Non
sono certa di quale qualifica attribuire a questa roba. Diciamo che è un’idea.
Se poi sia buona, questo proprio non lo so. Era una cosa mi ronzava in testa da
un po’, solo che non avevo ancora idea di come creare i personaggi giusti.
Solitamente non amo le fanfic dove figurano nuovi
personaggi, ma qui non avevo scelta. Poi la folgore mi ha colpita, e per quanto
non sia affatto sicura di aver raggiunto un risultato soddisfacente non mi sono
potuta trattenere dal buttare giù la seguente sfilza di parole presumibilmente
inutili. Come sempre.
Non
so se anche a voi è capitato di pensarci, ma io mi sono sempre chiesta come
sarebbe un Naruto sensei.
Cioè, non è che passassi le giornate a rifletterci, voglio dire, persino io ho
di meglio da fare, ma insomma. Questa è un’ipotesi. Totalmente cretina, ma pur
sempre un’ipotesi. Devo dire che ho avuto non poca difficoltà a mantenere
intatto l’IC del nostro amicone, calarlo nella parte di savio maestro – che
comunque non sarà mai – è stato più complicato del previsto. E conservo tuttora
seri dubbi sull’integrità degli aspetti caratteriali di questo fulgido
individuo partorito dal geniale Kishimoto.
Un
paio di premesse: non avevo la più pallida idea di come funzionasse quando ad
un tizio viene affidato un team, non so se il sensei
si aggiorna in tempo reale sui propri futuri allievi prima di incontrarli o se
li conosce solo il giorno in cui si presenta a loro per la prima volta. Quindi
ho fatto di testa mia, e va beh.
Poi
non ricordavo troppo bene il momento della presentazione, e siccome non
possiedo i primi numeri del manga non ho potuto controllare. Forse troverete
qualcosa di poco plausibile, comunque a me pare che tutto più o meno quadri.
Ho
in programma almeno un’altra shot che completi il
senso di questa, perché così la storia rimane un po’ sospesa, fluttuante nel
nulla, fine a se stessa. Ma non avevo nessuna voglia di impelagarmi in una
long, specialmente conoscendomi. Quindi vi presento questo coso privo di una
collocazione precisa. I personaggi inediti non si conoscono ancora troppo bene,
casomai fatemi sapere se è il caso che provveda con un’altra fic sull’argomento.
Grazie
dell’attenzione, mesdames et
messieurs.
Buona
lettura. ^.^
“Non credi che sia
giunto il nostro momento, ora?”
“Quale momento?”
“Quello in cui
passiamo dall’altra parte, la parte da dove lasciamo in eredità ciò che abbiamo
appreso. Potrebbe essere piuttosto complicato, ma è così che va il mondo. Molto
presto tu ti troverai a minacciare qualche bambino per mezzo del ramen, e lui ti chiamerà Naruto sensei.”
[Dialogo tra Shikamaru e Naruto, capitolo 406
dello Shippuuden]
Pessimo
inizio.
Sì,
decisamente pessimo. Un esordio indiscutibilmente infausto.
Il
jinchuuriki imprecò a pieni polmoni, accelerando la
marcia. Ma come diamine aveva potuto svegliarsi a quell’ora indecente, proprio quella mattina, dannazione? Sicuramente
la sveglia aveva suonato almeno una ventina di volte prima che lui la udisse, e
quindi un’altra dozzina buona, prima che si fosse totalmente distaccato dallo
stato sonnolento. Per non parlare del tempo che aveva impiegato a scendere dal
letto, rassegnandosi definitivamente ad abbandonare le morbide coltri. E poi,
non contento del catastrofico ritardo accumulato, aveva avuto perfino la
brillante idea di fermarsi al chiosco per rifocillarsi con una colazione degna
di lui.
“Solo
tu sei capace di mangiare ramen di prima mattina, baka”, aveva commentato Sakura che si era trovata a passare
casualmente da quelle parti. Poi aveva
sgranato leggermente i begli occhi smeraldini, improvvisamente meravigliata.
“Ma, Naruto …”, aveva mormorato pensosa, come
sovvenendosi di un qualche fatto peculiare. “Naruto,
tu oggi non avresti dovuto …”
E
a questo punto la kunoichi era stata brutalmente
interrotta da un roboante “Oh, merda!”
scaturito dalla bocca dell’interpellato insieme a svariati sputacchi al ramen. “Merda, merda, merda! Me ne ero completamente
dimenticato!”
Sakura
aveva spalancato gli occhi ancora di più, se possibile. “Naruto!”,
aveva sbottato con aria di rimprovero, incredula. “Ma come cavolo puoi
dimenticarti una cosa del genere, idiota?!”
Ma
le sue ultime parole erano state gettate al vento, dal momento che il biondo
ninja si era defilato nel giro di qualche millesimo di secondo, correndo a
perdifiato verso l’accademia.
“Merda!”,
aveva soggiunto trafelato, giusto per ribadire il concetto.
E
ora eccolo che si arrestava con una frenata repentina, destando un fracasso
degno di una mandria di gnu impazzita.
Non
osava neppure immaginare quanto fosse
in ritardo.
Si
sentiva teso come una corda di violino – insomma, non aveva idea di come
affrontare qualcosa del genere! – e al contempo inspiegabilmente intorpidito.
Sospirò,
tentando di recuperare un minimo del contegno che avrebbe dovuto avere un
valente jonin di Konoha,
quindi si incamminò mestamente verso l’ingresso, scoraggiato già in partenza.
La
cosa gli pareva ben poco propizia. ‘E il tredici porta pure sgarro’,
pensò imbronciato ricordando il numero del team. Ecco, si disse, ora sarebbe
stato classificato immediatamente come il
ritardatario imbecille, perché sarebbe arrivato due ore dopo l’orario
previsto come quel disastrato meravigliosamente svampito di Kakashi
sensei, i suoi allievi lo avrebbero sfottuto fino
alla fine dei tempi, e poi visto che aveva esordito con il medesimo piede del
suo stesso maestro, senz’altro il destino della sua squadra era
ineluttabilmente segnato: fra i componenti del team avrebbe sicuramente
figurato una ragazzina petulante dai capelli di un colore improponibile completamente
cotta di un insopportabile sborone erede di un antico
clan decaduto, il quale sarebbe divenuto senza via di scampo un nukenin, criminale di livello internazionale, e sarebbe
stato inseguito cocciutamente per anni dal terzo disgraziato, unico polo
positivo della combriccola, che però sarebbe stato preso per i fondelli
dall’intera Konoha per via della sua testardaggine, e
…
“Naruto!”
Il
jinchuuriki si riscosse con un sussulto, rischiando
peraltro di andare a sbattere contro il portone socchiuso. Si voltò battendo le
palpebre, e quando realizzò chi fosse il responsabile del richiamo sospirò
sollevato. “Iruka sensei!”
Tuttavia
l’insegnante non parve altrettanto soddisfatto. Lo fulminò con un’occhiataccia,
evidentemente adirato. “Naruto, sei in ritardo
clamoroso. Si può sapere che fine avevi fatto? Eh? Non vorrai mica seguire le
orme di Kakashi, vero? Perché in questo frangente il
suo atteggiamento è sempre stato terribilmente snervante.”
Naruto chinò il capo, colpevole. “Mi
dispiace, io …” Non osò confessare di essersi scordato dell’incombenza, Iruka l’avrebbe fatto a fettine. Anche perché lui stesso
non aveva idea di come avesse potuto, attendeva quel momento da mesi, con un
misto di ansietà, trepidazione, inquietudine e l’immancabile allegria di
sempre. Quindi preferì azzardare un sorriso, grattandosi distrattamente la nuca
con aria scanzonata. “Eh … Non ho sentito la sveglia, ihih.”
Iruka crollò il capo, rassegnato. “Sei un
disastro.” Ma poi sorrise a propria volta. “Beh, ormai quel che è fatto è
fatto. Datti una mossa, ora. Ricordi quello che ti ho detto ieri?”
Naruto aggrottò le sopracciglia, ricordando
improvvisamente il dialogo del giorno precedente. Quando gli tornò in mente
cosa Iruka aveva detto della squadra che gli era
stata affidata un brivido gli percorse la colonna vertebrale. Deglutì. “Sì”,
bofonchiò, tentando di mantenere un’aria serena. Scosse il capo, scacciando le
parole non propriamente rassicuranti del maestro. Ci avrebbe pensato più tardi.
Sorrise
allegramente. “Bene, adesso sarà il caso che vada, o i miei allievi mi
accoglieranno con una cascata di pomodori marci.”
“Non
credo che sarebbero i tipi …” Iruka annuì deciso, con
aria orgogliosa. “Adesso è arrivato il tuo turno, Naruto.”
Quindi
girò i tacchi e se ne andò.
Il
jinchuuriki restò qualche istante fermo su posto ad
osservare la sua schiena in allontanamento.
Serrò
le labbra, sorpreso. Solo in quell’istante si rendeva realmente conto di ciò
che lo aspettava. Era difficile realizzare appieno che adesso toccava a lui
insegnare, allenare, sostenere. Che non era più l’allievo, ma il maestro. Al
pensiero gli si serrò la bocca dello stomaco. Ne sarebbe stato capace?
Si
volse nuovamente all’ingresso dell’accademia, stavolta con un leggero timore, e
una tensione del tutto diversa. Com’erano i ragazzini che gli erano stati
affidati? Iruka gliene aveva parlato in modo
abbastanza dettagliato, per prepararlo, ma adesso le sue parole gli parevano
un’eco lontana, smorzata dall’aspettativa che aveva iniziato a crearsi senza
che quasi se ne fosse accorto.
Non
sarebbe stato meravigliosamente in gamba come Kakashi,
sensei insuperabile, decise, ma avrebbe comunque
fatto del suo meglio. Come sempre, del resto.
Figurarsi,
aveva affrontato ben altri problemi, era stato invischiato in lotte sanguinose,
ne aveva passate di cotte e di crude, non sarebbe certo stato un gruppetto di
dodicenni qualunque a intimidirlo.
E
poi, il suo compagno di squadra era Sasuke Uchiha. Dopo essere riuscito – più o meno – a gestire uno
spostato con gravi lacune comunicative e affetto da psicosi di ogni genere come
il teme, si sentiva pronto a sopportare chiunque e qualunque cosa. Insomma, era
riuscito a riportare il più cocciuto e odioso dei nukenin
a Konoha, e a farlo redimere. Mica roba da niente.
Perciò
era evidente che nessuna, nessunissima squadra di ninja avrebbe potuto essere
più problematica di quella di cui lui stesso aveva fatto parte.
Giusto?
Naruto Sensei
“Comunque non devi
preoccuparti, Naruto. Tutto sommato sono bravi
ragazzi.”
“Bravi ragazzi? Ma se ce ne fosse uno, dico uno, che non
ha problemi con la legge!”
Iruka sorrise leggermente, rimestando distrattamente il
proprio ramen con le bacchette. “Naruto,
ascolta. Molto spesso non conta quello che fai, ma la tua indole.”
Il jinchuuriki grugnì torcendo il naso, mentre ingurgitava un
boccone spropositato della pietanza. “L’indole, eh?”, mugugnò poco convinto.
“Certo”, rispose
serenamente il maestro. “Se una persona si comporta rettamente ma è di indole …
sì, di indole malvagia, beh, ecco, prima o poi le sue reali attitudini verranno
a galla. Così come il contrario. Anche agli individui con le migliori
predisposizioni capita di sbagliare. Prendi Sasuke,
ad esempio.”
Naruto trasalì, correndo il rischio di strozzarsi con un
enorme involto di spaghetti. Quando si fu ripreso, guardò storto l’uomo che gli
sedeva di fianco. Sapeva bene che corde toccare, l’infame. “Sasuke
sarebbe un individuo
con le migliori predisposizioni?”,
biascicò a bocca piena, scettico.
“Beh, magari proprio
le migliori no, ma … non è una persona abietta. Ha commesso un errore nel lasciarsi
guidare dal rancore e dall’odio che alla fine hanno soffocato la sua …” Scosse
il capo. “Ah, ma non farmi parlare sempre delle stesse cose! Sarà la centesima
volta che ripeto questo discorso, e comincia a sembrare retorico anche a me.
Quello che voglio dire è che Sasuke non è …
‘cattivo’. E questo non hai bisogno che te lo dica, è solo un esempio. Se lo
fosse stato, tu non lo avresti inseguito per tutto quel tempo, giusto? E alla
fine non sarebbe tornato a casa, non sarebbe stato perdonato.”
Naruto sorrise. “Sì, hai ragione.” Poi si accigliò. “Ehi,
ehi, un momento! Che c’entra il teme, ora? Era dei miei futuri allievi …” E qui
si interruppe un istante, faticando a digerire le parole da lui stesso
pronunciate. I
suoi futuri allievi. Suonava stranissimo.
“… Dei miei … sì, insomma, era di loro che parlavamo. Non cercare di portarmi
fuori strada!”
Iruka scoppiò a ridere. “Non cerco di portarti fuori strada.
Anzi. Mi preoccupavo di farti capire che non devi giudicare la tua squadra dal
solo … curriculum? Uhm, si potrà dire?”
“Non ne ho la più
pallida idea”, dichiarò lui corrucciato, per nulla interessato al linguaggio
tecnico o quello che era. “Sai benissimo che se c’è una persona che non giudica
il prossimo in base alle sole apparenze, quella sono io.”
“Lo so, Naruto.”
“È solo che … voglio
dire, tutti mi dite che sono una frana, no? E allora proprio non capisco perché
un gruppo del genere venga affidato a me.”
Iruka poggiò le bacchette, poi sollevò lo sguardo sull’ex
allievo disastroso dei tempi dell’accademia con un sorriso affettuoso. “Perché
abbiamo fiducia in te. Perché sarai anche una frana, ma non c’è persona che
meglio di te conosce le motivazioni che spingono o costringono qualcuno a stare
in disparte o a fare sciocchezze.” Poi ghignò divertito. “E, insomma, non
parliamone come se fossero dei reietti! Non sarà così tragica, credimi. Che
fine ha fatto il rompiscatole casinista che non teme niente e nessuno?”
Naruto arricciò il naso, quindi sorrise scrollando le spalle
e passandosi una mano tra i capelli. “Ci credi se ti dico che non mi sentivo
così insicuro neppure durante la battaglia contro Pain?”
Iruka scosse il capo, comprensivo. “Ci credo. E ti dico che
è normale. È una grossa responsabilità.”
“Grazie, questo sì
che è consolante.” Si aprì in uno schietto sorriso a trentadue denti. “Beh,
credo che per farmi coraggio prenderò un’altra porzione di ramen.”
“Ma Naruto! È la sesta ciotola!”
“E allora? Tanto
offri tu, no?”
“APPUNTO!”
“Oh, andiamo, Iruka sensei, non essere verde!
Non mi sarai mica diventato tirchio, eh?”
“Naruto
..!”
Naruto attraversò il corridoio ad ampi
passi, sorridendo tra sé. Era da parecchio che non metteva piede da quelle
parti.
Lasciò
scorrere gli occhi sulle ampie finestre che si susseguivano alla sua destra,
identiche fra loro, sulle pareti scrostate e le piastrelle consunte dalle suole
che le avevano calpestate. Era incredibile come ricordi sfocati prendessero
forma e acquisissero nitidezza in quell’ambiente.
Ricordava
perfettamente i richiami al silenzio e all’ordine della voce esasperata di Iruka sensei, i rimproveri, le
ore trascorse a lavare i pavimenti delle aule per punizione alle sue bravate.
Una
volta lui e Kiba avevano manomesso il sistema
idraulico della scuola – non ricordava neanche più come – ed erano riusciti ad
otturare tutti i water, dal primo all’ultimo.
“Devo dirtelo, Uzumaki, stavolta hai avuto proprio una bella idea.”
“Cosa ti aspettavi
dal futuro più grande Hokage di tutti i tempi?”
“Ah, ma che
piattola! Finiscila con questa storia.”
“Qualcosa in
contrario?!”
“Sta’ calmo, idiota!
Se ci becca il guardiano siamo fatti!”
“Beh, allora tu vedi
di far tacere quella specie di topo che ti porti sempre dietro.”
“È un cane, Uzumaki, un CANE!”
“E chissenefrega! Per me può essere un cane come una tigre dai
denti a sciabola, ma se non sta zitto lo ficco nel cesso e tiro lo sciacquone,
chiaro?”
Si
era divertito da matti, ma Iruka si era infuriato al
punto che li aveva condannati a pulire i gabinetti per tre mesi. Qualche giorno
dopo la sorella di Kiba aveva fatto visita al maestro
per pregarlo di intercedere, ed era stata così convincente che nel giro di un
paio d’ore il ragazzo era stato prosciolto. Ma lui non aveva nessuno che
venisse a chiedere solennemente perdono per lui e a cimentarsi in colossali
bluff nel proporre dei risarcimenti per i danni all’edificio, così era
trascorsa una settimana prima che Iruka, più per
simpatia nei suoi confronti – ne era certo – che non per par condicio rispetto all’altro teppistello,
aveva finito per cedere e liberarlo dall’incombenza, decisione sancita da una
splendida ciotola di ramen al chiosco di Teuchi.
Naruto sorrideva ancora beatamente tra sé,
il passo trasportato dai ricordi, quando si ritrovò dinanzi alla soglia
dell’aula dove lo attendevano i tre ragazzetti. La porta era chiusa, fortunatamente.
Se oltre al fatto che era disastrosamente in ritardo i suoi allievi lo avessero
visto con quell’espressione ebete stampata in faccia non avrebbe avuto speranza
alcuna di farsi rispettare.
Sospirò,
drizzando le spalle. “Bene”, mormorò tra sé. Ghignò smargiasso, dimentico di
ogni inquietudine. “E adesso a noi, marmocchi.”
“Ryo
Tsurayaki?”
“Esatto.”
“E … che tipo è?”
“È … un tipo.”
Naruto si allontanò rapidamente dalla porta
aperta, muovendo qualche passo rapido all’interno dell’aula, onde evitare
commozioni cerebrali da urto con cancellini piovuti da sopra il vano
d’ingresso. evidentemente però la sua squadra non era composta da gente in vena
di scherzi idioti, perché nulla cadde in direzione del suo cranio.
Si
volse indietro con aria circospetta, quindi tornò a rivolgersi ai presenti con
un sorriso sfrontato.
“Scusate
il ritardo”, esordì allegramente.
Tre
giovanissimi esemplari di homo sapiens facevano da spettatori alla sua entrata
trionfale, al momento intenti a studiarlo con aria annoiata e per niente
curiosa.
“Alla
buon’ora”, lo accolse canzonatoria una voce aspra e un po’ roca, profonda per
essere quella di un dodicenne. La attribuì senza difficoltà ad un ragazzino
robusto appoggiato alla cattedra con aria serenamente beffarda. Rifacendosi
alle parole di Iruka lo identificò immediatamente come
Ryo Tsurayaki.
“Cioè, fammi capire,
Iruka sensei, uno tipo …
tipo Sasuke?!”
“Ma no, Naruto, no! In un modo o nell’altro, in qualsiasi
circostanza e in qualunque conversazione, riesci sempre a tirar fuori Sasuke. Questa non è un’amicizia, è un’ossessione.”
“Non è assolutamente
vero!”
“Va bene, va bene,
non ti scaldare. Se avessi saputo, avrei tenuto la bocca ben chiusa. La mia era
solo una battuta sulla venerazione che tendono ad avere di Ryo
le ragazze. Eh, eh … e dire che è odioso. Cioè, non è che io solitamente
esprima giudizi sui miei allievi, non sia mai …”
“Ho capito, Iruka sensei.”
“Ecco. Però,
accidenti, lui è arrogante, attaccabrighe e sfrontato. Non ha un minimo di
rispetto per …”
“Ehi, dico, grazie!
Questo sì che è favorire una buona sintonia tra persone che ancora non si
conoscono!”
Iruka sorrise mestamente. “Scusa. Beh, se può consolarti
credo abbia talento. È riuscito a passare tranquillamente gli esami facendosi
vivo a lezione un giorno sì e tre no.”
“Ah, fantastico.”
“Già. Ma non
preoccuparti, andrete senz’altro d’accordo. È una specie di teppista, è stato
accusato di aver distrutto la vetrina di un negozio con merce esposta annessa,
di vari furtarelli di poco conto e di essere il fomentatore di alcune risse
scoppiate in periferia.”
“Grazie! E tu mi
paragoni a un individuo del genere?”
“Dico solo che
magari avete qualche … bravata adolescenziale in comune?”
“Tsk.
Sappi che mi ritengo profondamente offeso.”
“Per così poco?
Comunque a pitturare le effigi degli hokage del
passato non è ancora arrivato.” E scoppiò a ridere.
Naruto arrossì. “Umphf.”
Ryo Tsurayaki
era un bel ragazzino alto per la sua età, piuttosto muscoloso; aveva lineamenti
marcati e regolari, capelli arruffati color paglia, lunghi fin quasi alla
mandibola, e occhi di uno strano castano-verde.
Al
momento lo osservava con aria sfacciatamente divertita. Aveva un sorriso ampio
e luminoso, anche se vagamente denigratorio, che gli disegnava due vistose
fossette allegramente simmetriche ai lati della bocca. Naruto
lo studiò sospettoso, incerto se la palese arroganza che si leggeva in faccia
al ragazzo gli suscitasse una simpatia sviscerata o un odio assassino.
Alla
fine optò per il mantenimento del sorriso spensierato. Scoppiò a ridere
fragorosamente, nel modo che gli era proprio, sentendosi immediatamente a
proprio agio. ‘Tu ti senti a tuo agio dappertutto’, gli avrebbe detto Sakura.
“Beh”,
fece stiracchiando le braccia, “meglio tardi che mai, no?”
“Dipende
dai casi”, replicò sostenuta una vellutata vocina femminile.
Naruto volse il capo – dovette esplorare
l’intera stanza con lo sguardo, perché i tre piccoli disgraziati si erano
collocati ognuno decisamente distante dall’altro – e alla fine localizzò una
ragazzina minuta appollaiata sul davanzale di una finestra.
Occhi
color ambra, corti capelli rossi raccolti in uno sparuto codino disordinato sulla
nuca da cui ricadevano una miriade di ciocche scomposte, naso all’insù, visino
roseo perfettamente ovale. Molto graziosa, ma il suo sguardo riottoso e
sfuggente non ricordava neppure lontanamente quello di Sakura Haruno.
“Kinuye
Oharu non è di Konoha,
proviene da un paesino derelitto sperduto fra i sobborghi del confine del
Paese. È spiacevole ammetterlo, ma quelle zone sono in uno stato di profonda
povertà. Non so molto di lei, non mi ha mai detto nulla. Non che sia una
ragazzina scostante, ma non credo ami parlare di sé.” Sorrise. “So solo che
l’ha portata qui uno shinobi della Foglia che si era
imbattuto in lei di ritorno da una missione, e ha pensato fosse un peccato che
una bambina così dotata non potesse frequentare l’accademia.”
“E lui che ne sapeva
se era dotata o meno?”, borbottò Naruto dedicandosi
allo svuotamento metodico della ciotola dinanzi a lui.
“Beh, sai …” Iruka si grattò il capo sorridendo incerto, come in
imbarazzo. “Diciamo che da quelle parti si parlava piuttosto sovente di lei.”
Il jinchuuriki rizzò il capo di scatto, sorpreso. “Ah sì?”
“Già.”
“E perché?”,
insistette, irritato dal fatto di dover cavare le parole di bocca
all’interlocutore quando avrebbe preferito ascoltare soltanto: l’uso del senso
dell’udito non ostacolava l’attività di masticazione.
“Beh … come dire …
la sua fama di ladra era piuttosto diffusa.”
Naruto proruppe in un colpo di tosse finalizzato ad evitare
che il ramen gli andasse di traverso. “E … eh?”
Iruka annuì serio. “Era una bambina sola, e per sopravvivere
è stata costretta a rubare. Quasi tutti gli orfani di quelle aree – e sono
moltissimi – fanno in questo modo. L’unica differenza è che lei ha … ehm … affinato la propria ‘arte’, così da …”
“Maestro Iruka”, tagliò corto Naruto,
sbuffando, “non ho capito niente. Che cavolo stai dicendo?”
Iruka crollò il capo, rassegnato. “Che faceva furti dietro
commissione”, borbottò controvoglia.
“Ehhh?!”
“È così.” Sorrise
senza troppa convinzione, senza tuttavia riuscire a celare un certo irrazionale
orgoglio. “A quanto mi ha raccontato il ninja che l’ha portata qui, da quelle parti
si diceva che nessun colpo era troppo difficile o rischioso per lei.” Ridacchiò.
“Tutti i ricchi signori delle città vicine la temevano.”
“Ma se aveva solo
sei anni!”
“Tanto per
cominciare doveva averne almeno otto o nove, quando è arrivata qui ne aveva già
dieci.”
“Ma allora come ha
fatto a …”, iniziò risucchiando uno spaghetto tra le labbra contratte.
“Te l’ho detto, è
dotata.”
“Bella forza! Ma uno
normale posso sperare di averlo, o no?!”
“Accidenti, quanto
sei irritabile, oggi. Che ti è successo? Sakura ti ha picchiato di nuovo? Hai
litigato con Sasuke?”
“Adesso sei tu che
lo tiri in ballo.”
Iruka scoppiò a ridere. “Hai ragione, te lo concedo”, ammise
ilare.
Naruto ghignò a propria volta, poi tornò a farsi serio,
deciso a terminare il discorso. “Ehi, Iruka sensei, non mi hai ancora detto nulla del terzo membro del
mio nuovo personalissimo team”, osservò ironico. “Allora? Una persona almeno
lontanamente somigliante ad un individuo sano di mente su tre posso avere
l’onore di conoscerla?”
Iruka si riscosse. Corrugò la fronte. “Come se tu fossi una
persona sana di mente”, commentò con affettuoso scherno.
“Sei proprio
crudele, Iruka sensei. E io
che pensavo di avere almeno il tuo appoggio”, gemette lagnoso il giovane con
esasperata afflizione.
Iruka rise piano.
“Ma adesso torniamo
ai discorsi seri”, dichiarò il jinchuuriki sfrontato.
“Allora? Il terzo simpaticone?”
Le sopracciglia
dell’uomo assunsero un’inclinazione poco rassicurante. “Beh, ecco, lui …”
“Come?”,
gracchiò Naruto irritato.
La
ragazzina scrollò le spalle, per nulla intimidita. “No, niente di importante.”
Sorrise leggermente. “Mi sembrava una bella frase ad effetto”, cinguettò
innocente.
“Oh.”
Naruto drizzò le spalle, prestando attenzione a non
mostrare le proprie emozioni esteriormente. L’ultima cosa che gli conveniva era
che i suoi allievi sospettassero sin dall’inizio dei favoritismi.
Per
il momento farsi un’idea gli risultava piuttosto difficile. Non sembravano
degli allegroni, ma neppure dei morti viventi. Sospirò impercettibilmente.
Avrebbe preferito persone un po’ più estroverse. Sarebbe stato più semplice.
Finalmente
si rassegnò a spostare la propria attenzione sull’ultimo componente – quello la
cui presenza lo metteva maggiormente a disagio – in modo da presentarsi dopo
averli esaminati tutti e tre.
Voltò
il capo verso il ragazzino relegato – manco a farlo apposta – nell’angolo più
remoto dell’aula, serenamente accostato alla parete, come se starsene in una
posizione sopraelevata fosse per lui la cosa più naturalmente lecita del mondo,
e il fatto che quel giorno entrasse nella sua vita un individuo che avrebbe
dovuto – con Kakashi era stato così – rivestire un
ruolo fondamentale per lui rappresentasse poco più che un’accidentale evenienza
di scarsa rilevanza e probabilmente anche mediamente scocciante.
Di
primo acchito, pareva una specie di surrogato di Sasuke
Uchiha.
‘Fantastico,
ci mancava solo più questa’, pensò Naruto depresso, e
improvvisamente si rese conto di quanto doveva esser stato difficile per Kakashi sensei essere il maestro del
teme, e che per lui la difficoltà sarebbe stata probabilmente quadruplicata,
dal momento che il Sensei e Sasuke
erano comunque personalità affini.
Sospirò
ancora.
“Un che cosa?”
“Uno Zeshin. E comunque non ‘che cosa’,
ma ‘chi’. Quello degli Zeshin è un potente clan …”
“Ah, no, eh!”,
sbottò immediatamente Naruto, scattando come una molla.
“Ti prego, Iruka sensei,
non vorrai tirarmi fuori una storia di potenti clan decaduti e fratelli che si
ammazzano vicendevolmente per amore reciproco! No, perché altrimenti dimmelo
fin da adesso, che mi tiro un colpo subito.”
Iruka sorrise un po’ mestamente. “Tranquillizzati, Naruto. Niente amore reciproco né unilaterale. E
soprattutto nessun decadimento. Gli Zeshin –
purtroppo, aggiungerei – sono ancora all’acme del fulgore … sempre che
‘fulgore’ si possa definire.” Ridacchiò amaramente.
Il jinchuuriki lo guardò stranito. “Cosa intendi dire?”
Iruka sospirò. “Naruto, sarò molto
schietto con te. In tutta onestà non ho ancora capito cosa ci stia a fare
questo bambino a Konoha. La residenza del suo clan è
situata in un’area abbastanza distante dal villaggio, e … Beh, dovresti
rivolgerti alle alte sfere dell’amministrazione, all’hokage
o ai suoi consiglieri, se vuoi mettere meglio in chiaro la questione; tuttavia
so per certo che la Foglia non ha mai reputato propria alleata questa gente, ed
è peraltro totalmente ricambiata dal clan in questa ‘pacifica ostilità’ –
passami l’orrendo gioco di parole. Perciò, non so proprio spiegarmi come mai il
capostipite abbia scelto di spedire il figlio qui al villaggio.” Abbassò lo
sguardo sulle bacchette e contemplò silenziosamente un boccone senza toccarlo.
Fu solo dopo parecchi minuti che parlò di nuovo.
“Non sono pochi qui
a Konoha quelli che sostengono che il ragazzino sia
una spia.”
Naruto sussultò, allibito.
“Naturalmente io non
lo credo affatto”, si affrettò a soggiungere Iruka,
riportando gli occhi sul giovane. “Non capisco perché dovrebbero fare qualcosa
del genere”, dichiarò parlando in fretta. “Se davvero volessero sapere
qualcosa, potrebbero tranquillamente spedire un infiltrato senza sbandierare ai
quattro venti la sua appartenenza alla stirpe. Oppure si procurerebbero le
informazioni che servono loro senza difficoltà, non so come ma in qualsiasi
altro modo, ho sentito dire che hanno infinite risorse.”
“Ah”, bofonchiò Naruto, vagamente stordito. Ma tutti a lui, dovevano venire
affibbiati, i problemi? Poi scosse il capo. “Questo non spiega quello che hai
detto prima”, osservò più che altro distogliere la propria attenzione dall’inquietante
ipotesi che onestamente non sapeva come gestire.
Iruka tentennò, confuso. “Come?”
“Prima hai detto:
‘sono ancora all’acme del fulgore, sempre che «fulgore» si possa definire.’ Cosa
significa?”
Iruka parve trasalire impercettibilmente, quindi chinò il
capo, storcendo la bocca. Quando lo risollevò, si esibì in un lieve sorriso
incerto che voleva probabilmente essere rassicurante, ma che risultò vagamente
agghiacciante.
“Naruto,
gli Zeshin sono … sono una famiglia di killer
mercenari.”
Fisicamente,
Eisen Zeshin appariva
filiforme e non particolarmente alto, almeno non rispetto a Ryo.
I capelli avevano lo stesso colore della terra bruciata, e incorniciavano liscissimi un
volto dalle fattezze curvilinee e incredibilmente delicate anche per la tenera
età, quasi androgine, su cui risaltavano gli occhi grigio-neri, lievemente rivolti all'ingiù. Nell’insieme non aveva nulla che facesse pensare ad un killer
mercenario.
Tra
l’altro, dopo la prima impressione, Naruto si rese
conto che quel ragazzino non possedeva neppure l’altezzosa grazia di Sasuke.
Non
pareva più aggressivo di qualunque altro dodicenne, e al confronto la
spettinata Kinuye aveva un aspetto più minaccioso.
Solo
gli occhi avevano qualcosa di soffusamente inquietante, ma Naruto
decise di non soffermarsi su questo, almeno per il momento.
Il
ragazzino, dal canto suo, quando si accorse dello sguardo del ninja fisso su di
lui, lo guardò a propria volta, impassibile. “Ehilà”, salutò con aria vagamente
svogliata. “Vuoi che scenda?”, soggiunse poi con una cordiale gentilezza un po’
sforzata.
“A-ah
… Beh, fai tu”, bofonchiò Naruto colto alla
sprovvista. Prima impressione categoricamente smentita. Sasuke
non avrebbe mai parlato in quel modo.
Il
ragazzetto storse leggermente il naso, svagato, come ponderando l’idea. Infine
decise di allontanarsi dalla parete e ridiscendere al livello dei comuni
mortali. Stiracchiò le braccia tendendole verso l’alto e quindi si cacciò le
mani in tasca, con aria annoiata.
Naruto lo studiò qualche istante di
sottecchi, lanciando un’occhiata anche a Ryo, per
tentare di indovinare cosa pensasse della vicinanza così immediata con un
killer professionista. Eppure i due parevano del tutto indifferenti l’uno
all’altro. Quando il jinchuuriki spostò la propria
attenzione su Kinuye, scorse la ragazzina balzare giù
dal davanzale e avvicinarsi con passo furtivo, senza tuttavia mostrare particolare
interesse nei confronti dei compagni. Magari nessuno sapeva nulla degli altri.
Era possibile.
Naruto si rese conto che più che studiarsi
l’un l’altro, stadio probabilmente già superato, i tre erano ora intenti ad
osservare lui.
Ghignò,
strizzando gli occhi con fare a metà tra il socievole e lo smargiasso.
“Bene,
sarà il caso che mi presenti. Mi chiamo Naruto Uzumaki, e diventerò il più …”
Si
interruppe, mordendosi la lingua. No, non era quella la presentazione più
appropriata in quel momento. Forza dell’abitudine, pensò con una scrollata di
spalle. Cercò di riparare alla meglio. “… Il più simpatico e adorabile di tutti
i sensei!”, cinguettò giulivo, per poi scoppiare a
ridere fragorosamente. Cessò di sghignazzare solo quando si accorse che i tre fanciulli
lo scrutavano perplessi, con vago scherno.
Corrugò
la fronte, battendo le palpebre. Sorrise, lievemente impacciato. “Beh … adesso
usciamo di qui, eh. Non rivedrete più quest’aula, adesso che siete genin, non siete contenti?”
“Sicuro”,
rispose immediatamente Ryo, allegro. Eisen annuì con un breve sorriso; Kinuye
lo studiava di traverso, poco convinta, con tutta l’aria di una a cui l’idea di
non rivedere più la propria aula non fa assolutamente né caldo né freddo. Come
darle torto, del resto. Eppure lui ricordava di essere stato orgoglioso e
soddisfatto, una volta superato l’esame.
Sospirò
tra sé, quindi condusse il variegato gruppetto fuori dall’accademia.
Passeggiarono
in silenzio per le vie di Konoha fino a raggiungere
una piazzola poco trafficata, dove l’unica traccia di fauna visibile era
costituita da una vecchietta che portava malferma il suo cane a spasso – era più
il cane che portava a spasso lei – e un fabbro al lavoro accanto alla propria
officina.
Naruto indicò con un cenno una gradinata deserta,
dove i tre andarono ad accoccolarsi, ubbidienti. Il jinchuuriki
si posizionò a gambe larghe dinanzi a loro, sorridendo leggermente al pensiero
di aver già vissuto quella scena, solo che lo aveva fatto dall’altra
prospettiva, l’aveva osservata con gli occhi dell’allievo inesperto e
sconsiderato, anziché con quelli del maestro che, pur rimanendo – a detta di
tutti – uno sconsiderato, qualcosa in più doveva pur sapere – o almeno si
sperava.
“Okay, adesso cerchiamo di conoscerci un po’
meglio”, esordì, sentendosi particolarmente idiota. “Questo è una specie di
rito, cioè, una tradizione. Mi capite?”, fece allegro, senza curarsi
minimamente del fatto che in effetti i tre ragazzini non dovevano star capendo
un’acca dei suoi discorsi sconclusionati. Ma del resto lo si sapeva, in fondo,
che con le parole non era mai stato un granché. Avrebbero imparato ad
accettarlo anche loro. “Adesso ognuno di voi mi dirà … No, anzi”, si interruppe
improvvisamente, facendosi serio. “Prima di questo, vi devo fare una domanda
importante.” Arricciò il naso, sospettoso. “Non è che qualcuno di voi adesso mi
verrà fuori con la dichiarazione che ha qualcuno da ammazzare, vero?”
I
suoi allievi sgranarono leggermente gli occhi, con tutta l’aria di crederlo
completamente pazzo.
“Domanda
indubbiamente interessante”, commentò infine con vaga denigrazione Ryo, “ma non credo …”
“Non
fate caso all’apparente imbecillità del quesito”, lo interruppe Naruto. “Limitatevi a rispondere”, ordinò convinto.
Allora,
in tutta serenità, Eisen sollevò una mano,
impassibile.
Naruto lo studiò inquieto. “Beh?”, lo
interrogò, impaziente.
“Io
lo faccio per mestiere”, replicò il ragazzetto con aria ragionevole.
Ci
furono alcuni secondi di silenzio. Il jinchuuriki
impiegò svariati istanti per articolare una risposta intelligibile. “… Giusto.”
Poi sussultò, circospetto. “Sì, ma nella fattispecie, non c’è nessuno che debba
vendicarsi su qualcuno, vero?... Non guardatemi così, è di fondamentale
importanza.”
“Mi
sembri un tantino paranoico, sensei”, osservò Ryo – e chi sennò?
“Solitamente
sono gli altri che tendono a volersi vendicare su di me”, dichiarò invece Eisen, concreto.
Kinuye seguitava a tacere, ma scrollò le
spalle, con un atteggiamento che poteva significare: ‘Se mi vendicassi su tutti
quelli che lo meriterebbero non finirei più. Non mi sembra il caso, non ne vale
la pena’.
Naruto annuì. Si sarebbe aspettato un altro
genere di risposte, ma sempre meglio che ricevere assensi. Bene, si disse,
nessun Sasuke Uchiha 2 Il Ritorno. Anzi, La Vendetta, conoscendo il soggetto. Questa era in assoluto la cosa
più importante. Decise di rimandare ad un’altra occasione un’eventuale indagine
sui rapporti dei suoi allievi coi rispettivi fratelli, quindi si stiracchiò,
soddisfatto.
“D’accordo,
ora torniamo a noi. Vorrei che ognuno di voi si presentasse, e poi citasse
qualcosa che gli piace, qualcosa che non sopporta e infine il proprio sogno,
cioè … il proprio obiettivo, uno scopo di vita, non so … ognuno dovrebbe averne
uno. Credo.” Si schiarì la gola. “Bene. Vuoi cominciare tu, Ryo?”
Il
ragazzo drizzò il busto con sicurezza, sempre con quel suo sorriso allegro e
canzonatorio. “Cos’è, una specie di gioco?”
“Qualcosa
del genere. Prendilo come ti pare.”
“Va
bene … Mi chiamo Ryo Tsurayaki,
mi piacciono i ravioli e fare a cazzotti, e odio fare la spesa e quelle
grandissime rompicoglioni di Emiko Chiaki e Ginko Momoko.”
Naruto ghignò, divertito. “E chi
sarebbero?”
“Due
oche”, lo liquidò il ragazzino torcendo il naso con visibile disgusto. “Un
giorno o l’altro darò fuoco a quelle due streghe, insieme ai rispettivi
compagni che tanto non rappresentano una grave perdita – incapaci. Essere arse
vive sarà la giusta punizione per quelle arpie appiccicose.” Ghignò,
sfrontatamente soddisfatto di quanto esposto. “E io godrò del loro dolore. E
poi cos’è che devo dire? … Ah, già: il grande sogno della mia vita, quella roba
lì, no? … Uhm … Boh, non è che me ne freghi più di tanto di diventare uno shinobi. Lo faccio solo perché poi la gente ti rispetta.
Almeno dovrebbe. Voglio mettere su uno squadrone di fancazzisti
e andarmene in giro a … a … Beh, non ho ancora deciso questa parte.”
Naruto lo osservò perplesso. “Questo
sarebbe il tuo sogno?”, domandò deluso.
Il
ragazzino sogghignò sfacciato. “Precisamente. Qualcosa in contrario?”
“Assolutamente
no”, fece il jinchuuriki corrucciato. Si rivolse alla
fanciulla del team. “E tu?”
La
ragazzina inclinò lievemente il capo. “Mi chiamo Kinuye
Oharu. Mi piacciono i soldi e gli oggetti di valore.
E gli animali. Non mi piacciono le persone. O perlomeno la maggior parte di
loro. Ho intenzione di diventare ricca sfondata – il come sono fatti miei – e
poi andarmene da qui. Voglio esplorare i territori al di là dei confini delle
cinque Grandi Terre.”
“Davvero?”,
chiese Naruto sorpreso. “È una bella cosa. Cioè, eccetto
la parte sui soldi e … e le persone, ma …” Si interruppe, notando che Kinuye lo scrutava truce. “… Ma ognuno ha i suoi gusti”, si
affrettò a concludere ridacchiando in modo patetico.
Si
schiarì la gola, tentando di recuperare un minimo di dignità, quindi lanciò
un’occhiata eloquente ad Eisen, che al momento
osservava gli altri individui – lui compreso – mantenendo intatto quel modo di
porsi e di sorridere che evocava un’idea di amichevole superiorità, come a
dire: ‘Sono perfettamente conscio di essere ventimila volte meglio di te,
chiunque tu sia, sotto tutti gli aspetti. Ma non sono un asociale e tutto
sommato potresti anche essermi simpatico, quindi credo che ti tratterò bene. In
fondo anche i disgraziati meritano un po’ di rispetto, veh.’
Naruto gli rivolse un cenno del capo,
incitandolo a parlare.
“Il
mio nome è Eisen Zeshin. Mi
piace starmene per i fatti miei, e non tollero le persone invadenti.”
Fino
a quel punto sembrava più un avvertimento che non una presentazione.
“Inoltre,
parlando del mio ambiente, non sopporto le manie di grandezza di mio padre.
Tornando alla domanda di prima, in effetti ci sono un paio di persone che devo
far fuori più per motivi personali che non per lavoro. Ma niente di rilevante.
Ho alcuni progetti, ma non credo che siano affari vostri.” Sorrise leggermente,
con una punta di malizioso compiacimento. “Con rispetto parlando”, puntualizzò
angelico.
Naruto strizzò le palpebre, sorridendo
forzatamente. Quel ragazzino pareva avere il potere di metterlo a disagio.
Questo era indubbiamente un aspetto pessimo della faccenda, già ai suoi occhi
abbastanza complicata di per sé.
L’idea
di divenire sensei inizialmente lo aveva eccitato
incredibilmente, era entusiasta. Solo in seguito aveva iniziato a dubitare
delle proprie capacità in un simile frangente, e ora all’insopprimibile
soddisfazione si mischiava una specie di abbattimento, dettato
dall’onnipresente consapevolezza dei suoi limiti, e dell’evidente difficoltà
che avrebbe senz’altro riscontrato, una volta conosciuti i propri allievi.
Li
guardò, uno per uno, provando una strana sensazione di euforia frammista ad
incertezza, aspettativa e timore.
Magnifico.
Un sicario amorale, un mezzo delinquente lavativo e arrogante, un’inafferrabile
ladra misantropa. Gran bella squadra gli era capitata.
Eppure,
diamine, non riusciva a non essere inaspettatamente felice.
“Sono sicuro che te
la caverai benissimo, Naruto.”
Il jinchuuriki lo guardò storto, imbronciato. “Tu dici?”
“Ma certo. Ti
adoreranno.”
“Mah, se lo dici tu
…”
“Ehi,
ragazzi, ci vediamo domani, d’accordo?”
“Mmmh … Non urlare, sensei”,
ruminò Ryo massaggiandosi un orecchio.
Naruto lo guardò sorpreso. “Oh, scusate”,
esclamò ilare, e scoppiò a ridere.
Il
ragazzino si allungò verso Kinuye con fare da
conquistatore consumato. “Tu che dici”, bisbigliò accattivante, “secondo te
perché sta ridendo, Kin chan?”
Quella
lo squadrò torva. “Non ti ho mai dato il permesso di chiamarmi Kin, e tantomeno kin chan,
sottospecie di babbuino decerebrato”, sibilò minacciosa.
Ryo ghignò, strafottente. “Quanto sei
simpatica, tesoro. Peccato, con un così bel carattere, essere tanto bruttina.”
La
graziosa fanciulla si infiammò all’istante. “Adesso ti mollo un cazzotto”,
annunciò inviperita, saettando in avanti a velocità incredibile. Naruto scattò a propria volta e l’agguantò appena in tempo
perché il suo pugno non raggiungesse il viso del compagno di team – centrandone
in pieno il naso, peraltro.
“È
manesca!”, si lamentò sdegnato Ryo, che in realtà
sotto sotto doveva essersi preso un colpo nel
vedersela balzare addosso così repentinamente.
In
effetti anche Naruto aveva non poca difficoltà a
tenere immobile la ragazzina guizzante, che al momento si dimenava con chiari
intenti assassini nei confronti del giovanotto.
“Ehi,
cavolo, state un po’ fermi, marmocchi!”, inveì Naruto
spazientito.
“Levami
le mani di dosso!”, fu l’immediata reazione di Kinuye.
“Vedi
di portarmi rispetto”, esclamò il jinchuuriki con
baldanza, lasciandola ricadere a terra in malo modo.
Quella
si rotolò su se stessa, risollevandosi con un’imprecazione poco consona al suo
tutto sommato gentile aspetto. “Umphf.”
“Oh,
il brutto anatroccolo è stato rimproverato?”, la provocò subito Ryo.
Naruto seppe in quell’istante di detestare
il ragazzino con tutto se stesso, e stavolta non potè
fare nulla per evitargli il calcio affibbiatogli dalla diretta interessata,
decisamente doloroso vista l’area colpita.
“Oh”,
ribatté quindi la giovanissima kunoichi con scherno,
“il bonazzo senza materia grigia è stato castrato?”
Il
jinchuuriki si battè una
manata sulla fronte, incredulo, mentre Eisen, poco
più in là, prorompeva in una breve risata.
Ryo emise una specie di mugolio
soffocato, piegandosi in due. “Che hai da ridere, stronzo?”, ringhiò a denti
stretti. “Non è divertente.”
Eisen scrollò le spalle. “Credimi, dalla
mia prospettiva lo è eccome.”
Naruto serrò le labbra, sforzandosi di non
sghignazzare a propria volta, ma non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito.
Il ragazzino malmenato lo fulminò.
Lui
sorrise apertamente. “Ti sei fatto mettere al tappeto da una ragazza, eh?”
“Come
se le ragazze fossero per definizione più deboli dei maschi”, grugnì Kinuye punta sul vivo, mentre Ryo
dichiarava indignato: “Quella non è una ragazza, è un mostro!”
A
questa affermazione Kinuye ritenne opportuno
rincarare la dose con un cartone in faccia al compagno.
“Ah!”,
si lamentò il colpito a tradimento. “Basta, basta, ho capito! Ora sto zitto, ma
finiscila di riempirmi di botte!”
Naruto scoppiò a ridere.
Quel
pomeriggio non avevano fatto un granché. Si era limitato a saggiare le poche
abilità dei giovincelli facendo loro ripetere le prove cui erano sottoposti per
superare l’esame dell’accademia. Se la cavavano bene, e probabilmente
l’indomani avrebbero intrapreso la prima missione.
Osservando
i ragazzini allontanarsi dopo il congedo, Naruto
sbadigliò al solo pensiero. Sarebbe sicuramente stato un incarico barboso che
aveva a che fare col recupero di un gattino scomparso o intrappolato in cima ad
un albero, e i suoi allievi si sarebbero lamentati per ore dell’inutilità delle
missioni di livello D, del fatto che avrebbero dovuto affidare compiti del
genere ai bimbetti del primo anno dell’accademia, come da copione.
Dieci
minuti dopo camminava spedito verso casa, con tutte le intenzioni di fare prima
una tappa all’Ichiraku e poi da Sakura. Quanto a Sasuke, la sua condizione era al momento decisamente
peculiare. Era vero che era stato ufficialmente perdonato delle sue azioni e
prosciolto da qualsiasi condanna. Tuttavia le autorità di Konoha
gli avevano concesso la libertà a condizione che risiedesse fuori dal
villaggio, a una decina di chilometri di distanza, in un’abitazione scelta
apposta per lui, tenuta blandamente ma perpetuamente sotto controllo. Era stato
inoltre declassato al grado di genin. E per quanto la
hime avesse tentato il possibile per evitare il suo
allontanamento, i consiglieri e i giudici si erano dimostrati irremovibili.
Naruto arricciò il naso con risentimento,
ma si sforzò di scacciare quelle riflessioni delle quali solitamente si
guardava bene dal seguire il corso, perché lo mandavano in bestia inutilmente.
Al momento Tsunade stava lavorando continuamente per
attenuare la costrizione imposta all’ex nukekin, e il
jinchuuriki aveva fiducia nelle sue capacità. Era
certo che nel giro di qualche mese la situazione sarebbe migliorata.
“Sensei.”
Naruto arrestò la camminata e si voltò
sorpreso.
Pochi
passi indietro la sua allieva novella lo osservava in attesa.
“Kinuye!” Le si avvicinò sorridente. “Credevo che fossi
andata dall’altra parte …”
“Infatti.”
Il
jinchuuriki batté le palpebre, perplesso. “Oh. Ma
allora …”
“Volevo
dirti una cosa, sensei”, annunciò lei sostenuta.
Naruto drizzò automaticamente le spalle. Lo
faceva dalla mattina, da quando un gruppetto di ragazzini aveva iniziato a
chiamarlo sensei.
Ogni volta che gli veniva ricordata quella qualifica, gli era spontaneo tendere
il busto, come a voler dimostrare di meritarla o come a prepararsi a ciò che
essa comportava. Sensei.
Era strano e difficile da accettare, e lo riempiva di orgoglio e di incertezza
al tempo stesso.
“Va
bene”, replicò senza cessare di sorridere. “Avanti, allora. Sono tutto
orecchie.”
Kinuye distolse qualche istante le iridi
dorate da lui, come intenta a riordinare le parole. Eppure c’era una certa
ritrosia nel suo atteggiamento. “Sensei”, si decise
infine, “vorrei chiederti scusa.”
Naruto sgranò gli occhi, confuso. “Come?”
“Per
prima. Mi dispiace, non volevo mancarti di rispetto.”
Il
jinchuuriki aggrottò le sopracciglia, nel tentativo
di focalizzare l’avvenimento cui si riferiva la ragazzina. Quando gli tornò in
mente, ridacchiò grattandosi la nuca, stupito. “Ma figurati! Non è successo
niente.”
“Capisco
che non sia molto importante, ma non mi piace che la gente interpreti male le
mie intenzioni.”
“Beh,
è … giusto”, borbottò lui colpito. Di certo non si poteva dire che il suo modo
di parlare fosse scontato e prevedibile.
“Ma non ho mai veramente pensato che mi avessi mancato di rispetto. E
poi, non è drammatico. Ryo lo fa di continuo.”
“Questo
è vero.” Kinuye storse il naso con fierezza. “Ma io
mica sono come lui, eh.”
Naruto rise, divertito. “Ah, beh, questo è
poco ma sicuro.”
Anche
Kinuye sorrise, concorde. Naruto
la osservò soddisfatto. Era la prima volta che gli sorrideva apertamente. Ryo aveva torto, pensò, non era affatto bruttina. Di certo
non era neanche una bellezza rara, né tantomeno appariscente. Ma era gradevole.
“Ti
va del ramen?”, le propose di slancio.
Lei
era visibilmente sorpresa. Lo guardò circospetta, quasi sospettosa, ma alla
fine scrollò le spalle. “D’accordo, grazie.”
Lui
confermò ridacchiando scioccamente, e s’incamminarono.
Non
molto dopo allieva e maestro sedevano fianco a fianco dinanzi al voluminoso
cuoco intento a porgere loro due ciotole fumanti.
“Grazie,
Teuchi.”
“Di
niente, Naruto san.”
Il
proprietario dell’Ichiraku aveva iniziato da qualche
anno ad omaggiarlo dell’onorifico san,
nonostante le lamentele dell’oggetto di tale attenzione, e nel farlo mostrava
anche un certo compiacimento, come orgoglioso del fatto che il ragazzino sbeffeggiato da tutti, da sempre suo fedele cliente,
ora meritava quell’appellativo. Eppure il suo modo di pronunciare la particella
restava affettuoso e confidenziale, come se la cosa non andasse comunque presa
troppo sul serio.
“E
questo”, soggiunse con un sorriso bonario l’uomo, porgendo un’altra ciotola, “è
per te … Kinuye, giusto?”
“Sì.
Molte grazie.”
Teuchi esplose in una grassa risata. “Ma
come sei carina e composta. Siamo sicuri che sia una tua allieva, Naruto san?”
Il
jinchuuriki si esibì in un broncio infantile. “Come
sarebbe a dire? Perché, non sono forse carino e composto, io?”
“Tu?
Ma per piacere! E ora mangia, ho altro lavoro da fare. Non posso fermarmi a
chiacchierare con voi.”
L’uomo
ridacchiò, scuotendo il capo. “Carino e composto, eh?” E si allontanò.
Naruto si rivolse alla ragazzina, sorridendo.
“Beh, buon appetito!”, esclamò separando le bacchette con uno schiocco secco.
Lei
annuì. “Altrettanto.”
La
vide arrotolare scientificamente un fascio di spaghetti sulle bacchette,
sollevare il boccone e studiarlo circospetta, quindi ingerirlo, dare tre
masticate e ingoiarlo frettolosamente, e infine storcere il naso.
“Sensei, questa roba fa veramente schifo.”
Naruto sgranò gli occhi e la fissò
esterrefatto. Non poteva essere. Non aveva senso. Roba e schifo non erano
termini da accostare al ramen.
“Cosa?!”
Kinuye alzò il capo con sufficienza. “È
orrendo. Fa vomitare.”
“Ma
… ma … ma come puoi …”
La
ragazzina gli allungò la ciotola con un gesto secco, allontanandola da sé. “È
tuo, se lo vuoi.”
Naruto accettò immediatamente l’invito,
portando all’istante la pietanza sotto la sua protezione. Indi, ci si gettò
sopra, famelico. Ingollatane una buona metà, sollevò lo sguardo su Kinuye, che lo osservava con un misto di divertimento e
malcelato disgusto.
“Blasfema”,
biascicò torvo a bocca piena.
Le
labbra della ragazzina si contrassero e tremolarono, piegandosi nel tentativo
evidente di trattenere una risata.
Naruto sorrise, gli spaghetti che
penzolavano dalle labbra. “Allora?”, domandò infine. “Cosa ne pensi dei tuoi
compagni?”
Lei
scrollò le spalle, gli occhi abbassati sulle mani che giocherellavano con una
scheggia di legno del bancone. “Penso che ci sia di meglio. Ma anche di
peggio.”
Il
jinchuuriki ridacchiò, cacciandosi in bocca un’altra
generosa porzione di cibo. “Beh, se non altro è una risposta equilibrata.”
La
ragazzina scrollò le spalle, laconica.
Naruto la osservò silenzioso qualche
istante, cessando di mangiare.
“Kinuye”, si decise infine. “Io … cioè …” Sbuffò. “Quello …
quello che voglio dire …”
“Non
è necessario un capolavoro dell’arte oratoria, dillo come ti viene”, suggerì
lei, ragionevole. “Ti capirò lo stesso”, soggiunse compita.
Il
jinchuuriki storse il naso. “Che bontà d’animo”,
grugnì sarcastico.
Kinuye gli rivolse un mezzo sorriso
sbilenco, compiaciuta, e alla fine anche lui tornò a sorridere. Del resto era
difficile che smettesse di farlo a lungo.
“Quello
che stavo cercando di dire è che … Prima hai detto che non ti piacciono le
persone. Credo di avere una vaga idea di quello che vuoi dire. Capisco che non
mi conosci, e che probabilmente non ti ho fatto una gran bella impressione …”
Ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli e arruffandoli più ancora di
quanto non lo fossero in partenza. “Ma sappi che farò il possibile per essere
un buon maestro. Ci riuscirò, ovviamente”, puntualizzò smargiasso, suscitando
un’ironica ilarità nell’ascoltatrice. “Volevo che lo sapessi, tutto qui.”
Kinuye lo guardò sorridente, annuendo
composta.
Naruto si spaparanzò sullo sgabello,
vagamente sguaiato. “Certo, non sarò mai come il mio sensei
…”, considerò riprendendo ad ingurgitare ramen a
tutta forza.
La
ragazzina drizzò il capo, indirizzandogli un’occhiata interrogativa.
Lui
ghignò con convinzione. “Vedi, io ho avuto la grandissima fortuna di avere per
maestro Kakashi Hatake.”
“Oh”,
fece lei appoggiando un gomito sul bancone. “Ho capito di chi parli. Ti
riferisci al Guercio Grigio.”
Naruto sobbalzò, tossendo e sputacchiando.
Quando riuscì a sollevare il naso dalla ciotola, guardò la propria allieva ad
occhi sbarrati. “Come … l’hai chiamato?”
Lei
scrollò le spalle con noncuranza. “Tutti quelli che lo hanno visto della nostra
classe lo chiamano così. Credo che sia stato Ryo ad
affibbiargli il soprannome.”
Naruto roteò gli occhi, suo malgrado
divertito. “E ti pareva.”
Kinuye contrasse le labbra, inclinando un
po’ il capo. “Già.”
Il
jinchuuriki sospirò, facendosi di colpo serio,
ricordando improvvisamente di qualcosa che voleva dirle. “Ascolta una cosa”,
disse allora, catturando lo sguardo di lei. Kinuye
aveva dei begli occhi ambrati, di un lucente oro screziato di castano, mobili e
pensosi. Naruto si raschiò la gola, incerto su come
esprimere il concetto che ai suoi occhi era di fondamentale importanza. “Tornando
al discorso dei tuoi compagni di team … Se posso darti un consiglio … cerca di
tenerli d’occhio, voglio dire, di conoscerli il più a fondo possibile.”
La
giovane battè le palpebre, perplessa. “Che intendi
dire?”
Naruto distolse lo sguardo. “E’ solo un
suggerimento spassionato … E’ per evitare di avere sorprese, sai.”
Kinuye assottigliò gli occhi, corrugando la
fronte. “Ti riferisci a qualcosa in particolare, sensei?”
“Io
… beh …”
La
ragazzina gli rivolse un’occhiata penetrante, acuta. “Ha a che fare con quelle
domande idiote che ci hai posto prima di quella specie di presentazione scema,
non è vero?”
Naruto sgranò gli occhi, guardando confuso
il liscio volto di dodicenne della ragazzina che lo studiava saputa. “Come fai
a dirlo?”, borbottò sorpreso dalla sua perspicacia.
Lei
mosse il capo con noncuranza, le ciocche fulve graziosamente disordinate si
dimenarono leggere nell’aria. “Avevi più o meno la stessa espressione. È come
se … Non importa. E’ solo che sono abituata a studiare gli atteggiamenti della
gente, e quindi sono abituata a notare questo genere di cose.”
Il
jinchuuriki annuì interessato. “Capisco.”
“Allora?”
“Cosa?”
“Non
ho capito di cosa parlavi, prima.”
Naruto batté ripetutamente le palpebre,
quindi distolse lo sguardo.
“Se
non vuoi dirlo non fa niente”, lo rassicurò un po’ fredda Kinuye.
Naruto sorrise mestamente. “Non è che non
voglia dirtelo, è che … Stai attenta. D’accordo?”
Lei
lo scrutò scettica. “Mi è un po’ difficile esserlo non sapendo da cosa mi devo
guardare.”
Il
jinchuuriki sbuffò. “Come sei polemica.” Scrollò il
capo, tornando serio. “Te lo spiegherò … magari un’altra volta, eh? Per il momento
sta’ solo attenta. Io …” Abbassò gli occhi cupamente. “… Non lo sono stato
abbastanza, al momento giusto per esserlo. E adesso … non dico sia troppo
tardi, ma … Lasciamo stare.”
Si
aspettava che la ragazzina esigesse un chiarimento, e invece Kinuye restò silenziosa, con espressione assorta, come
ponderando le parole del maestro.
Infine
pose la sua domanda. Ma non era quella che Naruto si
sarebbe aspettato.
“Perché
me lo stai dicendo?”
Il
jinchuuriki la guardò confuso. “Cosa vuoi dire?”
“Quello
che ho detto. Perché ne parli proprio a me? Perché non a Ryo?
O … a Eisen? Se non ho capito male, questo
avvertimento potrebbe essere rivolto a chiunque di noi, giusto?”
Naruto contemplò per qualche istante le
pagliuzze opalescenti che parevano galleggiare pigramente nelle sue iridi,
riflettendo. In effetti, non sapeva neppure lui perché avesse parlato di questo
proprio a Kinuye. Forse perché casualmente si trovava
al chiosco con lei, o forse perché la ragazzina lo aveva seguito solo per
chiedergli scusa di un fatto del tutto insignificante, e questo era
gratificante, o forse, e sapeva che era l’ipotesi più probabile, quella giovane
era il componente della squadra che gli ispirava maggiore confidenza. Non se lo
sarebbe aspettato. Avendo visto Gai con Rock Lee, e Kakashi
con Sasuke, si era immaginato a prescegliere come
allievo favorito un ragazzetto vivace che gli somigliasse almeno un po’. E
invece ora si ritrovava a chiacchierare con inaspettato piacere assieme ad una
ragazzina riservata e riflessiva, e per di più vagamente refrattaria ai
contatti umani.
Scosse
il capo con un sorriso. “Non lo so”, ammise sincero.
Kinuye si strinse nelle spalle. “In ogni
caso grazie, sensei.” Scattò in piedi, agile. “Ora
sarà il caso che vada.”
“Ma
come? Di già?”
La
ragazzina ridacchiò. “Sì, di già. Arrivederci, a domani.”
“A
domani”, esclamò Naruto vivacemente, osservandola
allontanarsi con quel suo passo felpato e perennemente furtivo, come avesse
dovuto scattare o fuggire come una lepre da un momento all’altro, al minimo
segnale di pericolo.
La
giornata era quasi conclusa, aveva lo stomaco pieno e nel giro di un paio d’ore
sarebbe andato a dormire.
Si
sentiva leggero, lo permeava uno strano benessere.
All’ultimo
momento, un attimo prima di scomparire dietro l’uscita, mentre scostava un
lembo di stoffa con la mano, Kinuye si voltò.
“Buonanotte, Naruto sensei.”
Il
jinchuuriki annuì, sornione. “Buonanotte, Kinuye chan.”
Naruto sensei. Non suonava
strano, né stonato, né ridicolo. Era meravigliosamente elettrizzante.
Si
predispose quasi inconsciamente ad attendere la giornata dell’indomani con una
serena aspettativa.
Sorrise
da solo, come un idiota. Era felice.