeva
di
brillante libertà.
Almeno fino a che Ace non aveva abbandonato il ragazzo con cui si stava
strusciando per afferrargli la mano, aveva boccheggiato qualcosa ma
Yamato non
aveva capito e l’aveva trascinato via sgomitando tra la folla.
“Che succede?” aveva chiesto preoccupato,
“E che sei alto ragazzone, ti si
nota” aveva scherzato Ace, mentre scivolava fuori dal locale,
passando i
bodyguard, “Aspetta la mia giacca!” aveva provato a
piagnucolato Yamato, senza
ottenere aiutato. Ace era più smunto di lei ma non mancava
in forza. “Quanto
costava?” aveva chiesto Ace, la sua voce, senza il fracasso
della discoteca era
calda e bella, da rendere Yamato nervoso, “Non lo
so” aveva ammesso vergognoso,
l’aveva avuta da Sasaki ed era sembrata quasi nuova,
immaginava che non dovesse
essere poco, ma non sapeva il prezzo originale. “Allora,
fanculo” aveva detto
Ace, prima di sbucare fuori, “Ha anche smesso di piovere,
guarda” aveva
stabilito.
Yamato aveva sentito il freddo sulle braccia ed aveva visto i
marciapiedi
ancora bagnati e le pozzanghere colme d’acqua nera, ma Ace
aveva ragione, non
c’era più pioggia. “Reggi”
aveva detto al ragazzo allungandogli il bicchiere di
caipiroska mezzo vuoto, con solo ghiaccio sciolto e zucchero. Ace lo
aveva
preso, portandosi senza vergogna la cannuccia alla bocca, mentre Yamato
ignorava quell’azione, con il rossore sulle guance, per
rinfilare la felpa
sulla maglia. “Fa comunque un freddo infernale” si
era lamentato.
“Re della Scogliera, che bevanda immonda. Non è
così che dovrebbe sapere questa
cosa” aveva stabilito Ace, ignorandolo, “Il barman
aveva un’evidente cotta per
te” aveva replicato Yamato, Ace si era voltato con un sorriso
pieno di brio,
“Dai ti porto a bere qualcosa di buono e così puoi
anche riscaldarti” aveva
stabilito.
“Non potremmo più tornare qui, vero?”
aveva invece detto Yamato, “Al Livello 5.5?
Sì, sì. Questo posto è di Iva, che io
non lo conosco bene, ma è praticamente il
partner platonico del figlio di mio nonno” aveva spiegato
Ace. Yamato aveva
inclinato il capo, “Situazione peculiare” aveva
commentato, mentre seguiva il
giovane lungo la via umida della strada, non volendo entrare nel
merito, giusto
prima il giovane aveva detto di aver cambiato il cognome da quello di
suo
padre, forse figlio-di-mio-nonno sembrava un modo più
accettabile di vedere la
cosa di mio-padre; Yamato non aveva questo lusso, non conosceva nessuno
nella
sua famiglia oltre il suo vecchio.
Neanche la sua stessa madre, di cui aveva qualche ricordo appena e
qualche foto
ben nascosta, Yamato somigliava a lei – anche troppo. Non
l’aveva mai odiata
per essersene andata, forse era l’unica cosa della sua intera
vita che capiva,
ma aveva avuto del rancore per non averlo portato con se, per molto
tempo; fino
a che King non gli aveva detto che sua madre ci aveva provato e Kaido
lo aveva
impedito.
‘Perché non ci ha più
provato? Percè non è più
tornata?’ aveva
chiesto testardo, sebbene lo sapesse che erano il genere di cose che
non si
poteva tentare due volte, fuggire da Kaido Hyakuju era
un’impresa miracolata
una volta, due era un’esagerazione, ma King le aveva comunque
risposto: ‘Be,
signorina, tua madre è andata in un posto da cui non si
può tornare.’
“In
realtà da spiegare è parecchio complicato, ma in
pratica no” aveva spiegato
stanco Ace, che aveva una camminata svelta e marziale, “E,
no, il figlio di mio
nonno non è mio padre. Non è il mio nonno
biologico, ma è mio nonno” aveva
spiegato con una punta di divertimento, “Okay, non sei
costretto a parlare”
aveva mormorato Yamato, alzando le mani, “Perché
non dovrei? Io adoro la mia
famiglia, potrei parlarne per ore” aveva risposo
Ace con divertimento
sagace.
“Mi era … sembrato” aveva provato a
parlare Yamato incerto, “Allora per farla
breve: orfano di madre e di padre naturali, sono cresciuto in una
casa-famiglia, non lo immaginare un posto lugubre e triste, era bello,
spazioso
e in aperta campagna. Ho due fratelli, sono entrambi più
piccoli di me, anche
se Sabo – quello della S – di solo pochi mesi, ho
una madre che è burbera e
fantastica e un nonno che è lo stereotipo del padre-padrone
che amo” aveva
spiegato divertito, “Al liceo mi sono unito ad una banda, non
immaginarlo come
qualcosa di troppo criminale e il leader è come un padre per
me e gli altri
sono i miei fratelli” aveva aggiunto allegro.
Yamato aveva annuito, colpita, “Io ho solo mio padre,
è uno stronzo e lo odio”
aveva risposto asciutto, “E va bene così. Ho
sentimenti simili per il mio
genitore naturale, solo mio padre. Voglio bene a mia madre anche se non
la
ricordo per nulla, il cognome è il suo, per la
cronaca” aveva spiegato Ace,
sembrava proprio un tipo aperto. Yamato lo invidiava.
“Frequenti molto i locali?” aveva chiesto invece,
“Solo quelli dove l’ingresso
è gratuito” aveva risposto Ace, “O
quelli dove è facile entrare dal retro”
aveva aggiunto, strizzando l’occhio. “Sempre a
risparmio” aveva scherzato
Yamato, “E che non chiedermi perché sono sempre in
bolletta, Marco dice che ho
le mani bucate” aveva risposto.
“È uno dei tuoi fratelli?” aveva
chiesto, “No, è il mio migliore amico, amore
della vita e ex-fastidioso a rotazione, dipende dal
periodo dell’anno …”
aveva risposto Ace, “Al momento è il mio ex che
pensa di doversi comportare da
figura genitoriale che mi dice ancora come devo vivere la vita: tipo, Ace
non puoi uscire senza giacca a dicembre o non puoi
bere fino a svenire
tutti i fine settimana o non partire per un
viaggio folle in treno con
solo i dieci berri della mancia del tuo lavoro saltuario”
aveva commentato,
imitando una voce baritonale, che aveva fatto ridere Yamato,
“Oh, decisamente
un mostro” lo aveva spudoratamente preso in giro.
Una piccola parte – e sembrava terribilmente fuori luogo
– era comunque stata
infastidita, ovviamente non aveva possibilità con Ace,
chiaramente innamorato
del suo ex e …
“Invece da queste parti non ti ho visto spesso, non dico di
conoscere tutti gli
avventori di Kamabakka, ma penso che uno con la tua stazza lo
ricorderei” aveva
scherzato Ace, “Sono scappato di casa ed ho deciso che mi
meritavo una serata
folle, dovevo vedere un’amica al Livello 5.5 ma non
è venuta” aveva raccontato,
era una mezza verità ma era meglio di niente. Ace aveva
annuito, “Ti capisco,
io sta sera dovevo vedere Saboma ha avuto un problema a lavoro, lavora
in
un’associazione che si occupa di fare causa alle grandi
società o qualche altra
stronzata socialista che non ricordo e quindi … be,
improvvisa serata libera”
aveva scherzato forzatamente Ace, “Quindi è buono
che siamo stati bidonati
entrambi” aveva considerato Yamato.
L’altro aveva ridacchiato: “Super buono!”
aveva concesso, facendo schioccare la
lingua sui denti e sollevando anche il pollice in un gesto
d’assenso.
“Quindi dove stiamo andando?” aveva inquisito
Yamato, “Andiamo a bere sul retro
di un ristorante” aveva risposto ovvio Ace, mentre scivolata
lungo le scale per
imboccare la metropolitana, “Chi sa perché avevo
pensato ad un bar?” aveva
risposto con un divertimento crudo Yamato, “Devi aprire i
tuoi orizzonti,
ragazzone; come dice il Vecchio: pensare trasversalmente.”
Ace cosa per cui Yamato non era stato per nulla sorpreso aveva saltato
a piè
pari il tornello, facendo attenzione a non farsi beccare dalle
telecamere o dai
controlli, con un movimento agile e svelto. Yamato aveva pagato il
biglietto –
tranne il primo, che aveva preso con una corsa folle, aveva pagato
tutti i
successivi della serata – per passare dal tornello con calma.
Diverse persone li avevano guardate e Yamato era certo del
perché attirassero
così tanta attenzione, lui era un colosso dai capelli
bianchi-e-verdeacqua e
Ace indossava un capello da cowboy e i pantaloni di jeans neri e
praticamente
nient’altro.
“Così scappato di casa?” aveva chiesto
Ace, “Io ho cominciato a farlo da quando
avevo circa sei anni … una volta mi sono perso due giorni
nel bosco e mi sono
nutrito di sole bacche” aveva raccontato quasi divertito,
“Scappato di casa
prevederebbe un piano che mi veda rimanere fuori, ma in
realtà diciamo che ho
fatto una piccola fuga momentanea. Probabilmente è il caso
che entro l’alba
rincasi” aveva ammesso, aveva pensato molte volte di scappare
da Kiku, ma la
verità e che non voleva che la sua unica amica pagasse lo
scotto per qualcosa
che era su di lei.
“Ti offrirei di fuggire da me, ma a quest’ora
domani sarò su un treno diretto a
Skypeia” aveva risposto Ace, “Figo” aveva
considerato Yamato, “Vacanza?” aveva
chiesto, “No, no, cioè due giorni lì
si, sabbie bianchi, mari trasparenti e
cibi strani. Ma da Skypeia poi prenderemo una nave per
l’arcipelago di Shandora
e per il Wharf, andiamo a guardare le balene e a fermare una
petroliera, non
chiedermi bene, ho accettato mesi fa ed ero troppo curioso di fare
un’avventura” aveva risposto onesto, grattandosi il
capo con un sorriso
imbarazzante, “Ora ti invidio molto” aveva ammesso
Yamato, “Piacerebbe troppo
farlo anche a me.”
“La prossima volta, se torno vivo” aveva scherzato
Ace.
Yamato aveva sorriso, “Quindi ci resta una sola
notte” aveva valutato Yamato,
grattandosi una guancia, “Per fortuna è la
più lunga dell’anno” aveva risposto Ace.