Libri > Artemis Fowl
Ricorda la storia  |      
Autore: Afaneia    16/02/2024    1 recensioni
Dopo la morte del Comandante Tubero e la cattura di Opal Koboi, Spinella avrebbe voluto disperatamente riuscire ad andare avanti e tornare a vivere come prima. Non è stato così. Non ha avuto notizie per Artemis Fowl per dieci anni, e ora si ritrova prigioniera di una vita noiosa e priva di avventure che non le appartiene ma dalla quale non riesce a scappare. Sente che una parte di lei è morta nell'esplosione che ha ucciso il suo comandante.
Un giorno, Artemis Fowl si aggiudica un bando dell'Unione Europea per scavare un tunnel per mille chilometri verso il nucleo terrestre.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angeline Fowl, Artemis Fowl, Artemis Fowl Senior, Polledro, Spinella Tappo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Doveva essere un 5-8000 parole al massimo, giuro. Solo che poi non so cosa sia successo, ed eccoci qui.

A mia discolpa posso dire solo che, dopo aver scritto la drabble per il contest indetto da Mari Lace sul forum Ferisce la Penna, mi sono messa a rileggere la saga per l’ennesima volta e una sera ho dato di gomito al mio compagno sotto le coperte e gli ho chiesto: Secondo te se l’Unione Europea volesse scavare un tunnel fino al centro della Terra, potrebbe indire un bando?

La sua risposta semiaddormentata è stata: Ma che cazzo stai scrivendo? Comunque, secondo me sì. Non credo che avesse ragione; ma tanto è bastato per scrivere questa follia.

La storia è ambientata dieci anni dopo il finale de L’inganno di Opal; gli eventi successivi dei libri non si sono mai svolti, tranne la nascita dei gemelli, che francamente mi piaceva troppo. Tutto il resto dovrebbe chiarirsi con la lettura.

Detto questo, non mi rimane che lasciarvi alla storia e chiedere, come Petrarca, pietà nonché perdono.

Buona lettura!

 

 Non hai mai voglia di lasciar andare tutto e dormire?

 
Polledro le mostra l’articolo un giorno in cui Spinella è stranamente stanca, estenuata, spossata da tutto e da tutti, e il nome di Artemis Fowl è lontano dalla sua mente cosciente come il suo proprietario dal nucleo della Terra, dal ventre del mare. Spinella attira a sé il tablet e legge con disinteresse: è un articolo della versione online di un giornale Fangoso, uno di quei siti che il Centauro ama tanto tenere sotto controllo. Titola: Giovane genio irlandese si aggiudica bando dell’Unione Europea per la realizzazione del tunnel sotto l’Atlantico. Sotto, un catenaccio aggiunge: Fanno ancora discutere i retroscena della famiglia Fowl. Ma il curriculum di Artemis Fowl II, fondatore della startup Nea Atlantis che ha presentato il progetto vincente, è indiscutibile. La parola curriculum è evidenziata in un colore diverso, indicando la presenza di un link a un altro articolo che, evidentemente, approfondisce i titoli accademici del Fangoso più famoso sotto la superficie. Spinella scorre con le dita l’articolo senza soffermarsi a leggerlo, scorge solo qualche parola.
«Che cosa sarebbe questa Nea Atlantis
«È tutto qui quello che hai da dire?» Polledro la fissa come se si fosse aspettato da lei qualcosa di molto più intelligente, arguto, e forse risolutivo da parte sua. Poiché è evidente che questa tanto sospirata epifania sulla questione non gli proverrà da lei, dopo qualche secondo si decide a risponderle. «C’è scritto lì, comunque. La startup fondata dal Fangosetto.»
«Sì, Polledro, so leggere anch’io. Ma che cosa sarebbe una startup?»
«Per essere molto semplicistici, un’azienda.» Polledro si china su di lei attraverso il tavolo. «Per l’amore del… Spinella, vuoi leggere con attenzione, per favore? Artemis ha appena vinto un bando milionario per scavare un tunnel di mille chilometri di profondità sotto l’Oceano Atlantico.  Mille chilometri, Spinella. L’unico umano che è già al corrente della nostra esistenza ora ha anche i fondi pubblici per mostrarla al mondo e fingere di averla scoperta per caso. Veramente, veramente non hai nient’altro da dire?»
«No.» Spinella spinge di nuovo verso di lui il tablet e si appoggia allo schienale della sedia. C’è una parte di lei, una parte che non si può dire ad alta voce, che è stanca ed estenuata ed esausta anche di questo: di nascondersi come topi o come ragni, di fuggire dalla luce e dal sole e dall’aria pulita, che vorrebbe soltanto arrendersi e lasciare che li trovi. «Avremmo sempre dovuto aspettarcelo. Adesso è troppo tardi.»
Eppure il suo cuore ha una piccola contrazione dolorosa quando lo dice. Forse perché avrebbe giurato che Artemis fosse diverso.
 
Sono nella CabOp da stamattina. Tecnicamente, Spinella non potrebbe accedervi: è una civile, ora. Ma i ragazzi della squadra sono sempre così contenti di vederla che sono loro a dirle di passare a trovarli, ogni tanto, e a chiudere un occhio. Sarebbe un’infrazione al protocollo, in verità, e anche grave; ma è stato sempre Grana a dare ordine di farla passare, in passato, e anche quando non c’è i ragazzi la fanno passare lo stesso.
«Polledro è più trattabile se ti vede ogni tanto» le ha detto a mo’ di spiegazione, ed entrambi sanno che è una scusa e che Polledro se la prenderebbe anche a male, se la sentisse; ma va bene così. Hanno bisogno entrambi di una scusa dietro la quale nascondersi, e non importa il fatto che non reggerebbe di fronte a un richiamo ufficiale: non è per quello che ne hanno bisogno.
Spinella rimane in CabOp anche giornate intere. Polledro smanetta, lavora, traffica con i cavi, e intanto chiacchiera, chiacchiera. Dei vecchi tempi, dei tempi moderni: chiacchiera di tutto, questo centauro, e ogni tanto, quando pensa che lei non se ne accorga, la osserva con preoccupazione.
«Va bene l’agenzia investigativa, sì?»
«Benissimo» risponde Spinella immancabilmente senza guardarlo negli occhi. «Un sacco di lavoro. Altroché.»
E allora perché passi qui giornate intere? potrebbe chiederle Polledro, e di certo lo pensa; ma non lo chiede, per fortuna, e Spinella è grata che non glielo chieda. Sarebbe troppo umiliante da dire – non che il lavoro va male, perché non sarebbe neppure vero. Non va esattamente male – è solo uno di quei tanti lavoretti autonomi nella capitale che a stento sbarcano il lunario, ma che sono dignitosi, tutto sommato, e non ci si lamenta. Come un negozio che vende troppo poco e a fine mese ha messo insieme giusto quel poco che basta per andare in pari e farci un po’ di guadagno e trarne di che mangiare, nulla di più; questo non bastava a Bombarda, naturalmente, non poteva bastargli, e dopo un paio d’anni ha finito per tornare a dedicarsi al crimine che lo chiamava troppo forte per ignorarlo; ma non è propriamente andar male, questo, e Spinella non s’era aspettata poi tanto di meglio. O forse sì, se l’era aspettata, ma in termini diversi – s’era aspettata di divertirsi e di vivere avventure e di difendere la sua gente come in passato. Un’idea stupida, folle e infantile, ora se ne rende conto: se non si diverte e non s’appassiona più non è perché… è per l’età. Sta diventando più vecchia, ormai. Ha più di novant’anni, a quest’età di certo non si è giovani e appassionati e folli e insensati come una volta; eppure c’è ancora una voce, dentro di lei, che talora le mormora all’orecchio che una volta la vita era davvero più bella, che non era solo lei a vederla tale perché era più giovane; che da quando è morto Tubero è morta anche una parte di lei, una parte luminosa e agguerrita che non ritroverà mai più dentro di sé; che quando lavorava nella LEP, quando c’era nei paraggi Artemis Fowl, la sua vita era migliore e più varia; e che se, ora che né Tubero né Artemis sono più in circolazione, la sua vita le appare tanto monotona e noiosa, allora tutta la bellezza che un tempo ci trovava era dovuta ad altri, e dunque, ora che è sola al mondo, il grigiore e la monotonia non può imputarli che a se stessa…
Quando questa voce le parla all’orecchio, Spinella di solito si mette a dormire per ore e non ci pensa più; oppure va a trovare Polledro, perché la voce delle sue chiacchiere confortanti parli più forte di quella dentro di lei. Di solito funziona; di solito. Oggi invece Polledro ha tirato fuori il nome di Artemis Fowl, e tutta la bellezza e la passione della sua giovinezza l’hanno assalita con una fitta di nostalgia come i ricordi della sua infanzia. È da dieci anni che non vede più Artemis. Ha continuato la sua vita, lassù, senza di lei, senza di loro; anche troppo bene, a giudicare da questo titolo. È diventato un Fangosetto a posto, forse; ma questo pensiero non la rassicura come avrebbe fatto dieci anni fa. La fa sentire soltanto più sola, come se da quella vita fosse rimasta esclusa.
Polledro la scruta dall’altra parte del tavolo senza parlare, per un po’.
«Credevo fossi la prima a fidarti di lui.»
«Lo so, ma… forse mi sbagliavo. E poi, non vuol dir nulla. Sono passati dieci anni anche per lui. Dieci anni sono tanti.»
Polledro torna a chinare gli occhi sul tablet. Fa scorrere il testo dell’articolo su e giù più volte, senza leggerlo neppure, perché ormai lo sa a memoria, solo nel tentativo vano di trovarvi una risposta alle proprie domande.
«Non lo so, Spinella. C’è qualcosa che non mi convince. Se avesse voluto dimostrare al mondo la nostra esistenza, l’avrebbe fatto prima, in altri modi, e facendola passare per un merito suo, non per una scoperta casuale. Non che non possa farlo, ma… non mi sembra il suo stile. Capisci quello che voglio dire?»
Spinella si stringe nelle spalle. «Forse è impazzito. Oppure crescendo gli è venuto il dubbio che noi fossimo tutti sue allucinazioni, qualche psichiatra lo ha convinto che si era immaginato tutto, e ora vuole scoprire se aveva ragione lui o lo psichiatra.»
 Polledro prende fiato. «Spinella…»
«Sto scherzando» lo interrompe Spinella. «O forse no. Chi lo sa. Forse abbiamo sbagliato noi, Polledro. A non farci più vivi per tutti questi anni. In fin dei conti era solo un ragazzino l’ultima volta che ci siamo visti, anche se sembrava molto più vecchio. Forse crescendo si è sentito abbandonato, e ora vorrebbe vendicarsi.»
Polledro abbassa gli occhi sul tablet. «Lo credi davvero?»
No, grida la voce dentro di lei. No, certo che non lo credo che ci farebbe mai questo, che distruggerebbe la nostra civiltà, che tradirebbe tutta la fiducia che abbiamo costruito, l’amicizia che c’è stata; certo che non lo credo.
Invece quello che dice è: «Penso che dobbiamo prendere in considerazione tutte le ipotesi, Polledro. Dopotutto, quello che sappiamo è che ha fondato un’azienda per costruire un tunnel profondo mille chilometri, dunque dobbiamo esser pronti a tutto. A proposito…» Ha uno strano senso di déjà-vu; in fin dei conti, questo è esattamente quello che è successo dieci anni fa, con Opal; solo che all’epoca c’era uno scienziato italiano ingenuo e ammaliato dal fascino di quella folletta, e ora invece, a opporsi a loro, c’è l’unico Fangoso già al corrente della loro esistenza. Si guarda scioccamente intorno, come a cercare qualcosa che evidentemente non c’è. «Com’è che ancora non è scattato nessun allarme?»
«Non siamo ancora a quel punto» borbotta Polledro. «Fowl ha soltanto vinto un bando. Non è che stanno già scavando. Per quello ci vorranno mesi, forse anni. Non c’è ancora bisogno di barricarci.»
«E il Consiglio non vuole creare allarmismi» gli fa eco Spinella.
Polledro scrolla le spalle. «E il Consiglio non vuole creare allarmismi, giusto. Per il momento, è una notizia top-secret, Spinella. Non avrei neanche dovuto dirla a te, ma… tanto il Consiglio ti convocherà nei prossimi giorni. Tanto valeva che sapessi. Però fingiti sorpresa, quando te lo diranno» aggiunge in fretta.
Spinella incrocia le dita. «Prometto che non ti farò finire nei guai.»
«Più sorpresa di quanto hai fatto ora, magari. Scusa se te lo dico, ma non ti ho visto troppo sconvolta dalla notizia.»
«Devo recitare?»
«No, ma… oh, lascia stare. Basta che tu non gli dica che te l’ho detto io.» Detto questo, Polledro ripone il tablet in un cassetto e si rimette al lavoro senza più guardarla. Spinella non se la prende: è esattamente per questo che le piace venir lì. È stranamente rilassante restare seduta al suo fianco, come ora, a fingere di non esistere.
«Sabato do una festa, comunque. Nel mio appartamento. Sei dei nostri?»
Semidistesa all’indietro, col capo reclinato contro lo schienale della sedia, con gli occhi chiusi, Spinella gli risponde senza neanche guardarlo. «Da quand’è che hai abbastanza amici da dare una festa?»
«Simpatica. Sono vecchi compagni di università, nulla d’impegnativo. Allora, ti conto?»
Spinella arriccia il naso. «Un covo di ingegneri, quindi.»
Polledro continua a battere su una tastiera senza voltarsi verso di lei. «Viene anche qualche agente fuori servizio, perciò siamo sicuri che non ci suoneranno tanto presto per farci togliere la musica. Forse persino Grana, se riesce a liberarsi.»
Ingegneri, agenti Ricog. Tutta gente che nella vita si è affermata, che con la sua vita è andata avanti, sempre più avanti; che non si è fermata in un giorno lontanissimo di dieci anni fa, a rifiutarsi tanto d’andare avanti quanto di tornare indietro, cristallizzata nel momento in cui una bomba è esplosa e tutto per lei è finito.
«Magari la prossima volta, Polledro. Questo sabato non sono sicura di riuscire. Sto seguendo un caso…»
Ci girano intorno da anni, danzando in punta di piedi, come sull’orlo di un abisso di cui non si vede il fondo, ai suoi silenzi e alle sue stranezze e al suo ostinato rifiuto di andare avanti, ancora avanti, dal mattino alla sera. A un tratto il ticchettio di tasti s’interrompe, Polledro rimane in silenzio davanti al computer, indeciso, a guardare lo schermo luminoso che gli illumina il volto di luce azzurrognola. Spinella lo spia attraverso le palpebre semichiuse. Sente che sta per porle la domanda che ha avuto sulle labbra per anni.
«Spinella.» La sua voce suona immensamente triste. «Se tu avessi bisogno di un aiuto, un aiuto per qualsiasi cosa, me lo chiederesti?»
Non vorrebbe che le tremasse la voce. «Sì.»
«Allora perché non me lo stai chiedendo?»
«Perché non saprei che cosa chiederti» risponde Spinella. Almeno la verità gliela deve, poiché non può dargli nient’altro.
Polledro si volta verso di lei. È imbarazzato, impacciato come un bambino: i centauri non sono noti per la loro empatia, lui meno di altri, e per questo la domanda che deve porle gli costa ancora più che a chiunque altro.
«Vorrei solo aiutarti, Spinella… solo che non so come fare. Se tu soltanto mi dicessi come ti senti, potrei almeno sforzarmi di provare a capirlo. So che non posso fare altro, ma posso fare almeno questo.»
Polledro ci sta provando veramente perché non vuole lasciarla andare, perderla, vederla sparire in un vortice senza provare almeno a tenderle la mano; ma Spinella non sa se quella mano sarà in grado di prenderla. Non può neppure lasciarla sospesa a mezz’aria così, però.
Non sa se riuscirà a dar voce a quello che sente; forse parole per dirlo non esistono, ed entrambi stanno solo perdendo tempo. Poiché però il suo tempo non vale più di quello di Polledro, che per lei ne sta gettando davvero tanto, Spinella si preme le mani sulle palpebre e si sforza di guardare dentro di sé alla ricerca di qualche parola che possa dar forma al vuoto che le scava dentro e non cessa di pulsare mai.
«Non hai mai voglia di lasciar andare tutto e dormire?»
 
Polledro aveva ragione, come sempre. Il Consiglio la convoca con urgenza il giorno successivo; non è un obbligo, naturalmente. Potrebbe anche rifiutarsi, ora che non è più una militare; ma Spinella si trascina fuori dal letto, si fa la doccia e risponde alla chiamata.
I membri del Consiglio sono stranamente gentili con lei. Lasciano parlare Vinyàya, perlopiù, forse perché pensano che possa ammansirla; le dicono le stesse cose che le ha detto Polledro, le mostrano lo stesso articolo e qualche altro di qualche altro giornale; Spinella li ascolta in silenzio senza fare commenti. Se vogliono un favore da lei, dovranno chiederglielo. Non ha intenzione di fare nulla per agevolarli.
Alla fine, quando hanno ormai esposto a grandi linee tutto quello che c’era d’importante da dire, Vinyàya la considera in silenzio per un attimo, forse per decifrare la sua espressione, e prosegue con cautela.
«Spinella, sai già perché ti abbiamo chiesto di venire. Tu sei la massima esperta su Artemis del Sottosuolo, perciò te lo chiederò direttamente. Tu che cosa faresti al nostro posto?»
Hanno scelto la strada lunga, dunque. Mostrarsi ragionevoli e bendisposti versi di lei, pronti ad ascoltare il suo punto di vista e a prendere in considerazione le sue parole, solo per poter poi contraddire un attimo dopo qualsiasi sua proposta all’istante, senza neppure prendersi la briga di fare finta di non aver già vagliato e bocciato qualsiasi sua possibile idea e obiezione prima ancora di decidere di convocarla, e prospettarle la richiesta che stanno per porle come inevitabile e necessaria.
Spinella prova grande rispetto per Vinyàya e un ancor più grande affetto, ma al loro gioco non intende starci. Si schiarisce la gola. «Se avete convocato me, è perché avete già preso in considerazione l’idea di eliminarlo e avete stabilito che non è possibile. Ho ragione?»
I membri del Consiglio si aggiustano nervosamente sulle sedie come se queste bruciassero sotto di loro; Vinyàya si morde le labbra, ma è l’unica, quantomeno, ad avere il coraggio di continuare a sostenere il suo sguardo.
«È vero, Spinella. Ci abbiamo pensato, ma sai anche perché. Tenere la nostra civiltà al sicuro ha la massima priorità, ora come ora, ma…»
«Ma Artemis è sotto gli occhi di tutti, ora» completa Spinella. «E poi c’è il problema dei suoi collaboratori e del bando europeo. Potreste anche uccidere Artemis, ma non potete uccidere tutti, o qualcuno si chiederebbe che cosa succede. Sbaglio?»
«… ma abbiamo chiamato te» prosegue Vinyàya come se non fosse mai stata interrotta. «Il signor Fowl si è spesso mostrato più ragionevole di quanto fosse lecito aspettarsi, date le circostanze, in passato, e non c’è motivo per cui non debba disposto a trattare anche ora. Spinella, tu sai che noi non sacrifichiamo nessuna vita a cuore leggero, neanche quelle umane… ma sai anche che è in ballo la sopravvivenza della nostra intera specie. Dobbiamo capire che cosa ha in mente e quanto è disposto a cedere, e abbiamo pensato che sarebbe più bendisposto a trattare se gli mandassimo qualcuno di cui si fida già. Saresti disposta a parlare con lui, Spinella?»
Facciamola finita, grida quella voce tossica, inaudita, che è sepolta dentro di lei e che da fuori non s’ode né si vede, ma che Spinella sente in tutta la sua intensità dentro di sé; lasciamo che ci scoprano, che ci prendano; vogliamo nasconderci nei buchi per tutta l’eternità?
Quello che dice Spinella ad alta voce, invece, è: «Sono disposta a parlargli, ma non in nome del Consiglio. Solo da amica. Non intendo parlamentare, anche perché non avrei l’autorità per fare concessioni. Posso solo scoprire quello che avrà da dirmi volontariamente.»
Vinyàya annuisce gravemente. «È quello che speravamo. Spinella, naturalmente, questa missione non figurerà da nessuna parte. Noi ti appoggeremo e ti forniremo tutto quello che ti occorre, e ti ringrazieremo per il disturbo, ma nessuno dovrà mai saperlo.»
«Bene» risponde Spinella. «Voglio l’attrezzatura completa, però. Non vado lassù disarmata. Ali, armi, corazza e tutto il resto.»
«Naturalmente. Non ti manderemmo mai sulla superficie senza darti il necessario per proteggerti.» Gli sguardi di tutti si appuntano su Vinyàya, come aspettandosi che tiri fuori una questione particolarmente scottante; lei si schiarisce la voce. «Ora, venendo alle tue richieste…»
Hanno davvero bisogno di lei, dunque. Spinella incrocia le braccia sul petto e accavalla le gambe. «Voglio un mese di ferie pagate.»
Il Consigliere Cahartez aggrotta un sopracciglio. «Non lavori più per la LEP. Non siamo noi a poterti…»
«Lo so. Per questo ho specificato pagate. Voglio un mese del mio vecchio stipendio. Mi pare una richiesta onesta, considerando quanto mi state chiedendo. Vi costerebbe comunque meno di una missione diplomatica di un ambasciatore.»
I Consiglieri si consultano per lo sguardo per un tempo molto minore di quanto Spinella si fosse aspettata. «Concesso. Altre richieste?»
Dunque sarebbero stati disposti a pagarla anche di più: Spinella quasi si pente di non aver chiesto due o tre mensilità, ma, in fin dei conti, non è tipo da approfittarsi del Consiglio o dell’oro del Popolo. Vuole solo un po’ di tempo per tirare il fiato; vuole staccare un po’ da Cantuccio, da tutto, da se stessa, se possibile, e anche il riposo, per una detective privata, si paga; vuole staccare da tutto per un po’ e non pensare a niente. Ma quest’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, e quello che le viene in mente, in fin dei conti, non costerà niente a nessuno.
«Voglio un permesso di un mese per la superficie.»
«Concesso. Ci servirà anche per giustificare la tua presenza in superficie, se dovesse venir fuori. Un permesso turistico.»
«Illimitato.»
«Va da sé» risponde Vinyàya sorridendo.
«E» la interrompe Spinella alzando la voce «Un permesso per Disneyland Paris.»
Il fatto che glielo concedano indica quanto sono spaventati.
 
Artemis ha incontrato il Commissario europeo per l’Ambiente a Bruxelles, in occasione di non si sa bene quale conferenza sul clima o su che altro; all’incontro, naturalmente, in un enorme edificio istituzionale, Spinella non ha potuto assistere. È stato il Consiglio a dirle dove si sarebbe trovato Artemis quest’oggi: l’incontro era su tutti i giornali specializzati; ma d’ora in poi dovrà cavarsela da sola.
È rimasta fuori, schermata, a sorvolare la piazza affollata di giornalisti e curiosi e interessati e quant’altro, fuori dal palazzo; un cordone di polizia tiene aperto un varco dall’ingresso del palazzo fino all’automobile nera in attesa del suo occupante; Spinella non si aspettava così tanta gente, anche se forse avrebbe dovuto aspettarselo: stando a quanto le ha detto il Consiglio, oggi è una giornata importante, piena d’incontri istituzionali. Di certo non saranno tutti lì per Artemis; ma qualche cartellone nella folla, che incita a non toccare l’oceano Atlantico, è sicuramente indirizzato a lui. Spinella cala sulla folla silenziosamente, si accoccola sul tettuccio della macchina e osserva la folla con interesse. Non è più di un luccichio ai loro occhi: un luccichio sopra le teste e i tettucci delle automobili. Nessuno farà caso a lei. Se dovessero vedere un luccichio nell’aria, lo scambierebbero per un riflesso del calore e della tremolante aria il cui vapore evapora.
Quando Artemis appare sulla soglia del palazzo, Spinella s’accorge d’aver trattenuto il fiato per qualche secondo.
Lo riconoscerebbe in ogni luogo, in ogni momento, tra mille della sua gente. È ancora snello, pallido, la sua fronte è ancora spaziosa e bianca come dieci anni fa, come l’ultima volta che l’ha visto; ma è più alto, ora, tanto che quasi sfiora con la testa la spalla di Leale. Questo è tutto il cambiamento che ha avuto in questi anni; quanto al resto, non è cambiato affatto. Ha ancora lo sguardo eternamente serio, corrucciato, troppo maturo per la sua età, che Spinella ricorda anche troppo bene; i suoi occhi sono dello stesso gelido azzurro di allora, solo quella sottile tela di rughe precoci, agli angoli dei suoi occhi, s’è scavata e approfondita. I tratti del suo volto si sono fatti più affilati e taglienti con l’età, è snello, slanciato, i suoi gesti sono eleganti, posati, estremamente misurati; è diventato quasi bello, ma le sue labbra sottili hanno ancora lo stesso taglio duro e severo, eternamente contratte. Quantomeno, pensa Spinella, il suo immancabile completo nero è un po’ meno fuoriluogo, ora che ha venticinque anni ed esce da un incontro ufficiale con un Commissario europeo.
Leale riempie la porta con la sua sola presenza. È la solita montagna incrollabile, inamovibile, che le ha coperto le spalle e s’è aspettato lo stesso da lei combattendo; è invecchiato, certo, ma non poi tanto più rispetto a quel giorno di tanti anni fa in cui lei lo ha salvato. Spinella riesce quasi a percepire il suo stress anche da questa distanza: la piazza piena di gente, i giornalisti, solo un magro corridoio di transenne e gracili poliziotti a separare il suo protetto da attentatori e armi da fuoco. Sarebbe l’incubo di qualunque guardia del corpo, anche di una che non stia proteggendo uno degli uomini più discussi d’Europa. Che, per l’appunto, è proprio quello che sta facendo lui.
Artemis e Leale indossano occhiali scuri prima ancora di lasciare l’edificio ed esporsi alla luce, all’unisono, come un gesto che sono ormai abituati a compiere e che è parte delle loro abitudini ormai da anni, come allacciarsi le scarpe, e subito dopo Leale stende un braccio di fronte al petto di Artemis per trattenerlo all’interno dell’edificio mentre perlustra con lo sguardo la folla ed esamina il percorso fino alla macchina. Quegli occhiali scuri, decisamente più grossi, spessi e voluminosi del normale, Spinella ha la sensazione d’averli già visti. Somigliano stranamente alla visiera di certi vecchi elmetti della LEP.
Quando lo sguardo di Leale raggiunge l’automobile, Spinella alza la mano e fa un cenno di saluto nella sua direzione.
Leale rimane interdetto per non più di un momento. Abbozza persino un accenno di sorriso, che Spinella gli farà il piacere di considerare un saluto, mentre si china sulla spalla di Artemis e mormora qualcosa nel suo orecchio, coprendosi la bocca con la mano, ben attento a non gesticolare in direzione della macchina. Artemis si gira a fissarlo per un istante, poi si volta verso la macchina e sorride.
Che le mancasse la faccia di quel Fangosetto pallido non l’avrebbe detto mai.
Leale lo fa aspettare al riparo della doppia porta di vetro antiproiettile mentre attraversa la piazza e si reca a esaminare la macchina per eseguire un ostentato controllo antibomba. Non alza lo sguardo su di lei neppure una volta, ma spalanca lo sportello del guidatore e fa cenno all’autista di scendere. Gli batte sulla spalla con fare amichevole. «Grazie, amico. Da qui in avanti me ne occupo io.» Lo sportello del guidatore rimane aperto per quei pochi secondi che le occorrono per scivolare dentro, ancora schermata; poi Leale lo richiude sonoramente alle sue spalle e torna a prelevare Artemis dall’interno dell’edificio. Spinella scivola sul sedile posteriore e si mette comoda a godersi lo spettacolo attraverso i finestrini oscurati: ha la sensazione che ci vorrà ancora un po’.
Leale conduce Artemis attraverso il varco aperto tra la folla che li pressa da ogni parte, difendendolo praticamente a spallate da ogni lato. Forse sarebbe ora che Artemis assumesse qualche nuova guardia del corpo: Spinella si annota mentalmente di farglielo presente, ma ha la sensazione che non servirebbe a niente, forse perché Artemis non si fiderebbe di nessuno che non sia Leale, o forse, piuttosto, perché Leale non si fiderebbe di nessuno che non sia Leale per custodire il suo protetto. E poi, quei due insieme hanno fatto cose ben più pericolose che uscire da un incontro istituzionale nel centro di Bruxelles. No?
Una giornalista riesce a protendere il braccio armato di microfono a sufficienza da bloccare il loro cammino, ormai a un paio di metri appena dalla macchina; Leale potrebbe proseguire solo praticamente amputandole il braccio, e Spinella potrebbe giurare, dalla sua espressione, che ha dovuto trattenersi dall’atterrarla con una mossa di arti marziali per impedirle di avvicinarsi ad Artemis. Artemis gli posa una mano sulla spalla per fargli cenno che non c’è bisogno di allarmarsi: è solo una giornalista, mormora, e si sforza di sorriderle come se non fosse infastidito dalla sua interruzione.
«Ester Politano» si presenta in fretta la giornalista con un pesante accento italiano. «Doctor Fowl, why did you…»
«In italiano va benissimo, prego» la interrompe Artemis in perfetto italiano. «Se posso evitarle di dover tradurre le mie risposte con conseguenti fraintendimenti… ma due domande sole, per favore. Ho un impegno.»
«Bene» risponde la giornalista senza perdere un colpo; Spinella ha la sensazione che non le sia sfuggita la velata insinuazione di Artemis, e che semplicemente abbia deciso di non farsene distrarre. «Dottor Fowl, perché intraprendere questo tentativo di scavo nella crosta terrestre?»
Artemis si spinge indietro i capelli corvini con la punta delle lunghe dita pallide. «Beh, presumo che lei sappia che cosa Svetonio racconta che Cesare abbia detto a Cadice, presso il tempio di Eracle…»
Se Artemis pensava di distrarla o di confonderla, o di farla sentire inadeguata, con l’ennesima ostentazione della propria cultura e con l’ennesima citazione letteraria tanto dotta quanto gratuita, gli è capitata la giornalista sbagliata. Non si lascia impressionare, e Spinella prova una scintilla di ammirazione per chiunque sia in grado di rimettere a suo posto il suo Fangosetto preferito.
«Cesare però aveva trent’anni quando assunse la questura in Spagna Ulteriore» lo interrompe spazientita. «Lei invece ne ha solo venticinque, dunque è ancora abbastanza lontano dall’età di Alessandro Magno. Possiamo presumere che quest’iniziativa si collochi nella ben nota predilezione per il crimine della famiglia Fowl?»
Artemis non rimane molto impressionato. Sorride del suo sorriso da vampiro. «È per caso al corrente di qualcosa che io e i miei avvocati dovremmo sapere? Perché al momento mi risulta che né io né mio padre siamo indagati per alcunché.»
«E che mi dice dei suoi trascorsi col magnate americano Jon Spiro?»
Artemis aggrotta la fronte. «Spiro? Intende quell’industriale che fu arrestato… dieci o dodici anni fa? All’epoca io ero più che minorenne. Che cosa intende dire?»
Qualunque cosa la giornalista intendesse dire, sono tutti destinati a non scoprirlo mai. In questo preciso momento un’attivista si scaglia contro una transenna e scaraventa contro Artemis un barattolo di vernice che lo colpisce in pieno petto e gli mozza il respiro, eruttandogli addosso un fiotto di vernice blu.
Succedono molte cose molto rapidamente. La giornalista prorompe in un’esclamazione di sorpresa ritraendosi di scatto, diversi poliziotti scavalcano all’unisono le transenne, l’attivista si getta per terra; Leale si tira Artemis contro il petto e si curva sopra di lui, proteggendolo col proprio corpo, raggiunge la macchina in un’unica falcata, spalanca lo sportello e scaraventa Artemis all’interno senza neppure guardare. Artemis rotola sulle ginocchia di Spinella mentre Leale sale al volante, tossisce per un po’, poi spalanca gli occhi su di lei e sorride a fatica. Per essere uno che è appena stato aggredito da un’attivista, le concede un’inaspettata attenzione.
«Ciao, Spinella» ansima cercando di riprendere fiato mentre la macchina parte sgommando. «Sono contento di vederti.»
«Ehi» risponde Spinella sforzandosi di sorridere. Si sorprende della commozione che le brucia la gola come se fosse pianto. Non si vedono da dieci anni. «Giornata monotona, eh?»
Leale guida follemente per le strade trafficate di Bruxelles. Una volante della polizia, partita dalla piazza subito dopo di loro, li affianca e li supera a sirene spiegate per aprir loro la strada; Leale ne segue i movimenti cercando di coordinarsi con essa attraverso il traffico. «Scusa, Spinella» dice senza guardarla. «Avrei voluto salutarti meglio, ma dobbiamo andare in ospedale. Artemis…»
«Sto bene, Leale» protesta Artemis tirandosi a sedere di fianco a lei sul sedile. Si sfila la cravatta nera, che gronda vernice blu dall’aspetto appiccicoso, e si sbottona la camicia ormai inservibile per mettere a nudo il petto magro e rassicurare la sua guardia del corpo. No, decisamente non ha nessuna ferita, quantomeno a giudicare a occhio nudo; è a malapena graffiato; ma domani avrà un gran bel livido violaceo, che va già allargandosi al centro del petto. «Nessuno andrà in ospedale.»
«Negativo, Artemis. Mi dispiace, ma potresti avere una costola incrinata o una frattura allo sterno.»
«Leale» lo interrompe Artemis in tono ragionevole. «È vernice di farina di mais. Non andrò in ospedale a farmi ridere dietro per un po’ di vernice al mais. L’unica vittima qui è questo completo Armani, ma, a meno che in ospedale non abbiano aperto un reparto di lavanderia a secco, direi che possiamo evitare di intasare il pronto soccorso. Andiamo in aeroporto, Leale. Per favore.»
«Ci serve anche un referto di un medico, Artemis. Per la denuncia.»
Il tono di Artemis si fa impercettibilmente più stanco. «È un’attivista che sta lottando per il suo pianeta. Passerà già abbastanza guai così, perciò non ho alcuna intenzione di sporgere denuncia contro di lei, Leale. È la mia ultima parola.»
Leale guarda sui sedili di dietro attraverso lo specchietto, ma non è lo sguardo di Artemis che cerca nel riflesso. Cerca quello di Spinella, forse nel tentativo di trovare in lei un’alleata; ma Spinella è sorpresa quanto lui. Questo Artemis così stranamente civile, comprensivo a tal punto da non concepire neppure rabbia, è per lei incomprensibile come un mistero.
«Posso almeno manifestare il mio dissenso, Artemis?»
Artemis sorride appena prendendo a riabbottonarsi la camicia. «Certo che puoi, amico mio, e sai quanto stimo la tua opinione. Ma anche stavolta ti chiedo di fidarti di me.»
 Con un sospiro profondo, Leale abbassa il finestrino e rivolge un cenno in direzione della volante della polizia per comunicare loro il cambiamento di programma. Prende in direzione dell’aeroporto con aria assai contrariata; la volante si adegua ai loro movimenti. È più per lui che per Artemis che Spinella si decide a schioccare in direzione del Fangosetto una scintilla azzurrina che sprofonda al centro del suo petto, là dove il sangue già andava raggrumandosi per formare un ematoma. Artemis alza gli occhi su di lei in un moto di stupore.
«L’ho fatto per Leale» dice Spinella strizzando un occhio in direzione dello specchietto. «Per quanto mi riguarda, quel livido te lo meritavi.»
Il modo in cui Leale fende il traffico s’è fatto impercettibilmente più calmo. Le rivolge uno sguardo di gratitudine attraverso lo specchietto. «Grazie, Spinella. Anche se mi fai sentire come una vecchia guardia del corpo iperprotettiva.»
Artemis è rimasto senza parole. Si posa le dita sul petto, là dove le tracce violacee si sono riassorbite al di sotto della pelle, e rimane in silenzio. La sua reazione è talmente inattesa che Spinella ride. «Che c’è, Fangosetto? Ti eri dimenticato che effetto fa esser guariti dalla magia?»
«Non credevo che mi sarebbe accaduto mai più» risponde Artemis. La sua voce suona di un accento stranamente sincero. Sorride appena. «Scusami, Spinella. È solo che sono passati così tanti anni che non credevo che ti avrei mai più rivista. Sono contento che tu sia qui» si affretta ad aggiungere. «Veramente.»
La risata che aveva sulle labbra le si gela in cuore. S’era quasi dimenticata perché è venuta lì; e Artemis coglie nei suoi occhi il momento esatto in cui quel pensiero riaffiora dentro di lei. Si abbottona la camicia chinando lo sguardo.
«Devo presumere che non sia una visita di piacere, questa.»
«Non sono qui in via ufficiale.» Nello specchietto, Leale ha gli occhi ormai fissi sulla strada, come se neppure fosse lì. «Ma mi manda comunque il Consiglio. Artemis, questo tunnel… che cosa hai intenzione di fare?»
«Mi dispiace, Spinella.» La voce di Artemis è divenuta incommensurabilmente triste. «Ma se non mi fossi aggiudicato io questo bando, lo avrebbe fatto qualcun altro.»
Quella speranza vana che Spinella aveva concepito dentro di sé sprofonda un altro po’ nel suo petto. Rimangono in silenzio per il resto del tragitto fino all’aeroporto.
 
Il jet Lear è pronto a partire. Leale ha confermato i dettagli del decollo per telefono, seccamente, in poche parole, mentre guidava; vuole che sia pronto a partire per il loro arrivo. Non intende perder tempo inutilmente, né vuole trascorrere all’aperto, nel percorso tra l’automobile e il jet, più secondi dello stretto necessario a spostare Artemis. Spinella immagina come si sente: ha fatto il possibile per proteggere il suo datore di lavoro, ma non ha evitato l’inevitabile; e avrebbe potuto non essere vernice di mais. Il fatto che Artemis stia bene e che in questo momento sia seduto tranquillo sul sedile posteriore della macchina a sorseggiare acqua sorgiva irlandese non cambia il fatto che Leale non è stato all’altezza del suo compito. Spinella vorrebbe potergli dire qualcosa in grado di lenire la sua frustrazione, ma sa che parole che parlino alla sua delusione, in questo momento, non ne esistono.
Nessuno le chiede se salirà sul jet con loro; lo danno per scontato, e Spinella, semplicemente, si scherma e sale con loro. Non ha fatto tutta questa strada per accontentarsi di sentirsi dire che se quel bando non l’avesse vinto lui, sarebbe stato qualcun altro; e poi, non saprebbe dove altro andare, adesso.
Malgrado l’adrenalina e l’agitazione della giornata, Artemis si appisola sull’aereo quasi subito. È pallido di stanchezza. Quando dorme così, col capo reclinato contro il sedile, sembra più giovane di quanto non sia, forse di quanto sia mai sembrato; Spinella non è neppure sicura d’averlo mai visto dormire. È fragile come un ragazzo. La vernice blu accentua il grigiore delle sue occhiaie, il pallore delle sue guance: Spinella lo scruta con più dolcezza di quella che avrebbe voluto; eppure Artemis sta progettando di distruggere l’intero mondo che lei conosce, la terra della sua gente. Perché non riesce a odiarlo come una volta, come quando l’ha rapita e legata e drogata – forse è perché lo ha conosciuto meglio, dopo di allora, e nonostante tutto ancora non riesce a credere che lui voglia far questo?
Leale si affaccia per un istante sulla soglia della cabina di pilotaggio. Ha già aperto la bocca per chiedere qualcosa, ma la domanda gli muore sulle labbra quando si accorge che Artemis sta dormendo. Rimane interdetto per un attimo.
«Devi scusarlo, Spinella. Non è che non sia contento di vederti… ma sono quattro giorni che non dorme, per preparare questo incontro. Alla fine il suo corpo ha ceduto.»
Spinella si massaggia stancamente le braccia. «Credevo che avesse fondato una piccola azienda. Che avesse dei collaboratori con cui dividere il lavoro.»
Il sorriso di Leale si tinge di una punta d’ironia. «Credi davvero che Artemis cederebbe la pianificazione ad altri?»
«Dunque niente Nea Atlantis
«No, questo no. La startup esiste davvero, ovviamente» risponde Leale. «Ma Artemis si è limitato ad assumere qualche ragazzo appena uscito dal dottorato e a metterlo a fare ricerca. Della progettazione si occupa lui, però è un buon modo per far fare curriculum a dei giovani ricercatori. E fa ottenere anche degli sgravi fiscali» conclude.
Spinella non risponde niente per un po’. Si limita a osservare questo ragazzo che s’è appisolato con la guancia contro il pugno chiuso, in silenzio, e pensa. «Dunque è diventato un bravo Fangosetto. Uno che dà lavoro agli affamati e ai neolaureati, insomma.»
Leale sorride appena. «Non sto dicendo che sia diventato un santo. Ma ha fatto del suo meglio, Spinella. Davvero. Ha sbagliato, qualche volta, ma ci ha provato in ogni modo a diventare migliore. E in gran parte è stato merito tuo.»
D’improvviso Spinella si sente a disagio, colpita come se fosse stata colta in fallo. Distoglie lo sguardo da lui, e Leale sembra comprenderne il motivo senza bisogno di parole. Sembra indeciso per un po’ su cosa dirle.
«Non devi fartene una colpa, sai. Lui non l’ha mai fatto.»
«Una colpa di che cosa?» chiede Spinella; ma in fin dei conti lo sa già, e quando lo guarda è per cercare nei suoi occhi una conferma a quanto le ha appena detto: che di averlo ignorato per dieci anni, Artemis non gliene ha fatta una colpa mai.
Leale sorride di un sorriso stanco. Non le risponde direttamente. «È stato tanto solo, sai, in certi momenti. Penso di poter dire che fosse il ragazzo più solo che abbia mai conosciuto… ma credo che lo consolasse sapere che tu esistevi da qualche parte. Che forse per la prima volta non saresti stata tanto delusa da lui, per quello che stava cercando di fare.»
Il suo cuore sprofonda un po’ di più, se ancora ci sono profondità alle quali può inabissarsi. Crede alle parole di Leale come crederebbe alle sue proprie parole; ma proprio questo le causa un grande dolore.
«Allora perché sta facendo questo alla mia gente?»
Artemis si riscuote dal sonno bruscamente proprio quando Leale sta per risponderle. La presa di coscienza d’essersi addormentato gli dipinge in volto un’espressione colpevole, e cerca il suo sguardo con occhi colmi di preoccupazione. Vederla lo rassicura. «Scusami, Spinella. Avremmo dovuto parlare… ma non te ne andrai via subito, no? Verrai con noi a casa Fowl. Resterai qualche ora. Abbiamo tanto di cui parlare.»
Le aleggia sulle labbra uno spettro del suo antico, sferzante sarcasmo. «Sicuro, Artemis. Così, già che sono lì, posso prendere un caffè col tuo papà. È tanto che non ci vediamo.»
«Oh, i miei non abitano più in Irlanda» risponde Artemis con noncuranza. «Per quello non devi preoccuparti. Si sono trasferiti in Italia da qualche anno. Mia madre voleva che i miei fratellini studiassero a Prato, nello stesso collegio che ha frequentato lei.»
Non sapeva neppure che Artemis avesse dei fratelli. Si sente d’un tratto immensamente triste. Ha lasciato passare così tanto tempo, e ora ha la sensazione che la vita di Artemis sia scorsa troppo veloce e rapida per tenerne conto, distante dalla sua, e ora sia per lei lontanissima e irraggiungibile.
 
Casa Fowl emerge dalla nebbia, scura e massiccia come la schiena di un gigante addormentato. Spinella ha uno strano tuffo al cuore nel rivederla – l’ultima volta che l’ha vista è stata ai tempi di Spiro e del furto del Cubo. Tempi in cui la vita era più strana e più bella, imprevedibile, e lei si gettava in volo col vento tra i capelli e una sfida per le mani – ma quel tempo è finito, ora. La sua vita ora è un noioso lavoro che non è mai davvero decollato e che non le ha dato la soddisfazione che da esso si sarebbe aspettata e dal quale è troppo orgogliosa per tirarsi indietro.
Leale li scorta dentro dopo aver disinserito una complessa serie di sistemi di sicurezza ed essersi accertato che all’interno sia tutto a posto. Sulla soglia, Artemis tiene aperta la porta per lei, mormorando: «Accomodati, Spinella. Ti prego, fai come se fossi a casa tua.»
È l’invito a entrare in una casa umana più galante che abbia mai ricevuto. Perché non si monti troppo la testa Spinella gli tira una pacca sul braccio proteso. «Lo sai, vero, che tecnicamente è ancora valido l’invito di quando mi hai rapita?»
Artemis non dice nulla, ma Spinella ha la sensazione che sia diventato un po’ più pallido d’improvviso. Si pente quasi d’avergli detto così – era un ragazzino, all’epoca. Non è che questo lo giustifichi; ma l’adulto che ha di fronte oggi è un’altra persona rispetto al ragazzo d’allora. Distoglie lo sguardo, e Artemis si affretta a voltarsi verso Leale per fare il punto della situazione.
«Grazie, Leale. Credo che vada tutto bene. Penso che tu possa prenderti la serata libera per stasera, se sei d’accordo.»
Leale avrebbe trovato meno insultante l’idea d’esser licenziato, e forse anche meno spaventosa; perché se fosse stato licenziato, quantomeno ora avrebbe la ragionevole certezza che a prendersi cura di Artemis ci sarebbe un’altra guardia del corpo; ma prendersi la serata libera equivale a dire soltanto che il suo datore di lavoro rimarrà solo. Questo è il peggiore incubo che Leale abbia sognato negli ultimi venticinque anni e che è finalmente divenuto realtà. Rimane immobile al centro dell’ingresso a cercare le parole migliori per esprimere il suo disappunto.
«Scusami, Artemis, ma non è una buona idea.»
«Sarò qui con Spinella, Leale» risponde Artemis semplicemente, accennando in direzione della Neutrino che le pende dal fianco. «Sono quasi sicuro che le non mi lascerebbe accadere nulla di male in tua assenza.»
Leale guarda verso di lei con l’espressione più simile al panico che Spinella gli abbia mai visto negli occhi; ma lei si limita a stringersi nelle spalle con aria innocente. In queste loro diatribe da vecchia coppia di sposi non ha intenzione di entrarci.
A un ordine diretto Leale non potrebbe disobbedire, ma probabilmente di veri e propri ordini Artemis non gliene impartisce ormai da anni, perché i rapporti tra di loro si sono fatti fraterni e troppo informali perché ancora vi sia spazio per gli ordini; e alla fine Leale cede alla sola volontà di Artemis.
«Come vuoi, Artemis. Sarò comunque a portata di telefono per tutta la sera» puntualizza, perché probabilmente la sola idea di non essere raggiungibile per il suo protetto nel malaugurato – ma non impossibile – caso che debba trovarsi in pericolo nella sicurezza di casa propria corrisponde, nella sua mente, alla rappresentazione sulla terra dell’inferno. «Spinella, so che non sei in servizio, ma posso contare su di te? Sarò a meno di un chilometro di distanza.»
A Spinella piacerebbe poter credere che Leale approfitterà della serata libera per andare a svagarsi al pub, ma ha la sensazione che non sarà così. Probabilmente la serata di Leale trascorrerà in palestra a lavorare sui pettorali. «Come no, Leale. Lo terrò al sicuro dagli spigoli dei mobili e dai rapitori che potrebbero entrare sparando all’impazzata. Immagino che entrambi i rischi ti sembrino egualmente probabili per un venerdì sera.»
Quando Leale li lascia, con profondo rammarico, Artemis congiunge le mani in gesto di preghiera. «Ti chiedo scusa, Spinella. Ti ho promesso che avremmo parlato e ti giuro che avremo tutta la notte per parlare, ma ti prego di voler pazientare ancora qualche minuto. Ho un disperato bisogno di farmi una doccia e seppellire questo povero Armani. Mi perdonerai?»
«Ti ho perdonato ben altro» risponde Spinella. «E poi, questa volta, ti ho fatto una visita a sorpresa. Fai pure quello che devi.»
«Grazie. Puoi aspettarmi nel mio studio, se vuoi. È quello…»
«Lo so qual è. Quello dove ti ho tirato un pugno in faccia.»
Artemis rimane interdetto per un istante. Evidentemente aveva rimosso quel dettaglio. «Giusto. Lo conosci già.»
Spinella si prende tutto il tempo per raggiungere lo studio. Cammina per i corridoi silenti come se fosse in un museo che questa notte ha aperto solo per lei: i ricordi l’assalgono con dolorosa sollecitudine. La scrutano dalle pareti i Fowl torvi, assorti, incupiti, gli antenati di Artemis; ricorda di aver pensato di bruciarli con la Neutrino, tanti anni fa, quando… era così giovane, allora, e si sentiva così viva. Perché non può essere ancora così? Eppure sono passati solo dieci anni, non è poi stato così tanto tempo fa: se solo allungasse la mano all’indietro nel tempo, nella se stessa del passato, non potrebbe ritrovare quella parte di sé luminosa e combattiva, così felice di vivere, e trascinarla nel presente? Non è passato poi così tanto tempo perché debba averla perduta per sempre; allora perché non riesce più a sentirla dentro di sé, a convincersi che la vita può ancora essere bella?
Artemis la raggiunge nello studio dopo quindici minuti esatti, proprio come aveva promesso, coi capelli ancora umidi. È vestito di quella che deve essere la sua dimessa eleganza casalinga, che consiste nell’ennesimo completo scuro su misura, ma almeno senza cravatta, e si sofferma sulla soglia a guardarla sorridendo appoggiato allo stipite.
«Levati quel sorriso dalla faccia, Fangosetto. Non siamo qui per un appuntamento galante. Penso di aver diritto a qualche spiegazione.»
«So che sei arrabbiata con me» risponde Artemis. Non smette di sorridere neppure ora. «Ti giuro che ti spiegherò. È solo che sono così felice di vederti.»
La sua felicità le brucia in petto come una lama arroventata; eppure non le sta rinfacciando di essere scomparsa dalla sua vita, di non essersi più fatta vedere né sentire per dieci anni. È solo genuinamente contento – allora perché, continua a ripetere quella voce dentro la sua testa che grida tra le sue orecchie per farsi ascoltare, perché vuole distruggere la sua gente?
«Bene» risponde ad alta voce, per parlare più forte delle grida dentro di lei. «Allora, spiegami. Cos’è questa storia del tunnel?»
Un computer prende a suonare dell’inconfondibile squillo di un programma di videochiamate nel medesimo istante in cui Artemis apre la bocca per rispondere. S’interrompe per un momento per gettare uno sguardo allo schermo, dove ora campeggia la foto della persona che lo sta chiamando, poi si schiarisce la voce e riprende: «Non importa. Risponderò dopo. Dov’eravamo…»
«Aspetta un momento» lo interrompe Spinella guardando la foto. Ha curato lei una parte di quelle cicatrici, e a uno di quegli occhi azzurri, dell’identico colore di quelli di Artemis, ha persino ridato la vista. «È tuo padre. Non puoi ignorarlo così.»
«Non importa. Richiamerà. Ti sto tenendo in sospeso da Bruxelles. Hai diritto di capire.»
Spinella sa quanto Artemis tenga alla sua famiglia. Proprio per questo il suo gesto la intenerisce profondamente. «Artemis… a quest’ora ti avranno visto venir colpito da quell’attivista su tutti i telegiornali. Vorranno sapere se stai bene. Rispondi. Avremo tempo dopo.»
Alla sua ragionevole insistenza, e agli squilli che si susseguono insistenti uno dopo l’altro, Artemis finisce per cedere. I suoi occhi sono colmi di gratitudine. «Va bene. Grazie, Spinella, davvero. Puoi restare qui» aggiunge accennando al divano. «Da quest’angolazione non possono vederti. Cercherò di metterci il meno possibile.»
Spinella rimane sul divano, ma si scherma ugualmente, per buona misura. Effettivamente dall’angolazione in cui è disposto il computer dovrebbe essere impossibile vederla, ma non ha intenzione di correre il minimo rischio. Non che, se il piano di Artemis andrà a buon fine, questo abbia ormai più significato.
Artemis si accomoda davanti al computer e accetta la chiamata. Lo schermo si riempie di due volti vicini: quello di Artemis Fowl Senior e quello di una splendida donna dai lunghi capelli corvini. È la prima volta che Spinella vede di persona la mamma di Artemis, anche se ha la sensazione di conoscerla già. I suoi occhi sono colmi di preoccupazione.
«Arty! Abbiamo visto il telegiornale. Stai bene?»
È difficile persino distinguere chi dei due abbia detto cosa. Artemis si affretta ad alzare entrambe le mani per cercare di calmarli. «Mamma, papà… è tutto a posto. Sto bene. Vedete? Sono già a casa. Non mi sono fatto niente.»
«Come fai a essere già a casa? Non sei andato in ospedale?» protesta Angeline.
«Per che cosa? Non ho neanche un livido.»
«Avresti dovuto andarci ugualmente» lo ammonisce suo padre. «Ho parlato con gli avvocati. Hanno detto…»
«Papà» lo interrompe Artemis. «Ti ringrazio, ma non intendo agire in alcun modo contro quella ragazza. È solo un’attivista che lotta per il suo pianeta.»
Fowl senior sembra cercare le parole adatte per un po’. «Questo ti fa onore, Artemis, ma quello che è successo è molto grave. Quella ragazza avrebbe potuto ferirti, o peggio.»
«Ma non voleva ferirmi. Voleva manifestare contro di me, altrimenti avrebbe usato qualcosa di diverso dalla vernice» ribatte Artemis. Sospira profondamente, massaggiandosi gli occhi per un istante. «Sai per caso che cosa le hanno fatto?»
Suo padre si stringe nelle spalle. «Gli avvocati hanno detto che è in stato di fermo, ma ormai è stato un paio d’ore fa. Immagino che avremo altri aggiornamenti entro domattina.»
«Va bene.» Artemis passa in rassegna rapidamente varie ipotesi nella sua mente. «Domattina farò qualche telefonata e vedrò cosa posso fare per lei. Chiamerò l’addetta stampa e le chiederò di rilasciare un comunicato per dichiarare che non intendo sporgere querela e che Nea Atlantis condivide le posizioni degli attivisti sul cambiamento climatico. Mi consulterò prima con gli altri ragazzi della startup, ma credo che anche loro saranno d’accordo con me.»
«È una cosa molto nobile, Arty» dice Angeline dolcemente. La sua voce vibra di una profonda tenerezza. È veramente fiera di lui. «Tu stai bene? Non ti abbiamo nemmeno chiesto com’è andato l’incontro.»
«Cosa?» Artemis pare riscuotersi come da un sogno. «Oh… bene, direi. Uno dei soliti incontri ufficiali, sai. Niente di che.»
«Artemis» insiste Angeline a bassa voce. Lo scruta per quello che è possibile attraverso lo schermo. «Va tutto bene?»
«Certo, certo. È solo…» Artemis inspira lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. «Non lo so. A volte penso a cosa succederebbe se fallissi.»
Spinella s’accorge d’essersi protesa in avanti sul divano. È una fortuna che dall’angolazione del computer i genitori di Artemis non possano vederla, perché altrimenti avrebbero visto qualcosa d’invisibile, come uno sfarfallio, schiacciare i cuscini del divano. È la prima volta che sente Artemis esprimere un dubbio su un proprio piano, su se stesso, sul suo genio infallibile e costante.
«Sei solo stanco, Arty» gli risponde suo padre. «Non farti condizionare da quello che è successo oggi. Stai facendo qualcosa di mai tentato prima. Concentrati su questo.»
Artemis si sforza di sorridere, ma per qualche motivo il sorriso non sembra estendersi ai suoi occhi. Nella luce azzurrina dello schermo, le rughe sottili che li circondano sembrano farsi più accentuate e profonde; in momenti come questi sembra molto più vecchio di quanto non sia. Questo Artemis così dilaniato, dubbioso, Spinella non ricorda d’averlo mai visto. «Hai ragione, papà. Sono pensieri sciocchi. Non parliamone più. Voi come state?»
«Sei sicuro che non ci sia altro che vuoi dirci, Artemis?» insiste Angeline. «Mi sembri strano. C’è qualcosa che non va?»
Artemis scuote la testa. «Ha ragione papà, mamma. Sono solo un po’ stanco. Possiamo sentirci domani?»
«Artemis.» Gli occhi di Angeline sembrano sondare la stanza alle sue spalle per quanto possibile attraverso la telecamera. «Non è che per caso sei in compagnia di una persona speciale e non ce lo vuoi dire?»
Spinella non ricorda d’aver mai visto Artemis Fowl arrossire. Non è un bello spettacolo. Diventa rosso a chiazze su tutto il viso, sulle orecchie, sul collo, persino sulla nuca, ed esclama: «Mamma! Come ti viene in mente?»
Artemis Fowl Senior ha tutta l’aria di qualcuno che preferirebbe assistere a qualsiasi altra conversazione che quella, e sembra che intenda adottare una strana tattica basata sul fingere di non essere al fianco di sua moglie in quel momento.
«Sto solo dicendo che ci farebbe piacere» si affretta a specificare Angeline. «Sai che per noi andrebbe bene in ogni caso, vero? Anche se non fosse una ragazza, voglio dire. Vero, Timmy?»
Le guance di Artemis, che erano quasi tornate del loro consueto insalubre pallore, tornano a ricoprirsi di chiazze, mentre suo padre, sentendosi chiamato in causa mormora: «Angeline, ti prego…è stato appena aggredito. Lasciamolo stare.»
«Grazie del tuo sostegno, mamma» si sforza di dire Artemis. «Ma non ce n’è bisogno. Davvero.»
«Sto solo dicendo» riprende Angeline con voce bassa, ancora sorprendentemente dolce, e Spinella prova la fortissima sensazione che non dovrebbe essere presente a questa conversazione, ma che ormai sia troppo tardi per tirarsene indietro. «Che a noi andrebbe bene chiunque tu voglia frequentare, davvero. Che sia una ragazza o un ragazzo o…»
«O un troll» suggerisce Artemis ridendo appena, per spezzare la tensione e la solennità greve del momento. Sta scherzando, sebbene Spinella non possa fare a meno di rabbrividirne ugualmente d’orrore, e i suoi genitori ridono entrambi.
«O un troll, certo» ripete sua madre sorridendo; ha gli occhi pieni di dolcezza.
«O un’elfa» suggerisce Artemis infine.
Spinella si sente sprofondare; vorrebbe che il divano la inglobasse, scomparire, ed è lieta di essere schermata e che nessuno possa vederla avvampare, nemmeno Artemis, nemmeno lei stessa; e se nessuno la vede, poi potrà negare a se stessa che sia mai avvenuto.
È evidente che Artemis stava proseguendo lo scherzo sullo stesso tono di prima, ma per qualche motivo per Angeline quest’evidenza non appare chiaramente come per lei. La parola elfa sembra far scattare qualcosa di misterioso nella sua testa, perché d’improvviso il suo volto si trasfigura, e lei esclama: «Quindi quelle voci su te e Liv Tyler erano vere!»
Le sue parole scatenano due reazioni piuttosto diverse e contrastanti tra loro. La prima appartiene ad Artemis Fowl Senior, che chiede: «Chi è Liv Tyler?». La seconda invece appartiene ad Artemis Fowl Junior, che esclama: «Ci sono voci su me e Liv Tyler?»
«L’ho letto su una rivista da Helena» insiste Angeline. «Dopo quella serata di beneficenza per l’Unicef l’anno scorso. Non ti ho chiesto niente perché… Artemis, è vero?»
«Mamma.» Artemis parla con voce calma, chiara, con una punta appena d’ironia. «Ti prometto che, se mai dovessi fidanzarmi con Liv Tyler, sarai la prima a saperlo. Ma sono alquanto certo che abbia almeno una decina d’anni più di me e anche un figlio. Ti giuro che non sto frequentando nessuna persona al momento. Mi credi?»
Non è che Angeline sembri tanto convinta dalla sua versione; semplicemente non sa come indagare oltre. Suo marito le posa gentilmente una mano sul braccio. «Il ragazzo è esausto, Angeline. Lasciamolo stare. Arty, sei al sicuro adesso? Leale è con te?»
«Certo, papà. Sta preparando la cena.» La disinvoltura con cui Artemis mente la lascia sempre interdetta: se Spinella non fosse certa che Leale in questo momento si trova su una panca per addominali, quasi gli crederebbe. «Allora ci sentiamo domani, va bene? Abbracciate i ragazzi da parte mia.»
I suoi genitori lo salutano e riappendono, non si sa bene se rassicurati oppure no. Artemis rimane in silenzio per un po’ a guardare lo schermo vuoto del computer con aria estremamente stanca.
«Sono mortificato, Spinella» dice dopo un po’. «Non pensavo che la conversazione avrebbe preso questa piega.»
Spinella avrebbe voglia di irriderlo in un centinaio di modi diversi; ma non sa come cominciare. Spegne lo schermo. Artemis spalanca le braccia, mostrandole il petto come se vi fosse un bersaglio dipinto sopra, e dice: «Avanti. Spara.»
Spinella pesca a caso dalla decina di battute ironiche che le salgono tutte insieme alle labbra. «Liv Tyler, eh?»
Artemis si acciglia per un momento. «Questo è un mistero anche per me. Non ho idea di dove mia madre possa aver letto una cosa del genere, anche perché sono abbastanza sicuro che non ci abbiano mai fotografato insieme. Era a una serata di gala dell’Unicef, effettivamente, ma non ci hanno neppure presentati, perciò…»
L’idea che Artemis perda tempo a cercare di giustificarsi le strappa un sorriso. «Ma perché tua madre ha pensato a lei quando hai pronunciato la parola elfa
«Beh, perché…» D’improvviso cambia qualcosa negli occhi di Artemis che si spalancano come per un’epifania. Si alza lentamente dalla scrivania. «Aspetta un attimo. Tu non lo sai.»
Normalmente Artemis non è tipo a cui piaccia sottolineare l’ovvio. Spinella aggrotta la fronte. «Già, Artemis… è proprio questo il punto quando si fa una domanda. Te l’ho chiesto perché non lo so.»
 Artemis solleva il polso. Rimane a guardare l’orologio in silenzio per un istante, come indeciso tra due opposti partiti, prima di alzare gli occhi su di lei. «Ce le hai tre ore e mezza?»
 
Artemis riemerge dalla cucina portando cautamente in bilico una pizza già spicchiata, una gargantuesca ciotola di pop-corn e una bottiglia con due calici.
«L’ultima volta che ti ho visto, non sapevi neanche fare un panino» osserva Spinella con una certa preoccupazione.
«La pizza era surgelata» specifica Artemis come se dovesse discolparsi da qualcosa. «Andava solo messa in forno.»
«Meglio così. La cosa mi tranquillizza.»
Artemis sistema il cibo sul tavolino, dopodiché sfila dalla tasca della giacca, con la grazia di un consumato maitre da ristorante stellato, un cavatappi, e le porge un calice. Spinella lo prende con viva perplessità tra due dita.
«Artemis, posso ricordarti che…»
Artemis si limita a mostrarle l’etichetta della bottiglia come farebbe un sommelier per ricevere la sua approvazione prima di stapparla. C’è scritto: Tenute Fowl. Vino dealcolato biologico e biodinamico.
Spinella alza gli occhi su di lui. «Dealcolato?»
«Totalmente privo di alcol» spiega Artemis. «Abbiamo trovato un agronomo e un’enologa veramente in gamba e siamo riusciti a impiantare dei buoni vigneti Rondo sulle colline a nord della tenuta. A quanto pare, un monastero vicino produceva vino già in antichità, perciò sono riuscito a convincere mio padre a fare un tentativo. Siamo già al terzo anno di produzione con buoni risultati.»
«Anche il vino senz’alcol è una tradizione monastica irlandese?»
Artemis sorride del suo sorriso da vampiro. «Questa è un’innovazione di Artemis Fowl II, naturalmente. A mio padre l’ho fatta passare come un’idea per aprire il mercato anche a coloro che non possono bere per motivi religiosi o di salute, e devo dire che ha funzionato anche su quella fetta di clienti. Ma la verità è che ho sempre pensato che se mai avessi incontrato di nuovo qualcuno del Popolo sulla mia strada, sarebbe stato scortese non avere niente da offrirgli da bere.»
Spinella assaggia il vino sforzandosi di non pensare né al fatto che questo è uno dei soliti piani di Artemis Fowl che potrebbe farle perdere la sua magia né al fatto che Artemis ha impiantato un vigneto per produrre un vino che lei possa bere. Manda giù il primo sorso quasi con terrore; ma non accade niente. La sua magia sta benone, decide dopo qualche momento, il che significa che il vino è realmente del tutto privo della minima traccia di alcol; però è anche quanto di più simile alla sciacquatura di piatti all’aroma di uva abbia mai assaggiato. Posa il calice sul tavolino facendo finta di niente. L’acqua andrà benissimo anche stasera come tutte le sere della sua vita, anche se la sensazione di aver provato qualcosa di nuovo le lascia un pizzicore piacevole sulla punta delle dita.
«Posso far partire il film?» chiede Artemis sollevando il telecomando del lettore 4K.
Ora, non è che Il Signore degli Anelli sia del tutto sconosciuto per il Popolo. Copie pirata di questo film, ovviamente, sono circolate anche a Cantuccio, e Spinella è quasi sicura che Brucolo Algonzo se ne sia procurata una, qualche anno fa; ma non è un film che sia andato tanto per la maggiore, in verità. La rappresentazione degli elfi come creature alte, bionde ed eteree ha fatto sorridere per qualche mese, ma niente di più, e da qualcuno è stata giudicata anche profondamente razzista e insultante; di certo nessuno, tranne forse Polledro, che essendo un centauro non si sentiva chiamato in causa, s’è dato pena di imparare i nomi degli attori, e la faccenda si è comunque sgonfiata molto rapidamente dopo l’uscita dell’ultimo film della trilogia. Perciò questa è la prima volta che Spinella ha occasione di vedere La Compagnia dell’Anello.
Non è poi tanto male. Una volta che si affievolisce la stranezza di veder considerati elfi quelli che sono palesemente Fangosi con le orecchie a punta, e che le passa la prima ridarella, tutto sommato è un bel film, e a un tratto Spinella si sorprende a mangiare distrattamente fette di pizza seguendone anche la trama. Ogni tanto, con la coda dell’occhio, s’accorge che Artemis la guarda dall’altro lato del divano, separato da lei da un’enorme vasca di pop-corn. Forse dovrebbe sentirsi a disagio; ma la verità è che le sembra che non sia cambiato nulla da dieci anni fa, per stasera, solo questa sera. Lo lascia fare. Avrà tempo più tardi, domani, dopodomani, di ripensarci e dire a se stessa che è stato strano e inappropriato – per adesso le va bene mangiare pizza e guardare un film come se fosse con un amico perduto da troppo tempo.
Si appisola durante gli ultimi minuti di film. Il viaggio da Cantuccio l’ha sballottata troppo, e forse la giornata è stata troppo densa e ricca di avventimenti; forse non saprà mai che fine ha fatto il piccoletto moro cogli occhi grandi che è l’unico a sembrare non proprio un elfo, ma quantomeno un folletto, di tutti gli attori che hanno scelto. Si riscuote d’un tratto sui titoli di coda e si stropiccia gli occhi come una bambina prima di ricordarsi che ha le mani unte del burro dei pop-corn.
«L’attrice alta e mora, quindi» borbotta raddrizzandosi sul divano.
«Già.»
«Troppo carina per te, Fangosetto. E anche troppo alta. Mi dispiace.»
Artemis si stringe nelle spalle. «Speriamo che mia madre se ne faccia una ragione.»
Spinella si stira sul divano. Ha le gambe informicolite per esser stata seduta troppo a lungo in una posizione sbagliata. «Com’è che i tuoi hanno aspettato fino a oggi per farti il discorsetto sulla sessualità? Un po’ tardino per parlarti di api e fiori. A questo punto potevano aspettare il tuo pensionamento.»
Artemis scrolla le spalle. «Presumo perché non ho mai presentato nessuna ragazza a casa, nemmeno quando frequentavo l’Università. A volte mia madre si preoccupa perché pensa che… non so. Che io sia troppo solo, penso. O che non voglia confessarle qualcosa di me.»
«Ed è come pensa lei?»
Artemis sorride. «Quale delle due?»
«Non lo so. Quale delle due?»
Artemis concede a se stesso persino qualche secondo per vagliare seriamente entrambe le alternative. Questo, per come la vede Spinella, è uno dei suoi rari abissi di sincerità e introspezione. «La seconda sarà sempre vera, in un certo senso. Ma solo no, non direi. Non adesso, comunque.»
È stato tanto solo, sai, grida dentro di lei quell’accusa continua, che in questo momento parla con la voce di Leale ed echeggia le parole che le ha detto sull’aereo, qualche ora fa, forse una vita fa; Spinella guarda fisso davanti a sé, con la bocca improvvisamente asciutta, e dice: «Artemis… mi dispiace di non essermi mai fatta sentire in questi dieci anni.»
Sarebbe più semplice se adesso Artemis parlasse, se la interrompesse; se prendesse la parola, in questo spazio di tempo che Spinella ha frapposto tra le proprie parole, per dirle che non importa, che non c’è bisogno che si scusi, che… ma Artemis si limita ad ascoltare, e allora lei è costretta a continuare. «Ci ho pensato, qualche volta. Ma la verità è che, per come sono andate le nostre vite dopo quel giorno…non avrei avuto nulla da dirti né da chiederti.»
Artemis aspetta un po’, per accertarsi che lei abbia proprio finito di parlare, e mormora: «Lo immaginavo. Ma grazie di averlo detto.»
«Comunque avresti potuto farti vivo anche tu» aggiunge Spinella scherzando, per spezzare quella tensione che si sta facendo troppo carica di dolore e rimpianto. Artemis non ride, però.
«Ci ho pensato davvero, sai, qualche volta. Ma…»
«Ma?»
«Ma senza il mio genio e i miei piani criminali, ero un ragazzino come un altro» risponde Artemis semplicemente. «Neanche io avevo niente da raccontarti, forse. Che potevo fare? Cercare di contattarti per dirti cosa? Che mi diplomavo, che mi laureavo, che andavo al primo ballo della scuola? A un tratto ho realizzato che l’unica cosa che mi aveva unito a te era la mia attività criminale, e che ora che mi stavo sforzando di restare sulla retta via saremmo stati destinati a non vederci mai più; ma ho continuato comunque, perché…»
D’un tratto la risposta a quel perché le pare importante, fondamentale, come se fosse la chiave di tutto, e fosse raggiungibile, a portata di mano e finalmente tangibile, concreta: Spinella si volta verso di lui e domanda: «Perché, Artemis?»
«Perché ho continuato a ripetere a me stesso che se fossi tornato quello di un tempo, allora ti avrei delusa per l’ultima volta» mormora Artemis guardandola negli occhi. «E non volevo correre un simile rischio.»
I suoi occhi sono rimasti dello stesso azzurro doloroso, intenso, che Spinella ricorda ancora da dieci anni prima; sono tremendamente sinceri, adesso; ma proprio questo le fa provare un grande dolore. «Allora perché stai facendo questo alla mia gente?»
Artemis sorride con una certa amarezza distogliendo lo sguardo da lei. Rimane a fissare le proprie mani per un po’. «Posso farti notare che sei qui da sola con me?»
Spinella agita una mano come per scacciare quel pensiero privo di significato. «Che c’entra? Anche tu sei qui da solo con me. Che cosa significa questo?»
«Appunto. E tu sei armata fino agli occhi. Il fatto che io abbia comunque congedato Leale non ti dice niente?»
Spinella non trova dentro di sé nessuna risposta plausibile per quella domanda. Rimane a fissarlo senza dire niente.
«Ho congedato Leale perché so che non mi faresti mai del male, Spinella, e perché non permetteresti mai che me ne accada, se è in tuo potere evitarlo. E io credo che tu abbia accettato di restare sola con me per tutto questo tempo perché nonostante tutto ti fidi di me ancora a sufficienza da pensare che neanche io ti farei mai del male. Mi sbaglio?»
Spinella scuote lentamente la testa. Non è in grado di articolare alcun pensiero, tantomeno parole: le gira quasi la testa. Artemis la guarda sospirando profondamente. È enormemente stanco.
«L’unico modo per non trovare qualcosa in nessun modo, nemmeno per sbaglio, è sapere benissimo dove si trova e cercare da tutt’altra parte. Spinella, chiunque si fosse aggiudicato quel bando dell’Unione Europea avrebbe potuto trovare Cantuccio o Atlantide in modo del tutto accidentale. L’unico modo per essere sicuro di non rivelare mai la vostra civiltà era aggiudicarmelo io e scavare esattamente dove so che non si trova niente. Adesso capisci?»
Ora la testa le gira davvero, tutti i pezzi si stanno rimettendo insieme, girando a una velocità vorticosa nella sua mente. «Non hai mai voluto rivelare l’esistenza del Popolo.»
«Non credevo di dovertelo dimostrare ancora» risponde Artemis pazientemente. «Comunque, no. Tantomeno ora.»
«Quando hai detto a tuo padre che hai paura di fallire, stavi mentendo.»
Artemis abbassa gli occhi. «Non è che questo mi piaccia, ma non ho altra scelta. Faremo partire gli scavi ed eseguiremo importanti carotaggi e analisi sulla crosta terrestre, ma poi è essenziale che il progetto finisca per naufragare, in modo tale che a poco a poco perdano interesse su questa tipologia di studi e tutto finisca nel dimenticatoio. Il rischio, altrimenti, è che vengano lanciate altre iniziative del genere. Dopo il fallimento di Zito, pensavo che non ce ne sarebbero più state per decenni, ma mi sbagliavo. All’Unione Europea il suo progetto ha fatto gola.»
«E questo come intendi farlo accadere?»
Artemis tace per un momento. «Boicottaggi.»
Spinella impiega qualche istante a comprendere il senso di quello che Artemis intende dire. «Vuoi boicottare il tuo stesso progetto?»
«Certo. Chi pensi che finanzi gli attivisti per il clima?»
«Quindi anche la ragazza che ti ha aggredito lavora per te?»
Artemis si sforza almeno di assumere un’aria colpevole. Non che gli riesca molto bene. «A sua discolpa, lei non lo sa. È in buona fede. Il suo gruppo pensa di essere finanziato da un membro minore della famiglia reale danese che per ovvi motivi preferisce rimanere anonimo.»
«Leale lo sa?»
L’aria colpevole di Artemis si fa autentica, ora, e la sicurezza nei suoi occhi vacilla per un istante. «Non di oggi. È solo che non avrebbe approvato che io corressi il minimo rischio, anche solo per finta» si affretta a specificare. «E poi, non ero sicuro che sarebbero riusciti ad arrivare fino a me. L’avrei messo in allarme per niente.»
Spinella lascia perdere questa discussione perché sente che è già persa in partenza. «Lasciamo stare, Artemis. Questi boicottaggi…»
Artemis li enumera sulle dita. «Saranno di varie tipologie, dai flashmob pacifici fino a vere e proprie manomissioni dei laboratori e degli strumenti di scavo che andranno avanti per anni. Questo farà salire i costi finché non saranno più sostenibili.»
«Ma i tuoi collaboratori...»
«Accumuleranno un tale numero di pubblicazioni a loro nome che potranno lavorare per qualsiasi azienda o università desiderino» conclude Artemis. «Spinella, andiamo… vincono tutti. Io, il Popolo, gli studiosi, gli attivisti, la scienza.»
«E tu ti intaschi un po’ di fondi da parte dell’Unione Europea.»
Artemis sorride di un sorriso triste. «Pensi davvero quello che hai detto?»
Spinella lo guarda negli occhi finché la sicurezza che prova in petto vacilla. «Va bene. Ma allora perché non hai contattato il Consiglio e spiegato il tuo piano? Ci avresti risparmiato tanto allarme, e forse avrebbero persino potuto aiutarti.»
«Volevi proprio trovare un atto di egoismo, quindi» risponde Artemis, alzando le mani come colto in fallo. «Va bene. Perché speravo che sentendosi con le spalle al muro avrebbero mandato te a cercare di farmi cambiare idea. E, come vedi, ho avuto ragione. Come sempre, del resto.»
Spinella si lascia sprofondare nel divano. Scuote la testa lentamente mentre un’ondata di sollievo le scuote il petto come un singhiozzo che non trova voce: continueranno a nascondersi come ratti e come topi, dunque, ma Artemis non li ha traditi. In fin dei conti è per questo che è venuta fin quassù – per guardarlo negli occhi e sentire dalle sue labbra quello che dentro di sé non ha mai voluto smettere di credere. Che è ancora l’Artemis di dieci anni fa, con cui è strisciata sulle pareti e nel fango, e che nonostante tutto non l’ha abbandonata.
Artemis l’osserva in silenzio, compostamente, per un po’. Quando parla di nuovo, la sua voce ha un accento nuovo, inusitato, eppure stranamente calmo. «Se anche avessi voluto distruggere Cantuccio, non l’avrei fatto per te.»
Ha il suono di chissà quale dichiarazione altisonante, un po’ patetica, troppo grossa per quel divano, per quella notte, per quella vasca enorme di pop-corn che li separa. Spinella ride. «Non so cosa volessi dire, Fangosetto, ma non ti è uscita bene. Sembra una cosa che potrebbe dire uno psicopatico.»
Artemis sembra riascoltare la frase un paio di volte nella sua testa, confuso per un istante, e va a finire che ne sorride anche lui. «Hai ragione. Ma ti giuro che nella mia testa suonava meglio. Ci riproverò un’altra volta.»
Spinella non spreca tempo né energie a indagare né a chiedere, forse neanche vuol sentirselo dire. Sente che quelle parole hanno un significato troppo grande per affrontarlo, e che se le guardasse direttamente non potrebbe più fingere di ignorarlo. Si concede di appoggiarsi allo schienale del divano e chiudere gli occhi per un momento.
La voce di Artemis galleggia nell’aria da qualche parte vicina alla sua testa. «Posso farti una domanda?»
«Prova» risponde Spinella scrollando le spalle. «E io posso non risponderti?»
«Com’è stata la tua vita?»
Artemis non sa né pensa quale groppo prenda la sua gola a questa domanda, forse perché è andato avanti, lui, come gli altri, come tutti; ma per lei è come sprofondare, ritornare in quel vortice dal cui gorgo che l’avvolge lei vede le vite degli altri proseguire sfrecciando intorno alla sua, mentre lei invece rimane immobile schiacciata dalla forza centripeta e non può annegare né risalire. Come dirgli che in questa vita Spinella si sente impotente come se fosse prigioniera al centro di un cristallo, che soffoca; che la notte popolano i suoi sogni fiori di fuoco arancione che è troppo stanca per affrontare di nuovo, e di nuovo, e di nuovo, notte dopo notte, giorno dopo giorno, dal mattino alla sera, sola; che in questa vita che testardamente si è scelta a volte vorrebbe solamente sospirare e piangere, rimpiangere, e finalmente guardare dentro se stessa e ammettere ad alta voce che la morte di Tubero le ha portato via qualcosa che prima non conosceva o forse neppure sapeva di possedere, ma che credeva fosse parte di lei come gli occhi e la punta delle dita, tanto importante e fondamentale, come l’anima o come il cuore, da non meritare neppure un nome proprio; e che ancora adesso il nome di quella parte di sé che le manca non lo sa. Vede soltanto il vuoto che ha lasciato. Vorrebbe aver saputo come si chiamasse quella parte di lei, sapere fin da subito che era importante; stringere le dita, forse, e non permetterle di scappare, come a un uccellino; ma forse non è così che l’avrebbe trattenuta, tenendola ferma, perché quella parte di lei non è scappata. È morta, e sarebbe rimasta morta tra le sue dita, come l’uccellino, se l’avesse trattenuta.
Artemis deve rendersi conto d’averle fatto una domanda troppo scomoda, difficile, un istante dopo averla posta, perché d’improvviso cerca di tirarla indietro. «Perdonami, Spinella. Non volevo essere indiscreto. Non…»
«È stata diversa da come avrei voluto» dice Spinella ad alta voce, e Artemis l’osserva in silenzio per un momento, per cercare sul suo volto qualcosa che gli dica se può chiedere ancora o se deve fermarsi. Non lo trova, e Spinella neppure lo guarda; allora Artemis si sbilancia e parla ancora.
«Peggiore?»
«Sì» risponde Spinella dopo un momento. È la prima volta che lo dice ad alta voce. «Peggiore.»
«Allora resta qui.»
Questa volta, lentamente, molto lentamente, Spinella si volta verso di lui e lo guarda. Non chiede: aspetta. Che questa sia una proposta o un’offerta, o piuttosto una richiesta, vuole sentirla dalle sue labbra senza bisogno di aiutarlo. Artemis Fowl di cose gliene ha chieste tante, ma questa le batte tutte.
«Resta con me, Spinella. Tu sai che qui potresti avere tutto quello che vuoi.»
Spinella aggrotta un sopracciglio. Quel pensiero l’ha quasi fatta sorridere. «Una frase troppo da Fangosetto riccastro persino per te, non trovi?»
«Davvero?» risponde Artemis, e la sfida di scetticismo che alberga nelle sue parole si sospende nell’aria tra di loro, si sfilaccia, si allunga: Artemis è scettico perché non crede alle sue parole. «Spinella, che cos’è che hai sempre voluto?»
Per un attimo riprende il sopravvento la vecchia lei, quella della LEP e dei tuffi con la navetta fino al cuore della Terra, ancora un po’ più vicino fino a sentirsene bruciar le nocche, e delle sfide e dei voli in superficie, coi delfini e coi gufi, nella notte infinita nel tempo e nello spazio. È lei che risponde a questa domanda, perché Spinella queste parole non avrebbe più il coraggio di pronunciarle ad alta voce.
«Avventure» dice senza pensare. «E libertà.»
Gli occhi di Artemis sono tremendamente seri. «Perché hai pensato che ti offrissi qualcosa di diverso da questo? Resta qui, Spinella. Con me, come una volta.»
«Come no, Artemis. Per il bel gusto di perdere la mia magia, giusto?»
«Non la perderesti» risponde Artemis con una sicurezza che la sorprende. «Ho consultato il Libro in lungo e in largo. Non perderesti mai la tua magia stando qui col mio consenso.»
Spinella china il capo sulle proprie ginocchia e ride scuotendo la testa. «Ci hai pensato tanto, eh?»
«Ci ho pensato» dice Artemis semplicemente. «Hai qualcosa da perdere?»
L’improvvisa realizzazione che no, qualcosa da perdere non ce l’ha è come aceto sulla carne scoperta di una ferita: per non sentir bruciare, per non dover guardare verso la ferita dentro di sé che non vuole vedere, Spinella cerca ovunque qualcosa da rispondere a quella domanda. «Tu non mi offri libertà, Artemis. Tu saresti libero ovunque, mentre io sarei reclusa qui, senza potermi far vedere, in eterno.» Ma dentro di sé sa che non è questo che teme veramente; che quella voce, dentro di lei, ancora sussurra ai margini della sua coscienza che è stanca, sempre più stanca di nascondersi come un ratto; e che nascondersi in superficie è sempre un po’ meno peggio che sottoterra.
Artemis non batte ciglio. «Non posso controbattere a questo, Spinella. È ovvio che è come dici tu. Ma pensa a tutto ciò che ti offro in cambio: ho tanti progetti, anche per migliorare il mondo. Progetti onesti eppure grandiosi. Tu potresti farne parte insieme a me.»
«Tu morirai prima di me.» Spinella non riesce a credere di averlo detto ad alta voce: perché è orribile, prima di tutto, e perché è come ammettere che una parte di lei sta prendendo in considerazione l’idea come se fosse reale, plausibile, persino valutabile in termini che siano razionali e realistici e possibilistici, e non come se fosse la farneticazione di un insensato; ma in questa notte irreale e infinita, in questa missione che non comparirà negli archivi né nelle registrazioni, l’ipocrisia e i silenzi non hanno più scopo, ormai. Si possono dire ad alta voce parole indicibili.
Artemis non sa come reagire per un istante.
«È stato sciocco da parte mia» mormora infine. «In qualche modo, pensavo che questo non ti avrebbe spaventata.»
Spinella sorride tra sé. «Non sfidarmi, Fangosetto. È un colpo basso.»
«Perdonami, Spinella» risponde Artemis. La sua voce è tornata serena d’improvviso, la tensione è svanita: la conversazione è finita, quantomeno su quell’argomento. Non ha vinto nessuno. «Dovevo almeno fare un tentativo. Se non l’avessi fatto, non me lo sarei mai perdonato.»
Sul suo volto c’è un’imperscrutabile melanconia che Spinella riconosce come se fosse la sua propria sul volto di un’altra persona. Perché la riconosce come se fosse una cosa proprio sua?
«Neanche tu sei andato avanti» dice d’improvviso. «Sei rimasto anche tu a quel giorno di dieci anni fa. A me e te che ci arrampichiamo su quel tempio, soli contro tutto il mondo.»
Artemis ha l’espressione di qualcuno che veda d’un tratto rivelato, inaspettatamente, un segreto che credeva d’aver ben custodito e nascosto in un luogo in cui nessuno sarebbe andato mai a guardare. Abbassa lo sguardo distogliendo gli occhi dai suoi.
«Puoi biasimarmi?»
D’un tratto Spinella scopre che in quel punto misterioso del tempo in cui è rimasta invischiata per anni, prigioniera come in una rete del dramma della sua vita, per tutto questo tempo non è rimasta mai sola. C’era anche Artemis, nello stesso punto del tempo sebbene in un luogo diverso, prigioniero esattamente come lei di un istante in cui la vita gli era sembrata più avventurosa e più piena, incapace di guardare al futuro senza tornare continuamente lì. Questo pensiero è enormemente triste eppure stranamente confortante, perché Artemis, in quel punto del loro passato di cui entrambi sono prigionieri come nella tela di un ragno, ha trovato una via di fuga e le ha prospettato una vita che può ancora essere bella. Non che Spinella a questa nuova vita e a questa scappatoia riesca a credere; ma è confortante vederla, come attraverso una feritoia o una finestra, al di fuori della gabbia che lei stessa si è costruita.
«No, Artemis, non posso» risponde. Si sente stanca, spossata, come svuotata insieme della sua magia e delle sue forze, ma si sforza ancora, egualmente, di sorridergli. «Grazie di aver cercato una soluzione che salvasse entrambi.»
«Come sempre» dice Artemis.
«Come sempre» ripete Spinella.
 
Si sveglia la mattina anchilosata, quasi incastrata tra un bracciolo e il cuscino del divano. Artemis deve averla coperta con la sua giacca quando si è addormentata: le fa strano trovarsela in grembo quando si solleva a sedere. È stato quasi un gesto da gentiluomo, anche se non gli darà mai la soddisfazione di dirglielo.
Artemis è in piedi dietro il grande angolo bar del salotto, in maniche di camicia, ad affettare qualcosa con una cura metodica che probabilmente serve solo a supplire alla sua terrificante carenza di manualità. Per un attimo Spinella teme che abbia ceduto alla tentazione di farsi un drink alle undici e mezza del mattino, ma, quando si solleva sul divano per vedere al di là del bordo del tavolo, vede soltanto frutta su un tagliere. Perlopiù mirtilli, fragole e fette di banana tagliate tanto malamente che, se venissero ricomposte, non ricostituirebbero mai più la banana originale. Artemis è concentrato come per un intervento chirurgico.
«Non ti sai neppure preparare la colazione senza Leale?»
«So fare il caffè» risponde Artemis senza degnarsi di alzare gli occhi su di lei, tutto intendo ad aprire un mango. «E tostare il pane. Però ho pensato che ti potesse andare un frullato con uno yogurt alla frutta. È tutto biologico e lo yogurt è prodotto in casa con una yogurtiera» si sente in dovere di specificare.
«Questo non risponde alla mia domanda, lo sai?»
Il silenzio che segue lascia intendere che a questa domanda il grande Fowl ritiene non necessario rispondere. Dopo lunghi minuti, Artemis le porge una ciotola di yogurt carica di frutta. Spinella lo ringrazia con un cenno.
Giocherella per un po’ col cucchiaio semiaffondato nella massa bianca, senza decidersi a sollevarlo. «Artemis, senti. Riguardo a…»
«Non rispondere.»
Spinella si posa sospirando la ciotola sulle ginocchia. «Perché no?» Artemis rimane in silenzio. «Perché tutte quelle domande e quelle proposte per poi non voler neppure sentire la mia risposta?»
«Perché vorrei soltanto che tu ci riflettessi» risponde Artemis. «Io sarò sempre qui, Spinella. Non voglio una risposta subito, perché quello che ti ho chiesto è troppo grande e troppo impegnativo per una sola notte. Hai tutto il tempo del mondo.»
«Non tutto il tempo» gli ricorda Spinella. Le stringe il cuore una presa dolorosa.
La serenità dello sguardo di Artemis vacilla per un istante. «No, non tutto il tempo, è vero» risponde chinando gli occhi sul tagliere. «Ma hai lo stesso tempo che ho io. Per una volta siamo pari.»
Lo stesso tempo che ha lui, una vita breve, mortale, o quantomeno più della sua. Spinella mescola lo yogurt pensierosamente. «Forse dovresti trovarti una Fangosetta della tua età, Artemis. Una in grado di tenerti testa, come la giornalista di ieri pomeriggio, e pensare a metter su famiglia. Forse sarebbe la cosa migliore per tutti.» Forse almeno lui potrebbe andare avanti da quel giorno di dieci anni fa, mormora la voce dentro di lei.
Il suono del frullatore appena acceso riempie l’aria con il clamore di un piccolo vortice domestico. «Forse sì. Ma forse questo non è uno di quei film cliché in cui bisogna trovare l’amore per essere felici e l’amore basta per sanare tutto quanto» dice Artemis. «Io e te sappiamo entrambi che è diverso quello che cerchiamo. Soltanto, se posso chiederti un favore…»
La sua esitazione la sorprende. Spinella alza lo sguardo su di lui per invitarlo a proseguire.
«Se dovesse essere un no, non dirmelo.» Per la prima volta da molto tempo, quelle parole sembrano costargli un notevole sforzo. «Io lo capirò ugualmente… ma lasciami l’illusione di questa notte trascorsa a guardare un film come se un giorno potesse diventare reale.»
Le sue parole hanno un che di straziante cui Spinella non può permettersi di cedere. Prova il bisogno d’ironizzare. «Siamo diventati sentimentali, eh?»
Artemis sorride. «Forse, ma che rimanga tra me e te. Io lo negherò sempre.»
Lo yogurt e il frullato sono molto più commestibili del vino di ieri sera e al momento, per quanto ne sappia Spinella, rappresentano anche la massima vetta culinaria mai raggiunta da Artemis; ma una volta finita la colazione, non rimane altro da dirsi. Artemis si rimette la giacca e l’accompagna a una terrazza da cui possa levarsi in volo.
«Andrai subito dal Consiglio?»
«Manderò un messaggio per tranquillizzarli fino al mio ritorno» risponde Spinella calandosi l’elmetto sulla testa. È strano tornare a indossare la divisa, anche se solo per qualche giorno e in modo ufficioso. Non se la sente più giusta addosso, come la pelle di qualcun altro. «Ma mi sono presa un mese di ferie, e non intendo tornare fino a che non l’avrò fatto tutto.»
Artemis sogghigna. «Mi pare giusto.»
Spinella si accovaccia sul davanzale. Con la visiera dell’elmetto abbassata, salutarsi è più facile e meno doloroso. «Porgi i miei saluti a Leale.»
«Lo farò» promette Artemis.
«E cambia enologa, Fangosetto. Per essere il mio primo sorso di vino, è stato agghiacciante.»
Questa volta Artemis ammutolisce per un attimo. Decisamente questa non se l’aspettava. «Ah. Grazie del feedback.»
Quando Spinella accende le ali, d’improvviso Artemis pare ricordarsi qualcosa che gli è appena balenato in mente.
«Quasi dimenticavo» dice sfilandosi un’anonima busta di carta bianca da lettere dalla tasca della giacca. Gliela porge. «Leggi pure con calma. Uno è un modulo che dovresti compilare. Non sono certo che abbia valore per la tua gente, ma valeva la pena tentare.»
Spinella prende la busta un po’ perplessa. «Cos’è, devo metterci i miei dati personali?»
Artemis si stringe nelle spalle. «Non conoscevo la tua data di nascita, e non sta bene chiedere l’età a una signora. Perciò, direi di sì.»
Questo Fangosetto non cesserà mai di sorprenderla. Nonostante la visiera dell’elmetto abbassata, Spinella gli sorride, ed è certa che Artemis il suo sorriso l’abbia visto, perché le risponde, prima di levarsi in volo. Artemis rimane in piedi sulla terrazza, col naso all’insù, a osservarla svanire nell’aria in un luccichio lontano come vapore.
Spinella mette una trentina di chilometri in linea d’aria tra lei e Casa Fowl prima di fermarsi, appollaiata sulla cima di un albero, e di tirare fuori la busta da una tasca. Contiene due fogli: il primo è scritto in gnomico, ma è battuto a macchina, e contiene righe di testo interrotte da numerosi spazi bianchi. È il modulo da compilare: Spinella lo scorre rapidamente. È una dichiarazione, firmata di pugno da Artemis, che attesta che lei è sempre autorizzata a entrare in casa sua. Un permesso firmato potrebbe persino reggere in tribunale, considera Spinella sorridendo mentre se lo ripone in tasca. Deve ricordarsi di chiedere a Polledro se ci sono precedenti.
Il secondo foglio è sempre in gnomico, ma è scritto a mano con la grafia incerta di qualcuno che conosca la scrittura ma non sia mai stato corretto da un insegnante. È una lettera. C’è qualche errore sintattico qua e là, ma nell’insieme è comunque più corretto di come scrivono tanti agenti della LEP. C’è scritto:
Ho pensato tutta la notte alla frase che ti ho detto e che nella mia testa suonava meglio. Questa mattina ho concluso che la frase era corretta nella forma, ma non esprimeva comunque al meglio quello che avrei voluto dirti e che forse avrebbe richiesto qualche parola in più. Quello che avrei dovuto dire era: se anche avessi voluto distruggere Cantuccio, non l’avrei fatto perché tu mi hai cambiato. Ma ora che rileggo questa frase mi rendo conto che non è ancora corretta, perché potrebbe voler dire che tu mi hai cambiato contro la mia volontà e senza che io vi apportassi una mia attiva partecipazione. Dunque quello che volevo dire era: non l’avrei fatto perché tu hai fatto in modo che io volessi cambiare. Il mio cambiamento è avvenuto grazie a te, ma perché l’ho voluto io. Spinella, grazie di avermi spinto a diventare migliore. Ti amo.
Spinella legge la lettera un paio di volte finché non diventa dolorosa nella sua gola come una lama, dopodiché la ripone in tasca, con un po’ più di cura della prima volta, e si alza in volo. Batte i tacchi per prendere velocità e si dirige verso sud.
Ha ancora un permesso per Disneyland, del resto, e intende goderselo fino in fondo. Avrà tempo poi per pensare al resto, quantomeno lo stesso tempo che ha Artemis.
 
Fine
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Artemis Fowl / Vai alla pagina dell'autore: Afaneia