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Autore: RKM    12/02/2024    6 recensioni
Dopo il secondo mancato avvento, Aziraphale e Crowley vivono finalmente assieme nel loro cottage nel Sussex ormai da qualche settimana. La sfida ora è costruire l’intimità di coppia e sembra strano a dirsi per due esseri che si conoscono da migliaia di anni, ma ci sono ancora molti segreti tra loro che rischiano di separarli del tutto. Riusciranno i due a superare le reciproche incomprensioni?
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '50 sfumature di...tartan'
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L’ispirazione per questo racconto: https://www.fragrantica.it/perfume/Roja-Dove/Danger-Pour-Homme-Parfum-Cologne-57875.html

Il barbiere di Azi: https://l1nk.dev/HgSQA

Playlist consigliata: https://www.youtube.com/watch?v=1zVcWdH9dHk&list=PL957A89BCE798193F

Questa storia fa parte di una serie.

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Buona lettura!

 

Aziraphale sta guardando fuori dalla finestra della loro camera da letto: il cielo inizia a farsi appena più chiaro, verso Est. E’ il momento della giornata che preferisce in assoluto: l’aurora, el amanecer, the dawn; in qualsiasi lingua venga definito, lui lo trova il momento più dolce e romantico della giornata.

Lo osserva tutti i giorni, sempre ogni volta rapito. Mai un’aurora uguale a un’altra, in questi 6000 e rotti anni che ha trascorso sulla Terra. Mai. Quando si dice il disegno divino.

 

Questa però è speciale: è la prima aurora che osserva dalla camera da letto che ha preparato per sé e per Crowley. Di più: è la prima aurora che osserva mentre è a letto con lui.

L’angelo si volta a guardare il demone addormentato, sdraiato a pancia in giù, abbarbicato al cuscino e gli scosta dal naso un ciuffo di capelli che si muove piano al ritmo del suo respiro. Nel fioco chiarore che inizia a invadere la stanza, la ciocca assume una sfumatura violacea.

 

Aziraphale osserva Crowley addormentato e chiude il libro che ha in grembo, abbandonando definitivamente l’idea di leggere: ha trascorso le ultime ore a percorrere e ripercorrere con gli occhi la stessa pagina, non riuscendo assolutamente a concentrarsi. Il pensiero tornava continuamente alla serata appena trascorsa. Mai avrebbe pensato di entrare finalmente in contatto con una parte di Crowley così intima e nascosta, mai avrebbe sperato di sentirsi così vicino a lui.

 

Tutto grazie al suo nuovo barbiere.

 

 

Il giorno prima

 

 

Aziraphale entra in salotto, ancora il cappello in testa: è appena tornato dal suo appuntamento settimanale con il barbiere.

Nonostante non viva più a Londra, l’angelo non ha perso le vecchie abitudini e si è subito trovato un nuovo barbiere di fiducia e un salone preferito per la manicure.

Non è ancora soddisfatto però: nonostante tramite accurate ricerche abbia trovato un barbiere che usa ancora tecniche tradizionali e prodotti decisamente di nicchia, non si trova completamente a proprio agio con le fragranze dei dopobarba a disposizione del professionista.

Soprattutto, non è per niente convinto della sua nuova colonia.

 

Crowley ultimamente sta cercando un modo per passare il tempo: durante la giornata, oltre a prendersi cura delle sue piante con una quiete mai avuta prima, curiosa tra i libri dell’angelo, mette in ordine anche dove non ce ne sarebbe bisogno, si sdraia in giardino con una bottiglia di vino e cerca di abituarsi all’idea che ora si può rilassare.

Nello specifico, mentre Aziraphale entra a passo svelto in salotto con un’espressione accigliata, Crowley sta osservando un pezzo di carta scivolato da dei libri che sta spostando da una mensola all’altra: sembra un frammento di un disegno e il demone potrebbe giurare che quella manica che si vede sia proprio quella della tunica che indossava nei panni di Bildad il Shuhita.

 

Aziraphale fa una smorfia quando, togliendosi lo spolverino con i risvolti foderati in tartan, viene investito da una zaffata della colonia che il barbiere gli ha generosamente spruzzato addosso, la stessa che gli ha fatto acquistare giusto una settimana fa: l’angelo chiude gli occhi, insofferente alle note di lavanda così prepotenti di primo acchito.

“Sono davvero pentito di questa nuova colonia! Sembra quasi che mi sia rotolato in un...in una corona di fiori!” esclama l’angelo, piccato, con una smorfia di lieve disgusto.

Sovrappensiero, ancora intento a rimirare il frammento sgualcito, Crowley apre la bocca ed estrae la punta della lingua, annusando l’aria, per poi mormorare: “Non è affatto male invece. Pizzica appena. E’ bordeaux”.

 

L’angelo si ferma mentre si sta togliendo il cappello, sorpreso: “...come hai detto, caro?”.

Crowley realizza di aver appena detto qualcosa che assolutamente non avrebbe mai voluto dire e le sue iridi si allargano immediatamente, inghiottendo le sue sclere: “Ngk! Niente! Davvero niente di che, angelo!”.

 

Aziraphale appoggia il cappello sulla poltroncina lì vicino, si volta verso il demone e muove un paio di passi verso di lui: “Affatto, caro. Hai detto...hai detto che pizzica. Hai detto che è bordeaux”.

 

“Ngk-”.

 

L’angelo si avvicina a Crowley, guardandolo circospetto: “Io non credo che tu ti stessi riferendo alla città di Bordeaux, non è così? No, tu...tu ti stavi proprio riferendo al colore”. L’angelo stringe gli occhi, come fa quando sta facendo girare gli ingranaggi del proprio cervello.

 

“Non so assolutamente di cosa tu stia parlando!” esclama il demone, mentre afferra la pila di libri che aveva appoggiato sul tavolino vicino a sé, pronto a scappare in un’altra stanza.

 

“Non così in fretta, caro” sussurra Aziraphale con il suo tono più autoritario.

Brividi si propagano per la schiena di Crowley, dal coccige fino alla nuca e gli sale la pelle d’oca: quando l’angelo parla con quella voce sorda, lui non può resistere. E’ un istinto che non sapeva di avere, è una certezza granitica e lo sanno entrambi. Si blocca, respirando forte, mentre l’angelo gli si avvicina e gli si para davanti.

 

“Dunque?” gli chiede Aziraphale.

 

“Sì, hai ragione. Intendevo proprio...quello che hai detto”.

 

“Il colore?”.

 

“Sì”.

 

“Strano modo per definire un odore”.

 

Crowley chiude gli occhi: parlare di come percepisce gli odori o di come percepisca qualsiasi aspetto della realtà fisica intorno a loro è l’ultima cosa che vuole fare con l’angelo. Scuote la testa: “Sì, beh, non è niente di interessante e non vedo perché ne stiamo ancora parlan…”; Aziraphale gli mette una mano sul braccio, interrompendo la sua filippica irritata; lo guarda e c’è confusione nei suoi occhi, con un filo di preoccupzione.

“Crowley, caro...cosa c’è che non va? Perchè ti agiti?”.

 

Crowley si arrende di fronte all’apprensione dell’angelo: le sue spalle cadono, la sua testa si abbassa e il demone deposita di nuovo sul tavolino la pila di libri e il pezzetto di carta. “Io...non è una cosa di cui amo parlare”.

 

“Cosa, caro? Di cosa non vuoi parlare?”. L’angelo ignora il motivo della reticenza di Crowley e teme sia qualcosa di estremamente spiacevole. Crowley sospira fissando il pavimento davanti a sé e Aziraphale ha la precisa conferma che qualche peso gravi sul cuore del demone ma a quanto pare questi non è pronto a parlarne. Forse è una cosa davvero sgradevole, forse è molto privata o forse è solo qualcosa che il demone non desidera condividere con lui.

In ogni caso, l’angelo non trova giusto fare pressione sul demone e decide di invertire la rotta: “Non importa, caro. Qualsiasi cosa tu abbia in mente in questo momento, non c’è bisogno che me ne parli se non vuoi. Ricordati però che...puoi raccontarmi tutto” gli sussurra piano, accarezzandogli il braccio.

 

Il demone alza gli occhi e incontra lo sguardo dell’angelo, trovandolo pieno d’amo...d’affetto. Affetto, comprensione, forse anche...accettazione? No, forse si sta solo illudendo.

Aziraphale torna verso la poltrona e recupera cappello e spolverino, per poi dirigersi verso il guardaroba, come se niente fosse successo. Crowley rimane lì, piantato in mezzo al salotto come un lampione a bordo strada. Non sa come reagire. Vorrebbe disperatamente aprirsi con l’angelo. Vorrebbe avvicinarsi, vorrebbe raccontargli tutto quel che gli passa per la testa. Vorrebbe...vorrebbe chiedergli scusa per tutti i suoi silenzi, raccontargli il suo mondo, parlare di come ha trascorso tutto il tempo in cui non sono stati vicini. Avrebbe il disperato bisogno di condividere così tante cose su di lui e sulla sua reale natura.

 

In cuor suo, però, il demone non dimentica nessuna delle volte in cui l’angelo si è rivolto a lui con sprezzo, assimilandolo agli altri demoni. Non ha scordato nessuna delle volte in cui gli ha visto arricciarsi il naso mentre gli rinfacciava la sua natura demoniaca. Sente ancora su di sé la vergogna che l’angelo provava ogni volta che si avvicinavano troppo. Quel “fraternizzare” sentito oltre due secoli prima ancora gli brucia nelle orecchie.

Come potrebbe, dunque, parlargli della sua natura demoniaca, in parte serpente, che influenza il modo in cui percepisce la realtà e lo rende così diverso da qualsiasi cosa l’angelo potrebbe anche solo immaginare? Dovrebbe raccontargli che vede il calore, che percepisce le vibrazioni? Che vede gli odori? Che li scompone, molecola per molecola? Per quale motivo poi? Per essere visto come una creatura mostruosa ed esecrabile? Per creare di nuovo una distanza enorme fra loro?

 

Mai.

 

La giornata scorre tranquilla e senza intoppi. I due rimangono separati, secondo un tacito accordo di non interferenza: Crowley bighellona tra serra e giardino, Aziraphale tra cucina e libreria. L’angelo ha paura di urtare il demone, il demone ha timore di dover rispondere a domande scomode.

 

Si ritrovano verso sera nel salottino, davanti al camino acceso. Crowley è seduto sul divano, una gamba piegata, la caviglia appoggiata sul ginocchio dell’altra gamba: si è appena versato un bicchiere di un rosso corposo e luminoso. Aziraphale lo raggiunge e si siede di fianco a lui.

Il demone miracola un bicchiere per lui e glielo riempie, senza parlare. L’angelo lo accetta con un sorriso.

I due osservano le fiamme in silenzio. Ascoltano il vago crepitio delle lingue che divorano piano il ceppo, in una danza vaga e incerta.

 

Aziraphale sospira, insofferente: vorrebbe rompere il silenzio, ma non sa come. Non ha ancora capito cosa sia successo ma è sicuro che qualcosa abbia irritato Crowley.

Il demone lo guarda di sottecchi e deglutisce: è convinto che l’angelo sia ancora indispettito da quanto successo quella mattina. Lo sente distante ed è tutta colpa sua. Forse dovrebbe dire qualcosa per rompere quel silenzio ingombrante.

 

“Angelo, io…”.

“Crowley, caro…”.

 

I due si guardano negli occhi, interrotti l’uno dall’altro. Un lungo attimo di sospensione, poi entrambi scoppiano in una risata liberatoria.

“Meno male che ridi! Avevo paura che fossi ancora arrabbiato con me” ammette poi il demone.

“Arrabbiato io? Con te? Per quale motivo poi?” replica l’angelo, portandosi una mano al petto con un velo di costernazione.

 

“Beh, per…”: Crowley fa un vago gesto con la mano non occupata dal bicchiere, scuotendo la testa.

 

Aziraphale gli si fa più vicino: “Sono io che devo chiederti scusa: è evidente che ci sia qualcosa di cui tu non vuoi parlare ed io non avrei dovuto insistere”. Lo guarda da sotto in su con l’espressione più amorevole che Crowley abbia mai visto e il cuore del demone si scioglie come un gelato al sole, gocciolando piano.

 

“Angelo, io…”: gli occhi del demone si fanno liquidi. Non può reggere il pensiero di aver procurato un senso di colpa in Aziraphale; in fondo, non è colpa dell’angelo se lui è...così.

Forse sarebbe meglio sputare il rospo. Ammettere ogni cosa. Raccontare ad Aziraphale chi...cosa lui sia in realtà. Lo farebbe sicuramente sentire meglio. Sollevato, quasi. Anche se significherebbe perdere l’angelo, perdere il suo rispetto, il suo...la sua stima.

 

Il demone sospira e si passa una mano sugli occhi, poi alza lo sguardo al soffitto, cercando di non mostrare le lacrime che sente già incombere: da quando è diventato così sensibile? Non ha versato una lacrima per millenni, non nei momenti più cupi della sua lunghissima esistenza e da qualche mese a questa parte invece si sente una fontana. Che patetica scimmiottatura di demone che è diventato.

 

Aziraphale gli pone una mano sul braccio: “Crowley, ti ripeto: non è necessario che tu mi dica qualcosa, se non te la senti”. La sua voce è morbida e arriva al demone come una carezza delicata su una guancia. I due si scambiano uno sguardo incerto e poi quella carezza arriva davvero: Aziraphale alza l’altra mano e raggiunge la guancia di Crowley, dapprima toccandola piano e poi avvolgendola, in un gesto quasi materno che vuole essere una rassicurazione.

E’ troppo per il demone: chiude gli occhi per forzare indietro le lacrime, mentre la gola gli si serra e un respiro esce traballante dalle labbra; “Non è che non voglio...io VORREI!” esclama, quasi gridando.

 

Crowley si alza dal divano in un solo movimento agile e mette un paio di passi di distanza tra sé e l’angelo; beve un sorso dal bicchiere per cercare di calmarsi: il vino ha un sentore fruttato e morbido, lievemente acidulo e lascia un leggero retrogusto acre, che lappa appena. Sicuramente un vino giovane. Forse un qualche Pinot…? Indubitabilmente rosso rubino, negli occhi della mente così come in quelli fisici. Respira profondamente e si volta verso l’angelo: “Questo vino...questo vino è rosso”.

 

Aziraphale sorride: “Certo caro, lo vedo! E’ un…”.

No, intendo…”, lo interrompe Crowley, per poi fermarsi a mezza frase. “Per Satana, quant’è difficile!”, riprende poi, con stizza. L’angelo lo osserva stringendo gli occhi e mantenendo un religioso silenzio.

“Mettiamola così: tu lo vedi rosso ed io lo vedo rosso. Ma io non lo vedo e basta: io lo sento rosso”.

 

Aziraphale fa una smorfia confusa: “Tu...lo senti rosso?”.

“Sì. Io...io vedo e sento le cose in modo molto diverso da te, angelo. Come tutti i demoni. Ma questo dovresti saperlo già, credo”.

Aziraphale appoggia distrattamente il bicchiere per terra e si stringe leggermente le ginocchia: “Beh, sì, certo, angeli e...demoni sono molto diversi tra loro, non è un mistero: noi sentiamo l’amore, voi percepite la paura, ma...non sono sicuro di aver chiaro cosa tu intenda”.

“Immagino”, abbozza Crowley, per poi prendere un altro sorso di vino in silenzio.

 

Aziraphale si alza dal divano e copre la distanza tra loro: “Perchè non me lo spieghi, dunque?” gli fa con voce dolce.

Perché ho paura del tuo disprezzo. Temo il tuo rifiuto. Tremo all’idea che tu possa smettere di guardarmi così. “Non sono sicuro che ti piacerebbe saperlo, angelo” ammette il demone, rubando tempo con un altro sorso di vino.

“Ma io voglio sapere tutto di te!” esclama l’angelo. Il demone si ferma con il bicchiere a mezza bocca, sorpreso. Aziraphale prosegue: “Io...desidero conoscere ogni cosa che ti passi per la testa. Ti conosco da sempre ma a volte ho l’impressione di non conoscerti affatto!”, conclude frustrato.

 

“Forse è meglio così”, sottolinea il demone, allontanandosi dall’angelo per raggiungere il tavolino e prendere la bottiglia. Si versa un altro bicchiere: “Potrebbe non piacerti affatto saperne di più su di me”.

“Come puoi dire una cosa del genere?”.

“Beh...non hai mai...come dire...fatto mistero di quanto...disprezzi la mia natura demoniaca”.

L’angelo rimane interdetto da queste parole: “Cosa stai dicendo?”.

“Devo ricordarti di quando mi hai proposto di tornare in Paradiso come angelo?”: l’ultima parola si colora di astio.

“Non ce n’è affatto bisogno” taglia corto l’angelo, strizzando gli occhi e agitando le mani davanti a sé, come a ripararsi dall’immagine che gli si è parata davanti, sbucando dai loro ricordi recenti.

 

Crowley beve un lungo sorso di vino e poi riprende: “Angelo, tu non desideri sapere tutto di me, fidati. Sono troppe le cose che non puoi accettare.”.

“Per quale motivo insisti con questa storia?” replica l’angelo, ancora più frustrato.

“Perchè me l’hai MOSTRATO”, risponde il demone velenoso, digrignando i denti.

 

Aziraphale lo guarda, sinceramente sorpreso. Ripensa a quante volte gli ha attribuito cattive intenzioni, poi rivelatisi infondate. Ricorda le conversazioni in cui gli rinfacciava di appartenere all’altra fazione. Per non parlare di quando gli ha dato del codardo…l’angelo chiude gli occhi mentre un nodo gli serra la gola: comincia a capire come si senta Crowley ed è tutta colpa sua. E’ sempre stato affrettato ed impietoso nei suoi giudizi e non ha fatto altro che mortificarlo, sminuirlo e allontanarlo. Però quell’angelo era un’altra persona! Aziraphale ora è diverso, ha capito che i demoni possono essere buoni tanto quanto gli angeli possono essere malvagi. L’ha vissuto sulla sua pelle...e deve dirglielo.

 

“Hai RAGIONE”, riprende Aziraphale e la sua voce tradisce urgenza e apprensione. “Sono sempre stato duro con te e spesso senza motivo. Io...ti devo delle scuse”.

 

Ora è il demone ad essere sorpreso: “Delle scuse?”.

“Sì. Sono stato imperdonabile e spesso ti ho giudicato affrettatamente. Sono certo che non meritavi molte delle cose che ti ho detto”.

Crowley è visibilmente più rilassato: appoggia il calice sul tavolino e si avvicina ad Aziraphale, prendendogli le mani tra le sue. “Beh, qualche volta avevi ragione”, gli fa, con un guizzo malizioso negli occhi che strappa una risata ad Aziraphale.

“Immagino che tu ora voglia una...danza delle scuse?”, suggerisce l’angelo, sempre sorridendo.

“Uhm...sì, sarebbe divertente. Ma non è quello che avevo in mente adesso”.

“Capisco...cos’avevi in mente, dunque?”.

Crowley sorride: “Penso che tu...sia pronto per...conoscermi meglio”. Senza lasciargli le mani, il demone guida Aziraphale sul divano, dove si siedono vicini.

 

Crowley guarda Aziraphale negli occhi e inizia a parlare. Inizia e sembra non voler smettere mai. Gli racconta di come, dopo la caduta, si sia ritrovato in un corpo che non conosceva, un corpo nuovo, simile ma diverso.

Il suo udito era molto ridotto e non poteva più sentire le armonie celestiali, né la musica prodotta dalle sfere celesti. Però aveva nuovi sensi che ha impiegato diverso tempo a scoprire interamente. Vedeva quasi meglio al buio che alla luce e soprattutto scoprì che vedeva l’infrarosso. Era strano: poteva vedere il calore, era come una sfumatura violetta che si sovrapponeva alle cose che osservava.

Non aveva mai fatto molto affidamento sui propri sensi quando era un angelo e in particolare quasi ignorava il proprio senso dell’olfatto. Fu un’enorme sorpresa per il demone scoprire un universo nuovo e variegatissimo di odori, che poteva percepire chiaramente ogni volta che tirava fuori la lingua. Era un processo automatico: la sua lingua catturava delle molecole odorose e il suo cervello le registrava, le catalogava e Crowley era così in grado di sentire cose lontanissime nello spazio e persino nel tempo.

Soprattutto, Crowley sperimentava un fenomeno particolarissimo, che gli umani chiamano sinestesia: ogni odore aveva una traccia cromatica ben distinta, un flash che gli si parava davanti agli occhi della mente.

 

“Quindi, quando oggi mi hai detto che la mia colonia è bordeaux…”, lo interrompe Aziraphale, assolutamente affascinato.

“...intendevo esattamente che io la vedo bordeaux. Sì angelo, è così”, conferma il demone. Non ha mai smesso di stringere le mani di Aziraphale, come se avesse paura che lasciandolo andare, lui potesse scappare via.

 

“Hai detto anche che il tuo udito...non è…” chiede titubante l’angelo.

“Non è più come il tuo, sicuramente. Non mi appartengono più tutti i suoni acuti tanto cari lassù. Ho un udito simile a quello degli umani. Soprattutto, percepisco le vibrazioni.” risponde Crowley.

“Io...non sono sicuro di aver...afferrato”, ammette Aziraphale.

“Sento...sento il battito del tuo cuore dalle tue mani, ora che le stringo” spiega Crowley, un po’ in imbarazzo. “E’ solo un esempio. Sento le vibrazioni nel terreno, sento gli spostamenti d’aria”.

 

Aziraphale sgrana gli occhi: è affascinato da tutto quello che Crowley gli sta raccontando. Non aveva proprio idea di quanto il suo mondo fosse tanto vasto e...bello. Variegato e ricolmo di bellezza, una bellezza che l’angelo può solo immaginare, no, forse nemmeno.

 

“Ci sono...tante altre cose che...vedo e sento, non saprei neanche dirtele tutte, adesso”: Crowley si sente vulnerabile e non osa alzare lo sguardo sull’angelo. Sente il battito erratico del suo cuore e non sa come interpretarlo. Sarà spaventato? Confuso? Inorridito? Vorrebbe annusare l’aria, ma non osa tirare fuori la lingua di fronte a lui, adesso, ora che sa perché lo fa.

 

L’angelo respira forte: ha una domanda in bocca ma non osa farla. “Crowley, caro…”.

Il demone alza lo sguardo su di lui, tentennante. Indaga ma non trova astio o fastidio negli occhi di Aziraphale. “Dimmi”, gli sussurra.

L’angelo sembra in imbarazzo: non sa bene come formulare la domanda. “A-al di là della mia...colonia”, l’angelo si schiarisce la voce, per poi riprendere. “...di...di che colore è il mio...odore?”.

Le iridi di Crowley si fanno grandi per la sorpresa: l’angelo non è ripugnato da lui, anzi, è curioso. “Non c’è una risposta univoca. L’odore dei corpi umani o semiumani come i nostri cambia in continuazione”.

“Davvero?!”.

“Sì. C’è una traccia di fondo che è unica, ma in buona sostanza, il nostro odore cambia, in base a quello che mangiamo o a ciò che proviamo”.

 

Aziraphale è sconvolto da ciò che sta imparando e una grande emozione gli si agita nel petto e lo gonfia. Il suo cuore batte forte e sente quasi le lacrime bussargli alle porte della coscienza. Per tutto questo tempo, Crowley non ha mai condiviso nulla di ciò che vedeva o sentiva perché aveva il terrore di sentirsi rifiutato: ora Aziraphale lo vede chiaramente e si sente in colpa per aver lasciato che il demone si dibattesse per tutto questo tempo nella mortificazione e nella solitudine. Sì: Crowley dev’essersi sentito molto solo, proprio come gli aveva rivelato millenni prima nella terra di Uz. Una ridda di emozioni investe Aziraphale, che non riesce a distinguerle tutte e si ritrova a fissare il demone con occhi liquidi e vagamente colpevoli.

 

Crowley ricambia lo sguardo dell’angelo e non sa come interpretarlo, vede troppe cose e tutte assieme. Cerca di distrarre l’angelo dai suoi pensieri, qualsiasi essi siano: “Comunque, posso dirti che trasmetti tanti colori diversi”.

“Dici davvero?”.

“Sì”, annuisce Crowley. “A volte sono scuri, quando sei arrabbiato ad esempio. La maggior parte delle volte però sono chiari, brillanti. Quando mangi e sei felice, poi…”, conclude con un sorriso.

Aziraphale vede Crowley sorridere e pensa che in quel sorriso vorrebbe svanirci per sempre. Si sente pieno d’amore e non ha parole per esprimere l’enormità del sentimento che lo anima.

 

“Sai, spesso ripenso a quando tu mi hai chiesto di...tornare in Paradiso con te...come angeli”, riprende Crowley.

Aziraphale sgrana gli occhi e si irrigidisce immediatamente: “Ti prego, non torniamo sull’argomento, io non…”, ma Crowley gli stringe le mani più forte, per rassicurarlo. “Lasciami finire angelo, ti prego”.

Aziraphale si acquieta e Crowley riprende a parlare.

“Dicevo, io...ci penso spesso e ogni volta sono della stessa opinione: non tornerei mai indietro. Mai. Perchè quello che ho trovato...è molto più di quello che avevo”.

 

Angelo e demone si scambiano una lunga occhiata, poi il demone prosegue: “Soprattutto...non sento la mancanza del paradiso, perché quando sono con te...quando sento il tuo odore, il tuo calore vicino a me...riempi la mia testa di colori, più di tutti i colori che vedevo allora” dice Crowley, piano ma tutto d’un fiato, per la paura di non riuscire a dirlo mai più.

 

Queste parole sono troppo, davvero troppo per Aziraphale: l’angelo sente il cuore rimbombargli forte nelle tempie, respira forte e le emozioni che prova sono davvero tante, così tante da rompere gli argini delle sue dighe emotive. Lacrime calde iniziano a scendere dai suoi occhi e stringe sempre più forte le mani del demone seduto davanti a lui. Crowley gli ha appena attribuito una bellezza che non sente appartenergli, gli ha detto parole bellissime, lo ha investito di una luce completamente nuova e ha reso il suo mondo irrimediabilmente più grande, più colorato, più vivido che mai. Gli ha regalato un pezzo di sé che vivrà per sempre dentro di lui, un seme che l’angelo sente stia già mettendo radici e fiorendo nel suo petto. “Oh caro…”, inizia, con voce lacrimevole.

“Angelo…”: Crowley vede Aziraphale piangere e non sa come interpretarlo.

 

“Caro, caro, caro Crowley”: Aziraphale si porta alla fronte le loro mani giunte, singhiozzando, per poi baciarle e portarsele ad una guancia. Vorrebbe dire così tante cose, ma le parole sono aggrovigliate nel suo petto come un gomitolo che non riesce a sciogliere. Getta le braccia al collo del demone, lo stringe a sé, singhiozza, gli passa le mani tra i capelli, lo accarezza sulla schiena. Il demone ricambia la stretta e strizza gli occhi lottando contro le proprie lacrime. I due si stringono, si accarezzano, le loro gambe si accavallano scompostamente, non sanno come starsi più vicini di così. Anche Crowley infine si lascia sfuggire un singhiozzo e poi due e tre, mentre le lacrime hanno la meglio. Le mani di uno nei capelli dell’altro, sulle guance, sul petto, sulla schiena, in cerca degli abbracci mai concessi per tutti quegli anni.

 

L’angelo ancora cerca parole che non trova: le lingue degli umani non hanno vocaboli abbastanza significativi per esprimere ciò che sente per il demone e dirgli che lo ama gli sembra davvero riduttivo. Lui è un essere d’amore, è fatto d’amore, sente l’amore intorno a sé e grazie a Crowley anche dentro di sé.

Mentre lo stringe, lo accarezza, lo avvinghia e lo dondola, senza rendersene conto, Aziraphale inizia a parlare a Crowley in una lingua antica, lottando contro i limiti del suo corpo fisico. E’ una lingua che il demone non sente da moltissimo tempo, una lingua che letteralmente litiga con le sue orecchie ma che Crowley lo stesso si presta ad ascoltare. E’ una lingua fatta d’amore, senza parole, senza grammatica o punteggiatura. Una lingua che solo esseri celestiali parlano e comprendono. Una lingua che anche Crowley può comprendere, perché un tempo era anche la sua.

 

Aziraphale gli parla a lungo in questo idioma così arcaico e cosa si dicono, solo loro possono comprenderlo. Fuori inizia a cadere una pioggia battente e loro rimangono così per un tempo indefinito, l’uno ad ascoltare le parole d’amore dell’altro, avvinghiati stretti, ogni tanto cullandosi. Qualche tuono rimbomba lontano, mentre i due amanti si amano come solo due creature eteree possono fare.

 

Le braci sfrigolano pigre nel caminetto. Il salotto è avvolto da una penombra rossiccia e morbida, che coccola i due che ancora si stanno abbracciando sul divano. Ogni tanto scappa una carezza, dalla mano di uno o dell’altro. Fuori la pioggia cade sempre più piano: tra poco smetterà, lasciando il posto ad un’aria leggera e per niente fredda. Le foglie ebbre di pioggia goccioleranno pigramente e la notte agreste inghiottirà tutti i rumori.

 

Angelo e demone si sentono esausti e svuotati: si sono detti tante cose e ancora di più ne hanno da dirsi. Per la prima volta però, in tutta la loro infinita esistenza, si sentono una cosa sola. I momenti fisici che hanno avuto non sono mai stati, forse non saranno mai intimi come quello scambio di emozioni che hanno avuto qualche ora prima. Si separano di malavoglia, si stiracchiano piano e quasi già si mancano ma è proprio il caso di provare a riposare, se non altro per processare tutte le emozioni che hanno provato.

 

Aziraphale prende per mano Crowley e lo conduce lungo la casa buia, attraverso il salottino e dritto nella loro camera da letto: pensa che sia ora che finalmente si concedano quel piccolo lusso proprio di tutte le coppie che convivono e dormano assieme.

Crowley quasi non osava chiederlo e ne è assolutamente convinto.

 

L’ultima pioggia di quella notte accompagna Crowley che scivola delicatamente nel sonno, sdraiato di fianco ad un angelo che non ha la minima idea di come fare a dormire ma è assolutamente, terribilmente felice di stare sotto la stessa trapunta del suo demone preferito.

   
 
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