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Autore: Tynuccia    24/02/2024    1 recensioni
[Gundam SEED] Quasi era disgustata dalla facilità con cui aveva fatto un piccolo e metaforico passo in avanti.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Insonnia
 
 
 
Le aveva provate tutte, per addormentarsi.
 
Inizialmente si era sdraiata, come aveva fatto per sedici anni, ed aveva chiuso gli occhi. Era stato un errore, perché appena aveva abbassato le palpebre, una sequela di suoni ed immagini le era comparsa davanti, in maniera talmente confusionale che aveva dovuto deglutire pesantemente, imparare quasi ex novo a respirare, perché la gola le si era chiusa ed il suo corpo, circondato dal tepore delle coperte, non le era neanche sembrato il suo, appesantito com'era da tutti quei ricordi.
 
Durante la permanenza sulla Vesalius era stato tutto, ironicamente, molto più semplice. Il suo fisico soccombeva alla stanchezza in automatico, facendola sprofondare in un sonno lieve e poco soddisfacente, ma necessario per sostentarla durante i turni; quando si svegliava da quei pisolini, ed il mondo pareva vorticare, si arrendeva ad andare nell'hangar a lavorare sulla sua unità, e in qualche modo dimenticava tutto. 
 
La prima notte, dopo essere rientrata in patria, si era illusa che avrebbe dormito come mai in vita sua, finalmente al sicuro, senza sirene fastidiose, senza il brulicare dei colleghi, senza la domanda più balorda di tutte: tornerò sana e salva?
Quando la guerra le era apparsa davanti agli occhi serrati, però, aveva capito che non sarebbe stato per niente semplice riabituarsi ad un'esistenza tutto sommato spensierata, e si era risolta ad alzarsi, vagando a piedi nudi sul pavimento gelido di quell'appartamento spartano che l'esercito le aveva dato in dotazione per il servizio reso alla patria. 
 
Sedici anni e veterana? Ecco un tetto sulle spalle, Shiho Hahnenfuss, a buon rendere!
 
Era una persona paziente, e dotata di uno spiccato spirito di privazione, eppure si era ritrovata amareggiata, e pronta a lanciarsi in pensieri ironici nei confronti delle stesse forze armate cui aveva giurato fedeltà; cui aveva offerto la propria esistenza come una vergine sacrificale sull'altare bellico.
 
Si era detta che una tazza di camomilla l'avrebbe aiutata, e almeno aveva sprecato un po' di tempo alla ricerca dell'occorrente per l'infuso. Salvo poi realizzare che non aveva fatto la spesa, e nell'acqua calda avrebbe potuto inzuppare soltanto la frustrazione crescente dentro di sé.
 
Lasciandosi sprofondare sul divano, aveva poi estratto il cellulare, sentendosi una completa idiota a cercare su internet metodi efficaci per dormire. Man mano che aveva fatto scorrere il pollice su decine di pagine che le consigliavano le cose più disparate, la sua amarezza era aumentata, fino a costringerla a spegnere completamente l'apparecchio elettronico per evitare di lanciarlo contro il muro e guardarlo frantumarsi in mille pezzi. 
Aveva sospirato e, ginocchia tirate al petto, aveva aspettato l'alba con occhi vacui ed il cuore in tumulto. 
 
Nei giorni seguenti aveva comprato almeno dieci scatole di tisane: le aveva gustate tutte, fidandosi delle scritte che promettevano dormite eccezionali, ed ogni volta si era ritrovata sul divano, contando i secondi, e non le pecore, che la separavano dal sorgere del sole. 
 
Finita la guerra, aveva capito che ormai l'adolescenza era terminata, e si era arresa a continuare a servire ZAFT, tornando nel suo adorato laboratorio di ricerca. Le era sembrato di respirare di nuovo, e aveva unito l'utile al dilettevole, immergendosi anima e corpo nella progettazione dei Mobile Suit, delle armi, dell'analisi scrupolosa degli ingenti dati ricavati dalle mille battaglie conclusesi da poco.
 
Essendo una Coordinator, Shiho avvertiva la stanchezza in maniera meno invasiva, ed il suo lavoro non ne risentiva particolarmente. Non le interessava neppure inserire gli straordinari, qualsiasi cosa sarebbe andata meglio delle notti sul divano di un monolocale che non le apparteneva completamente, e in cui, di sicuro, aveva vissuto qualcuno che, ormai, non sarebbe più tornato. Il pensiero l'aveva quasi fatta vomitare.
 
L'idillio, però, era finito quando il suo superiore l'aveva convocata, ordinandole con fare conciliante di tornare a casa, perché non poteva passare la vita seduta alla scrivania, o sarebbe impazzita. 
 
Shiho aveva soppresso un ghigno ironico, perché probabilmente era già successo, e non era ancora colata a picco per un mero istinto di sopravvivenza. A livello fisico.
 
Appollaiata sui cuscini di pelle lisa, la ragazza posò la guancia sul ginocchio, in perenne attesa che diventasse giorno per tornare in ufficio, tra le mani una tazza ancora calda. La portò alle labbra, concentrando tutte le sue energie residue sul gusto dolciastro della camomilla, che le scivolò in gola come se fosse semplicemente acqua. Era sempre stata entusiasta di mangiare, e neanche a dirlo, ora consumava i suoi pasti per senso del dovere, e non per altre ragioni. Non esagerava, perché in più di un'occasione il suo stomaco si era ribellato, costringendola a vuotarlo dei suoi contenuti per cause di forza maggiore. A volte erano i rapporti dei Mobile Suit esplosi, altre le notizie di debole speranza su questa o quella commemorazione delle vittime. Ma, soprattutto, era la scomoda consapevolezza che lei, in fin dei conti, non aveva il fottuto diritto di stare così male per una guerra cui aveva preso parte soltanto nelle fasi finali. 
 
Masticò un'imprecazione e decise di approfittare dell'arrivo della bella stagione per sgranchirsi le gambe, e non aspettare il sole nella posa scomposta di tutte le altre sere.
Si alzò, togliendosi il pigiama, ed evitando accuratamente di specchiarsi. Sapeva di avere un aspetto di merda, e per quanto fosse una Coordinator, i cerchi neri sotto gli occhi ed il colorito cadaverico erano lì a ricordarle che erano mesi che non dormiva propriamente. 
 
Abbassò la maniglia, e per buona misura inserì la pistola nella borsa. Il che era grandioso, perché a sedici anni, e con un esaurimento nervoso auto-diagnosticato, affidarle un'arma carica era un'idea splendida, no?
 
Scese le scale a due a due, chiedendosi se i soldati oltre le porte chiuse stessero vivendo lo stesso dramma, o se fosse l'unica persona tanto debole da non riuscire ad abbassare le palpebre senza pensare al laser assassino del Genesis e alle urla di chi aveva perso tutto nel giro di pochi secondi.
 
Praticamente si gettò fuori dal portone, respirando a pieni polmoni l'aria salmastra. Il complesso residenziale di ZAFT era collocato nella zona portuale, lontano anni luce dalle ville arroccate sulle colline verdi di Aprilius One, o dal centro brulicante di vita e locali di tendenza. Lì non c'era niente da fare, forse entrare al minimarket aperto ventiquattro ore e comprarsi qualcosa da bere, o da mangiare. Sapeva bene che, un tempo, probabilmente avrebbe adorato ogni istante di quel pensiero: con uno snack ed il rilassante rumore del mare in una notte tiepida e tranquilla, la Shiho prima della guerra si sarebbe goduta quella piccola gita fuori porta. A differenza di ora. 
 
Si accomodò per terra, le gambe a penzoloni oltre il marciapiede che sovrastava l'acqua scura, e cercò di trovare anche un minimo aspetto positivo, ma senza riuscirci. Era decisamente meglio che soffocare tra le pareti sconosciute del suo appartamento, eppure non era in grado di lasciarsi alle spalle l'amarezza ed i ragionamenti intrusivi. Che senso aveva carpire le effimere gioie minuscole, quando stava così male? A volte invidiava i morti, perché almeno loro avevano smesso di soffrire, salvo poi rendersi conto che era una persona spregevole, ed il suo umore si affossava nuovamente. Prese un sorso della bibita che aveva acquistato, desiderando chiudere gli occhi e ascoltare il mare, ma dei passi alle sue spalle interruppero la burrascosa quiete dentro di lei. 
 
"Non ti ho mai vista con addosso abiti da civile".
 
Fu come se il suo cuore avesse ricominciato a battere, dopo mesi di torpore. Si voltò, con la bottiglia ancora a mezz'aria, e si domandò se non avesse iniziato a soffrire di allucinazioni. In piedi, rigido come sempre, Yzak Joule la guardava con la solita espressione algida, annoiata quasi. A differenza sua, indossava l'uniforme di ZAFT, e sul suo viso non c'era più la cicatrice arrossata che in più di un'occasione aveva desiderato toccare. 
 
Non avevano più avuto contatti, dopo essersi salutati, e lei non si era sentita sufficientemente all'altezza per pregarlo di scriverle ogni tanto. Occupata com'era stata con l'insonnia ed i suoi derivati, il ricordo del ragazzo era diventato parte delle sue memorie. Le era capitato di leggere notizie che lo riguardavano: aveva scampato la pena capitale, era stato perdonato, ed ora lavorava sia nell'esercito, che nel Consiglio. Si era riscoperta molto orgogliosa di lui, aveva pensato che se lo fosse meritato ampiamente. 
"Capitano", le uscì, la voce impastata. Si chiese se forse avrebbe dovuto mettersi sull'attenti, ma preferì evitare.
 
"Comandante", la corresse con una certa boria lui, sedendosi al suo fianco. 
 
"Oh, giusto". Shiho arrossì, vergognandosi di quel lapsus. "Congratulazioni, a proposito".
 
La reazione di Yzak fu una monumentale scrollata di spalle. "Dall'esterno sembra molto meglio di com'è in realtà", borbottò, non senza fastidio. "È una colossale rottura di coglioni, lasciamelo dire".
 
A lei quasi fece male la gola, perché per la prima volta dopo troppo tempo si ritrovò a ridere, e di gusto anche. La personalità dirompente, ma onesta, dell'erede dei Joule non le incuteva timore, e anzi credeva che fosse a modo suo molto divertente. Presto, però, la sua ilarità si dissipò, lasciando spazio soltanto al rumore delle onde. "È molto tardi", notò, soprassedendo sul fatto che quella frase poteva applicarsi ad entrambi. "Cosa ci fa qui?".
 
Yzak rimase in silenzio per un po', imbambolato con lo sguardo all'orizzonte. Poi, con uno sbuffo, decise di risponderle. "Passo le notti in ufficio, di solito, ma non tornavo a casa da un paio di giorni e avevo bisogno di alcuni documenti".
 
Shiho si voltò a fissarlo. Anche il suo bel viso presentava i suoi stessi segni. Incurvò le labbra in un sorriso amaro, e mugugnò il suo assenso. "Capisco". Lo vide ricambiare l'occhiata, senza particolare emozione. "Non sapevo abitasse negli alloggi dell'esercito".
 
"Non è un'informazione di dominio pubblico", confermò lui. "Sono all'ultimo piano, quello riservato ai pezzi grossi", continuò, con un certo disgusto. "Come se aver ucciso innumerevoli persone sia sinonimo di medaglia al valore".
 
Tornò il silenzio, perché la ragazza non sapeva proprio come replicare. Sulla Vesalius avrebbe tentato di consolarlo con vaghe parole che non trasudassero pietà, ma in quel momento era troppo stanca per inventare modi che non offendessero il suo orgoglioso ex-Capitano. E, soprattutto, perché provava il medesimo sentimento sconsolato e furente al contempo. "Non dormo da mesi", confessò invece, ed era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce. "Ogni tanto mi si chiudono gli occhi, ma mi sembra di svegliarmi subito, anche perché vengo disturbata da immagini raccapriccianti".
 
Yzak si limitò a passarsi una mano sull'uniforme immacolata. "Stress post traumatico", mormorò. "Ci sto passando anche io", confidò, a denti stretti, come se fosse una sconfitta, poi rilasciò una risata stanca e graffiata. "Mi hanno spedito da uno strizzacervelli, perché dicono che non posso affrontare i nuovi doveri con dei problemi irrisolti". Non sapeva il motivo di quel fiume di parole, ma la ragazza al suo fianco era capace di fargli vomitare dettagli apparentemente inutili, come quando le aveva dato il suo soprannome. "O quello, o sarei finito a ubriacarmi quotidianamente per far fronte a tutto quanto".
 
Shiho non riuscì a non provare una morsa allo stomaco. L'idea del grande Yzak Joule sdraiato su un lettino e costretto a parlare con il cuore in mano era bizzarra, quanto un elefante con un tutù. "Io ci ho provato", dichiarò in un sussurro. "Con l'alcol, intendo. A quanto pare non lo reggo molto bene, perché ho passato la notte a vomitare, ma almeno il tempo mi è volato". Lui in un primo momento la fissò come se avesse appena ammesso di essere stata la responsabile dietro l'esplosione di Junius Seven, quindi scoppiò a ridere in un modo che lei non gli aveva mai sentito. Valutò che era incredibile la velocità con cui si era già affezionata a quel suono. 
 
"Mi ci voleva", riuscì a parlare dopo un po' Yzak, arrossendo per quell'esternazione poco nelle sue corde. "Non so il perché, ma sapere che anche tu sei miserabile, Hahnenfuss, mi rende meno incazzato".
 
Non era una frase lusinghiera, perché confermava il suo status mentale marcio, ma Shiho non poté fare altro che sorridere. Era così naturale. Avevano passato le stesse cose, lassù, condiviso le medesime paure, ed ora non potevano che ritrovarsi nella merda fino al collo. Insieme. Certo, era conscia che il Comandante Joule aveva visto e vissuto situazioni più pesanti delle sue, ma in qualche modo comprendeva alla perfezione cosa intendesse.
 
Rimasero seduti a parlare del loro lavoro fino al sorgere del sole, e straordinariamente scoprì che le spiaceva dover mettere la parola fine a quell'attimo ritagliato, esattamente come quando la sirena della Vesalius strepitava con la promessa di morte. Capì, però, che a differenza di allora si sarebbe dovuta semplicemente infilare sotto la doccia e dirigere in ufficio, senza nessun pericolo che le incombesse sulla testa. Quasi era disgustata dalla facilità con cui aveva fatto un piccolo e metaforico passo in avanti. Era bastato lui, con il suo carattere impossibile e i modi altezzosi di un principino viziato. "Comandante?", lo chiamò, quando ormai si erano già accomiatati. Lo guardò girarsi e spiarla con curiosità. "Sulla Voltaire potrebbe esserci posto per una Redcoat che non riesce a dormire?". Si stupì della propria audacia, ma ancora di più del piccolo sorriso che gli incurvò le labbra.
 
"Certo", assicurò in un sussurro flebile lui. "Ti farò ricontattare dalla mia assistente".
 
E, con quella promessa, la lasciò sola sul molo, consapevole che la strada per la guarigione era ancora lunga, ma che, al suo fianco, l'avrebbe percorsa con uno spirito completamente diverso.
 
 
  
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