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Autore: ame tsuki    24/02/2024    3 recensioni
HashiMada | Modern AU (ma anche Angst AU, sinceramente)
Dal testo: “Hashirama fissa il lampeggiare dei due punti al centro e si sente intrappolato in mezzo a tutti quegli zeri esattamente allo stesso modo.
La sua vita si è azzerata, e non sa da dove ripartire. Davanti a sé ha le carte che spiegano tutto. Tutti i ritardi, tutte le uscite, le scuse e i mal di testa. È scritto nero su bianco con termini netti, precisi, indiscutibili”.
Questa storia partecipa alla Challenge "Prime volte" del gruppo Facebook Komorebi Community - Fanfiction Italia.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Questa fanfiction partecipa alla Challenge Prime volte indetta da Dylanation sul gruppo Facebook Komorebi Community - Fanfiction Italia.
Prompt: mezzanotte (ma va?).

 
 
 
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Hashirama fissa il lampeggiare dei due punti al centro e si sente intrappolato in mezzo a tutti quegli zeri esattamente allo stesso modo.
La sua vita si è azzerata, e non sa da dove ripartire. Davanti a sé ha le carte che spiegano tutto. Tutti i ritardi, tutte le uscite, le scuse e i mal di testa. È scritto nero su bianco con termini netti, precisi, indiscutibili.
Metastasi. Chemioterapia. Non operabile.
Lo aspetta sul divano di casa davanti a tutte quelle sentenze con lo sguardo fisso sull’orologio e in testa tutte le parole che vuole urlargli in faccia, perché la rabbia è l’unico modo che ha di coprire quel vuoto in mezzo al petto.
Ma quando Madara rientra dalla cena di lavoro, poco dopo mezzanotte, tutto quel che riesce a fare è guardarlo in silenzio, senza salutarlo, e indicare le carte sul tavolino. La mano trema, e non fa nulla per nasconderlo.
«Possiamo parlare di questo?».
Trema anche la voce, e forse è meglio. Che lo senta pure, quel dolore.
Madara ha un modo tutto suo di cambiare espressione. Impercettibile a chiunque non lo conosca come il palmo della propria mano, ma Hashirama ha imparato a notare ogni particolare. Lo sguardo più scuro, un sospiro interrotto, la rabbia nel posare le chiavi sullo svuota tasche accanto alla porta.
«Sono stanco. Voglio andare a dormire».
Tono freddo, voce ferma. Un contrasto diretto.
«No. Siediti». Hashirama inspira, ed è come soffocare. «Per favore».
Patetico. Se lo dice da solo, mentre lotta contro le lacrime e la voglia di lanciargli tutti i fogli in faccia, come se bastasse quello a curarlo, o renderli irreali.
Ma Madara lo ascolta per pietà. Si siede sul divano accanto a lui ed è lì. Reale. Lo stesso di qualche ora prima. Hashirama ne cerca sul volto e nel corpo i segni della sua condanna a morte e non trova niente. Nessun cambiamento, ed è la cosa che lo spaventa di più, perché persino il suo corpo gliel’ha tenuto nascosto.
Inspira. Espira. Ha gli occhi lucidi.
«Quando avevi intenzione di dirmelo?».
Accusarlo è la cosa più semplice.
Madara ha la schiena appoggiata al divano. Accavalla le gambe e lo guarda solo con la coda dell’occhio.
«Non ne avevo nessuna intenzione. E tu non avresti dovuto frugare tra le mie cose».
Eccolo lì, sempre pronto a tracciare confini. Hashirama ha un groppo in gola che non riesce più a ignorare.
«Ho tutto il diritto di frugare tra le tue cose». E alza la voce, anche se non vorrebbe. È il suo unico scudo. «Sono tuo marito».
Gioca a carte scoperte. Usa tutte quelle che ha, ma non sono mai abbastanza.
Madara non lo guarda nemmeno, tira fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca interna della giacca e se ne accende una con calma agghiacciante.
«E quindi?».
No, Hashirama non sa come rispondere. In bocca ha solo il gusto amaro della sconfitta, sulle guance il calore bollente delle prime lacrime.
«Sono tuo marito». Lo ripete, perché dovrebbe bastare. Lo ripete come se il problema fosse quello: una semplice dimenticanza – e un promemoria per aggiustare tutto. «E non fumare, cazzo!».
Un tiro, molto più lungo del necessario, poi Madara gli butta il fumo dritto in faccia.
«Perché, che differenza fa?». La sigaretta, certo, che ormai non può ucciderlo più di quanto abbia già fatto. Ma Hashirama sa bene che c’è dell’altro. Si tocca la fede al dito e, infatti: nessuna differenza.
È solo un simbolo, un pro forma. Un favore che Madara gli ha fatto per mettere a tacere la sua insistenza. Vorrebbe odiarlo, per quello, ma no: lo ama esattamente così com’è, con tutto il dolore che porta.
«Vorrei solo che non facessi sempre tutto da solo». Sospira, si asciuga le lacrime come può e non riesce ad arginarle.
Madara, finalmente, lo guarda. Hashirama si riconosce nei suoi occhi, la propria debolezza messa a nudo – lui, che dovrebbe essere la sua forza, ha solo voglia di aggrapparsi alle sue spalle e piangere, piangere, piangere fino a consumarsi.
«E io vorrei non doverti vedere così». È poco più di un sussurro. Una confessione a occhi bassi, nascosta dal ciuffo che gli copre sempre parte del volto.
Hashirama singhiozza e Madara spegne la sigaretta sul posacenere senza finirla, e allora sanno entrambi che è il momento di smetterla di accusarsi a vicenda.
Abbracciarlo è un gesto scontato. Affondare il naso all’incavo del collo e inspirare a fondo le note agrumate del suo profumo, anche, ma Hashirama non sa che altro fare. Il loro amore è tutto lì, in quella stretta ferrea bagnata da lacrime e singhiozzi dalla quale Madara non si scosta.
Scusa e poi non voglio e ancora scusa.
Hashirama si esprime a frammenti, i pensieri incastrati tra il calore del corpo di Madara e il freddo al petto, dritto in mezzo al cuore.
Non è pronto. Non era pronto, non lo sarà mai.
In bocca ha ancora voglia di urlare, di chiedergli perché non gliel’abbia detto prima o dargli dello stupido, ma: «Come faccio, senza di te?», è tutto quel che riesce a dire, col respiro spezzato e la gola in fiamme.
E forse è ancora più patetico, ma a quel punto non importa, perché Madara gli passa la mano sulla schiena in un tocco leggerissimo e non è mai stato tanto tenero in vita sua.
«Sono sicuro che troverai un modo di andare avanti comunque».
Hashirama scuote la testa e ingoia le lacrime. Alza il volto di pochissimo e lo guarda anche così, con gli occhi annacquati e rossi, specchio di tutto il suo dolore.
«Come lo sai?».
Le labbra di Madara si abbassano a sfiorare le sue. Hashirama le vede piegarsi in un sorriso minuscolo, poi: «Perché ti amo», risponde.
Lo dice così, con la bocca sulla sua, senza fare nient’altro, come fosse solo un’altra delle sue battute. Lo dice come se l’avesse pensato centinaia di volte, ma è la prima ad alta voce, ed è quello a farlo crollare.
Non nel dolore o in un altro attacco di pianto, ma in un sorriso dolcissimo, tutto per lui.
«Ti amo anch’io», è la risposta scontata. E «Grazie», è quella più adatta – perché quello è un atto d’amore e compassione che non può misurarsi a parole, ma è tutto quello che serve.
Madara riprende in fretta se stesso, alza gli occhi al cielo e poi: «Sì, sì, d’accordo», dice. «Ma se mi ami davvero devi seguire le mie istruzioni sul mio vestito e sul tuo, per il funerale. Non fare scherzi, altrimenti ti perseguito a vita».
Per quanto assurdo sia, riesce a farlo ridere, tra le lacrime e il bacio che ne segue, senza alcuno sforzo.
Da qualche parte, dietro il loro abbraccio, l’orologio è andato avanti, nonostante tutto, e Madara è ancora lì con lui, per tutto il tempo che gli rimane da vivere.
 
 
 
 
L’idea per questa fanfiction mi gira in testa da un bel po’ di anni, in realtà, ma non ho mai avuto le palle di metterla giù per davvero. Poi, complice un giorno particolarmente triste, alla fine ce l’ho fatta ed eccola qui.
Non mi convince per niente, più che altro perché non sono abituata a scrivere su tematiche del genere e mi sembra tutto troppo strano, senza p0rno, ma ogni tanto ci vuole anche un po’ di sano angst per iniziare le giornate.
Manco a dirlo, si basa sull’headcanon che Madara non dica mai “ti amo” nemmeno sotto tortura, ma qui serviva ad Hashirama, e gliel’ha detto. Insomma, non è così stronzo come dicono – non sempre XD
 
Spero vi sia piaciuta!
Alla prossima,
Tsuki
   
 
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