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Autore: RLandH    03/02/2024    0 recensioni
, “Ora ti invidio molto” aveva ammesso Yamato, “Piacerebbe troppo farlo anche a me.”
“La prossima volta, se torno vivo” aveva scherzato Ace.
Yamato aveva sorriso, “Quindi ci resta una sola notte” aveva valutato Yamato, grattandosi una guancia, “Per fortuna è la più lunga dell’anno” aveva risposto Ace.

[modern!au]
Yamato scappa di casa e conosce Ace.
Genere: Commedia, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Absalom, Altro Personaggio, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La storia dovrebbe durare pochi capitoli da 3 a 5 ... e avere un po' di angst. O potrei sclerare e decidere di lasciara OS.
Pronomi maschili per Yamato

La notte più lunga dell'anno

Ragazzo incontra ragazzo

 

Yamato aveva indossato i pantaloni e la maglietta larga, non aveva avuto il tempo di fasciare il seno.
Era fastidioso e quando era in casa tendeva a non farlo, in realtà non gli importava di farlo neanche quando usciva, ma sapeva che la gente aveva difficoltà a capire quando non lo faceva, a capire davvero.
Aveva infilato il giaccone pesante e poi aveva afferrato gli stivali, ma non li aveva indossati, attraversando il parquet della sua stanza con i calzettoni di spugna pesanti.
Era una notte di dicembre quasi stereotipata, faceva un freddo da bruciare le ossa e rendere l’aria difficile da respirare, il cielo scuro era annerito maggiormente da una coltre di nuvole spesse e grige ed infuriava una tempesta degna di un libro horror, ma Yamato era deciso.
Aveva aperto la finestra incurante dell’acqua e dell’aria gelida che avevano colpito il corpo e inumidito la stanza.
Aveva fatto pressione con i palmi sul davanzale per issarsi sull’imposta, quando due tocchi alla porta lo avevano distratto.
“Signorino Yamato, tutto bene?” aveva sentito una voce candida e quasi divertita, “Sì, Maria, tutto bene” aveva risposto, mentre si sistemava sul davanzale, sentendo le gocce insistenti inzuppare il giubbotto e la nuca, che non aveva ancora coperto. “Io pensavo di farmi un tè, con Page One, vuole venire con noi? È una notte così fredda e lugubre” aveva aggiunto Maria, “No, no, voglio rimanere imbronciato ed arrabbiato nella mia stanza ad ascoltare musica metal … dalle cuffiette” aveva risposto, cercando di non permettere al suo tono di tradirlo.
“Come desidera” aveva risposto la donna e Yamato aveva ascoltato i passi delicati, come quelli di un ragnetto, sul parchè, fuori dalla stanza allontanarsi.
Erano usciti tutti quella notte, meno lui, Black Maria e Page One che erano rimasti a Onigashima, la spaventosa villa della dinastia Hyakuju.
Lo Yonko, il signore della famiglia – in ogni senso – aveva deciso che quella sera dei conti che avevano lasciato in sospeso dovessero essere sistemati. A Yamato non era interessato, le altre persone con cui suo padre, per quanto egli rigettasse quel nome, erano malvage come lui e per tale non erano suo interesse, ma quell’occasione aveva dato una possibilità. Di uscire indisturbato.
Suo padre non sarebbe rincasato fino all’alba o anche più tardi.
Page One non avrebbe avuto alcun interesse nel controllare Yamato, offeso di aver pescato la pagliuzza più corta che lo aveva costretto a rimanere alla villa, vittima delle spietate prese in giro di Ulti e Black Maria come un orologio ben organizzato sarebbe andata a dormire dopo il suo solito te, per avere le ore di sonno che desiderava ogni volta.
Non avrebbe controllato Yamato, sicura che lui non avrebbe tentato di fuggire alla sua punizione, non dopo l’ultima volta.
Yamato tremava ancora e sentiva dolore fino alle ossa nel ricordare la lezione – come si ostinava a chiamarla il suo vecchio – che gli era stata impartita.
Kaido Hyakuju era una strana bestia, in ogni senso, non voleva molto di quello che possedeva e tutto ciò che anelava era morire in maniera gloriosa, ma non sopportava che nulla di ciò che fosse suo smettesse di esserlo, anche se lo disprezzava, Yamato incluso.
Yamato, d’altronde, aveva ereditato dal suo vecchio la testardaggine e non sarebbe stata ne una tempesta ne la promessa delle botte che avrebbe ricevuto a limitare quel poco di libertà che poteva avere, così aveva accavallato le gambe ed era sgusciata fuori dalla finestra, buttando poi gli arti inferiori a penzoloni e tirando su il cappuccio del giaccone per nascondere i capelli e il viso dall’acqua. Con molta calma aveva infilato gli stivali impermeabili, prima di sistemarsi in una posizione cucciata e posare le suole sul ballatoio della finestra e sollevarsi sui talloni – poi sulle punte – per darsi lo slancio e lanciarsi sul grosso albero secolare che si trovava di fronte la sua finestra.
Per tutta la vita Yamato si era aggrappato ai rami degli alberi che aveva popolato i suoi cortili, come una piccola scimmia, e a suo padre non era mai importato che lo avesse usato nel tempo come mezzo per la sua fuga – a volte Yamato sospettava che suo padre volesse vederlo fuggire, non sapeva se per qualche intrinseco bisogno di orgoglio di dimostrare al mondo che suo figlio aveva abbastanza fegato per sfidarlo o per la punizione che avrebbe potuto infliggerli dopo.
Si era lanciata, aggrappandosi ai rami spessi e resistenti, un essere così solido e vecchio, da reggere il peso di Yamato, che non era mai stato destinato ad un esistenza ne mingherlina ne sottile, con la sua altezza e stazza naturale, su cui aveva impresso quanto più tonicità.
E poi era scivolata tra i rami, come un soldato in guerriglia, attento e poi quando non aveva potuto più, osservando le guardie pattugliare i giardini, era saltato fuori ed era corso verso il muro e si era arrampicato, nei piccoli spiragli ed aveva scavalcato il vetro e le punte di ferro, senza vergognarsi di strappare il giaccone o i jeans in più punti e sentire il dolore, mischiato alla pura gioia.
“Signorino Yamato!” aveva sentito come ultimo disperato urlo, mentre correva con le gambe lunghe, verso le strade, alla ricerca della fermata della metro più vicina, ringraziando Nika e il cielo stesso che il suo stupido padre si fosse annoiato della villa in campagna presto e avesse occupato al residenza in città.
Lo avrebbero cercato comunque, ma meno, l’ordine era di rimanere alla villa e suo padre non voleva essere mai disturbato fino a che non terminava i suoi inconvenienti, ma Page One l’avrebbe inseguita, era suo compito vigilare sulla villa e su tutto ciò che c’era all’interno, Yamato incluso.

Yamato aveva fatto i gradini della metro a due a due prima di scavalcare un casello e correre a prendere la prima metro che si era trovato davanti, per prendere più tempo possibile.
Solo quando era stato su un vagone ed era scivolato su una sediolina arancione scomoda aveva estratto il biglietto che Kiku aveva scritto con le istruzioni e le linee della metro.
“Scusa, ehi, scusa che corsa è?” aveva chiesto all’unico altro uomo presente nel vagone. Si era lanciato nella metro senza guardare ne che linea fosse, ne dove fosse diretto, solo deciso a mettere più spazio possibile tra lui e gli altri.
L’uomo era seduto a diversi posti da lui e sembrava più interessato al libro che stava leggendo che a qualsiasi altra cosa. Era un signore dall’aria un po’ alticcia, con arruffati capelli rossi, che indossava sandali in una notte fredda e piovosa, tre linee bianche scavavano la faccia attraversando un occhio rimasto sano.
Yamato era cresciuto tra abbastanza criminali da riconoscerne uno.
“Ah? La West Blu” aveva risposto lui tranquillo.
Yamato aveva annuito, fingendo di aver compreso esattamente dove fosse, ma la cosa non era esattamente così. Non aveva quasi mai preso metro e quando l’aveva fatto era stato guidato, oltre che rarissimo, ogni suo spostamento era stato cupamente sorvegliato e organizzato e negli ultimi anni, le cose erano solo peggiorate.
Yamato non usciva da casa sua da almeno un anno e mezzo ed anche l’ultima volta era stata senza sorveglianza.
“Si ecco …” aveva parlato di nuovo, l’uomo l’aveva guardato ancora, aveva occhi intensi ma non malvagi, non per un criminale almeno, “Devo raggiungere la …” aveva guardato il biglietto, “Calm Belt” aveva letto, guardando le linea che era stata segnata.
“Ah, da qui è un po’ lunga” aveva considerato il signore, doveva avere meno di quarant’anni ed era abbastanza piacente, a parte l’area leggermente stralunata – aveva anche qualcosa di famigliare che Yamato non riusciva a comprendere – “Allora devi prendere questa fino alla fermata Reverse Mountain, sei  sai la stazione dei treni, quella della metro si trova sotto, sei fortunata questa va nella direzione giusta … poi, ecco, da lì prendi la Grand Line direzione Lougetown non Sakura, fino a Marijoa … no Marijoa è chiusa per i lavori Fishmen Island, quindi dovresti scendere a Sabaudy e da lì puoi andare a piedi fino a Marijoa o prendere il bus sostitutivo. Tecnicamente dovresti prendere la Red-Line, ma la hanno chiusa tutta per gli scavi; quindi, o prendere l’autobus sostitutivo o centoundici fino alla fermata di Amazon Lily, non ricordo come si chiami quella del bus ma se lo chiedi all’autista sicuramente te lo dice. Comunque da lì c’è la corrispondenza per la Calm Belt” aveva spiegato l’uomo pratico, Yamato aveva annuito, ignorando, sebbene con fatica, l’improprio pronome. “Grazie” aveva detto solamente, prima di tastare le tasche del giubbotto e dei pantaloni alla ricerca di qualcosa che sapeva già di non avere.
Aveva lasciato il telefono a casa per non essere rintracciato ed aveva preso solamente il portafoglio, non aveva carte ma solo contanti e monetine – e sperava gli sarebbero bastati – e null’altra cosa, niente per ascoltare la musica e distrarsi. “Sai molto delle linee metropolitane” aveva commentato, “Questa è una città dedalica, imparare a muoversi al suo interno è il modo più semplice per sopravvivere” aveva risposto schietto lui. Un po’ troppo tragica messa così.
“Inoltre, potrei aver sacrificato la mia macchina in una cosa molto, molto, stupida” aveva detto l’uomo con una mezza risata.
“Sono le cose migliori, quelle molto, molto, stupide” aveva convenuto Yamato. L’uomo le aveva sorriso accomodante, concorde, il senso di famigliarità le era penetrato nelle ossa.
Per un solido momento, Yamato aveva pensato che lo strano uomo in sandali in una notte di pioggia fosse lo Yonko Akagami Shanks, con i suoi capelli rossi e le cicatrici sul viso, un uomo che anche suo padre temeva, ma aveva avuto il buon senso di tenere le sue domande per se.
Le altre fermate della linea non erano state solitarie e presto gli scompartimenti si erano riempiti di ridente vita notturna e l’uomo era scomparso tra i corpi.
Yamato non era neanche sicuro di sapere a quale fermate fosse sceso, quando aveva abbandonato il mezzo per scendere nella caotica fermata di Reverse Mountain, centro nevralgico della città, aveva visto la folla inghiottire tutta la stazione.
Aveva seguito le iscrizione del sospetto-Shanks, orientandosi con le iscrizioni e le insegne luminose, fino a cercare la pedana per la Grand Line.
Differentemente dalla West Blu, quest’ultima, si era mostrata straripante dal primo momento che aveva messo piede sulla banchina e poi sul treno dove non solo non era riuscita a trovare posto a sedere, ma si era ritrovato schiacciato in una marmaglia senza volto. “Oh che donnone!” aveva sentito qualcuno alle sue spalle e la sua pigra risposta era stata una gomitata accidentale alle sue spalle.

Le istruzioni dell’uomo erano state piuttosto precise, Yamato era sceso a Sabaody ed aveva preso l’autobus sostitutivo fino a Marijoa, poi da lì aveva preso la fermata di Pangea del bus, con l’autobus centoundici per il tratto che seguiva in superficie la linea rossa, godendosi la città caoica e vivace anche in una fredda notte umida e piovosa come quella.
Luci sfocate, che vibravano dietro al vetro.
Era sceso alla fermata di Rusukaina, che era vicino all’ingresso della piazzola di Amazon Lily – per l’ultima azione era stata guidata dal gentile autista –  e lì aveva preso la corsa che terminava ad Impel Down, come era stato indicato da Kiku.
Il treno della Calm Belt non era ne straripante di persone ne l’abitacolo di un fantasma, aveva un traffico moderato e dei colori sgargianti, con le fermate annunciate chiare e segnate su uno schermo.
I sedili erano piatti, ma colorati, come un arcobaleno.
Yamato aveva riletto il biglietto: Calm Belt, direzione Impel Down, Momoiro, via Kamabakka, Livello 6.5. Aveva sentito un bruciante nervosismo davanti quella notizia ed aveva rimesso il biglietto a posto nella tasca della giacca. Kiku era una studentessa che aveva frequentato le stesse scuola di Yamato – prima che suo padre lo costringesse a studiare a casa – qualche anno avanti a lui e l’unica persona che Yamato avesse mai conosciuto che fosse simile a lui.
Dopo il liceo Kiku aveva cominciato a lavorare in una casa di tè, assieme ad una brava signora, e con questa scusa lei e Yamato erano riusciti a vedersi – fare delle commissioni per Black Maria e per le occasioni in cui lo strano Orochi veniva a casa loro e voleva solo tè di Wano-kuni.
Kiku gli aveva detto di incontrarla al Livello 6.5, non importava quale sera, lei era quasi sempre lì. E Yamato sperava che quasi sempre includesse la piovosa notte più lunga dell’anno, in mezzo alla settimana.

Era sceso alla stazione di Momoiro, circondata da più colori di quanto fosse abituata e da una sregolatezza quasi vibrante, non era stupito d’altronde, Momoiro era il quartiere LGBT della città, dove era più facile trovare locali amichevoli, bandiere e brillanti colori – e che molto spesso era vittima di atti vandalici e cassonetti incendiati.
Yamato si era avvicinato a due ragazze con un po’ di titubanza. Erano due giovanissime donne dall’aspetto carino, con fisici snelli, in abiti di lustrini, anche sotto il diluvio, allegre e felici, che si tenevano la mano e di tanto in tanto posavano la fronte l’una sull’altra ridacchiando. Avrebbero potuto essere fidanzate quanto amiche, per quanto Yamato fosse bravo a leggere le informazioni. Si erano riparate dalla pioggia sotto la protezione data da un balcone, davanti un negozio di alimentari ancora aperto.
“Oh! Scusatemi!” aveva detto titubante.
Una delle due si era voltata, stizzita di essere stata interrotta a metà, ma la sua espressione si era addolcita appena aveva visto Yamato, “Oh, no, prego, disturbami per tutto il tempo che vuoi” aveva scherzato, aveva occhi marroni dolci e scintillanti capelli mandarino, lunghi fino alle spalle. “Nami!” l’aveva rimproverata bonariamente, aveva un aspetto leggermente più giovane, con un viso di una bellezza regale, capelli azzurri scintillanti e perle tra i capelli. Yamato si era sentito cotto di imbarazzo e di fastidio, “Io cercavo via Kamabakka e … il Livello 5.5” aveva detto pieno di imbarazzo.
“Vestita così?” aveva indagato Nami senza vergogna, con un tono leggermente supponente. “Vestito” aveva lasciato scivolare fuori Yamato, Nami aveva sollevato un sopracciglio, “Come scusa?” aveva chiesto, “Sono vestito, non vestita” aveva ammesso. “Oh! Grande Nika, perdonami” aveva risposto subito quella con un tono un po’ più morbido, “Questo non cambia che sei vestito male” aveva aggiunto, riprendendo il tono mellifluo. Yamato questa volta aveva aggrottato le sopracciglia, “Quello che Nami cerca di dire e che il Livello 5.5 ha un certo tipo di dresscode… che si potrebbe tradurre con il termine esuberante” aveva spiegato l’altra, “Come sempre è diplomatica la mia Vivi, si vede che studia diritto internazionale, vero?” aveva detto tronfia Nami, schioccandole un bacio sulla guancia. Yamato aveva guardato il suo giaccone che si era bucato durante la fuga sui pezzi di vetro, sotto cui stava la maglia grigia informe, i blu jeans e gli stivali antipioggia. “Non mi faranno entrare?” aveva chiesto preoccupato, “Il Livello 5.5 non esclude nessuno – è la regola” l’aveva rassicurato Vivi con un tono pacato, mettendoli anche una mano sul braccio, “Solo che potresti sentirti un po’ fuori luogo tra boa di piume e brillantini” aveva ridacchiato Nami, “Potete spiegarmi come arrivarci?” aveva indagato, comunque. Vivi si era voltata verso Nami, con gli occhi azzurri speranzosi, prima di sorridere in maniera divertita, l’altra aveva fatto roteare gli occhi ed aveva sbuffato, “Ti guidiamo noi” aveva concesso, interpretando lo sguardo dell’altra ragazza, “Ma facciamo veloce, che abbiamo un appuntamento con quella strafiga di Tashigi” aveva sentenziato Nami.
 “Non so più come dirtelo Nami, ma lei è  chiaramente etero e chiaramente innamorata di Zoro” aveva borbottato Vivi e il suo tono sebbene divertito, aveva assunto una leggera sfumatura di tristezza. “Nessuna donna che si vesta in quel modo è etero e se lo è chiaramente uno spreco” aveva sentenziato divertita Nami, mentre prendeva a braccetto Yamato da un lato, “Inoltre, Zoro chiaramente è sulla mia stessa sponda.”
Yamato non aveva idea di cosa stessero parlando, ma quella confidenzialità l’aveva fatto stare bene. Vivi lo aveva preso a braccetto dall’altro lato, era leggermente più bassa di Nami e un po’ meno voluttuosa, aveva un viso più dolce e occhi leggermente più grandi, però aveva piegato le labbra in una smorfia leggermente crucciata, “Peccato non aver preso un ombrello” aveva considerato l’altra.

Vivi era più incerta sui suoi stivali con il tacco a rocchetto, ma Nami sembrava nata per camminare su dei vertiginosi tacchi a spillo come se camminasse sulla sabbia. Non sembrava neanche infastidita dalla pioggia scrosciante, mentre cercavano di camminare attaccati ai muri dei palazzi per cercare di scappare dalla pioggia. Nel viaggio, che era durato poco meno di un quarto d’ora, Yamato aveva scoperto molto delle due. Nami aveva diciannove anni e Vivi diciotto, si erano conosciute durante il liceo, sebbene venissero da due ambienti diversi; Yamato lo aveva intuito dal fatto che Nami avesse dichiarato di aver frequentato il liceo pubblico di Coco mentre Vivi si era diplomato lo scorso anno al liceo privato da ricchi figli-di-papà di Arabasta, dove anche Yamato sarebbe dovuto andare se suo padre non avesse deciso che le soffocanti mura di Onigashima fossero più adatte al suo carattere indisponente.
Erano amiche Vivi e Nami per qualche ragione e vivevano assieme – come coinquiline, Nami lo aveva sottolineato strizzando un occhio verso Yamato, mentre Vivi aveva distolto lo sguardo con un labbro tremolante – in una casa nel quartiere di Waetheria, che non era lontano da lì a sentir le due, una studiava Diritto Internazionale all’università di Pangea, mentre Nami dopo un anno ad economia, aveva deciso di provare con grafica ad un istituto di nome Oykot, che era proprio vicino Momoiro. Aveva anche scoperto anche che Vivi appariva leggermente più timida di Nami, ma che era vivace e risoluta,  l’altra ragazza era sveglia e con una lingua velenosissima e che a Nami piacevano le donne quasi quanto i soldi, come aveva tenuto a specificare.
“Hai un contatto di Instagram? Snapchat? Tik-tok?” aveva chiesto Vivi con gentilezza, mentre si arrestavano davanti un edificio di un rosa brillante con un’insegna al neon della forma di un cuore alto almeno un metro e mezzo per larghezza e largo altrettanto. ‘Mio padre non me lo permette’ era stato sul punto di rispondere, “No” aveva ammesso, “Sono riservato” aveva mentito.
“Non avrei detto. Comunque, siamo arrivati!” aveva considerato Nami, indicando proprio il locale in vistoso rosa gomma-da-masticare, sotto il cuore a neon rosa, svettava il un viola non meno vibrante l’insegna con il nome: Livello 5.5.
“Grazie ragazze, davvero, è stato un piacere conoscervi” aveva ammesso Yamato, inchinandosi anche formalmente davanti alle due, “Anche per noi. Spero ci rivedremo. Se vieni qui il martedì ci trovi assolutamente, è l’unica sera dove accettano canzoni a richiesta, quindi ogni tanto la musica è buona” aveva risposto Nami, mentre Vivi scrupolosa cercava qualcosa nella sua borsa, prima di allungarlo verso di Yamato, “O se vuoi chiamarci” aveva detto.
“Non ci credo hai un bigliettino con il tuo numero!” aveva esclamato Nami, sconvolta, “Sì, lo do al parco alle mamme quando sento che cercano baby-sitter!” si era difesa Vivi, facendo ridere l’altra.
Yamato aveva preso il biglietto, “Grazie di cuore” aveva detto.
“Buona serata Yamato!” si era congedata Vivi, ricambiando un inchino moderato, “Fa strage di cuori, mi raccomando!” le aveva strizzato un occhio Nami.

Yamato le aveva viste allontanarsi e umido di pioggia mentre scherzavano tra loro, con un sorriso mesto, certo che non le avrebbe mai più riviste; erano stati meno di quindici minuti ma erano stati davvero belli, mentre le vedeva sparire tra la gente e la pioggia, Yamato aveva immaginato per un secondo – un lungo secondo – come sarebbero state le loro giornate nel prossimo futuro e come sarebbe stato per lui unirsi in quella caotica vita. Yamato non sapeva neanche che università frequentare, aveva passato il liceo con il minimo dei voti e l’unica cosa in cui era mai stato veramente bravo era il kendo e a tirare pugni. Quando la sua voglia di vagabondare si era esaurita e i suoi capelli si erano inzuppati, Yamato aveva sospirato ed era entrato nel Livello 5.5.
Era stato accolto dal trambusto, nella sua forma più pura, composto di luci sfolgoranti dai mille colori, specchi, fumo e corpi stretti e sudati e sì, Yamato, nei suoi abiti semplici spiccava come un cuculo in un nido di passerotti.
Si era diretto a tentoni verso il vano del guardaroba, dove una signora aveva raccolto il suo cappotto, “Oh, tesoro, sembri un pulcino bagnato” le aveva detto, mentre gli restituiva il biglietto con il numero del guardaroba, era l’unico ambiente che sembrava più pacato in quel luogo, ma anche osservando i capotti appesi, Yamato poteva intuire cosa avesse inteso Nami quando aveva fatto riferimento ai vestiti.
“Non avevo controllato il meteo” aveva risposto evasivo, infilando il biglietto in tasca dei jeans, mentre riponeva anche i soldi lì. “Divertiti, allora” aveva risposto la donna, aveva labbra grandi, una mascella definita e riccioli rosso-aranciato lunghi, “Però, ti prego, apprezzo l’audacia di quei capelli, ma permettimi di aggiungere qualche stellina” aveva detto senza vergogna.
Yamato si era morso il labbro, “Va bene” aveva ceduto e senza vergogna si era fatto appiccicare due stelline sul lato del viso.

Aveva attraversato la calca di corpi con un po’ di difficoltà, evitando qualche mano che lo invitava a ballare, fino a che non aveva raggiunto il bancone.
“Ciao!” aveva gridato, sperando che la sua voce potesse superare l’assordante musica del locale, per rivolgersi verso il banconista. Era una figura alta e longilinea, con occhiali da sole anche in un locale chiuso, con i gonfi capelli cotonati che alternavano l’arancio-e-bianco ed un vestito abbinato, che fasciava la figura slanciata. Aveva dipinto sul viso una vistosa saetta rossa e bianca che a Yamato ricordava l’immagine di un cantante, ma non era sicuro di ricordare bene quale. “Ciao a te” aveva risposto il suo interlocutore, “Sei la prima persona a salutarmi effettivamente questa sera” aveva risposto, “Cosa posso fare per te?” aveva chiesto.
“Cercavo Kiku … Kikunojo, intendo” aveva borbottato Yamato, realizzando di non conoscere il cognome della ragazza, “Alta, capelli scuri nero-viola e veste sempre elegante” aveva specificato, “Mi ha detto che viene spesso qui.” L’altra persona aveva sorriso, “Conosco Kiku” l’aveva rassicurato, “Effettivamente di solito e qui, in realtà ci ha lavorato per un bel po’, ora è un po’ più saltuaria, ma questa sera non c’è” aveva confermato.
Yamato si era seduta su uno degli sgabelli foderati di rosso davanti al bancone, “Pensi che verrà?” aveva chiesto, “Sta sera ha un incontro con I Foderi, quindi, forse più tardi, molto più tardi” aveva risposto, “Di buono c’è che il Livello 5.5 chiude solo quando arriva il giorno” aveva riso.
Lui si era sentito leggermente demoralizzato, non aveva idea di cosa fossero I Foderi, e si rendeva conto di non conoscere praticamente nulla di una dei suoi pochi amici.  “Peccato” aveva detto incerto Yamato, portando la mano alla bocca e mordendosi l’unghia dell’indice della mano destra, con nervosismo, “Dimmi un po’ è la prima volta che vieni qui?” aveva inquisito l’altro, “Non è ovvio?” aveva risposto Yamato, senza particolare sarcasmo.
La persona aveva annuito, “Io sono Inazuma” si era presentato, “Tu?” aveva chiesto.
“Yamato” aveva mormorato. “Bene Yamato, facciamo così: come benvenuto e scusa a nome della cara Kiku questo bicchiere lo offro io. Cosa prendi?” aveva chiesto con gentilezza. “Secondo quella vecchia scimmia-toro di mio padre gli unici alcolici che valgano la pena di essere bevuti sono sakè, rhum e wisky” aveva sentenziato Yamato, “Quindi cosa tra sakè, rhum e wisky?” aveva chiesto Inazuma retorico, “Il completo opposto a cui riesci a pensare” aveva risposto Yamato sagace, facendo ridacchiare Inazuma, “E così sia” aveva detto.

Yamato aveva avuto il bicchiere colmo di vodka, succo di fragole, menta e zucchero di canna, annacquato con il ghiaccio. Era dolciastro e poco piacevole, ma Yamato se ne sarebbe nutrito e lo avrebbe amato se quel genere di bevuta era disprezzata da suo padre.
Aveva infilato la mano nella tasca dei pantaloni in cerca del biglietto da visita di Vivi, non aveva il telefono con se, ma forse poteva chiedere ad Inazuma di poter fare una chiamata, probabilmente avrebbe potuto raggiungere le due ragazze dove avessero deciso di passare la serata, già chè quell’ambiente sembrava fin troppo eccentrico per lui – capelli a parte.
Ma aveva lasciato il biglietto nel giaccone e si era detto che in un posto come quello anche se mezza marmaglia agli ordini di suo padre fosse irrotta tra il fumo e le luci psichedeliche non lo avrebbero mai trovato.
Stava succhiando l’ultimo sorso, ghiaccio sciolto e zucchero, valutando se succhiare il lime incastrato nell’orlo del bicchiere, quando lo aveva visto.
Yamato pur nella clausura della sua casa aveva visto bei ragazzi, ma mai così. E mai così consapevoli.
Lo aveva intravisto con la coda dell’occhio ma appena la figura appannata era entrata nel suo campo visivo non aveva potuto far altro che far scattare il viso.
L’uomo, il ragazzo, aveva la pelle olivastra, capelli neri e scuri, lunghetti ed arruffati, coperti da un capello arancio fluo, nudo dalla vita in su, come se non fosse stata la notte più maledettamente fredda da settimane ed il sorriso sornione sul viso.
Tra il fumo e le luci si era avvicinato al bancone, così Yamato aveva visto quanto lucenti fossero i capelli, neri gli occhi e deliziose le lentiggini sul naso piccolo e all’insù e le gote.
Lui l’aveva visto, probabilmente accorgendosi di essere stato osservato e Yamato aveva girato improvvisamente la testa rosso in viso.
Il ragazzo si era accomodato con i gomiti sul bancone, “Whisky doppio!” aveva detto ad un barman, con voce ruvida e forte, non Inazuma che si era spostato in un'altra zona del locale. “Subitissimo!” aveva risposto il barman con un sorriso fin troppo sciolto.
Yamato aveva succhiato ancora dalla sua cannuccia, cercando di recuperare il suo coraggio. Era solo una notte si disse, probabilmente entrò il tramonto del giorno prima sarebbe finita all’ospedale a fare i raggi; quindi, con l’ultimo sorso di alcool annacquato si era voltata verso quello.
Aveva tolto il capello, che con un laccio era rimasto agganciato al collo ed era dunque sceso fino alla schiena e si era passato una mano sui capelli per toglierli dal viso.
Nika, Kami, era bello. In maniera definitiva. A Yamato era quasi colato il liquido dalle labbra quando l’aveva visto.
“Possooffritidabere” aveva strillato Yamato, guardandolo. “Come?” aveva chiesto l’altro, avvicinandosi appena – troppo – a lui, “Posso pagartelo io?” aveva chiesto, meglio, più lentamente Yamato, imponendosi di ricordare a sé stesso chi fosse e che un bel ragazzo non era niente. Lui l’aveva guardata aggrottando sopracciglia scure, “Di norma non sarei contrario a farmi offrire qualsiasi cosa, ma devo dirti che non sono particolarmente interessato alle donne, anzi diciamo per niente” aveva risposto quello, schietto.
Yamato si era morso il labbro, pentendosi di non aver fasciato il seno o messo un binder, “Bene, perché io non sono una donna” aveva stabilito con sicurezza.
Kiku l’aveva avvertita, che certe persone, anche nella comunità non erano sempre ben disposte, in particolare nel comprendere ciò in cui lui si riconosceva, Yamato sapeva tragicamente come appariva.
Il ragazzo aveva sollevato le sopracciglia, prima di scoppiare a ridere, “Allora, per farmi perdonare lascia che sia io ad offrirti da bere” aveva replicato, prima di voltarsi verso il barman, “Un altro di quello che sta bevendo” aveva stabilito. L’uomo dietro il bancone aveva gettato uno sguardo critico a Yamato prima di annuire, aveva offerto il wisky doppio a quello ed aveva cominciato a macchinare per fare un altro pestato a Yamato, “Era una caipiroska, si?” aveva inquisito stizzito, così basso che a malapena lo aveva udito, “Non so me lo ha fatto Inazuma” aveva borbottato.
Il ragazzo dai capelli scuri aveva recuperato uno sgabello e si era accomodato accanto a Yamato, ad occhio doveva essere più basso di lui ed aveva i polpacci nudi, infossando dei pantaloni che arrivavano appena alle ginocchia e degli stivaletti. “Non senti freddo?” aveva urlato Yamato, sapendo che si quell’ambiente era caldo, ma fuori infuriava un diluvio. L’uomo aveva ridacchiato, “La mia ipofisi è messa male, sento sempre troppo caldo” aveva risposto, prima di gettare giù il suo wisky, Yamato aveva ricevuto la sua bevanda.
Era più dolce e stucchevole della precedente.
Il barman si era girato forse chiamato da qualcun altro e allora il ragazzo a sorpresa aveva afferrato la mano di Yamato e l’aveva trascinato via in mezzo alla pista. Yamato aveva quasi rovesciato il bicchiere, “Che fai?” aveva chiesto.
“Non pago mai! Fa parte del mio fascino” aveva risposto lui secco e con un tono che trasudava con ovvietà, facendoli poi l’occhiolino. Yamato si era fatto rosso in viso, “E mi hai offerto da bere?” aveva chiesto sconvolto. Inoltre, all’uomo sarebbe bastato davvero sbattere le ciglia perché il cameriere gli offrisse quei bicchieri e tutti gli altri ‘Gli uomini sono così imbarazzanti, signorino Yamato, non capisco perché vuoi essere uno di loro’ aveva sentito la voce acuta e cattiva di Black Mariah nell’orecchio, con una risata secca. L’uomo si era voltato verso Yamato, pronto a sollevare le spalle, prima di lasciarsi sfuggire un fischio: “Oh, Re della Scogliera! Sei grosso!” aveva esclamato poi. Yamato era avvampato, distogliendo lo sguardo. L’altro aveva un fisico tonico, con i pettorali piatti, gli addominali definiti e i muscoli delle braccia evidenziati – con un buffo tatuaggio, ma era effettivamente più minuto di Yamato che lo superava di una buona testa e meno importato. “Con cosa ti hanno sfamato? Elefanti?” aveva chiesto brutale ma divertente, “Ah son tutti così da me” si era difeso Yamato, grattandosi la nuca, sotto la coda cavallina, “Buoni geni” aveva pensato, almeno in quello suo padre non era stato malvagio.
“Perché ho anche l’impressione che sulla tua pancia potrei grattugiarci il formaggio” aveva considerato, Yamato si era morso il labbro, “Puoi provare” aveva detto, raschiando tutto il coraggio che sapeva di avere. Il ragazzo aveva riso, anche se la sua risata si perdeva nel baccano della discoteca; aveva delle lentiggini adorabili, che risaltavano sul viso e sulle fossette quando rideva.
“Io sono Portgas D. Ace, comunque” si era presentato allungando una mano verso Yamato, che non era sicuro di aver capito bene con tutta quella musica, “Mi sembra più appropriato presentarsi prima di parlare di come usare il cibo in modi creativi.”
“Si scrive come sul braccio?” aveva chiesto Yamato, cercando di ignorare apertamente il secondo commento di Yamato, “Senza la S; ho beccato un tatuatore dislessico” aveva risposto lui. “E hai pensato che farci una X sopra fosse meglio?” aveva chiesto Yamato, “Senti, ero ad un festival musicale, ero ubriaco marcio e avevo mangiato forse un po’ troppa space-cake, lo ho trovato un’idea geniale, adesso faccio un sacco di battute che la S sta per Sabo, mio fratello” aveva spiegato pacato, “E adesso mi dici il tuo nome o devo inventarne uno io?” aveva chiesto retorico Ace, “Perché devo darti la notizia che sono pessimo con i nomi, potrei cominciare con un Bob.”
Yamato aveva ridacchiato divertendo, ricambiando la stretta che Ace aveva teso verso di lui ed aveva detto il suo nome. “Nessun cognome con cui cercarti su un social network, dopo?” aveva risposto quello.
Yamato aveva ridacchiato, “Non ho social network ed ho ancora il cognome di mio padre, che non ho ancora avuto modo di cambiare e non mi piace” aveva risposto, chiedendosi perché lo avesse detto. Ace aveva sorriso verso di lui, comprensivo, “Io lo ho fatto a diciassette anni, la mia tutrice non ne era entusiasta, ma io preferivo così” aveva detto intimo prima di recuperare il cappello da Cowboy e rimetterò sulla testa. “Balliamo, allora, Yamato?” aveva proposto Ace, “S-sì” aveva risposto lui.

Yamato non sapeva ballare, decisamente, ma Ace sembrava decisamente a suo aggio. “Non è la prima volta che vieni qui, vero?” aveva chiesto, ma si erano addentrati all’interno della calca e la sua voce non aveva raggiunto le orecchie di Ace, che sembrava più interessato ad ondeggiare sulla pista ed ogni tanto farsi distrarre da qualche audace ragazzo mezzo-nudo come lui. Yamato aveva cominciato a sentire caldo e in un atto di audacia aveva sfilato la maglia larga, rimanendo solo con la canotta pesante, con le bretelle spesse, legandosi poi le mani alla vita. Ace aveva fischiato ancora, mentre distoglieva lo sguardo dal ragazzo con cui stava ballando.
Qualcuno aveva cercato di trascinare Yamato in una danza, ma lui aveva risposto sfuggendo senza vergogna, sapeva di svettare una buona testa sopra gli altri e di spiccare, ma per una volta non era importante,  preferendo di gran lunga ondeggiare ad una musica che non conosceva neanche e in cui non sapeva muoversi, sapeva di brillante libertà.
Almeno fino a che Ace non aveva abbandonato il ragazzo con cui si stava strusciando per afferrargli la mano, aveva boccheggiato qualcosa ma Yamato non aveva capito e l’aveva trascinato via sgomitando tra la folla.
“Che succede?” aveva chiesto preoccupato, “E che sei alto ragazzone, ti si nota” aveva scherzato Ace, mentre scivolava fuori dal locale, passando i bodyguard, “Aspetta la mia giacca!” aveva provato a piagnucolato Yamato, senza ottenere aiutato. Ace era più smunto di lei ma non mancava in forza. “Quanto costava?” aveva chiesto Ace, la sua voce, senza il fracasso della discoteca era calda e bella, da rendere Yamato nervoso, “Non lo so” aveva ammesso vergognoso, l’aveva avuta da Sasaki ed era sembrata quasi nuova, immaginava che non dovesse essere poco, ma non sapeva il prezzo originale. “Allora, fanculo” aveva detto Ace, prima di sbucare fuori, “Ha anche smesso di piovere, guarda” aveva stabilito.
Yamato aveva sentito il freddo sulle braccia ed aveva visto i marciapiedi ancora bagnati e le pozzanghere colme d’acqua nera, ma Ace aveva ragione, non c’era più pioggia. “Reggi” aveva detto al ragazzo allungandogli il bicchiere di caipiroska mezzo vuoto, con solo ghiaccio sciolto e zucchero. Ace lo aveva preso, portandosi senza vergogna la cannuccia alla bocca, mentre Yamato ignorava quell’azione, con il rossore sulle guance, per rinfilare la felpa sulla maglia. “Fa comunque un freddo infernale” si era lamentato.
“Re della Scogliera, che bevanda immonda. Non è così che dovrebbe sapere questa cosa” aveva stabilito Ace, ignorandolo, “Il barman aveva un’evidente cotta per te” aveva replicato Yamato, Ace si era voltato con un sorriso pieno di brio, “Dai ti porto a bere qualcosa di buono e così puoi anche riscaldarti” aveva stabilito.
“Non potremmo più tornare qui, vero?” aveva invece detto Yamato, “Al Livello 5.5? Sì, sì. Questo posto è di Iva, che io non lo conosco bene, ma è praticamente il partner platonico del figlio di mio nonno” aveva spiegato Ace. Yamato aveva inclinato il capo, “Situazione peculiare” aveva commentato, mentre seguiva il giovane lungo la via umida della strada, non volendo entrare nel merito, giusto prima il giovane aveva detto di aver cambiato il cognome da quello di suo padre, forse figlio-di-mio-nonno sembrava un modo più accettabile di vedere la cosa di mio-padre; Yamato non aveva questo lusso, non conosceva nessuno nella sua famiglia oltre il suo vecchio.
Neanche la sua stessa madre, di cui aveva qualche ricordo appena e qualche foto ben nascosta, Yamato somigliava a lei – anche troppo. Non l’aveva mai odiata per essersene andata, forse era l’unica cosa della sua intera vita che capiva, ma aveva avuto del rancore per non averlo portato con se, per molto tempo; fino a che King non gli aveva detto che sua madre ci aveva provato e Kaido lo aveva impedito.
Perché non ci ha più provato? Percè non è più tornata?’ aveva chiesto testardo, sebbene lo sapesse che erano il genere di cose che non si poteva tentare due volte, fuggire da Kaido Hyakuju era un’impresa miracolata una volta, due era un’esagerazione, ma King le aveva comunque risposto: ‘Be, signorina, tua madre è andata in un posto da cui non si può tornare.

“In realtà da spiegare è parecchio complicato, ma in pratica no” aveva spiegato stanco Ace, che aveva una camminata svelta e marziale, “E, no, il figlio di mio nonno non è mio padre. Non è il mio nonno biologico, ma è mio nonno” aveva spiegato con una punta di divertimento, “Okay, non sei costretto a parlare” aveva mormorato Yamato, alzando le mani, “Perché non dovrei? Io adoro la mia famiglia, potrei parlarne per ore” aveva risposo Ace con divertimento sagace.
“Mi era … sembrato” aveva provato a parlare Yamato incerto, “Allora per farla breve: orfano di madre e di padre naturali, sono cresciuto in una casa-famiglia, non lo immaginare un posto lugubre e triste, era bello, spazioso e in aperta campagna. Ho due fratelli, sono entrambi più piccoli di me, anche se Sabo – quello della S – di solo pochi mesi, ho una madre che è burbera e fantastica e un nonno che è lo stereotipo del padre-padrone che amo” aveva spiegato divertito, “Al liceo mi sono unito ad una banda, non immaginarlo come qualcosa di troppo criminale e il leader è come un padre per me e gli altri sono i miei fratelli” aveva aggiunto allegro.
Yamato aveva annuito, colpita, “Io ho solo mio padre, è uno stronzo e lo odio” aveva risposto asciutto, “E va bene così. Ho sentimenti simili per il mio genitore naturale, solo mio padre. Voglio bene a mia madre anche se non la ricordo per nulla, il cognome è il suo, per la cronaca” aveva spiegato Ace, sembrava proprio un tipo aperto. Yamato lo invidiava.
“Frequenti molto i locali?” aveva chiesto invece, “Solo quelli dove l’ingresso è gratuito” aveva risposto Ace, “O quelli dove è facile entrare dal retro” aveva aggiunto, strizzando l’occhio. “Sempre a risparmio” aveva scherzato Yamato, “E che non chiedermi perché sono sempre in bolletta, Marco dice che ho le mani bucate” aveva risposto.
“È uno dei tuoi fratelli?” aveva chiesto, “No, è il mio migliore amico, amore della vita e ex-fastidioso a rotazione, dipende dal periodo dell’anno …” aveva risposto Ace, “Al momento è il mio ex che pensa di doversi comportare da figura genitoriale che mi dice ancora come devo vivere la vita: tipo, Ace non puoi uscire senza giacca a dicembre o non puoi bere fino a svenire tutti i fine settimana o non partire per un viaggio folle in treno con solo i dieci berri della mancia del tuo lavoro saltuario” aveva commentato, imitando una voce baritonale, che aveva fatto ridere Yamato, “Oh, decisamente un mostro” lo aveva spudoratamente preso in giro.
Una piccola parte – e sembrava terribilmente fuori luogo – era comunque stata infastidita, ovviamente non aveva possibilità con Ace, chiaramente innamorato del suo ex e …
“Invece da queste parti non ti ho visto spesso, non dico di conoscere tutti gli avventori di Kamabakka, ma penso che uno con la tua stazza lo ricorderei” aveva scherzato Ace, “Sono scappato di casa ed ho deciso che mi meritavo una serata folle, dovevo vedere un’amica al Livello 5.5 ma non è venuta” aveva raccontato, era una mezza verità ma era meglio di niente. Ace aveva annuito, “Ti capisco, io sta sera dovevo vedere Saboma ha avuto un problema a lavoro, lavora in un’associazione che si occupa di fare causa alle grandi società o qualche altra stronzata socialista che non ricordo e quindi … be, improvvisa serata libera” aveva scherzato forzatamente Ace, “Quindi è buono che siamo stati bidonati entrambi” aveva considerato Yamato.
L’altro aveva ridacchiato: “Super buono!” aveva concesso, facendo schioccare la lingua sui denti e sollevando anche il pollice in un gesto d’assenso.
“Quindi dove stiamo andando?” aveva inquisito Yamato, “Andiamo a bere sul retro di un ristorante” aveva risposto ovvio Ace, mentre scivolata lungo le scale per imboccare la metropolitana, “Chi sa perché avevo pensato ad un bar?” aveva risposto con un divertimento crudo Yamato, “Devi aprire i tuoi orizzonti, ragazzone; come dice il Vecchio: pensare trasversalmente.”
Ace cosa per cui Yamato non era stato per nulla sorpreso aveva saltato a piè pari il tornello, facendo attenzione a non farsi beccare dalle telecamere o dai controlli, con un movimento agile e svelto. Yamato aveva pagato il biglietto – tranne il primo, che aveva preso con una corsa folle, aveva pagato tutti i successivi della serata – per passare dal tornello con calma.
Diverse persone li avevano guardate e Yamato era certo del perché attirassero così tanta attenzione, lui era un colosso dai capelli bianchi-e-verdeacqua e Ace indossava un capello da cowboy e i pantaloni di jeans neri e praticamente nient’altro.
“Così scappato di casa?” aveva chiesto Ace, “Io ho cominciato a farlo da quando avevo circa sei anni … una volta mi sono perso due giorni nel bosco e mi sono nutrito di sole bacche” aveva raccontato quasi divertito, “Scappato di casa prevederebbe un piano che mi veda rimanere fuori, ma in realtà diciamo che ho fatto una piccola fuga momentanea. Probabilmente è il caso che entro l’alba rincasi” aveva ammesso, aveva pensato molte volte di scappare da Kiku, ma la verità e che non voleva che la sua unica amica pagasse lo scotto per qualcosa che era su di lei.
“Ti offrirei di fuggire da me, ma a quest’ora domani sarò su un treno diretto a Skypeia” aveva risposto Ace, “Figo” aveva considerato Yamato, “Vacanza?” aveva chiesto, “No, no, cioè due giorni lì si, sabbie bianchi, mari trasparenti e cibi strani. Ma da Skypeia poi prenderemo una nave per l’arcipelago di Shandora e per il Wharf, andiamo a guardare le balene e a fermare una petroliera, non chiedermi bene, ho accettato mesi fa ed ero troppo curioso di fare un’avventura” aveva risposto onesto, grattandosi il capo con un sorriso imbarazzante, “Ora ti invidio molto” aveva ammesso Yamato, “Piacerebbe troppo farlo anche a me.”
“La prossima volta, se torno vivo” aveva scherzato Ace.
Yamato aveva sorriso, “Quindi ci resta una sola notte” aveva valutato Yamato, grattandosi una guancia, “Per fortuna è la più lunga dell’anno” aveva risposto Ace.

   
 
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