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Autore: TeKalliste    11/02/2024    0 recensioni
Mefistofele chiese: «Cosa offri?».
«Qualsiasi cosa, potrai scegliere tu e io non negozierò. Mi faccio suora, mi butto nell'acqua santa, ti porto la testa del fottuto arcangelo Gabriele, tutto quello che ordini, senza fiatare».
Mefistofele si fermò a riflettere, corrugando le labbra, ricambiando alla fine lo sguardo fisso e di inquisitorio di Crowley. Poi tirò fuori dalla tasca un quaderno rilegato in pelle rossa, succhiò la punta di una stilografica e scrisse.
«Cosa chiedi?».
«Chiedo che il contratto con me annulli quello con Aziraphale e che cadano tutti gli obblighi che esso comportava. Non so quali fossero i termini, né come sia andata a finire, ma lascialo in pace, il suo patto si chiude col mio».
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve a tutti, lettori, e benvenuti sul mio profilo di fan fiction. Il Patto è una one shot in due parti, nata dal contest *𝗔𝗡𝗧𝗜-𝗙𝗘𝗥𝗥𝗔𝗚𝗢𝗦𝗧𝗢 𝗖𝗛𝗔𝗟𝗟𝗘𝗡𝗚𝗘 - 𝗛𝗨𝗥𝗧/𝗖𝗢𝗠𝗙𝗢𝗥𝗧 𝗪𝗘𝗘𝗞𝗘𝗡𝗗 𝗖𝗛𝗔𝗟𝗟𝗘𝗡𝗚𝗘* del gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction. La storia trae spunto da una fan fiction più ampia che ho in lavorazione, per questo la vicenda si svolge in medias res. Vi auguro una buona lettura!

La fan art in copertina è di @arinichru su Instagram.

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La sagoma di Mefistofele comparve in silenzio, sul bordo della strada. L’improvviso contatto con l’aria tagliente la fece rabbrividire, nonostante il lungo cappotto sartoriale e gli stivali di cuoio che coprivano le sue zampe di capra. Anche i demoni soffrono il freddo. L’unico in tutto il creato a cui sembrava non importare dell’inverno, delle temperature glaciali o della bufera che stava per abbattersi su Londra, era Crowley. Lui la stava aspettando in maniche di camicia, appena fuori dal cono di luce di un lampione, sul lato opposto della via.
Mefistofele non fu troppo sorpresa nel trovarselo davanti: «Sei stato tu a chiamarmi?». Crowley rispose con un lento cenno di assenso.
«Lo so, il perché. Possiamo discuterne quando sarai più calmo?».
«Non sai niente e non ne voglio parlare».
«Perché mi hai chiamata, allora?».
«Perché» sibilò Crowley e fece schioccare la lingua, «voglio fare un patto con te».
Mefistofele inspirò profondamente, per nascondere un sussulto, e liquidò la richiesta con lo sbuffo di una risata: «Non funziona così, sono io a offrire gli accordi».
Crowley continuava ad avvicinarsi, tra i volti dei due demoni ormai correva meno di una spanna: «Non credo che tu abbia capito: stavolta sono io che offro, e tu che devi accettare».
Mefistofele spostava lo sguardo sulla strada e sul caseggiato, intenta a non incrociare gli occhi di Crowley, nonostante fossero nascosti dai soliti occhiali scuri: «Cosa offri?».
«Qualsiasi cosa, potrai scegliere tu e io non negozierò. Mi faccio suora, mi butto nell’acqua santa, ti porto la testa del fottuto arcangelo Gabriele, tutto quello che ordini, senza fiatare».
Mefistofele si fermò a riflettere, corrugando le labbra, ricambiando alla fine lo sguardo fisso e di inquisitorio di Crowley. Poi tirò fuori dalla tasca un quaderno rilegato in pelle rossa, succhiò la punta di una stilografica e scrisse.
«Cosa chiedi?».
«Innanzitutto, che la mia richiesta non sia negoziabile, al pari della mia offerta. Hai ogni margine di guadagno, non vedo perché pormi limiti».
«Non mi piace dove stai andando a parare». Aveva smesso di scrivere.
«Chiedo che il contratto con me annulli quello con Aziraphale e che cadano tutti gli obblighi che esso comportava. Non so quali fossero i termini, né come sia andata a finire, ma lascialo in pace, il suo patto si chiude col mio».
In un gesto brusco, Mefistofele chiuse il quaderno e lo sbatté sulla propria gamba: «Ti sei bevuto il cervello? Non se ne parla, è contro le regole del mercato e della logica. L’angelo deve portare a termine la sua parte di contratto entro la proroga che gli ho dato, o ne subirà le conseguenze. Sarà così e basta».
Crowley scelse di fare una pausa, di mantenerla quel tanto che bastava a radunare la freddezza necessaria per la mossa più avventata della partita: «So che non puoi stracciare le pagine del taccuino. Ormai hai scritto, non puoi tirarti indietro. Vogliamo concludere l’accordo o vuoi restarmi debitrice fino alla fine dei tempi, inchiostro su carta?».
Crowley non sapeva davvero cosa lei avesse già scritto, né quali fossero con precisione le regole dei contratti siglati sul quaderno rosso. Sapeva soltanto due cose: che Mefistofele era un’avida bastarda, e che, se si fosse impegnato abbastanza, ogni bluff sarebbe potuto diventare realtà. E, a giudicare dall’espressione di Mefistofele, stava funzionando.
«Avanti», la incalzò Crowley, «fai il tuo interesse. Avanza la tua richiesta».
Ma, anziché pronunciarla, Mefistofele la scrisse, rompendo il proprio indugio, e, con esso, la sicurezza di Crowley: avrebbe fatto di tutto per tenere Aziraphale al sicuro, ma, stavolta, cos’era tutto?
Mefistofele gli porse il taccuino e la penna: «Firma».
Lesse il contratto, lesse il prezzo da pagare. Sentì il sangue defluirgli dal viso e dalle mani, mentre il terrore del dolore e la disperazione della caduta tornavano più vividi che mai, in accecanti tinte di fuoco. Lesse ciò che stava comprando: la salvezza del suo unico angelo. Il prezzo poteva essere alto in sé, ma Crowley sarebbe stato disposto a pagare un’eternità intera.
Firmò e restituì il quaderno a Mefistofele, che lo sfogliò all’indietro e tracciò una riga nera in obliquo su una pagina: «Questo è il contratto con l’angelo. L’ho annullato». Poi rivolse a Crowley uno sguardo e un sospiro che si sarebbero detti di vero rimorso, per quanto rimorso fosse in grado di provare Mefistofele: «Era da tanto che aspettavo un momento simile. Mi dispiace solo che tocchi a te, Crowley. Vieni, procediamo al pagamento».
 
Aziraphale stava bussando alla porta dell’appartamento da almeno un quarto d’ora: «Crowley, lo so che sei dentro. Alzati dal letto e vieni ad aprire». Dall’interno non proveniva un rumore, non si vedeva una luce, ma la pioggia continuava a battere e stava già mescolandosi alla neve, la temperatura calava e Aziraphale si rifiutava di credere che Crowley fosse in giro con una stagione del genere. Tuttavia, il dubbio si insinuava: una prova ancora e poi, se dall’interno non fossero giunti segni di vita, si sarebbe tirato su il cappuccio e sarebbe andato a cercarlo.
Scese i due gradini della porta di ingresso e tornò in strada, con l’idea di trovare un sassolino da tirare contro una delle finestre. La sua mira fu però disturbata da passi strascicati e un respiro affannoso che si avvicinavano da destra. Si voltò, il braccio ancora alzato, e lo vide: un’ombra nera e zuppa di pioggia, che si stringeva nelle spalle e si trascinava lungo la via, appoggiandosi al muro: «Aziraphale…».
«Crowley?».
Il demone avanzò ancora qualche passo, tetramente illuminato dalla luce di un lampione che filtrava attraverso la tormenta. Aziraphale rimase per un attimo a fissarlo, finché la sensazione che qualcosa non andasse si fece strada, trasformandosi velocemente in certezza e scuotendolo dal suo stupore.
«Vattene, angelo, ti ho già detto che non voglio vederti». La voce di Crowley era debole e rotta, come se parlare, se il solo respirare gli causassero un dolore lancinante. Si ritrasse, con l’intento di tornare nell’ombra contro il sostegno del muro, ma perse l’equilibrio. Aziraphale lo prese al volo, salvandolo da una rovinosa caduta all’indietro, ma nonostante il suo tocco fosse stato saldo e delicato, a Crowley sfuggì un guaito di dolore che non riuscì a smorzare. L’angelo lo trattenne, il braccio passato intorno alle sue spalle che si contraevano in uno spasmo. Senza volerlo, lo strinse più forte e lo avvicinò a sé, lasciando che si appoggiasse a lui per rimettersi in piedi.
«Ti prego lasciami, ti prego…» lo supplicò Crowley con un filo di voce. Non era una presa di posizione, Aziraphale si accorse che la sua stretta gli provocava dolore e sciolse immediatamente l’abbraccio.
«Che succede? Stai male?». Ma il demone aveva già raggiunto il portone del palazzo.
Aziraphale si rese conto solo allora di essere zuppo di pioggia. Ciò che sentiva sulla mano e sul braccio con cui aveva sorretto Crowley, però, non era acqua. Si guardò le dita: sangue. Sangue che continuava, in un’esile scia lavata dalla pioggia, fino al portone, fino a Crowley.
«Perché questa maledetta porta non si apre?».
Aziraphale non ebbe tempo di ritrovare il respiro, o di fare domande: agì, prima che la morsa di angoscia che si stava svegliando in lui potesse bloccarlo. Raggiunse il suo amico e lo sostenne per la vita, lasciò che si appoggiasse a lui. Non aveva finito di compiere l’ultimo passo verso di lui che, in un attimo, entrambi si ritrovarono nella libreria di Aziraphale.
   
 
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