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Autore: TeKalliste    19/02/2024    1 recensioni
Erano ormai quattro giorni che pioveva, tre giorni che lui non si vedeva al Musain, due che Enjolras lo cercava per tutta Parigi. Ogni bettola che frequentava, ogni prostituta, ogni ubriacone ai margini delle strade si stringeva nelle spalle in risposta alle sue domande, come se non l’avessero mai visto. Come se Grantaire avesse smesso di esistere nell’attimo in cui lui stesso lo aveva cacciato dal Café.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Combeferre, Courfeyrac, Enjolras, Grantaire, Jehan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, lettori! La one shot è tratta dalla challenge La Sfida del Bucaneve del gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia - Fanart e Fanfiction.
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IL DISEGNO

La pioggia stava iniziando a cadere più fitta e l’aria a farsi più gelida. Ogni folata di vento, però, rafforzava in Enjolras il proposito di ritrovarlo. Erano ormai quattro giorni che pioveva, tre giorni che lui non si vedeva al Musain, due che Enjolras lo cercava per tutta Parigi. Ogni bettola che frequentava, ogni prostituta, ogni ubriacone ai margini delle strade si stringeva nelle spalle in risposta alle sue domande, come se non l’avessero mai visto. Come se Grantaire avesse smesso di esistere nell’attimo in cui lui stesso lo aveva cacciato dal Café.

Fuggire e vagabondare era da lui, ma non tornare dai suoi amici e non farsi trovare era più che strano. E nella mente di Enjolras iniziava a sgusciare il nero pensiero che a Grantaire fosse capitato qualcosa. Lo vedeva in una cella, nella fogna scoperta che in qualche vicolo ancora esisteva. Lo vedeva galleggiare nella Senna. Dava la colpa alla sua continua ubriachezza, alla sua imprevedibilità, agli abissi di miseria e punte di orgoglio che tenevano in tensione la sua vita, e lo facevano muovere come una marionetta. Ma Enjolras sapeva che questa volta, se Grantaire non fosse tornato indietro, la colpa, alla fine, sarebbe stata soltanto sua.

Enjolras fendeva i vicoli di Pigalle. Aveva salito la collina di Montmartre, poi disceso la collina di Montmartre, e ora la stava aggirando. Un orologio lontano batté l’una di notte. Ancora un’ora? Due? Sarebbe stato poi capace di fermare le ricerche, per quella notte? Le prostitute lo chiamavano, i tavernieri lo invitavano ad entrare per un ultimo giro. Ma Enjolras non li sentiva. Non sentiva che i suoi passi sul selciato, e le ultime parole che aveva detto a Grantaire.
Fuori di qui.

Jehan aveva strappato, sornione, un foglio dalle mani di Grantaire, che disegnava in un angolo: «Ma cosa abbiamo qui?» e poi si era fermato, di colpo.
La scena non era sfuggita ad Enjolras, che ormai non riusciva a tenere Grantaire fuori dal suo campo visivo, così come dai suoi pensieri. Il movimento in fondo alla sala del Musain, la risata di Jehan che si spegneva, la mano di Grantaire che si alzava per riprendere il foglio, ma si fermava a mezz’aria: tutto attirò la sua attenzione. E lo vide. Si vide. La sagoma sul foglio, in controluce davanti al caminetto, restituiva il suo profilo in carboncino, la sua mascella nobile e affilata, le onde dei suoi capelli biondi. Gli stessi capelli biondi che ora, zuppi, gli finivano negli occhi. Eppure, vedeva ancora brillare il caminetto.
«Che stai facendo?» aveva urlato a Grantaire, afferrandolo per il bavero della camicia.
«Mi… mi dispiace» rispose l’altro, balbettando. La sua reazione doveva averlo spaventato, era raro che Grantaire rimanesse senza parole: «Tolgo tutto, ti giuro, mi dispiace».
«Dammi qua» disse, impadronendosi del disegno. «Noi ti ospitiamo qui, bevi il nostro vino e non paghi un centesimo, ascolti i nostri discorsi e ci sai solo prendere in giro. E ora devo anche diventare il tuo zimbello con simili scarabocchi?».
«Non volevo, davvero, scusami. Tolgo tutto, sarò serio». Gli occhi di Grantaire erano iniettati di panico. Non capiva il perché della reazione di Enjolras, stava chiedendo perdono senza nemmeno sapere la sua colpa. Ma non voleva vedere quel viso arrabbiato.
«Fuori di qui».
«Cosa? Enjolras, non ti pare un po’ eccessivo?» intervenne Courfeyrac.
«Fuori di qui, adesso».
«Enj, ti prego…» sussurrò Grantaire.
«Non osare chiamarmi così».
«Sta piovendo così tanto».
«Ho detto fuori!». Enjolras continuò a tenerlo per il collo della camicia con una mano, mentre con l’altro afferrava i suoi fogli e carboncini. Grantaire prese tutto tra le sue braccia e scappò fuori dalla porta, nella notte, lasciandosi dietro il cappotto e quel ritratto tanto semplice quanto somigliante, che Enjolras gettò nel fuoco.
«Torniamo al lavoro».

Ma il ritratto continuava a bruciare, nella sua mente e in tutte le fiaccole che vedeva ancora accese dietro le finestre, sempre di meno con l’incedere del buio. Ogni voce andava svanendo con esse. Enjolras si sentiva solo nel cuore di Parigi, solo sul baratro della notte. Le lacrime iniziavano a premergli contro le palpebre, mescolandosi alla pioggia. Credeva che da un momento all’altro si sarebbe perso anche lui, come si era perso Grantaire: sarebbe stato lavato dalla pioggia, o consumato dal fuoco della colpa, e di lui non sarebbe rimasta più traccia.

A salvarlo dall’annientamento, però, giunse una canzone, cantata da una voce roca e dolce: Drink with me… to days gone by…
«Grantaire!».
«Ah, se non è Apollo in persona» la sua voce proveniva da una soglia seminterrata, pochi metri più avanti. Enjolras corse da lui, e lo trovò sdraiato sugli scalini discendenti, al riparo dalla pioggia, ma fradicio d’acqua e di vino. Accanto a lui, una bottiglia vuota in frantumi. Il suo palmo era sanguinante, doveva essersi ferito con un vetro. Enjolras stese subito la mano verso la sua, per esaminare la ferita, ma Grantaire la ritrasse: «Prima mi cacci come un cane randagio, e poi mi vuoi tenere la mano?».
«’Taire, mi dispiace. Ti cerco da due giorni. Non ho chiuso occhio, non mi sono fermato un secondo. Ero così in pena per te. Come stai?».
«Come uno che è scappato da te per due giorni».
«Dai, alzati. Ti riporto a casa».
«Lasciami perdere».
«Ho sbagliato, ma lasciami fare ammenda». Enjolras si rifugiò a sua volta lungo i gradini seminterrati. Si tolse il pastrano cerato, ormai fradicio di pioggia. Si tolse anche la giacca, la sua amata giacca rossa. La pose dolcemente sulle spalle di Grantaire, che provò ad alzarsi, con gambe tremanti. Ricadde a sedere due gradini più su. Un accesso di tosse stroncò la gragnuola di insulti che stava per rivolgere ad Enjolras.
Il biondo risalì i gradini, e dette un bacio sulla fronte al suo amico, ubriaco e debole.
«Grantaire… bruci di febbre». Egli non ebbe la forza di rispondere. Enjolras lo avvolse bene nella sua giacca, e lo strinse in un abbraccio saldo, sfregandogli le mani sulle spalle e sulle cosce, nel tentativo di scaldarlo il più velocemente possibile. Grantaire, madido di sudore per lo sforzo di tossire, lo lasciò fare.
«Mi dispiace, ‘Taire, mi dispiace così tanto. Non so che mi sia preso». Mentre ripeteva questo, Enjolras tirò fuori le garze e il disinfettante che Combeferre gli aveva dato prima che uscisse alla ricerca di Grantaire. Gli medicò la mano: «Mi dispiace, è la sinistra, non potrai disegnare per un po’».
«Non che ti dispiaccia, vero?».
«Lo sai che adoro la tua arte».
«Io so che è stato a causa del disegno che mi hai sbattuto fuori dal Musain». Grantaire lo aveva capito ancora prima di Enjolras.
«Ti ho cacciato perché mi stavi interrompendo, ero in mezzo alla discussione di un piano di sabotaggio».
«Non ti è piaciuto perché eri tu. Perché non vuoi che ti ritragga e non vuoi che gli altri sappiano». Enjolras non seppe cosa rispondere. Era vero.
«Io… non sono ancora pronto a tutto questo. Lo sai. Ti voglio, ma è vero, non voglio che gli altri lo sappiano. Non voglio che nessuno lo sappia». 
«Io invece lo urlerei al mondo. Inciderei sulla luna quanto ti amo, Apollo. Non me lo lasci fare, e allora disegno. Ma non mi vergogno più, è finito quel tempo» rispose Grantaire. I due si guardarono nell’oscurità, un piccolo riflesso di notte nei loro occhi. Enjolras si chinò per baciare l’altro, ma lui si alzò, anche se a fatica. Aveva la giacca rossa ancora sulle spalle.  
«Grazie per essermi venuto a cercare. Vieni, andiamo a casa». E si incamminò nella notte parigina.
   
 
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