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Autore: Flying_lotus95    23/02/2024    0 recensioni
Torino, 1944.
L'omicidio di un ufficiale tedesco, un uomo in fuga, una donna che cercherà di proteggerlo. Amore e odio, segreti e bugie, guerra e pace, sia dentro che fuori.
[𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 2023 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵]
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Prompt: Fratello
 
 

Capitolo 11
A te, (fratello) mio

 
 

Torino, 1970
 
«Guardalo quant'è bello mamma, sembra un modello!».
Magda aveva proferito quelle parole con ingenuità, nel vedere lo smoking del fratello maggiore stargli così bene addosso da farlo risultare quasi irrealistico.
«Vorrei ben dire, Gabriele ha un portamento elegante da sempre!» dichiarò soddisfatta Anna, ammirando il suo operato con occhi lucidi di commozione.
«Mamma dai, se inizi a piangere di nuovo qui non la smettiamo più! Sto per sposarmi, non per partire al fronte!» la canzonò Gabriele, pizzicandole una guancia. Anna gli prese la mano e se la portò alle labbra, baciandole il dorso.
«Tua zia Agnese sarebbe stata contenta di vederti sistemato e felice» e lì le lacrime non poterono non scendere. Il ricordo della sorella scomparsa era ancora tangibile, evidente.
«Già» diede man forte Magda, fissando la foto della zia sul comodino di fianco a letto.
Era stata una donna bellissima, altera, eppure, da che la ragazza ricordava, l'aveva vista sorridere davvero poco in vita.
«Zia Agnese poi a te ci ha sempre tenuto in modo particolare…».
Anche Gabriele portò lo sguardo verso quella foto, fissandola con nostalgia.
Era stata una donna scontrosa, di poche parole. Aveva amato la solitudine e l'indipendenza, anche quando aveva iniziato a stare male non aveva voluto ricevere aiuti esterni. Se la sarebbe vista da sola, aveva detto.
Ma, nonostante il carattere irruento e forte, Agnese era sempre stata un punto fermo per i figli di sua sorella Anna.
Li aveva amati, a modo suo. 
Aveva lasciato un segno in ognuno di loro, e con Gabriele in particolare era stata particolarmente legata, nonostante fosse quello con cui si era scontrata di più.
Sei il più grande, sei il primogenito! Devi essere un esempio per tuo fratello e le tue sorelle!
Quelle parole Gabriele continuava a sentirle in testa, sebbene in un primo momento le aveva profondamente detestate, in seguito le aveva conservate come monito, come un'eredità preziosa che quella zia brusca ma affascinante gli aveva lasciato.
«Quando ti sei laureato al conservatorio era lì, in prima fila, nonostante fosse debilitata dalla malattia… la mia povera sorella!» commentò Anna, tirando su col naso.
Gabriele le prese le mani con fare rassicurante.
«Ricordi cosa ti ha detto prima di andarsene? Che ti avrebbe tenuta d'occhio, e ad ogni lacrima spesa al posto di un sorriso si sarebbe palesata sotto forma di vento o soffio per farti prendere un bello spavento!».
Era vero, Agnese le aveva proprio detto quelle parole, qualche giorno prima che si spegnesse per sempre, a soli quarantaquattro anni. 
Nonostante da allora fossero passati due anni, Anna non si era ancora abituata all'idea di non avere intorno quella sorella maggiore tanto scontrosa quanto sensibile.
«Hai perfettamente ragione, tesoro!» ammise Anna, asciugandosi rapidamente le guance con un gesto elegante delle dita.
«Adesso voglio piangere di gioia nel vedere il mio bambino unirsi in matrimonio col suo grande amore!».
Magda e Gabriele si guardarono complici per qualche minuto.
«Mamma, se non piangi affatto, guarda che nessuno se la prende, eh!» dichiarò scherzoso Gabriele, afferrando la guancia della madre per strizzargliela come ad un bambino. Anna gli picchiò la mano, tra le risate allegre della figlia minore.
«A furia di stare con tua zia, hai ereditato il suo stesso sarcasmo!».
E non solo quello, avrebbe voluto aggiungere Anna, ma tacque. 
Tacque perché di quel segreto non se ne sarebbe dovuta mai fare menzione, proprio come Agnese stessa aveva stabilito.
«Allora, il vestito gli sta bene o no? Che devo avvisare Costantina per le ultime rifiniture!».
La figlia maggiore di Anna e Romeo, Allegra, entrò nella stanza senza chiedere il permesso di nessuno. Aveva ereditato di sana pianta il carattere allegro e spensierato del padre, ma la praticità era quella di Anna, in tutto e per tutto.
«No, non mi dire che stava frignando ancora!» si rivolse poi scocciata a Magda, che in tutta risposta, abbassò il bel viso tondo contornato dai riccioli biondi per nascondere il riso appena spuntato sulle labbra. 
«Mamma, tuo figlio Gabriele sta per sposarsi, non per essere giustiziato! Tutte le domeniche lo potrai rivedere, e magari, se gli lasci un po’ d'aria, lui e Silvana potrebbero pure darti un nipote, pensa!» la prese in giro Allegra, attirandosi le risate dei fratelli. Anna incrociò le braccia sotto al seno, interdetta.
«Come ne parli, sembra che non lo lasci respirare!» commentò piccata, spolverando dal colletto di Gabriele un po’ di polvere.
«Sempre meglio di tua sorella, che ne sembrava ossessionata...».
A differenza degli altri figli di Anna, Allegra era quella con cui Agnese aveva avuto più problemi a rapportarsi.
Incomprensioni caratteriali, aveva giustificato Agnese a suo tempo, asciutta.
Ma in realtà, entrambe avevano un carattere molto simile, anche troppo, e ciò le aveva portate a scontrarsi senza remore più e più volte.
Agnese non l'aveva mai rivelato, ma Allegra le ricordava Romeo quando puntualmente si scannavano per ogni piccola cosa. 
Discutere con lei la divertiva, le migliorava quasi la giornata. Per lei era stato come rivedersi in un nuovo corpo e in un nuovo spazio, in un'epoca diversa dalla sua, più libera e più permissiva sotto tanti punti di vista.
Dopotutto, Allegra era pur sempre figlia della sua amata sorella minore.
«Comunque, bando alle ciance! Il vestito ti sta bene, devo solo dire a Costantina di aggiustare gli ultimi ritocchi, e in chiesa ti guarderanno pure le vecchie zitelle di Torino!» commentò Allegra, dando una pacca energica alle spalle del fratello maggiore, che per poco non si sbilanciò.
Allegra era minuta, ma aveva una forza in quelle mani da sarta che ogni volta lasciava interdetto Gabriele e il resto della famiglia.
«A parte che non si dice più “zitella” ma si dice “single”!» puntualizzò Magda, accavallando le gambe coperte dalla gonna di jeans, che Allegra aveva provveduto ad accorciare sotto sua esplicita richiesta.
«Ha parlato la linguista!» le fece il verso la sorella più grande, guadagnandosi il sostegno della madre, sorridente e fiera dei suoi bambini, che ormai bambini non lo erano più da un pezzo.
«Vado a vedere papà cosa sta facendo» dichiarò poi Anna, lasciando tutto nelle mani della figlia maggiore.
«Tu resti qui, Magda?» chiese poi alla più piccola, sfiorandole il mento con le dita.
Magda si limitò ad annuire, con un bel sorriso stampato in volto uguale al suo.
Aveva ereditato i suoi stessi tratti chiari e il suo stesso cuore buono e mite.
Era l'unica in famiglia che aveva deciso di studiare tedesco e inglese, sebbene quella prima lingua non fosse per niente ben vista e considerata inutile. Ma Magda aveva sempre espresso il desiderio di conoscere le radici di sua madre e sua zia, e l'estate prossima sarebbe partita per un viaggio studio a Monaco di Baviera.
Anna ne era stata contenta, Romeo un po’ meno, ma solo perché di sapere la figlia più piccola lontana lo intristiva.
Ma d'altronde, non gli avrebbe mai impedito di spiccare il volo.
Non lui che aveva conosciuto sulla propria pelle cosa voleva dire vedersi la libertà sfuggire dalle mani per la prepotenza di persone influenti che agivano solo per vanagloria personale, anziché per il bene collettivo della comunità.
Prima di rinchiudersi la porta alle spalle, Anna volse un ultimo sguardo amorevole a Gabriele e le figlie, indugiando qualche istante prima di andarsene.
 
 
Romeo era seduto al tavolo del salone con aria malinconica. Quando Anna lo vide, si preoccupò all'istante.
«Che succede, amore? Notizie da Massimiliano?» chiese incerta, avvicinandosi al marito con una certa fretta. 
Romeo scosse il capo, aggrottando la fronte.
«No, ieri mi ha detto che sarei dovuto andarlo a prendere in stazione, arriverà col treno del primo pomeriggio. Figurati se si perde il matrimonio del fratello, quel fetente!» commentò Romeo con una punta di allegria.
Anna sorrise a quella battuta.
Massimiliano era stato chiamato per la leva militare da qualche mese, dopo essersi preso un anno sabbatico dagli studi.
Aveva studiato economia e commercio per superare il test di guardia di finanza, ma solo per poter accedere alle selezioni ed entrare nell'Arma, suo sogno da sempre.
«E allora perché hai quella faccia?» domandò ancora Anna, cercando di restare il più discreta possibile, anche se con Romeo non ce n'era davvero bisogno.
«È per questa» confessò, e cacciò una busta bianca perfettamente sigillata, che stringeva tra le mani come un carbone ardente. 
«Viene dalla Svizzera, è per Gabo». Era con quel nomignolo che Romeo aveva sempre chiamato Gabriele. Un nomignolo che gli aveva, tra l'altro, affibbiato Agnese, fin da bambino.
Anna gli tolse delicatamente la busta dalle mani, studiandosela per qualche secondo.
«Prima queste lettere le leggeva sempre Agnese… era da tempo che non ne arrivavano…»
«Max sa che Gabo sta per sposarsi?».
Anna restò di sasso per qualche secondo, presa in contropiede.
«No, io non ho… avuto modo…».
Romeo sbuffò, lasciandosi scivolare una mano tra i capelli sempre più radi.
«Non me la sento di occultargliela, Anna… ma non voglio neanche che scopra qualcosa così, senza averlo prima preparato…»
«Gabriele è nostro figlio, così come lo sono Massimiliano, Allegra e Magda. Lo sarà sempre, anche se non l'abbiamo concepito noi». Ad Anna quella realtà non aveva mai fatto male, anzi. Gabriele era stata l'ultima traccia lasciata ad Agnese nella sua vita, oltre alle lettere e alla sua amata libreria, dove ogni giorno andava a pulire e mettere in ordine, per mantenere vivo il suo ricordo.
«Questo lo so, Agnese fu chiara anni fa. Ma non credi che sia giusto far conoscere finalmente questa verità a nostro figlio? In fondo, suo padre lo ha visto solo nelle foto che Agnese gli mandava in ogni lettera… credo sia giunto il momento che scelga lui di volerlo incontrare, oppure no» sottolineò Romeo greve, poggiando lentamente le mani sull'incerata del tavolo.
Anna lo abbracciò da dietro, poggiando la sua guancia sulla tempia del marito.
«Agnese però non avrebbe voluto che sapesse…»
«Agnese non c'è più. E Gabriele ormai è un uomo, che sta per formarsi una famiglia. È un pezzo del suo passato che ha tutto il diritto di conoscere». Fu perentorio e allo stesso tempo delicato Romeo nell'esprimere la propria opinione. Anna non poté non essergli riconoscente per quello.
«Gli mostreremo la lettera, allora?» chiese, con voce tremula, ancora aggrappata al marito.
Romeo annuì col capo, convinto.
«Gliene parleremo con calma, senza metterlo a disagio» fu la sua sentenza bonaria.
Anna baciò la tempia del marito con mestizia, sentendo che se da un lato sapeva di agire per il bene del figlio, dall'altro era consapevole di andar contro alla volontà della sorella che non si era mai permessa di discutere.
Mi dispiace Agnese, ma è per il suo bene. 
Veglialo tu, da lassù.



 
Torino, 1944
 
Maxime andava avanti e indietro per il salone, cercando di mascherare il più possibile l'agitazione che lo stava divorando per intero.
Romeo non si era perso neanche un passo da quando lo aveva visto cominciare quel passeggio nervoso, perso in chissà quale nefasto pensiero.
«Mi stai facendo venire il mal di mare a forza di vederti andare a vuoto per il salone!» commentò piccato Romeo, strofinandosi una mano sugli occhi stanchi. 
Era da troppe notti che non si concedeva una bella dormita, tra le sirene antiaereo e i vari casini da risolvere al casale - tra cui uno di questi era il tenere nascosto un soldato tedesco accusato di omicidio -, Romeo non aveva avuto modo di rilassarsi né di pensare di poterlo fare. 
Maxime fermò i suoi giri non appena Ismaele, Blanca, Anna e Agnese entrarono nella stanza, con trepidazione.
Anna raggiunse Romeo, sorridendogli. Automaticamente il ragazzo allargò il braccio per cingerle le spalle e accoglierla a sè, lasciandole un bacino sulla tempia.
Averla vicino regalò a Romeo un sollievo istantaneo, benefico. 
Agnese invece rimase vicino alla zia, a braccia conserte, sedendosi sul bracciolo del divano del salone, con aria distaccata.
Fissava Maxime con aria strana, quasi si stesse aspettando qualche colpo basso da parte sua, come se avesse intuito quali sarebbero state le sue prossime mosse, anticipandone l'indignazione e la contrarietà.
«Bene, siamo tutti qui, ragazzo. Cosa ci devi dire?».
Anche dalla voce di Ismaele uscì fuori una sensazione simile a quella che lo sguardo di Agnese stava trasmettendo in silenzio.
Maxime deglutì, chiudendo gli occhi nel processo.
«Non vi piacerà» mormorò Romeo all'orecchio di Anna, che lo guardò interdetta, come se non avesse colto il messaggio.
Strofinando nervosamente le mani tra loro, impacciato, Maxime fece un passo in avanti, attento.
«Io… ci tenevo a ringraziarvi».
Si stava riferendo a tutti, ma i suoi occhi erano puntati verso quelli duri di Agnese. 
«Avete rischiato tanto per me, e ve ne sarò grato sempre, lo giuro su mia madre, non trovo le parole giuste per spiegarvi la mia riconoscenza». Maxime aveva inciampato più volte nel tedesco mentre parlava, e la voce gli traballava troppo, tanto che Blanca credette fosse dovuto all'emozione dei saluti in cui si sarebbe ovviamente profuso.
Si sarebbe sicuramente alzata ad abbracciarlo, e rassicurarlo con tante benedizioni e augurandogli buona fortuna per il viaggio, se Agnese non si fosse intromessa.
«Ma…?» esclamò infatti, sollevando un sopracciglio, in attesa della parte che, sicuramente, l'avrebbe fatta arrabbiare oltre ogni dire.
Perché anche se Maxime non lo aveva detto, quel “ma” Agnese lo aveva avvertito comunque nell'aria. 
Seguì un breve silenzio imbarazzato da parte dei presenti.
Maxime la osservò di sfuggita, avvertendo in lontananza il rumore dei fulmini che gli si sarebbero abbattuti addosso, probabilmente invocati da Agnese stessa.
Inspirò e prese coraggio.
«Ma non posso prendere quella nave.».
Chiuse immediatamente gli occhi a quella rivelazione, aspettando a testa china la reazione dei quattro presenti nel salone.
«Ecco qua, ne ero sicuro!» commentò Romeo, affondando il viso esausto tra i capelli morbidi di Anna, rimasta impietrita a quella dichiarazione.
Blanca, da madre affettuosa e comprensiva, cambiò volto in una maschera aggrottata e stupefatta. Si portò una mano sul cuore, sorpresa. 
Ismaele affilò maggiormente lo sguardo, convinto di aver capito male le parole di Maxime, sperandolo quasi.
Agnese invece scostò lo sguardo, portandosi le dita sul ponte del naso, premendo forte. Si appellò a quel briciolo di calma che le era rimasto, inspirando ed espirando.
«Perdonami Maxime, con l'età l'udito sta perdendo colpi… potresti ripetere, per favore?» esclamò Ismaele, con voce calma, ma uno sguardo così minaccioso che Maxime per poco non se la fece sotto dal terrore. 
«Te lo ripeto io, zio, che con quel miscuglio di lingue che ha fatto faresti ugualmente fatica a capire» intervenne Agnese, saettando lo sguardo indignato prima su Maxime poi verso Romeo, credendo erroneamente che fosse al corrente di tutta quella follia. 
«Ha semplicemente detto che ci ringrazia per tutto, e che domani come pattuito prenderà quella nave, senza nessun ripensamento». 
Se c'era una cosa che doveva a Gabriel, era l'essere riuscita a fare sua la sua arroganza e prepotenza, per sfruttarle dove sarebbe stato necessario. E in quel caso, oltre che necessario, sarebbe stato di vitale importanza agire a quel modo, sperando di riuscire ad essere incisiva senza ottenere repliche in risposta.
Ma Maxime, per quanto fosse accondiscendente e tranquillo per natura, quando voleva, sapeva essere più testardo e cocciuto di un mulo, e non si sarebbe tirato indietro per così poco, non in quel frangente, anche se era la stessa Agnese a chiederglielo, la donna che aveva amato e che avrebbe amato per sempre.
«Non è solo un mio capriccio, Agnese. Non posso proprio farlo» cercò di giustificarsi il tedesco, incerto nella voce, ma non nello sguardo. Quello trasudava tenacia da vendere.
«Devo solo aspettare che Gustaf mi dia-»
«Adesso smettila Maxime, prima che mi arrabbi sul serio!» lo interruppe Agnese, alzandosi dal bracciolo rapidamente.
«Tu prenderai quella nave, il discorso è chiuso!». Lo disse con un tono che non avrebbe ammesso alcuna replica. Ma Maxime non si lasciò scalfire da quella presa di posizione.
«Non prenderò nessuna nave, io resto qui!».
Fu talmente perentorio nel dirlo, che tutti gli altri presenti nel salone lo fissarono increduli, come se quel Maxime fosse sconosciuto a tutti quanti loro.
Di conseguenza, si aspettarono la prorompente invettiva di Agnese che sarebbe giunta inevitabile in risposta, ma la ragazza spiazzò tutti con il suo gesto.
Indietreggiò di qualche passo verso la porta, con le braccia conserte, e la delusione dipinta in volto.
«Fa’ come credi, allora. Ma io ne resto fuori».
Agnese lasciò la stanza subito dopo, correndo quasi.
Come attratto da una calamita, Maxime la seguì, ignorando i richiami di Ismaele e Romeo, ancora increduli al fronte di quanto accaduto. 
«Perché ha cambiato idea? Vuole farsi ammazzare?».
Le domande di Anna erano destinate a restare senza una risposta, senza alcun chiarimento, perché lo stesso Romeo non sapeva esattamente come replicare a riguardo. Poté soltanto limitarsi a guardare i coniugi Chiodi scambiarsi sguardi confusi e preoccupati, come due genitori che stavano per dire addio ad un altro figlio, un figlio che avevano cercato in ogni modo di risparmiare alla brutalità della guerra, ma senza successo.



 
Agnese era appena entrata in camera quando si accorse di avere Maxime alle calcagna.
«Agnese, bitte! Ti prego!»
«Vattene via! Lasciami sola!».
Agnese era inaspettatamente ferma, nonostante il viso fosse di un rosso sempre più accentuato.
Aveva provato a chiudere la porta, ma Maxime era molto più forte di lei, nonostante la mole non eccessivamente massiccia.
«Voglio solo che tu mi ascolti-»
«Cosa c'è da ascoltare? Che preferisci morire piuttosto che salvarti? Beh, fai come ti pare, ma non voglio più saperne niente, sono stanca di te, della guerra, di tutto!».
A quelle parole, Agnese si allontanò dalla presa della porta, ignorando completamente l'eventualità che Maxime sarebbe potuto entrare, fregandosene delle sue richieste.
Raggiunse appena in tempo il letto, l'ennesimo capogiro la colse all'improvviso.
«Ecco, lo sapevo» mormorò stanca, portandosi una mano alla fronte, mentre con l'altro braccio si cinse il ventre.
Maxime, lasciata la maniglia della porta, si precipitò verso la ragazza, dandole il suo supporto.
«Agnese, alles gut?» chiese, allarmato, afferrandole le spalle e stringendole con forza. Agnese provò a divincolarsi, ma il capogiro aumentò, e di conseguenza anche la nausea.
«Nein, nein! Nicht geht's hier gut!» proruppe in tedesco lei. Sentì che in quel momento, esprimersi in quella lingua l'avrebbe in qualche modo liberata dal peso che le gravava sul cuore da troppi giorni.
«Ich bin müde, aber niemand versteht mich…». La voce di Agnese si ridusse ad un pigolio accennato. Il viso le si accartocciò in una smorfia di tristezza e dolore, prossima al pianto. I bei capelli lunghi e castani le ricadevano dolcemente sullo sterno, dandole l'impressione di essere una bambina triste e sconsolata. 
«Es tut mir leid, Agnese, aber… es ist für eine wichtige Ursache. Du musst mir vertrauen!».
Maxime la stava incoraggiando a fidarsi, ad ascoltare ciò che avrebbe voluto rivelare da tempo, ancor prima che Gabriel morisse per mano sua…
«Per favore, risparmiami scuse e giustificazioni! Adesso non servono più a niente!». Agnese scoppiò definitivamente a piangere, accasciandosi sul letto con una mano premuta sulla bocca e l'altra stretta al vestito rosso, all'altezza del ventre.
«Se solo non lo avessi ucciso… se solo mi avessi dimenticato… adesso non dovrei stare qui a impazzire per trovare un modo per salvarti la vita» singhiozzò Agnese, gli occhi velati da gocce di lacrime che, neanche il tempo di scorrerle lungo le guance, ne nascevano di altre tra le palpebre gonfie.
«Sei un ingrato, Maxime! Uno stupido ingrato!».
Maxime dovette spostare lo sguardo altrove, vedere Agnese in quelle condizioni faceva troppo male, la reputava una visione insostenibile. E sapere che fino a quel momento, Agnese non era mai riuscita a spendere neanche una lacrima in quei giorni infernali, a differenza di Anna, a Maxime provocava un'angoscia immane che gli nasceva dal luogo più remoto delle viscere.
«È vero, hai ragione tu» ammise infine, sollevandosi sulle braccia per salire sul materasso. 
«Sono un ingrato e un perfetto stupido. Ho rovinato tutto. Mi dispiace».
Si stese dietro di lei, stringendola in un abbraccio timido, ma inaspettatamente forte.
Agnese provò a divincolarsi, ma non appena il braccio di Maxime le cinse la vita, sfiorandole il ventre, si bloccò di colpo, lasciandosi stringere.
Tirò su le ginocchia, come a volergli fare spazio. Maxime era alto, aveva le gambe lunghe e sode. Ad Agnese era sempre piaciuto sentire le proprie gambe intrappolate tra le sue, era una cosa che avveniva tra loro senza dirselo o pretenderlo.
Agnese aveva capito troppo tardi che l'amore della sua vita non era Gabriel, che la confidenza e la vicinanza sperimentata con Maxime non l'avrebbe ottenuta con nessun altro uomo, perché Maxime era l'unico e il solo, arrivato un po’ troppo tardi nella sua vita, ma che le aveva lasciato ugualmente un segno indelebile del suo passaggio. E quel segno, di lì a poco, sarebbe stato visibile sotto gli occhi di tutti, ma non di colui che glielo aveva lasciato. Ed era questa l'eventualità che feriva Agnese oltre ogni dire.
«Non avrei voluto farlo… non era nelle mie intenzioni…» provò a spiegare il giovane tedesco, e nel constatare che Agnese non stava proferendo parola, lasciando a lui la possibilità di sfogarsi, decise che avrebbe detto tutto, senza tralasciare neanche un dettaglio.
«Pochi giorni prima che accadesse, Gustaf mi aveva informato di una cosa, una cosa che riguardava te ed Anna».
Agnese restò in silenzio, le palpebre e le labbra strette per cercare di trattenersi.
«Non pensavo che davvero ci avesse scoperti, credevo che Gustaf avesse esagerato e riportato voci infondate… ma quando ho visto i documenti firmati dal tenente, mi è crollato il mondo addosso».
Maxime continuò a parlare, affondando il viso nei capelli di Agnese, come a volersi nascondere dal mondo intero, da chiunque altro non fosse lei.
«Che documenti firmati?» chiese Agnese, senza voltarsi.
Maxime deglutì, inspirando il buon profumo di betulla che emanava la chioma di Agnese.
«Aveva preparato le carte per il tuo internamento. Lì sopra vi era scritta una diagnosi di isteria, dovuta ad un aborto spontaneo, e che non eri più capace di intendere e di volere. Se me lo fossi trovato davanti in quel momento gli avrei spaccato la faccia».
Ad Agnese mancò il respiro per qualche secondo. Era certa che ormai da Gabriel si sarebbe potuta aspettare qualsiasi cosa, ma addirittura questo…
«E non è tutto. Aveva preso accordi con il sergente Hölm, voleva avere tua sorella, non ti so dire in che modo, ma ti lascio immaginare». 
Agnese scosse il capo impercettibilmente a quelle parole, aumentandole ancora di più la convinzione che a premere quel grilletto non avrebbe dovuto farlo Maxime, bensì lei stessa. Aveva tutti i motivi e il movente per farlo.
«Quella mattina ero andato lì a supplicarlo di lasciarti in pace, che mi sarei preso tutta la responsabilità del caso, che mi sarei lasciato imprigionare per alto tradimento…» confessò Maxime, ormai in lacrime anche lui.
«E lui cosa ha fatto?» chiese Agnese, anche se non era davvero sicura di volerlo sapere, ma si sforzò.
«Di te mi occuperò dopo che avrò sistemato anche loro. Sono state queste le sue parole». 
Agnese sentì qualcosa muoversi dentro, qualcosa di molto simile ad una fiammella accesa mossa dal vento. Ormai sapeva, sapeva ogni cosa. Lo aveva saputo da molto prima che Gabriel le combinasse quella grande infamata.
Il vero lutto da realizzare, per la ragazza, non era in fondo la perdita terrena della sua presenza, ma la rottura di un legame in cui aveva continuato a sperarci da sola.
Era un altro tipo di dolore, un altro tipo di lutto, molto più forte e sentito di un lutto normale.
Anna aveva pianto per la sua anima, Agnese avrebbe dovuto fare i conti con quell'assenza che già in vita Gabriel le aveva arrecato.
«A quel punto Romeo gli si era scaraventato addosso, afferrandogli il collo come un pazzo. Ma il tenente era riuscito a toglierselo di dosso, aveva cacciato la pistola e-».
Maxime affondò maggiormente il viso nella nuca di Agnese, sopraffatto da quei lugubri ricordi.
Agnese si aggrappò alle sue braccia che la mantenevano stretta, al caldo. 
Avrebbe voluto dirgli di smetterla di raccontare, di non rivangare più quei momenti dolorosi.
Ma sapeva anche che soltanto così, soltanto parlando e buttando fuori tutto Maxime sarebbe riuscito ad esorcizzare i demoni che lo tormentavano da quel giorno. E assieme a lui, ci sarebbe riuscita anche lei.
«Volevo togliergliela di mano, e quando ho sentito lo sparo, ho pensato di aver ricevuto io il proiettile. E invece…».
Maxime provò a soffocare un singulto, stringendosi ancora più forte ad Agnese.
«Ho cercato di soccorrerlo, ma Romeo mi ha tirato via da lì, era morto sul colpo. Del resto… ricordo solo che venivo trascinato via da Romeo. Una parte di me era rimasta in quella stanza, tutta la mia innocenza, la mia dignità… sono morto con il tenente quello stesso giorno».
Solo a quel punto, Agnese si sollevò dal cuscino, rigirandosi nell'abbraccio di Maxime e fissandolo dritto negli occhi chiari e infantili che si ritrovava. 
«Ho già permesso a Gabriel di rovinarmi la vita» e prese la mano di Maxime per portarsela sul ventre, stringendosela tra le dita come se fosse stata d'oro «Ma non lascerò che rovini anche la tua». 
Le loro fronti si toccarono, Agnese socchiuse gli occhi, le labbra protese verso quelle di Maxime.
«Fai ciò che reputi più giusto, io farò altrettanto».
Il bacio che seguì fu lungo e languido, un intenso incontro di lingue e labbra che di staccarsi non ne avevano la ben che minima intenzione.
La mano di Maxime rimase appoggiata al grembo di Agnese, stringendo la stoffa tra le dita quasi a strapparla. 
 
 
<♤><♧>
 

 
Un rumore molesto destò Ismaele, che si mise sull'attenti in pochi secondi.
Era seduto al tavolo della cucina, Blanca stava finendo di sistemare le ultime stoviglie, e Anna e Romeo erano seduti vicini, le mani strette tra loro.
«Chi sarà, zio?» chiese Anna, con una punta di allarme nella voce.
«Che sia Alfredo?» provò ad indovinare Romeo, cercando di nascondere la paura dietro la sua domanda innocua. Sentì lo sguardo di Anna addosso, ma non lo contraccambiò: se lo avesse fatto, non avrebbe saputo mantenere troppo a lungo il suo sangue freddo.
Ismaele si alzò dal tavolo, seguito da Blanca, spaventata all'idea di qualche visita indesiderata.
Ebbe conferma dei suoi timori quando vide il marito afferrare uno dei suoi fucili dall'armeria dell'ingresso.
«Ma Ismaele-»
«Fa’ silenzio!» la zittì il marito, con poca gentilezza.
Per riflesso, Blanca si portò le mani alla bocca, coprendosela impaurita.
Ismaele puntò il fucile verso la porta d'ingresso, minaccioso.
Anna per poco non gettò un urlo nel vedere lo zio armato, ma Romeo fu lesto ad intimarla al silenzio.
Un altro rumore, un bussare sommesso arrivò alle orecchie di tutti loro.
«Romeo, apri la porta, lentamente!» ordinò a mezza voce Ismaele, non staccando gli occhi e il fucile dalla porta, irremovibile.
Romeo lasciò lentamente Anna, avvicinandosi cauto alla porta.
«Zia, ho paura!» pigolò Anna, correndo ad abbracciare la zia, che l'accolse prontamente.
Romeo nel frattempo aprì il chiavistello, anche se con delicatezza, il ferro cigolò ugualmente.
Aspettò il cenno di Ismaele per compiere il passo successivo.
Una volta ottenuto, Romeo aprì l'uscio, tremando vistosamente e serrando le palpebre, mentre il cuore gli schizzava in gola senza alcun riguardo.
Ismaele caricò il fucile, pronto a sparare se fosse stato necessario.
Anna e Blanca si strinsero in un abbraccio nervoso, la preoccupazione alle stelle.
Il dito sul grilletto pronto a scattare.
Tutta la vita era iniziata a scorrere davanti agli occhi di Romeo, eventi belli e brutti si susseguirono uno dietro l'altro. Si rimproverò mentalmente di non aver detto abbastanza spesso ad Anna quanto l'amasse e quanto avesse voluto averla accanto sempre, ogni secondo, ogni momento della sua esistenza.
Qualcuno entrò, e nel vedersi il fucile piantato in faccia, alzò le mani in segno di resa.
«Ismaele, no, non sparare!» esclamò una voce familiare.
Romeo spalancò gli occhi, disorientato.
Anche Anna e Blanca sussultarono nel riconoscerlo.
Ismaele abbassò repentinamente il fucile, esterrefatto. 
«Tu…».
Un moto di commozione misto ad incredulità lo colse improvviso, lasciandolo senza parole.
Se per la gioia o la paura, non seppe spiegarselo.



 
 
Torino, 1970
 
Massimiliano arrivò al casale come un uragano, ancora in divisa e il borsone in spalla. Era stato di stanza a Napoli, alla Nunziatella.
Era tornato abbronzato e aveva messo su anche qualche muscolo. 
Era su di giri per l'imminente matrimonio del fratello maggiore, ancor di più per il fatto di essere il suo testimone di nozze.
«Gente, sono tornato!» annunciò allegro, spalancando le braccia come a voler accogliere eventuali abbracci in arrivo.
Il primo fu proprio quello di Magda, che gli corse incontro, euforica.
«Fratellone, sei tornato!» esclamò saltandogli al collo emozionata. Massimiliano la sollevò da terra facendola girare.
Romeo apparve alle loro spalle, guardandoli tra il divertito e l'esasperato.
«Dove sta il condannato a morte che devo accompagnare al patibolo?» scherzò il ragazzo, rivolto al padre che fissava sornione lui e Magda.
«Di sopra, in camera sua» rispose Anna, spuntata dalla cucina, con ancora lo strofinaccio con cui si stava asciugando le mani. Era felice di rivedere il figlio dopo mesi di lontananza. Saperlo a casa la faceva sentire rincuorata e serena, tranquilla.
«Vieni qua, fatti abbracciare» disse poi, sull'orlo della commozione. Massimiliano non se lo lasciò ripetere due volte.
«Aiuto, le guardie! Si salvi chi può!» fu l'urlo divertito che Gabriele lanciò dalle scale, mentre le scendeva correndo.
Massimiliano rivolse lo sguardo in alto, portandosi la mano alla bocca, mordendosela.
«Ho già pronte le manette, criminale!» e corse verso il fratello maggiore, accogliendolo in un caldo abbraccio sentito. Le loro risate riempirono il salone di gioia e vitalità.
«Mi hai fatto lasciare la città più bella del mondo per assistere alla tua rovina! Vergognati Gabo!» si lagnò per finta Massimiliano, dando innumerevoli pacche affettuose alla schiena del fratello maggiore. Anche se, data la stazza e l'altezza, era proprio il primo a sembrare il più grande tra i due.
«Adesso però vatti a dare una sistemata, che il viaggio sarà stato lungo e stancante» s'intromise Romeo, poggiando entrambe le mani sulle spalle dei ragazzi, contento di vederli tanto affiatati. Rivolse uno sguardo veloce alla moglie, che gli sorrise comprensiva. L'ombra di quella lettera pesava su di loro come un macigno, ma non lo avrebbero lasciato troppo a vedere.
La loro famiglia era forte, si basava su legami solidissimi. Non si sarebbe sfasciata per così poco, nonostante la paura che le cose sarebbero potute drasticamente cambiare incombeva presente, creando tumulti interiori negli animi della coppia.
«Sì, papà, hai ragione» diede man forte Massimiliano, dando una pacca anche a Romeo.
Gabriele gli fece strada di sopra, spintonandolo divertito ad ogni gradino.
Magda li seguì subito dopo, curiosa di fare tante domande al fratello su Napoli, il sud, la caserma, le persone che aveva incontrato e i posti che aveva visitato…
Nel frattempo, Romeo si avvicinò ad Anna, lasciando che lei si appoggiasse a lui.
Avrebbero dovuto prendere presto una decisione sul da farsi.
Il tempo stava per scadere.
 
§§§
 

«Ma tu sei proprio sicuro di volerti sposare, sì?».
La domanda di Massimiliano arrivò alle orecchie di Gabriele con aria ironica, scherzosa.
Era sera, ed entrambi erano seduti sul dondolo da giardino, a fissare il chiarore delle stelle con aria da sogno.
«Certo che sono sicuro!» rispose divertito Gabriele, sicuro della sua scelta fin dal primo giorno che aveva chiesto la mano di Silvana. 
«Mbah, beato te fratello! Io per ora voglio godermi la libertà a pieni polmoni! Non vi è nulla di più meraviglioso di questo!» commentò Massimiliano, muovendo il dondolo con un piede, quasi volesse prendere il volo con esso verso il cielo.
Gabriele lo fissò attento, con un leggero sorriso complice in volto.
«Napoli ti piace come città?» chiese, sinceramente incuriosito.
Massimiliano annuì con fermezza.
«È una città mozzafiato! Mi sa che dopo il militare mi trasferisco lì! Mi trovo una bella ragazza napoletana e mi creerò una famiglia tutta mia… ma questo in un lontanissimo futuro, ovviamente! Per ora, mi accontento di saggiare la bellezza partenopea a piccoli sorsi, godendomela fino in fondo» delucidò Massimiliano, soddisfatto delle sue decisioni.
A Gabriele tutta quell'euforia non poteva fare altro che piacere.
Conosceva suo fratello, più piccolo di lui di tre anni, e prima che si arruolasse era sempre stato timido e riservato… si vedeva che Napoli in qualche modo lo aveva aiutato a crescere, e a sanare le proprie ferite interiori.
«Quindi non pensi più a Grecia?».
Gabriele si pentì qualche istante più tardi di aver pronunciato quel nome, temendo di aver incrinato il buon umore di Massimiliano, ma non poté farne a meno.
Tuttavia, al ragazzo la cosa non sembrò tangere più di tanto.
«No… Grecia è una storia chiusa, ormai. Ormai sono tutto devoto alla causa napoletana e alle sue belle donne!» fu la sua risposta, così istrionica che a Gabriele, per un attimo, sembrò una recita, ma decise di non indagare oltre. 
«Se non mi avesse mollato da un giorno all'altro, ora non sarei diventato il sogno erotico di tutte quelle belle femmine!».
Gabriele scoppiò a ridere nel sentire Massimiliano parlare a quel modo.
«Ma come ti viene! Sogno erotico!» lo canzonò, portandosi una mano in faccia, imbarazzato.
Massimiliano gli diede una pacca sulla spalla, a mo’ di scherno.
«C'è chi si ferma prima e chi deve ancora esplorare territori… a quanto pare, devo ancora trovare la terra dove fioriscono i limoni, come raccontava zia Agnese!».
Gabriele smorzò il sorriso nel sentir spuntare dal nulla sua zia nel discorso.
«Già… anche se, a sentirti dire certe cose, ti avrebbe mollato una ciabatta di faccia!» esclamò, tra il divertito e il nostalgico.
Massimiliano gli mollò un'altra pacca, più incoraggiante stavolta.
«Però, detto tra noi… sono contento che tu, la tua terra dei limoni, l'hai trovata, Gabo. Sono fiero di spalleggiarti in questo nuovo inizio».
Gabriele fu grato alle parole del fratello, fu grato per tutto quello che aveva ricevuto da quella famiglia. Tutto l'amore, l'appoggio, l'affetto, anche i rimproveri…
Gli sarebbe mancato tutto, ma avrebbe fatto in modo che tutto venisse ripristinato nella famiglia che stava per creare con la donna che amava. 
Non seppe spiegarsi il perché, ma Gabriele aveva avvertito questa cosa come una sorta di missione personale, affidatagli all'alba dei tempi, attraverso vie misteriose.
 
 

Era notte fonda, eppure Gabriele non riusciva a prendere sonno. 
Ogni volta che chiudeva gli occhi, si trovava davanti agli occhi la zia e un uomo il cui volto era talmente annebbiato da risultare irriconoscibile.
Decise così di alzarsi dal letto, per dirigersi in cucina a bere un bicchiere d'acqua.
Non amava trascorrere la notte in bianco, il giorno dopo sarebbe dovuto andare a lavorare e di sentirsi teso come una corda di violino proprio non gli andava per niente.
Scese le scale lentamente e un ricordo fugace lo assalì di soprassalto.
Era piccolo, avrà avuto cinque anni.
Gabriele si era svegliato in preda ad un brutto sogno, e gli girava la testa. Era uscito dalla stanza ed era tutto buio…
Non aveva visto il gradino, era ruzzolato giù per le scale. Ricordò soltanto di essere stato soccorso da sua zia Agnese, che se lo era stretto al petto disperata.
Amore di mamma, sono qui. Apri gli occhi, ti prego!
Quelle parole Gabriele, per anni, le aveva tenute chiuse nel cuore. Si era anche chiesto se, nell'agitazione del momento, non avesse scambiato sua madre Anna per sua zia. Aveva rimuginato tanto su quelle parole, arrivando quasi a chiedersi se non fosse stata la stessa Agnese a sbagliarsi, a scambiarlo per qualcun altro, mentre era in preda all'ansia e all'agitazione.
Arrivato in salotto, sentì un mormorio provenire dalla cucina. S'insospettì, si avvicinò alla porta socchiusa e gettò uno sguardo fugace all'interno della stanza.
I suoi genitori erano lì, seduti al tavolo. Avevano tra le mani una busta bianca, sigillata.
«Gliela dobbiamo dare, Romeo? Vogliamo proprio farlo?» fece Anna, singhiozzava così disperatamente che per un istante a Gabriele salì il panico.
«Gliela daremo con calma, Anna. Non possiamo continuare a tenerglielo nascosto. Maxime vuole vederlo».
Maxime… quel nome a Gabriele non suonava del tutto estraneo. Ricordò che sua zia aveva un amico di penna svizzero che si chiamava Maxime. Allegra aveva addirittura insinuato che fossero amanti e che la zia, integerrima e impeccabile, avesse intrattenuto una relazione illecita con un uomo sposato. 
Ma Gabriele a quella teoria non ci aveva dato poi così tanto peso, a suo tempo.
«Ma io… ma se poi ci odierà? Se penserà che-»
«Non penserà niente, Anna, sta’ tranquilla! Restiamo la sua famiglia, nel bene e nel male!».
Gabriele non riuscì a trattenersi oltre.
Entrò in cucina aprendo piano la porta, la luce gli ferì le iridi abituate all'oscurità.
«Gabo!» esclamò Anna, asciugandosi di fretta e furia le lacrime sgorgare dagli occhi come fiumiciattoli.
«Che ci fai sveglio a papà?» fece Romeo, nascondendo per riflesso la lettera sotto la manica del pigiama.
Gabriele avanzò in cucina con le sopracciglia aggrottate, sospettoso.
«Che succede?» chiese, la voce impastata di sonno.
Anna e Romeo lo fissarono stralunati, presi in contropiede.
«Ma niente, che vuole succedere…» prese la parola Romeo, non riuscendo a mascherare del tutto la tensione.
Anna gli poggiò una mano sul braccio, lo stesso sotto cui aveva nascosto la lettera.
Guardò suo marito con i suoi occhi chiari intensi, dolci proprio come la prima volta che Romeo li aveva incrociati per sbaglio, tanti anni prima.
Gabriele capì che Anna lo stava implorando silenziosamente, di fare cosa, però, non gli era dato saperlo. Ancora.
Romeo sospirò, rassegnato. Poi annuì impercettibilmente, togliendo il braccio dalla lettera nascosta.
«Siediti Gabo. Io e la mamma ti dobbiamo parlare» disse infine, indicando il posto a sedere con un cenno del capo.
Gabriele obbedì, scostando la sedia. Avvertì il cuore in gola, sembrava fosse ancora intrappolato in uno di quei sogni assurdi di poco prima.
Guardò apprensivo i suoi genitori, un lieve tremore cominciò a scuoterlo.
Mai avrebbe immaginato che di lì a qualche minuto, Gabriele avrebbe dato finalmente un volto reale all'uomo che sognava costantemente di fianco a sua zia, stravolgendogli la vita, per poi ridargli un senso subito dopo, e non solo a quel sogno. Ma a tutto il resto.
   
 
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