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Autore: Moriko_    14/02/2024    0 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [J-1178]
"Non aveva mai immaginato che la vita le avrebbe messo davanti generosi e straordinari compagni di lavoro; J-1178 aveva dimenticato il significato delle parole gentilezza e rispetto, che aveva conosciuto quando era molto piccola e non aveva più provato nel momento in cui aveva messo piede in quell'ambiente che le era sempre stato ostile."
[Spoiler! post-capitolo 39 del manga di Cells at Work! BLACK | pre-capitolo 40]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Fanfiction

Sommario.
"Non aveva mai immaginato che la vita le avrebbe messo davanti generosi compagni di lavoro e straordinari colleghi; J-1178 aveva dimenticato il significato delle parole gentilezza e rispetto, che aveva conosciuto quando era molto piccola e non aveva più provato nel momento in cui aveva messo piede in quell'ambiente che le era sempre stato ostile."

[Spoiler! capitolo 39 del manga di Cells at Work! BLACK | pre-capitolo 40.]

Bonds.

 

 

 

 

Solitaria, schiva e un po’ burbera.

Così J-1178 si definiva nei momenti di pausa da quella difficile vita che aveva ogni giorno. Era un periodo nel quale le capitava di riflettere su se stessa: non era la prima volta che riusciva a sedersi tra un turno di lavoro e un altro per riprendere fiato, ma quella vita frenetica che aveva vissuto fino a poco tempo prima l’aveva abituata a non chiudere occhio, a essere sempre vigile su quell’ambiente di lavoro che aveva odiato e amato allo stesso tempo.

Le preoccupazioni erano sempre state troppe e non le era mai stato concesso un momento di riflessione, a parte un fugace giudizio sulla pessima qualità di quella vita, prima di rialzarsi e proseguire il suo cammino.

Ma quello era il passato, che man mano stava svanendo e diventando solo un brutto ricordo. Il presente le stava regalando i momenti più belli della sua vita, prima tra tutti quella strana sensazione di benessere che provava ogni volta che si fermava nell’angolo di un vaso sanguigno e i suoi occhi si chiudevano, mentre intorno a sé la vita continuava a scorrere tranquilla. Niente urla di terrore, sgomento, e la terra sotto i suoi piedi non vibrava più con movimenti sospetti che lasciavano presagire l’arrivo di un grave pericolo che avrebbe messo a repentaglio la vita dell’intero organismo.

Così, in quei momenti di pace, J-1178 aveva più tempo per riflettere su se stessa, scoprendo di sentirsi ancora inadeguata per certe situazioni che stava affrontando giorno dopo giorno. Non aveva mai immaginato che la vita le avrebbe messo davanti generosi e straordinari compagni di lavoro; J-1178 aveva dimenticato il significato delle parole gentilezza e rispetto, che aveva conosciuto quando era molto piccola e non aveva più provato nel momento in cui aveva messo piede in quell'ambiente che le era sempre stato ostile.

Ben presto, J-1178 aveva dimenticato il valore di una carezza, di un abbraccio, o di una semplice parola di conforto. Se qualcuno l’aveva sfiorata non era per darle coraggio, ma per aggredirla; se qualcuno le aveva rivolto la parola non era per supportarla, ma per ferirla. Se qualcuno le aveva mostrato vicinanza era solo per guadagnare la sua fiducia, usarla per i propri scopi e alla prima occasione abbandonarla al proprio destino.

Con tali premesse, J-1178 aveva imparato a non fidarsi di tutti coloro che le stavano attorno, perché non voleva scottarsi ancora. In passato aveva vissuto alcune brutte esperienze: amicizie che stavano per nascere e improvvisamente interrotte a causa di un feroce batterio che aveva irrotto nelle loro vite, cellule che la insultavano ogni giorno perché - a detta loro - lei non sapeva fare bene il suo lavoro, per non parlare di alcuni colleghi che, con finte parole mascherate dalla dolcezza, erano sempre pronti a ingannarla al punto da indurla a fare ciò che volevano, con la scusa che quelle azioni sarebbe stato d’aiuto per scaricare l’eccessivo quantitativo di stress che avevano accumulato.

Col passare del tempo, J-1178 aveva imparato a essere meno ingenua e a non cascare più in quelle trappole che sarebbero potute essere mortali per il proprio essere, più di un colpo letale di un batterio. Rassegnata per un futuro di cui non riusciva a vedere la luce, la guerriera aveva chiuso il proprio cuore e aveva deciso di continuare a vivere e proseguire per la propria strada continuando a fare ciò per cui era nata. Con freddezza, senza sfumature di sentimenti, come la bianca divisa che indossava.

In tutta la sua vita J-1178 non si era mai sentita speciale, ma in quegli ultimi tempi colmi di serenità aveva iniziato a sentirsi poco degna di meritare quella felicità che stava toccando con mano, e le stava scaldando il corpo protetto da quella gelida armatura che aveva indossato per proteggersi dai mali del mondo.

La guerriera era certa di una cosa: non voleva più soffrire, perché la sofferenza era più letale dell’artiglio dei nemici. La prima volta che il suo cuore aveva iniziato ad aprirsi era accaduta con quelle anziane cellule che aveva affettuosamente chiamato zietti, poi era capitato con quel globulo bianco, la sua amata sorellona: tutte persone che le avevano offerto una mano, di fronte alla quale prima lei aveva voltato le spalle ma poi, di fronte alla loro silenziosa ostinazione, aveva gettato uno sguardo bieco per poi timidamente afferrarla e lasciarsi trascinare in un affetto che era cresciuto a poco a poco con radici sempre più profonde.

Quelle cellule non avevano fatto nulla di speciale nei suoi confronti. Non le avevano rivolto parole colme di promesse per un inesistente futuro: le avevano offerto solo un dolce sorriso, un silenzioso invito che le sussurrava «Puoi fidarti di noi, siamo diversi da quei mostri che ti hanno torturato anche negli incubi.»

Ed è stato con loro che, per la prima volta, J-1178 aveva provato un primordiale sentimento che sembrava aver dimenticato per sempre: la paura di perdere le persone che amava. Non sarebbe mai riuscita a dimenticare quel dolore lancinante che aveva provato nel stringere tra le braccia una di quelle cellule anziane, un dolore che aveva travolto nuovamente la sua anima quando la sua sorellona era caduta in un profondo coma: quel giorno J-1178 si era chiusa in se stessa, nella frustrazione di non aver avuto le forze necessarie per riuscire a salvare le persone a lei care.

In quell’angolo, per la prima volta, lei si era sentita inadeguata. Lei che si credeva così forte al punto da riuscire a sopportare ogni cosa e a superare qualsiasi difficoltà da sola, all'improvviso si era sentita debole, e per la prima volta aveva rivolto a se stessa quella domanda.

 

Cosa ci faccio qui? Perché… esisto?

 

Se da globulo bianco, da difensore dell’organismo, non stava riuscendo ad assolvere il compito per il quale era nata, per quale ragione era ancora in vita, mentre altre cellule più meritevoli di lei non esistevano più in quel mondo?

J-1178 aveva trascorso interi giorni e notti a pensarci, attribuendosi ogni responsabilità per gli errori che aveva commesso, fino al giorno in cui non aveva incontrato quel globulo rosso. I loro sguardi si erano incrociati nel momento in cui gli aveva confessato di non voler più tornare a essere un globulo bianco: lo aveva fatto con rassegnazione, sentendosi sempre più fuori posto, con le ultime lacrime che le erano rimaste prima di diventare un corpuscolo senz’anima, in attesa della morte cellulare.

J-1178 non riusciva a spiegarsi il perché gli avesse fatto quell’amara confessione che fino a quel momento aveva custodito nel suo cuore. Quel globulo non era nessuno di caro a lei: non era un suo amico, né un suo collega di lavoro. In più, lo aveva fatto senza nemmeno pensare di chiedere aiuto: voleva solo dire quelle parole… e basta, come un fiume in piena che di colpo aveva rotto gli argini.

Forse, in fondo al suo cuore, la guerriera non sopportava più l’idea di portare dentro di sé quel triste pensiero che le stava distruggendo l’anima, perché lei amava il suo lavoro, perché la sua sorellona l’aveva sempre incoraggiata in quella direzione, e le aveva fatto riscoprire il motivo per il quale entrambe volessero continuare a proteggere quel mondo sempre più devastato, nonostante tutto.

Vorrei continuare a essere un globulo bianco… però sono un’idiota. Nonostante mi stia impegnando continuo a fallire e a fare del male agli altri. Perché continuate a restarmi accanto e aiutarmi, se faccio così schifo? Cosa ho di speciale rispetto agli altri?

Inaspettatamente, quel globulo rosso le aveva dato una risposta molto sincera. J-1178 aveva spalancato gli occhi e aveva iniziato ad ascoltare con molta attenzione tutto ciò che quella cellula, così diversa da lei, le stava confidando.

Era partito tutto da una frase: «Non ti giudico.»

Quel globulo rosso non l’aveva rimproverata, non si stava comportando come le altre cellule che l’avevano sempre giudicata per ciò che non era riuscita a fare, anche quando la colpa non era stata la sua… ed egli lo aveva capito molto bene, perché anche lui aveva vissuto una situazione molto simile.

«Anch’io ho commesso degli errori e so cosa stai provando», era ciò che in sostanza le aveva trasmesso nel corso di quella conversazione, concludendo il tutto con una raccomandazione e una bombola di ossigeno - la loro energia - che le aveva lasciato accanto.

 

«Prenditi il tempo che ti serve. Appena sei pronta rialzati e mostra il meglio di te. Non sei da sola.»

 

E così J-1178 aveva fatto. Nei minuti successivi aveva riflettuto molto su quelle sagge parole, poi aveva preso quell’ossigeno, si era rialzata e aveva dato uno sguardo in direzione dell’uscita da quel luogo in cui si trovava.

Anche se aveva ancora un po’ di timore nel suo cuore, spinta dalle parole di quel globulo rosso aveva cercato di far vincere la sua determinazione sulle paure che la stavano facendo ancora tremare.

Non devo avere paura di fallire. Posso farcela. Se lui, un semplice globulo rosso che nemmeno mi conosce, si fida così tanto delle mie capacità… allora io posso fidarmi di me stessa.

 

 

Da quel giorno, grazie al supporto della sua adorata sorellona e delle sue amiche che erano state in pensiero per lei, J-1178 aveva iniziato ad avere maggiore consapevolezza delle proprie capacità, e la speranza di poter vivere appieno da globulo bianco era diventata sempre più forte.

Le veniva da sorridere ogni volta che impugnava l’elsa della spada e si lanciava in battaglia: la sua tecnica di combattimento era migliorata, così come la velocità e la resistenza. Tutto grazie alle persone che aveva avuto accanto, sulle quali lei aveva iniziato a poter contare nel momento del bisogno.

J-1178 aveva iniziato a non sentirsi più sola, a poter sempre dare il meglio di sé in ogni cosa che faceva; spesso era lei a incoraggiare le sue compagne quando erano in difficoltà, e quel senso di gratificazione nel vederle nuovamente sorridere la rendeva felice.

Nel frattempo, J-1178 era riuscita a incontrare quel globulo rosso che l’aveva aiutata nel momento più buio della sua vita e, incontro dopo incontro, parola dopo parola, lei aveva iniziato a provare un forte sentimento di affetto nei suoi confronti. All’inizio aveva pensato che si trattasse dello stesso legame di amicizia che la stava unendo alle sue compagne; tuttavia aveva iniziato a ricredersi nel momento in cui quel sentimento sembrava essere così forte al punto da provare uno strano senso di vuoto quando era da sola.

Se all’inizio il primo pensiero è stato «Voglio restare al suo fianco, perché siamo buoni amici e abbiamo bisogno l’uno dell’altra», qualche tempo dopo la guerriera aveva iniziato ad attribuirsi di nuovo i tre aggettivi attraverso i quali si era sempre definita, come soluzione a un’altra domanda che aveva iniziato a farsi strada nella sua mente.

 

Perché non riesco a essere come la mia sorellona? Così gentile, e paziente con tutti…

 

Negli ultimi tempi J-1178 si stava sentendo solitaria, schiva e un po’ burbera: di conseguenza inadeguata per un globulo rosso come quel giovane che invece era gentile, educato e amichevole con tutti.

Il suo esatto opposto.

Quel pensiero si era intensificato dal momento in cui, durante un turno di lavoro estenuante nel quale era rimasta da sola, arrabbiata e frustrata per essersi imbattuta in cellula comune che le era stata ingrata nonostante tutti i suoi sforzi per salvarle la vita, aveva letteralmente mandato a quel paese prima la cellula, poi le sue amiche che erano arrivate a lavoro concluso e che, con serenità e anche cercando di strapparle una risata con qualche battuta, stavano cercando di calmarla.

«Non solo mi avete lasciato da sola, ma ora mi rimproverate per come mi sto comportando? Non riuscite proprio a capire come mi sento… anzi, state parlando proprio voi che siete arrivate all’ultimo minuto! Sapete che c’è? Andate tutti al diavolo!»

Esausta e delusa, era quasi a un passo dallo strappare l’uniforme di dosso e andare al quartier generale per dare le dimissioni; tuttavia, svoltato un angolo della strada nella quale si trovava, J-1178 aveva assistito a una scena che aveva arrestato la sua marcia.

Il globulo rosso al quale era molto affezionata si era trovato in una situazione simile alla sua ma, al posto di imprecare contro una cellula che si stava lamentando della qualità dell’ossigeno che aveva ricevuto da un suo collega, egli stava reagendo con calma e professionalità, beccandosi tutti gli insulti che quella cellula aveva nel suo vocabolario come se nulla fosse. Dopo qualche minuto - e una porta sbattuta in faccia - lo avevano raggiunto i suoi compagni di fronte ai quali egli si era sfogato, ma sempre con calma, e loro erano tornati a incoraggiarlo.

Di fronte a quella scena J-1178 si era seduta e, con le ginocchia ben strette al petto, aveva dato un profondo sospiro.

Sono io quella sbagliata in questo mondo. Le mie amiche non meritavano quel trattamento… anzi, loro non meritano una persona come me. Hanno ragione, sono io a dover darmi una calmata… e fanno bene se non vogliono più rivolgermi la parola.

J-1178 si stava sentendo inadeguata, di nuovo. Aveva ammesso a se stessa di non saper gestire un rapporto amichevole con qualcuno, per il fatto che non fosse più abituata a ricevere affetto, lo stesso sentimento che lei stava ricambiando con il caratteraccio che l’aveva temprata nel corso della sua maturità e che identificava in tre aggettivi ben precisi.

Solitaria, perché aveva sempre vissuto da sola.

Schiva, perché non era mai entrata in contatto con persone che meritavano la sua fiducia.

Infine burbera, come conseguenza dei primi due, perché le esperienze passate l’avevano coinvolta al punto di farsi male, e J-1178 era consapevole che quelle ferite non si sarebbero rimarginate nel giro di poco tempo.

Perché continuano a sopportarmi? le era venuto da pensare, con le lacrime agli occhi. Non ho nulla di speciale e le sto trattando male nonostante voglia un sacco di bene a loro… sarebbe più giusto se mi lasciassero perdere, «non merito persone come loro», le era sfuggito dalle labbra tremanti per la profonda tristezza che stava provando.

«Chi è che non meriti, scusa?»

Quella seconda voce l’aveva fatta tornare alla realtà. Quel globulo rosso si era inginocchiato di fronte a lei, con sguardo impassibile.

«N-No, io…» J-1178 aveva iniziato a balbettare. In quel momento non avrebbe voluto che quella cellula ascoltasse il suo sfogo: aveva pensato che come minimo lui avrebbe provato una profonda delusione nei suoi confronti e non le sarebbe stato più suo amico.

E lei… non voleva perdere anche lui. Quel globulo rosso era l’unico essere con il quale era rimasta in buoni rapporti, e per questo non meritava di essere sommerso anche dai suoi sciocchi problemi.

«Capisco» le aveva risposto. Egli si era portato al suo fianco ed era rimasto in silenzio, con lo sguardo verso le mura dell’abitazione che si trovava di fronte a loro.

Poi, come era accaduto quel giorno ormai lontano, dalle sue labbra era uscita una frase che aveva indotto la guerriera a fare tutto il contrario di ciò che aveva pensato fino a quel momento.

«Ora che sei più calma, ti va di parlarne? Non ti giudico se hai avuto una brutta giornata… anzi, forse siamo in due. Guarda: se la cosa può farti stare meglio, dopo ti racconto la mia disavventura, perché davvero…»

E lei aveva vuotato il sacco, non curandosi più se quel globulo rosso davvero non l’avesse giudicata. In tutta risposta egli non l’aveva mai fatto, anzi: dopo averla ascoltata l’aveva spinta a riflettere dicendole che sì, aveva sbagliato a reagire in quel modo nei confronti delle sue compagne, ma che dagli errori si può sempre imparare a essere migliori.

 

«Se vuoi bene a una persona, prima di tutto ti impegni un sacco per essere la versione migliore di te stessa, ma ricordati che questo percorso non è esente da errori. Ciò che è importante è che tu abbia al tuo fianco le persone giuste, che ti comprendono e ti aiutano a superare questi momenti.

«Tutti noi sbagliamo, e quando succede pensiamo che sia tutto finito, che abbiamo creato un punto di non ritorno… ma in un legame dobbiamo essere sempre pronti a chiedere scusa e a essere sinceri, anche se la verità fa male. Una vera amicizia sa andare al di là di questi ostacoli, e sono certa che le tue amiche stanno aspettando il tuo ritorno, anzi: si staranno chiedendo che fine hai fatto, e ti staranno cercando in tutto l’organismo.

«Fuggire e chiudersi in se stessi non è mai la soluzione migliore per risolvere i problemi… e anch’io ne so qualcosa. Se poi arrivate a discutere, beh: tu hai fatto la tua parte e non devi più sentirti in colpa per questo, ma vedrai che finirà bene se anche loro tengono a te quanto tu a loro.»

 

Ancora una volta, J-1178 lo aveva fissato con gli occhi spalancati per lo stupore. Non aveva risposto nulla se non un flebile «Grazie» prima di mettere la testa tra le ginocchia e scoppiare a piangere.

«Hai ragione, sono una stupida» aveva mormorato. «Non sono ancora abbastanza matura per queste cose…»

«Non ho detto questo» le aveva risposto quel globulo rosso con una mano sulla spalla, «tu non sei affatto una stupida. Le tue amiche sanno chi sei, e anch’io lo so… per questo lo dico, non pensare di essere una stupida. Ciascuno di noi ha i suoi momenti no, per cui sicuramente ti capiranno: forse saranno un po’ arrabbiate perché le hai mandate a quel paese senza motivo, però sono certo che andrà tutto bene. Ti vogliono bene, ricordatelo sempre.»

«Lo so che mi vogliono bene, lo so… ed è proprio per questo che mi sento una stupida: le ho ferite, ho pensato di poter andare avanti senza di loro… e l’ho urlato in faccia a loro… me lo merito se non mi vogliono più come amica…»

«Anche se le hai ferite, sono certo che troverete insieme una soluzione. La vera amicizia perdona ogni cosa, non dimenticarlo mai.»

J-1178 si era asciugata gli occhi e, continuando a singhiozzare, gli aveva rivolto un timido sorriso. «Abbiamo trascorso un’intera vita insieme, non voglio perderle… sono le uniche vere amiche che ho…»

«Stai tranquilla: non succederà. Hai dimostrato di essere una persona generosa e molto comprensiva, dunque non pensare di essere ciò che non sei solo perché qualcun altro ti ha detto così. Da amico, sento di dirti questo perché un tempo anch’io ho pensato di essere sbagliato e di non meritare nulla di buono… però non è la soluzione a questi problemi, ti senti peggio. Bisogna sempre dare il meglio di sé, anche in queste situazioni. Ora promettimi che tornerai da loro e vi chiarirete; poi fammi sapere come è andata, d’accordo?»

Egli si era messo in piedi e le aveva offerto una mano per alzarsi. Dopo aver annuito J-1178 l’aveva ringraziato ancora una volta e si era allontanato da lui, con la promessa che avrebbe fatto del proprio meglio per continuare a essere l’amica sulla quale le persone a lei care avrebbero potuto sempre contare.

«Fidati, andrà bene. Non avere paura: abbi fiducia in te!» le aveva urlato per incoraggiarla.

 

 

Quella chiacchierata aveva dato a J-1178 tutto il coraggio necessario per continuare il suo percorso. Da quando era riuscita a chiarirsi con le sue amiche, la guerriera era tornata a essere più carica di prima, più felice e speranzosa in un futuro ricco di rapporti che le avrebbero portato positività nella sua vita.

Quando si era rivista con quel globulo rosso, J-1178 si era più volte scusata per ciò che gli aveva confidato, ma per lui non c’era stato alcun problema: da amico aveva dimostrato di esserci stato nel momento del bisogno, e di fronte a questo atteggiamento anche lei aveva iniziato a sentire lo stesso nei suoi confronti.

Quel globulo rosso aveva ragione: con un po’ di impegno e determinazione, anche una persona solitaria, schiva e burbera come lei sarebbe potuta risplendere di positività e diventare un valido punto di riferimento per gli altri. J-1178 aveva tutte le capacità per farlo ed era certa che prima o poi ci sarebbe riuscita, grazie al sostegno e al supporto di coloro che le volevano bene.

Non so cosa ci riserverà il futuro, ma non voglio un futuro privo di speranza… ora che so cosa significa sperare. Qualsiasi cosa accada voglio esserci per tutti loro… e anche per lui, sempre.

Per questo J-1178 aveva promesso a se stessa di non permettersi più di avere pensieri negativi su di sé, ma era certa che, se un giorno il peso della vita sarebbe tornato a schiacciarla per qualsiasi motivo, questa volta non sarebbe più stata da sola.

Qualcosa stava cambiando nella sua vita, in positivo. Adesso aveva un’altra cellula da proteggere, e da amare allo stesso modo di come lui stava già facendo nei suoi confronti.

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

Ehilà, da quanto tempo… forse un po’ troppo. XD

Ormai sapete quanto io sia affezionata al personaggio di J-1178 (insieme a quella di Glomerulo, ma questa è un’altra storia ;P). Talmente affezionata che, in un periodo complicato della mia vita, ho deciso di gettare la base per questa storia, con la speranza di riprenderla in mano quando i tempi fossero stati abbastanza maturi per farle vedere la luce.

Ed eccoci, questo momento è arrivato. In più di un anno sono cambiate molte cose nella mia vita, in particolare ci sono state nuove consapevolezze e, soprattutto, nuove energie positive intorno a me. In questo, mi rispecchio molto nei pensieri di J-1178 che ho raccontato qui… e se è vero che in ogni storia ogni scrittore butta sempre qualcosa di personale, ebbene: in questa storia ci sono alcuni riflessi di me e del mio vissuto. Certi legami fanno capire (purtroppo, in modo errato) quanto noi siamo inadeguati e per questo ci fa sentire sempre nel torto e immeritevoli di vivere alcune esperienze belle della vita, ma in realtà non siamo noi a essere inadeguati: piuttosto, tutto ciò che accade, nel bene e nel male, deve farci capire quanto, in realtà, ciascuno di noi ha valore, e che se due strade sono destinate a separarsi, forse è giusto anche così, perché noi non siamo adatti a combaciare con tutti gli altri, così come non tutti possono combaciare con noi. Cercate di non entrate mai in paranoia in queste situazioni: assumersi le colpe quando ce ne sono va bene, è segno di maturità, ma un altrettanto segno di maturità è anche lasciare andare certe situazioni che in realtà ci danneggiano e non ci fanno valutare come persona.

Non sentitevi mai in difetto nei confronti di persone che vi vogliono davvero bene solo per tutto ciò che è successo con altre in passato. Ci vuole tempo affinché queste ferite possano richiudersi completamente, ma se queste persone vi vogliono davvero bene, vi capiranno e sapranno aspettare di vedere la versione migliore di voi.

Last but not least (così chiudo con un sorriso): perché ho deciso di pubblicare oggi questa storia? Perché oggi è San Valentino… e ormai lo sapete: adoro troppo J-1178 e DA4901 insieme. Viva l’amore! XD

Alla prossima!

--- Moriko

   
 
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