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Autore: Fiore di Giada    19/02/2024    1 recensioni
[Partecipante alla challenge "500themes_ita" col prompt 85, Arrendersi alla disperazione]
Storia nata da un generatore casuale di incipit.
Si strinse le gambe contro il petto e cominciò a dondolarsi, lo sguardo fisso nel vuoto. Che senso aveva combattere?
Tutto, in quel momento, era inutile.
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sentiva odore di gas ancora prima di aprire la porta.
Aleksej si frugò nelle tasche della giacca, prese un fazzoletto di seta e si coprì la bocca. Qualcosa era accaduto, ne era sicuro.
Scrollò con energia la maniglia della porta, ma essa non si aprì.
Irene, perché? Perché non mi rispondi?, si chiese, sempre più turbato. Quel sospetto si stava tramutando in una certezza dilaniante.
Scosse la testa. No, non aveva senso esitare.
Si allontanò di qualche metro dalla casa, corse e schiantò la sua spalla contro l'uscio.
Con un forte fracasso, la porta si aprì.
Il giovane si passò una mano tra i capelli biondi. Per fortuna, aveva continuato a praticare sanbo, fedele alle sue origini russe.
Si coprì di nuovo la bocca col fazzoletto ed entrò nell'abitazione. Doveva trovare la fonte di quell'odore persistente e aprire le finestre.
E cosa era successo a sua sorella?
Lanciò brevi sguardi ora a destra, ora a sinistra.
Su un divano, scorse il corpo immobile di una giovane donna di media statura, snella, dai lunghi capelli castani, vestita d'un lungo abito bianco.
Aleksej sbarrò gli occhi. No, non poteva essere accaduto!
Si scosse dal suo sbigottimento e girò la testa verso sinistra.
Il suo sguardo si posò sul piano cottura.
Si avvicinò alle manopole, le esaminò e le chiuse.
Per alcuni istanti, rimase immobile. Quello sforzo era per lui ridicolo, eppure gli sembrava di avere il corpo di piombo.
Ma non poteva arrendersi.
Sua sorella poteva essere salvata.
Si avvicinò alla finestra e la aprì.

Diversi minuti dopo, il giovane si tolse il fazzoletto dalla bocca e inspirò. Non sentiva più l'odore del monossido di carbonio.
Si avvicinò alla sorella, ancora distesa, e, cauto, le sfiorò il collo con le dita.
Un brivido gelido attraversò il braccio del giovane. La sua meravigliosa sorella adottiva era morta.
Il suo cuore non batteva più e nessun respiro sollevava il suo petto immobile.
Le lacrime velarono gli occhi grigioverdi del giovane. Irene, con determinazione, aveva scelto il suicidio.
E lui non riusciva a comprenderne la ragione.
Le gambe, d'improvviso, crollarono sul pavimento e Aleksej si coprì gli occhi con le mani. No, era solo un orrendo incubo.
Doveva essere così.
Quella creatura inerte, simile ad un manichino, non era la sua meravigliosa sorella.
Diverso tempo dopo, il giovane allontanò le mani dal viso e fissò lo sguardo sul divano.
Le lacrime, sempre più impetuose, bagnarono le sue guance e deboli singhiozzi scossero il suo petto.
E' ancora lì. Non ha senso chiudere gli occhi., si disse, disperato. Come aveva potuto pensare di mutare la realtà? Il suo amore fraterno, per quanto forte, non avrebbe ridato la vita a Irene.
Si guardò attorno. Una sola, dilaniante domanda tormentava la sua mente.
Perché? Perché aveva preso una simile decisione?
Si strinse la testa tra le mani e un tremito convulso scosse le sue spalle. Al dolore si aggiungeva il senso di colpa.
Lei era una ragazza stupenda, ma la sua indole schiva le rendeva difficoltoso mostrare i suoi sentimenti.
A fatica, come un ubriaco, Aleksej si alzò. No, non doveva trovare alcuna scusa al suo fallimento.
Come suo fratello maggiore, era suo compito capire.
Ma aveva fallito.

Una busta di carta blu, collocata al centro del tavolo, attirò la sua attenzione.
Il giovane la prese e un amaro sorriso sollevò le sue labbra. Irene aveva sempre amato la carta da lettere profumata.
Ne era sicuro, quella era una lettera d'addio e racchiudeva un frammento della sua anima.
Per alcuni istanti, la tenne tra le dita, come se stesse stringendo un reperto archeologico.
Poi, aprì la busta, trasse un foglio e lo squadernò.

Caro Aleksej
Oggi, è il mio ultimo giorno. Voglio andare da lui.
Voglio rivederlo.
Forse, tale desiderio non è mai svanito, anche se ci ho provato.
Nicolas è sempre con me e io so che richiama la mia presenza.
Almeno nell'Aldilà, lui vuole esaudire il nostro sogno d'amore, che è stato spezzato troppo presto.
E voglio rivedere i suoi caldi occhi neri e toccare la sua pelle ambrata.
Tremo, mentre scrivo queste righe. Quel ricordo non mi ha mai abbandonato.
Lo rivedo ancora, mentre cade sull'asfalto, investito da quella troia ubriaca.
Il suo sangue macchia le mie mani e io fatico a ricordarmi che è un riflesso della mia pena. Vorrei urlare la mia rabbia, ma non posso. La legge ha voluto assolvere quella stronza e il suo fidanzato, per la loro alta posizione sociale.
Il giudice ha creduto alle loro stronzate e Nicolas è stato dipinto come un idiota.
E lui era la vittima di quei bastardi!
Ricordi i loro sorrisi compiaciuti, mentre uscivano dall'aula?
Non hanno avuto nessun pudore.
Si sono presi gioco della mia amarezza e delle tue lacrime.
E io, per avere espresso un odio legittimo, sono stata considerata quasi una malata di mente.
No, non ho più intenzione di sopportare queste regole assurde.
Non voglio più sentire gli sguardi pietosi del prossimo, perché non voglio perdonarli.
E sai qual è la beffa? Io sono considerata cattiva perché godo delle loro disgrazie.
Ma perché dovrei ostentare una pietà che non sento? Loro l'hanno avuta verso di me? E verso di noi?
Bene, non devono aspettarsi alcun riguardo.
Anthony Dini è paralizzato da un ictus e il suo degno genero, Klaus Vogel, è morto in un incidente di moto.
Shanna Dini piagnucola e io rido, anche se la mia pena non scompare.
Lui mi chiama, fratello mio, e io voglio rivederlo.
Questo desiderio arde nella mia anima. Voglio domandargli perdono per non avergli saputo dare giustizia.
Perdonami, Aleksej, per quello che sto per fare, ma lo dovevo a me stessa.
Due anime, destinate a stare insieme, non possono viaggiare separate.
Tua affezionata Irene

Con un flebile lamento, Aleksej si abbandonò sul pavimento, il corpo scosso da singhiozzi.
La lettera sfuggì dalle sue mani e cadde sul pavimento, senza alcun rumore.
L'uomo strinse le labbra, ma le lacrime fluirono sul suo viso. Tutto, in quel momento, era chiaro.
Irene non aveva dimenticato la tragica morte del suo fidanzato, Nicolas Durand.
E ne comprendeva la ragione.
Quel giovane francese, innamorato della Toscana, era per lui un fratello.
E quell'orribile incidente, due anni prima, lo aveva strappato al suo affetto.
Ma sua sorella era stata annientata da quella morte ingiusta.
− Perdonami, Irene… Perdonami se non ho capito il tuo dolore, sorella mia… − sussurrò. Non aveva saputo andare oltre le sue maschere sorridenti e la sua voce gentile, ma ferma.
E ora la punizione, implacabile, lo colpiva.
Si strinse le gambe contro il petto e cominciò a dondolarsi, lo sguardo fisso nel vuoto. Che senso aveva combattere?
Tutto, in quel momento, era inutile.
   
 
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