FAREWELL, MY
DARLING
“Accidenti, come si è fatto tardi!”, esclamò Ataru con
una certa apprensione dopo aver visto sul quadrante del suo orologio da polso le
lancette che segnavano le 11 e 25. Accelerò il passo per poter tornare a casa da
sua moglie e da suo figlio il più presto possibile, tenendo ben stretta in mano
la sua ventiquattrore che portava sempre con sé ogni mattina per recarsi al
lavoro.
Come ogni altro salaryman[1],
Ataru trascorreva le sue giornate lavorative negli uffici della sede principale
della società presieduta dal suo ex compagno di classe Shutaro Mendo,
Per arrivare più in fretta a casa, il giovane signor
Moroboshi decise di attraversare il parco cittadino semideserto. Nei pressi
della fontana notò una coppietta alle prese con un vivace battibecco; nel vedere
quella scena, Ataru abbozzò un sorriso e ripensò a tutti gli accesi diverbi che
durante la sua turbolenta adolescenza aveva avuto con la ragazza che sarebbe poi
diventata sua moglie.
Subito dopo, però, il sorriso scomparve dal volto di
Ataru, lasciando al contrario un’espressione turbata. “Ancora quella
sensazione!”, sussurrò a bassa voce mentre la coppia di fidanzatini aveva già
fatto pace e si allontanava mano nella mano.
Ataru non riusciva proprio a capacitarsi: ogni qual
volta che si trovava ad osservare delle coppie di giovani innamorati, il suo
cervello cominciava a pulsargli prepotentemente nella testa, come se volesse
cercare di fargli ricordare qualcosa di molto importante senza tuttavia
riuscirci.
“Non riesco proprio a capire perché mi succeda questo!”,
mormorò Ataru subito dopo aver ripreso il cammino.
Finalmente giunto nella propria villetta familiare che
aveva acquistato pochi mesi dopo il matrimonio grazie al fondamentale apporto
finanziario dei suoceri, Ataru si avviò verso la cucina e si sedette di fronte a
sua moglie Shinobu, la quale gli offrì una tazza di tè verde
fumante.
“Scusami se ho fatto più tardi del solito, ma mi hanno
accollato delle pratiche che richiedevano la massima urgenza”, si giustificò
Ataru, stanco per la dura giornata di lavoro e preoccupato per quanto gli era
capitato poco prima.
Shinobu si limitò ad alzarsi dalla sedia e a circondare
amorevolmente le spalle dello sposo come una qualsiasi moglie
devota.
“Come sta Kokeru?”, chiese di nuovo Ataru dopo aver
finito di bere il suo tè.
“Dorme nella sua cameretta come un angioletto”, rispose
la giovane signora Moroboshi. “Ho dovuto cullarlo per più di mezz’ora per
riuscire a farlo addormentare!”.
Ataru non fece caso alle parole della sposa e riprese a
fissare le foglie di tè che giacevano sul fondo con sguardo
assente.
“C’è qualcosa che non va?”, domandò Shinobu con
premura.
Suo marito rimase in silenzio per qualche secondo, poi
rispose: “Mentre tornavo a casa ho avuto di nuovo questa strana sensazione. Il
cervello continua ancora a martellarmi nel cranio”.
Sua moglie desiderava intervenire, ma un cenno dello
sposo la convinse a lasciarlo proseguire: “Non so come spiegarlo: è come se
dentro di me fosse stato cancellato per sempre il ricordo di qualcosa di molto
importante… o qualcuno. Ma, per
quanto mi sforzi, non riesco a ricordare niente. Non lo trovi molto
strano?”.
“Capisco cosa intendi”, affermò Shinobu poco prima di
recarsi in salotto e tornare con due piccoli coni dalla superficie dorata
stretti in mano. Nel vedere quegli strani oggetti, Ataru ebbe un sussulto e
chiese: “Dove gli hai trovati?”.
“In un cassetto della tua scrivania, durante il
trasloco”, rispose la moglie. “Quando li ho visti, ho sentito come una fitta al
cuore”, continuò a spiegare Shinobu. “Nel vederli, ho pensato che dovevano
essere appartenuti a qualcuno che ha avuto un ruolo importante nella nostra
vita… ma per quanto mi sia sforzata, non sono riuscita a risalire alla sua
identità”.
Ataru afferrò uno dei coni e lo passò continuamente fra
le dita, fissandolo con attenzione; poi esclamò: “Queste sono
corna!”.
“Infatti!”, disse Shinobu. “Però, da quel che so io,
nessun animale è minuto di corna dorate così piccole. Che
strano…”.
“Non so proprio cosa pensare”, affermò sconsolato Ataru.
“Forse non lo sapremo mai…”.
“In ogni caso, sarà meglio andare a letto”, consigliò
Shinobu, facendo notare al marito che era ormai passata la mezzanotte. “Domani
devi svegliarti presto!”.
“Già…”, si limitò a dirle Ataru, subito dopo aver posato
le piccole corna misteriose sul tavolo e avviandosi con la sposa in camera da
letto.
***
“Ti ricordi quando giocavamo insieme da bambine in
questo posto?”, domandò Ran a Lamù, seduta al suo fianco su una panchina a
ridosso di uno spiazzo dove un gruppo di ragazzini giocavano a pallone; fra
questi spiccava un bambino con la tuta tigrata e due minuscoli corni dorati che
emergevano dalla folta capigliatura verde marino: il suo nome era Naoto[3]
ed era il figlio primogenito di Ran e Rei.
“Ehi, ma mi hai sentito?”, chiese nuovamente l’aliena
dalla folta chioma viola, notando che l’amica continuava a seguire ogni minimo
movimento di Naoto, senza perderlo di vista neanche per un
momento.
“Cosa? Che hai detto?”, chiese Lamù come se fosse appena
scesa dalle nuvole.
Ran
scosse la testa e le chiese: “Ti stai di nuovo tormentando l’anima per quanto è
successo dieci anni fa, non è vero?”.
“Non posso farci niente; è più forte di me!”, si lamentò
Lamù angosciata.
“Devi smetterla di addossare solo su te stessa le
responsabilità di quanto è successo allora. Ataru ormai si sarà costruito una
vita ed è ora che anche tu lo faccia!”.
“Che vuoi dire?”.
“Lo sai benissimo!”, saltò su Ran. “Finora non hai fatto
altro che crogiolarti nei tuoi ricordi e hai rifiutato anche solo di conoscere
altri uomini. Non puoi continuare a permettere che una scelta azzardata compiuta
in passato possa precluderti per sempre la possibilità di essere felice. Vuoi
rimanere in questo stato di frustrazione per il resto della tua vita? E’ una
follia!”.
Lamù non rispose e riprese a guardare Naoto che correva
con la palla incollata ai piedi. “Gli sono affezionata”, commentò infine,
riferendosi al proprio ‘nipotino’. “Per me Naoto è come il figlio che non potrò
avere mai più da Ataru per colpa della mia stessa
vigliaccheria”.
Nel nominare colui che un tempo considerava l’uomo della
sua vita, la bella oni ripercorse con
la mente tutti gli avvenimenti che erano seguiti al suo rapimento da parte di
Rupa, fino ad arrivare all’ultimo giorno della sfida con Ataru. A quei ricordi
per lei così dolorosi, Lamù sentì il cuore come stretto in una fredda morsa e si
portò la mano sul petto; non avrebbe mai potuto dimenticare il tragico momento
in cui il congegno per la cancellazione della memoria era entrato in funzione,
cancellando per sempre ogni ricordo relativo agli extraterrestri dalla mente
degli abitanti di Tomobiki.
Vedendo l’amica così abbattuta, Ran decise di assumere
un atteggiamento più conciliatorio e le strinse premurosamente le spalle. “Se la
cosa può farti sentire meglio, puoi considerare quello che hai fatto come un
ultimo gesto d’amore nei confronti di Ataru”, le suggerì.
“Non ti capisco”, commentò Lamù.
“Hai già dimenticato come ti sentivi quando abbiamo
dovuto lasciare per sempre
Lamù ricordava bene quei giorni trascorsi a letto con il
cuore lacerato da un dolore straziante. “Come avrei dovuto sentirmi in quei
tristi momenti?”, le chiese stizzita.
“Non te ne faccio una colpa”, rispose con calma Ran.
“Però ti invito a riflettere: cancellando ogni tuo ricordo dalla mente di Ataru,
gli hai sicuramente impedito che vivesse il tuo stesso trauma e permettendogli
di poter costruire una vita senza dover vivere con il peso che ti porti
addosso”.
Sebbene le fondate osservazioni dell’amica non
l’avessero fatto sentire meglio di prima, Lamù la ringraziò comunque per il
tentativo e si sforzò di abbozzare un lieve sorriso. La sera stava ormai per
giungere e Ran chiamò Naoto, ricordandogli che era ora di tornare a casa per la
cena. Nel sentir proferire la parola ‘cena’ dalle labbra della madre, il bambino
si congedò dai compagni di giochi e corse verso le due aliene con la velocità di
un fulmine.
“Tutto suo padre!”, commentò Ran
sorridente.
“Zia Lamù si ferma a cena da noi?”, domandò
improvvisamente Naoto all’indirizzo della madre.
“Per me non ci sono problemi”, rispose Ran, rivolgendo
lo sguardo all’amica d’infanzia. Nel vedere il volto del piccolo in tuta
tigrata, Lamù non poté fare a meno di accettare l’invito, per la grande felicità
di Naoto.
Le due aliene e il piccolo oni si diressero verso l’astronave che
Ran aveva parcheggiato a qualche metro di distanza dallo spiazzo e una volta
accesi i motori, arrivarono nella casa in cui Ran e suo marito vivevano,
circondata da ettari di terreno su cui venivano coltivati gli ortaggi che
sfamavano quotidianamente la famigliola aliena. Una volta entrati, tuttavia, la
padrona di casa chiese al figlioletto di aspettare qualche minuto in cucina e
condusse Lamù in una stanza buia, nella quale vi era solamente un tavolo con
sopra un braciere di bronzo.
“Perché mi hai portata qui?”, chiese Lamù memore della
bravura di Ran nelle arti magiche.
L’amica d’infanzia non le rispose e dopo aver versato
all’interno del braciere dei pezzi di carbone, vi adagiò una fiaccola e in pochi
istanti si sviluppò una fiamma che illuminò l’intera sala.
“Hai con te una foto di Ataru?”, domandò Ran, che in
cuor suo sapeva già la risposta.
Rimasta inizialmente spiazzata dalla domanda, Lamù
estrasse dalla borsetta l’unica fotografia di Ataru, la stessa che aveva
inserito anni addietro nel suo computer di bordo per sapere se il suo tesoruccio
fossa davvero l’uomo ideale[4].
“Cosa vuoi che…”, balbettò con un certo timore.
“Devi bruciarla!”, affermò l’aliena dalla lunga chioma
viola, indicando il braciere.
“Non posso farlo. Questo è l’unico ricordo che ho di
Ataru e…”.
“Non è vero!”, la interruppe Ran con accesa veemenza.
“Conserverai per sempre il ricordo di Ataru nel tuo cuore, ma se non farai come
ti dico non ti libererai mai più dei fantasmi che continuano a tormentarti a
distanza di così tanti anni. Allora Ataru ha sacrificato te invece del suo
orgoglio e tu non l’hai potuto sopportare. Il vostro amore è ormai finito e le
vostre vite viaggiano su binari opposti. Brucia quella foto e potrai
ricostruirti una vita, conservando dentro di te soltanto i ricordi felici dei
momenti che hai trascorso con lui sulla Terra”.
Dopo un attimo iniziale di smarrimento, Lamù si convinse
della veridicità delle parole di Ran e protese timidamente il braccio verso il
braciere, fino a lasciar cadere la foto al suo interno e lasciandola in balìa
delle fiamme.
Ran le si avvicinò e la rassicurò: “Hai fatto la cosa
giusta”. Dopodiché la lasciò per un attimo sola e raggiunse Naoto in
cucina.
Lamù rimase da sola nella stanza ad osservare il
braciere che ardeva. Si avvicinò ad esso e guardò con tristezza il ricordo di
Ataru mentre veniva inesorabilmente divorato dalle fiamme. Quando anche le
ultime labili fiammelle si spensero e della fotografia non rimasero che
minuscoli brandelli anneriti, Lamù mormorò: “Addio per sempre… tesoruccio” e
lasciò la stanza, versando un’ultima lacrima in ricordo della turbolenta
relazione che l’aveva legata ad Ataru per quattro anni.
Fine
[1] Termine con cui in Giappone vengono definiti i lavoratori salariati impiegati nel settore terziario.
[2] Kokeru Moroboshi è il figlio che probabilmente avrebbero avuto Ataru e Shinobu se Lamù non fosse mai comparsa sulla Terra (cfr. il 12° capitolo del manga Parentele e l’OAV Che cosa accadrà nel futuro di Lamù).
[3] Per il nome del figlio di Ran e Rei ho tratto ispirazione da Naoto Date, protagonista maschile della celebre serie anime e manga L’Uomo Tigre di Ikki Kajiwara.
[4] Cfr. il 23° capitolo del manga Il girotondo dello zodiaco e il 28° episodio dell’anime Test di compatibilità.
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