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Autore: Signorina Granger    09/02/2024    3 recensioni
[Niki - Only Murders in the Building]
“Pensi a quanto può essere frustrante e doloroso vivere così. Pensi se in una delle stanze chiuse scoppiasse un incendio e la casa prendesse fuoco. Trovandosi nell’ingresso, e non potendo vedere nulla di quanto accade sul retro, se ne accorgerebbe tardi, quando quasi tutto il resto della casa sta già bruciando.”
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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QUANDO LA CASA BRUCIA


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“Quando i pompieri entrarono nella stanza trovarono i corpi quasi carbonizzati sul letto, entrambi decapitati e senza mani.”
Mentre piccole e sottili gocce di pioggia picchiettavano il vetro delle due finestre dello studio Niki si chinò sull’ordinatissima scrivania di rovere, studiando un piccolo pendolo di Newton sistemato tra la cornice di una fotografia rivolta verso la sedia girevole color cuoio, un portapenne marmoreo pieno di matite – tutte perfettamente appuntite – e un piccolo orologio da scrivania bianco. Senza riuscire a trattenersi allungò l’indice sottile e affusolato verso una delle biglie argentee esterne del pendolo, sfiorandola delicatamente prima di prenderla tra due dita e allontanarla dalle altre per azionare il meccanismo.
“Non le hanno mai trovate. Le teste, intendo. E le mani. Forse stanno marcendo da quarant’anni in qualche anfratto del sistema fognario.”
Il che, per quanto macabro, rifletté la strega mentre raddrizzava la schiena senza smettere di scrutare il movimento ipnotico delle biglie, avrebbe quantomeno spiegato perché la città vantava quell’odore terribile in ogni periodo dell’anno, anche se i newyorkesi col tempo finivano con l’abituarcisi. Forse le gallerie sotterranee custodivano parte dei corpi – e i pezzi di corpi – che nel corso dei decenni non erano mai stati rinvenuti, nemmeno dopo gli arresti e le condanne dei responsabili.
“Francamente mi domando ogni volta come riesca, quando le domando qualcosa a cui non le va di rispondere, ad eludere la domanda finendo col parlarmi in maniera dettagliata di trucolenti omicidi.”
Niki ascoltò solo distrattamente la voce femminile, pacata ma in grado di tradire una lieve traccia di rassegnazione, che si levò da un punto imprecisato alle sue spalle mentre sollevava il mento per osservare la stampa appesa sulla parete alle spalle della scrivania, accanto ad una Laurea in Medicina ad Harvard orgogliosamente incorniciata e ad una lunga serie di specializzazioni di cui non si prese la briga di leggere i nomi, certa che le avrebbero detto ben poco.
Il quadro, molto colorato, ravvivava le quattro pareti bianche dello studio e un mobilio perfettamente in grado di rispecchiare, per quanto era riuscita a capire nel corso dei mesi passati, la personalità della donna che passava buona parte delle sue giornate chiusa in quella stanza a parlare e ad ascoltare i deliri dei suoi pazienti. Julia Savard era gentile, sorrideva molto, una di quelle persone capaci di trasmettere tranquillità solo guardandola, lei e il suo abbigliamento sobrio, sempre caratterizzato da colori neutri, quanto i gioielli d’oro che indossava. Gli unici tocchi di colore in quella stanza erano la poltrona rossa dove Niki sedeva per un’ora un paio di volte a settimana e il quadro appeso alle spalle della scrivania.
O forse, si ritrovò a riflettere per la prima volta mentre osservava il dipinto, tutte quelle linee semplici e ordinarie e quei colori neutri non rappresentavano realmente la personalità di Julia Savard. Forse erano messi lì solo per rassicurare loro. Del resto lei sviscerava le loro vite, ma non si poteva certo dire il contrario.
Niki ruotò su se stessa per posare lo sguardo sulla sua psicoterapeuta, chiedendosi che tipo di persona fosse al di fuori di quelle quattro pareti bianche mentre la guardava sistemare qualcosa sul basso tavolino di vetro che divideva le due poltrone, una color cuoio e l’altra color mattone, dove si sedevano ad ogni seduta.
“Non me lo so proprio spiegare.”, asserì a voce alta e con tono amabile mentre si stampava un ampio sorriso innocente sulle labbra carnose e stringeva le mani dietro la schiena. Julia, tornata ad occupare la sua poltrona, si voltò per gettarle un’occhiata di mite rimprovero che tradì, agli occhi della sua paziente, una minuscola traccia di divertimento mal celato. Se non altro, si disse Niki, ogni tanto riusciva a ricordarsi di come anche loro fossero umani e dotati di emozioni.
“Ha un talento innato nel glissare e nel portare una conversazione dove più le pare. Si sieda per favore, ho una cosa da farle vedere.”, ordinò gentilmente la voce pacata della donna prima di rimettersi a sedere dritta contro lo schienale alto della poltrona dove puntualmente si metteva seduta ad ascoltarla, e talvolta a scribacchiare su quel quadernino nero che Niki avrebbe pagato pur di riuscire a sbirciare, due volte a settimana.
Ben sapendo di non avere altra scelta e di aver già perso, per quella seduta, più minuti che poteva, Niki obbedì, superando la sua psicoterapeuta e il tavolino di vetro per tornare a sprofondare nell’ormai familiare poltrona rossa che da mesi l’accoglieva; talvolta le capitava di pensare a tutte le persone che ogni settimana si ritrovavano nella sua stessa situazione, lì sedute davanti allo sguardo calmo di Julia, ai suoi maglioni di cashmere immacolati e ai suoi capelli scuri, quasi sempre legati in uno chignon basso. Chissà se tra quei volti e nomi sconosciuti c’era anche chi era un po’ più disastrato di lei.
Prima di gettare un’occhiata a ciò che Julia aveva posizionato sul tavolino gli occhi verdi di Niki indugiarono per la seconda volta sul quadro appeso alle spalle della scrivania; anche da lì riusciva a scorgerlo perfettamente e non c’era mai stata una seduta in cui non si fosse ritrovata ad osservarlo anche solo per qualche breve istante, appurando come i suoi colori quasi mutassero in base alla luce e al tempo atmosferico: quando pioveva, come quel giorno, le tonalità di azzurro sembravano ingrigirsi, mentre certi giorni, quando la tela della stampa veniva bagnata da una calda luce dorata, i colori apparivano ancor più luminosi.
Dio, era famoso quel dipinto, si ritrovava a considerare quando, nel corso di ogni seduta, mentre pensava a come articolare una risposta, finiva col studiarne le tre piccole imbarcazioni e il modo in cui la luce aranciata del sole si rifletteva sull’acqua. Sapeva di aver visto l’originale all’interno di un museo a Parigi, difficile dire se otto o dieci anni prima visto quanto confusionariamente si accavallavano tra loro i ricordi di quel periodo della sua vita, quasi sciogliendosi gli uni negli altri. Era anche quasi del tutto certa che fosse opera di Claude Monet, ma non aveva mai chiesto a Julia si sciogliere i suoi dubbi, né aveva mai cercato l’opera d’arte su internet. Un giorno avrebbe ricordato.
Quell’intero turbinio confuso di pensieri, ipotesi e domande svanì tuttavia dalla mente di Niki quando i suoi occhi verdi indugiarono su ciò che Julia le aveva messo davanti, visione che la portò ad aggrottare la fronte e a dimenticare momentaneamente l’opera d’arte prima di gettare alla donna che le sedeva di fronte un’occhiata scettica:
“… è una di quelle situazioni in cui ha intenzione di rifilarmi il progetto per la scuola di suo figlio per farmelo finire? Perché la avviso, alle elementari leggevo meglio di tutta la classe, ma nel resto ero una capra totale. Quella stronza di Miss Hobbes una volta mi disse che il mio globo di cartapesta sembrava una palla da calcio sgonfia.”
Un minuscolo accenno di sorriso mosse gli angoli delle labbra di Julia. Straordinario a dirsi, ma a volte i dottori sembravano davvero umani.
“Ho pensato di prendere in prestito il plastico per illustrarle qualche concetto.”, si limitò a spiegare la donna mentre si spostava sul bordo della sua poltrona per aggiustare la piattaforma di cartoncino dipinta di verde smeraldo dove era stato sistemato quello che appariva inequivocabilmente come il plastico di una casa, senza tetto ma con tanto di porticine e mobili di certo prelevati da una qualche casa delle bambole.
“Quindi oggi parla lei?” Niki sorrise con compiacimento e con improvviso buonumore mentre si metteva più comoda sulla sedia, felice all’idea di starsene in silenzio ad ascoltare: quando aveva accidentalmente menzionato una delle sue vecchie maestre aveva seriamente temuto che quel maldestro scivolone avrebbe portato la psichiatra ad approfittarne per chiederle ancora una volta di parlarle della sua infanzia, ma per sua fortuna sembrava che la donna avesse intenzioni diverse per quel pomeriggio piovoso.
Julia tuttavia non parve affatto soddisfatta della sua risposta, gettandole un’occhiata quasi esasperata mentre raddrizzava una minuscola seggiola bianca accidentalmente caduta sul pavimento del modellino:
“Lo sa che lo scopo di tutto questo è che sia lei a parlare, vero?”
“Certo, ma con quello che la pago sarebbe anche ora che mi insegni qualcosa di utile, non pensa anche lei? Giuro che non parlerò di nessun omicidio.” Niki levò la mano destra come se la sua fosse una promessa solenne, e a Julia, dopo averla osservata brevemente, non restò che crederle: come la paziente si sistemò sul bordo della poltrona e chinò lo sguardo sul plastico, scrutandolo brevemente prima di iniziare a parlare.
“Questa è una casa, naturalmente. Abbiamo una cucina, un salotto, un bagno, due camere da letto e un ingresso. Vorrei che immaginasse la mente umana fatta esattamente come questa casa: ci sono tante piccole stanze, ognuna ha un qualche compito, divise da delle pareti, ma grazie alle porte la divisione non è mai netta.”
Mentre parlava Julia aprì delicatamente tutte le porticine di legno del modellino che collegavano le varie stanze, e prima di proseguire il suo sguardo indugiò brevemente sulla sua paziente per assicurarsi che stesse seguendo meticolosamente il suo discorso. Una volta accertatasi di averne ottenuto la completa attenzione – Niki stava scrutando accigliata il plastico tenendo i gomiti ossuti puntati sulle ginocchia e le mani intrecciate tra loro – la donna accennò un sorriso compiaciuto e tornò a concentrarsi sul modellino, chiudendo la porta che collegava l’ingresso con la cucina.
“A volte, tuttavia, succede che le reti neurali che custodiscono i ricordi di alcune esperienze risultino sconnesse dalle altre. Quando questi eventi sono ripetuti nel tempo, soprattutto quando si è piccoli, le divisioni sono ancora più nette e alcune memorie non risultano accessibili alla coscienza. So che non è il suo caso,” proseguì dopo aver gettato un’occhiata a Niki e aver intuito quali pensieri le avessero attraversato la mente, “quello che voglio dire è che a volte le reti, le stanze, si chiudono, a volte non comunicano più. Le pareti che le dividono possono diventare più spesse e resistenti… Potrebbe trovarsi in questo ingresso e non sentire nulla di ciò che accade in cucina. La porta è chiusa e la parete troppo spessa.”
“Quando si parla di episodi complessi le porte possono anche chiudersi a chiave, ed esserci stanze in cui non riuscirà più ad entrare. E se questi episodi avvengono quando la casa è in costruzione, quando la sua personalità è in costruzione, i lavori si fermano e alcune stanze possono diventare inagibili.”
Niki guardò la mano destra di Julia prelevare alcuni dei minuscoli mobili della cucina, togliendo due delle quattro seggiole bianche e il tavolo per posarli con cura sul lato del tavolino di vetro, accanto al modellino.
“Provi ad immaginare com’è vivere in una casa come questa.”, proseguì Julia mentre Niki si limitava a studiare in silenzio il plastico stando seduta sul bordo della poltrona rossa “Si trova in una stanza, mettiamo in questo ingresso, sta facendo qualcosa ma non ha idea di cosa succede nella stanza accanto. Magari sente dei rumori, ma non sa che cosa sta succedendo e non può saperlo, perché la porta è chiusa a chiave... Potrebbero anche esserci, in questa casa, ripostigli in cui sono accatastate cose che neanche ricorda di avere; in fondo sa che prima o poi dovrà aprire la porta e guardare cosa contiene lo sgabuzzino, magari dovrebbe anche mettere in ordine, ma non ne ha voglia, perché nel momento in cui aprirà quello sgabuzzino si ritroverà sommersa da mille cianfrusaglie e cose vecchie, e proprio non le va.”
“La personalità di alcune persone, quelle che vivono eventi capaci di sconvolgere violentemente la psiche in giovane età, è strutturata così. Ci sono delle stanze con la porta chiusa che difficilmente comunicano tra loro.” Julia chiuse con calma tutte le porticine del plastico mentre gli occhi verdi di Niki scrutavano le seggiole e il minuscolo tavolo abbandonati sul tavolino di vetro, i pezzi che mancavano per completare quella casetta.
“Poiché vivere così è difficile, una parte si posiziona all’ingresso e cerca di gestire tutto, cerca di mantenere i rapporti con l’esterno della casa… Ma a volte qualche altra parte, una di quelle che si trova nelle stanze chiuse, prende il sopravvento e decide di farsi sentire.” 
Julia intrecciò le mani posandosele sulle ginocchia e sollevò lo sguardo dal plastico per posarlo sulla sua paziente, non provando particolare stupore una volta appurato che anziché imitarla Niki stava ancora fissando il modellino, difficile dire se a causa delle sue difficoltà nel ricambiare il contatto visivo o perché preda di qualche riflessione. Julia però studiò comunque il suo bel volto con interesse, determinata ad individuare le possibili tracce d’emozione che avrebbero potuto attraversarne i tratti.
“Pensi a quanto può essere frustrante e doloroso vivere così. Pensi se in una delle stanze chiuse scoppiasse un incendio e la casa prendesse fuoco. Trovandosi nell’ingresso, e non potendo vedere nulla di quanto accade sul retro, se ne accorgerebbe tardi, quando quasi tutto il resto della casa sta già bruciando.”
“Forse a volte si sente molto frustrata. Sente di non esserci veramente, si sente sconnessa da quello che accade attorno a lei, e persino da se stessa; può avere l’impressione, sbagliata, di vivere degli sbalzi d’umore. La prima volta in cui l’ho incontrata le ho chiesto di descriversi e non ci è riuscita… Penso che il motivo sia questo, non ha una visione globale di se stessa perché qualcosa ha fatto sì, molto tempo fa, che la sua personalità si scomponesse. C’è la parte che sta nell’ingresso, quella che il mondo vede, e una che a volte, quando è sola magari, scalpita per uscire.”
“Mi sta paragonando al tizio di Split?”, fu tutto ciò che Niki riuscì a borbottare in un cupo brontolio senza alzare lo sguardo per incrociare quello della psicoterapeuta, che invece sorrise mentre scuoteva il capo:
“No, niente del genere. Credo che la sua personalità si sia scomposta in due parti, ma non nel senso che pensa.”
“E allora che si fa?”, domandò inarcando scettica un sopracciglio mentre, alle spalle di Julia e della sua poltrona con lo schienale alto, il dipinto continuava a fissarla e le biglie del pendolo di Newton a scandire il passare dei secondi battendo ritmicamente le une sulle altre.
Julia esitò, guardando prima la sua paziente e poi il modellino della casa. Infine si allungò nuovamente verso il tavolino, raccolse le seggiole bianche e il tavolino e rimise il tutto all’interno della piccola cucina rivolgendo alla paziente un placido sorriso, calmo e rassicurante.
“Si restaura. E si pulisce, così la casa torna agibile e niente resta inesplorato. Prima o poi aprirà anche lo sgabuzzino e metterà in ordine.”
 
 
 
 
 
 
La personalità di Niki è così complessa che senza qualche approfondimento il suo personaggio quasi non avrebbe senso, è piena di tratti che sembrano pura bizzarria fine a se stessa (dagli occhiali da sole che sempre indossa, anche al chiuso, fino alla marcata ossessione per i gialli e il true crime) che in realtà sono legati al suo passato e a ciò di cui soffre, ma poiché non è mia intenzione monopolizzare la storia su di lei scriverò separatamente gli approfondimenti. Chiaramente non mi aspetto che vengano letti da tutte le persone che leggono Only Murders in the Building, ma trattandosi di salute mentale reputo doveroso fare le cose fatte bene, quindi eccomi qui.
In questa OS ciò di cui si parla è la Dissociazione strutturale, ben diversa dal Disturbo dissociativo di personalità. Secondo gli studi la personalità può suddividersi in due (o più) parti a seguito di un episodio dall’impatto violento, o una serie di episodi reiterati nel tempo, perché la mente non accetta di integrare quanto subito nella visione di sé e del mondo, quindi attraverso la dissociazione “separa” la parte emotiva per preservare la propria salute mentale (fallendo miseramente, perché nel lungo periodo queste persone vivono malissimo, soffrono per la sensazione di avere dei pezzi mancanti e l’incapacità di riuscire a definirsi) e guidare le azioni quotidiane, tanto che il ricordo dell’evento viene serbato solo da una delle due personalità, quella che “vive nel retro”, in una stanza chiusa.
La personalità che, per restare nella metafora della casa, vive “nell’ingresso” si chiama infatti Personalità Apparentemente Normale ed è colei che si prende cura delle attività quotidiane, come il lavoro e le interazioni sociali, la parte che cerca di evitare le memorie traumatiche e che sembra condurre una vita normale. La seconda, la Personalità Emotiva, è quella che rimane in qualche modo “bloccata” all’età in cui la persona ha subìto il trauma, tanto da rivivere molto di frequente quei ricordi, e che rappresenta la parte emotiva della personalità, quella che riaffiora quasi ed esclusivamente quando la persona è sola.
Credo che leggendo i capitoli si riesca a percepire come Niki cambi quando è sola rispetto a quando si trova in compagnia degli altri personaggi, e la spiegazione, in parte, è questa OS.
Grazie a chi si è preso la briga di leggere e a presto su altri lidi🖤
Signorina Granger
   
 
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