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Autore: Mikirise    29/02/2024    1 recensioni
I video che più si avvicinano alla parte umana di Deku sono quelli girati durante il funerale di All Might. Se Deku si fosse trovato o avesse avuto un’agenzia normale alle sue spalle, quei video sarebbero stati cancellati dalla faccia della terra e molte persone sarebbero state denunciate per un comportamento così cattivo nei suoi confronti, ma Deku è l’agenzia di eroi All Might, una one-man agency in cui non solo non ci sono spalle, non ci sono nemmeno avvocati, non ci sono curatori dell’immagine personale online e nella vita reale o consulenti esterni. Perché l’agenzia è soltanto Deku e perché per lui è inutile danneggiare il rapporto con le persone per piccolezze come lo stalking, quei video sono così facili da trovare da far salire il sangue al cervello per la rabbia.
In effetti, era solo questione di tempo prima che Deku perdesse la testa, in una situazione del genere.
«Come faccio a tirarti fuori da lì?» borbotta Katsuki.
O, dopo la morte di All Might le strade di Bakugou e Midoriya si incrociano di nuovo nonostante siano in due fasi differenti della vita
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Best Jeanist, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Katsuki rimane sdraiato di fianco sul suo futon, guardando la parete di fronte a lui, quando sente qualcuno aprire la portafinestra del balconcino. Chiude gli occhi quando sente qualcuno sedersi sul terrazzino e litigare con le scarpe per sfilarsele e finge di dormire quando quel qualcuno entra in casa, chiude la porta finestra e va in cucina. 

Ha lasciato qualcosa da mangiare in cucina, Katsuki, così, nel caso Deku decidesse di venire a mangiare avrebbe trovato qualcosa, se invece non fosse venuto, si sarebbe portato il cibo a lavoro o lo avrebbe dato a qualcuno per la strada. Katsuki ha un leggero mal di schiena che non migliora quando dorme di lato, a volte il mal di schiena sale fino al collo, a volte il mal di schiena è così forte che gli fa venire male alla testa, ma Katsuki fa comunque finta di dormire di lato, con la fronte quasi appiccicata alla parete per fare spazio a Deku sul letto, quando deciderà di sdraiarsi sul futon.

Katsuki chiude gli occhi e quasi si addormenta per davvero. Il rumore di Deku nell’appartamento è minimo. Un paio di passi soffocati dai calzini, il rumore del riso quando viene spostato da una parte del piatto all’altra, il tavolo che scrocchia sotto il peso di un gomito. È quasi rassicurante avere dei suoi così soffici intorno a lui, sembra gli stiano chiedendo di dormire un po’, lui che è stanco, che deve coordinare missioni e pattugliare e litigare con eroi professionisti al posto di Best Jeanist. Il rumore delle lenzuola che si alzano, di piedi che strusciano contro le coperte e di una testa che si posa su un cuscino è accompagnato dal calore di Deku accanto a Katsuki, dal suo odore e dalle mani di Deku, che prima di coprire se stesso dal freddo, aggiusta la coperta di Katsuki perché non entri uno spiraglio di freddo su di lui, nemmeno per sbaglio.

Quando Deku è a letto, cala di nuovo il silenzio nell’appartamento. Non ci sono orologi che ticchettano e il motore del frigorifero rimane così tanto in sottofondo da non essere più nemmeno udibile. C’è silenzio e c’è buio e anche questo aiuta Katsuki a dormire fino a quando non sente un dito posarsi, leggero, sulla parte superiore della schiena, dove si trova la sua colonna vertebrale. È un dito leggero e un tocco pieno di dubbi. Deku deve star pensando e non si è nemmeno reso conto di quello che sta facendo. Il dito segue la colonna vertebrale di Katsuki. Delicatamente, sembra camminare sulle vertebre un tempo rotte di Katsuki e con delicatezza sembra volerle accarezzare e dire loro che tutto andrà bene.

Katsuki aggrotta le sopracciglia. Guarda la parete davanti a lui. È confuso dal gesto.

«Kacchan» chiama in un sussurro Deku. «Tu lo sapevi che la vita da eroe sarebbe stata così infelice?» Ritira il dito dalla schiena di Katsuki. Ci sono vari rumori causati dal pigiama di Deku che si sfrega contro il materasso, deve starsi sdraiando sull’altro fianco, dando le spalle a Katsuki.

Nell’appartamento torna a regnare il silenzio.

 

 


 

 

«Quanti bambini hai salvato, venendo qui?»

Katsuki è appena entrato in ufficio. Lascia cadere la borsa sulla sua scrivania e, come tutte le mattine, controlla quante spalle si sono presentate in ufficio prima di lui. Nessuna. Non conta nessuna spalla, soltanto Best Jeanist alla sua scrivania, sistemando le questioni burocratiche perché nessuno li possa denunciare per danneggiamento alle automobili o bene pubblico. Quando era giovane lui, quando è stato una spalla di Best Jeanist per la prima volta, Katsuki si presentava ogni giorno alle cinque del mattino, ricontrollava il lavoro del giorno prima per essere sicuro che non ci fossero errori e vedeva Best Jeanist ridere e dirgli, prima di portarlo a fare colazione: sei il ragazzino problematico meno problematico che io abbia mai incontrato. Arrivando tardi a lavoro, le spalle si perdono il momento della giornata in cui Best Jeanist è ancora Hakamada Tsunagu.

«Non ho salvato nessun ragazzino» risponde Katsuki. Prende in mano i due enormi bicchieri di carta pieni di caffè e si avvicina a Best Jeanist per offrirgliene uno. «Ma c’erano due ragazzini un po’ scemi a cui il gatto ha rubato i compiti a casa. Pensavo lo facessero soltanto i cani. Che mangiano i compiti che devi portare a scuola, ma no, lo fanno anche i gatti. Solo che non li stava mangiando, ha portato i quaderni su un albero e poi ha dimenticato come scendere dall’albero e stava miagolando così forte da farmi male ai timpani e i ragazzini che piangevano perché non sapevano come salvavano stavano rompendo i timpani e i coglioni, quindi ho preso compiti e gatto e li ho messi giù.» Katsuki si siede davanti alla scrivania di Best Jeanist e afferra un paio di dolci dalla tasca per lasciarli sulla scrivania con uno sbuffo. «Mi hanno ripagato con dolcetti di merda che di sicuro nemmeno loro volevano.»

Best Jeanist non cerca nemmeno di coprire la sua risata. «Qualcuno deve aver insegnato ai bambini a ripagare sempre i propri debiti.»

Katsuki non trova la cosa divertente. Fa una smorfia e scuote la testa. Ci mette qualche secondo a ricordare che, dai tempi del suo primo praticantato, ogni volta che faceva qualcosa per dei bambini ripeteva loro di ripagare il debito in qualsiasi modo sia loro possibile. Se qualcuno ti fa un favore, non lasciare che poi un giorno quel favore venga chiesto indietro, ridà tutto quello che ti è stato dato subito, perché nessuno si possa approfittare di te. Katsuki fa una smorfia. «Ah, adesso è colpa mia!» esclama, appoggiando la schiena alla sedia. «È che c’è qualcosa che non va nella testa di quei bambini. Io non c’entro niente.»

«Te l'avevo detto che tutti i nodi vengono al pettine» continua a ridere Best Jeanist. Si porta alle labbra il caffè bollente. Beve con pacatezza. Prima di Katsuki, beveva soltanto camomilla, come se fosse caffè. Le spalle più grandi, i senpai di Katsuki, gli hanno detto che Best Jeanist preferiva gli infusi a qualsiasi tipo di bevanda eccitante. Katsuki ha iniziato a portargli caffè ogni mattina per dispetto, ma Best Jeanist non lo ha mai rifiutato e ora lo beve come se fosse una bibita calmante. Non si direbbe, ma Best Jeanist è un uomo dispettoso. «È successo anche a me che dei bambini per la gratitudine mi hanno dato dei dolci, ultimamente. Molte spalle in pattuglia che hanno ricevuto una caramella anche malandata da un bambino la tengono come un cimelio. È bello sentire di aver fatto qualcosa di buono agli occhi degli altri. Senza volere hai motivato molti dei tuoi kouhai, chi lo avrebbe detto, vero?»

«Beh, non l’ho fatto perché volevo» borbotta, incrociando le braccia. 

Best Jeanist lo osserva con un sorriso. 

Più invecchia e più sorride, il maledetto. Più invecchia e più sembra calmo, ma non calmo come era prima, con quella calma fredda che nasconde autocontrollo, come se fosse perennemente arrabbiato ma non potesse esprimerlo, come se ogni cosa potesse portarlo a esplodere mentre fulminava con lo sguardo chiunque facesse qualcosa di male. Il motivo per cui Katsuki ha imparato ad apprezzare Best Jeanist è che ha imparato a notare quella rabbia ed è stato al fianco dell’eroe per anni e anni, nell’attesa che qualcosa lo facesse scattare, che il vaso traboccasse, che qualcosa si rompesse. Nei suoi primi anni, prima di praticantato, poi da spalla, Katsuki ha fatto di tutto per far perdere la pazienza a Best Jeanist e Best Jeanist ha sempre risposto con freddezza e calma.

La calma di Best Jeanist di adesso è più calorosa, come se avesse fatto pace con la maggior parte dei demoni nella sua testa e come se adesso si divertisse di più a vedere ragazzi disobbedienti e pieni di rabbia, come se volesse dire che tutto passa, che da qualche parte deve pur esserci un lieto fine. Forse è a causa di quella calma che si vuole ritirare. Forse era la rabbia che gli permetteva di essere un eroe e adesso che quella rabbia è svanita, adesso che Hakamada Tsunagu non ha più bisogno di autocontrollo, non ha nemmeno più bisogno di Best Jeanist.

Che uomo egoista.

«Quando ho ricevuto quelle caramelle sono stato molto felice» continua a parlare Best Jeanist. «Più sali in classifica e meno tempo hai per la pattuglia e piccole missioni che sembrano senza senso. Salire in classifica o sforzarsi a tutti i costi per salire in classifica, ti porta a combattere mostri sempre più grandi e battaglie sempre più difficili e ti dimentichi perché vuoi diventare un eroe all’inizio. Ti dimentichi che il tuo lavoro non è lottare ogni volta contro un cattivo differente, non è fermare mostri o meteore, ma proteggere le persone. E ti dimentichi che vuoi proteggere le persone perché i bambini ti danno le caramelle quando ti sono molto grati e gli adulti ti ringraziano di cuore e ti regalano il sorriso più smagliante quando sono al sicuro. Niente batte la vicinanza alla comunità. È per questo che molti eroi spesso si danno anche al volontariato. Cucinare nelle mense pubbliche, costruire case, cose di questo genere.»

Insegnare ai bambini delle materne come fare la raccolta differenziata.

Katsuki non riesce a non pensare a Deku. Si gratta dietro l’orecchio con un po’ di imbarazzo. «Detesto il volontariato» sospira. L’ultima volta, lo hanno mandato a raccogliere e lasciare degli stupidi bambini da casa a scuola come un piedibus, i bambini cantavano canzoni demenziali, si volevano fermare ogni tre secondi per andare in bagno e un bimbo è scoppiato a piangere dopo aver chiesto a Katsuki di usare la sua Unicità perché le bombe fanno troppo rumore (e il bimbo sapeva che l’Unicità di Katsuki era far esplodere le cose, per la cronaca). Era stato un inferno. Grazie al cielo, dopo il praticantato del terzo anno di liceo, non è più obbligatorio fare volontariato e Katsuki ha archiviato la sua esperienza con dei poppanti come un problema del passato ormai risolto.

«Ma oggi hai aiutato due bambini e il loro gatto e loro per ringraziarti ti hanno dato delle caramelle» ribatte Best Jeanist. Accavalla le gambe e mantiene il suo sorriso pacato. «Non ti ha reso felice? Sapere che non c’è solo violenza nel nostro lavoro, non ti ha reso felice?»

Katsuki alza le sopracciglia e abbassa lo sguardo. 

Ah, giusto.

 

 


 

 

«… quindi Izuku ha detto a Inko-chan che non avrebbe continuato a presentarsi agli appuntamenti al buio» racconta la mamma con un filo di disprezzo. Aiuta Katsuki a sistemare gli scatoloni, ne ha preparati ben tre in vista del trasferimento ufficiale di suo figlio fuori dalla casa materna, uno da buttare, uno da riciclare e uno da portare nel dormitorio, che, si è raccomandata, non sia la sua casa definitiva, ma un luogo in cui stare mentre trova la sua vera casa. La mamma è pragmatica ed è veloce a piegare i vestiti, è ancora più veloce a buttare via le cose, siano queste utili o inutili. Si gira verso Katsuki e fa una smorfia. «Vuole essere onesto con se stesso. Forse ha trovato un ragazzo mentre si trovava dall’altra parte del mondo, in missione. Dicono che oltreoceano siano più aperti su queste cose, magari si può anche sposare se va in America. Grazie al cielo, qui non può.»

Katsuki si morde l’interno delle guance e non è sicuro di come dovrebbe rispondere a questo.

Potrebbe dire che non è che a Deku non piacciano le donne, tanto per cominciare. Le donne gli piacciono e gli piacciono anche gli uomini. È più facile incontrare donne attraverso le agenzie di matrimonio, forse per questo Inko-chan ha scelto di fargli incontrare solo donne, non perché non accetti suo figlio, come invece Katsuki aveva pensato in un primo momento, ma perché era più facile, vista la posizione pubblica di Deku, farlo muovere o vedere solo con donne. Le donne che Deku ha incontrato, potrebbe dire ancora Katsuki, sembrano non essere particolarmente interessate a lui, tanto che, nonostante lui sia il grande e potente All Might, non hanno chiesto di vederlo una seconda volta, forse perché Deku ha la brutta abitudine di parlare da solo, forse perché a volte viene chiamato per una missione importante anche nel bel mezzo della notte e lui risponde senza nemmeno chiedere scusa alla persona con cui si trova, o forse perché sembra essere troppo obbediente agli occhi di sconosciuti. Qualsiasi sia la ragione, beh, essere rifiutati richiede forza e pazienza che Deku non ha in questo momento, come lui stesso ha confessato a Katsuki. Smettere di andare agli appuntamenti al buio è stato solo logico.

L’unica risposta che Katsuki sa di non poter dare è che Deku non ha bisogno di andare ad appuntamenti al buio perché sembra contento di dormire nel futon di Katsuki. Insieme a Katsuki. Non può dirlo per vari motivi. Per prima cosa perché sarebbe facile malinterpretare le sue parole. L’unica cosa che Deku fa nel futon di Katsuki è dormire. Il tormento che Deku dà a Katsuki non è voluto da Deku, è nella testa di Katsuki. Per seconda cosa perché immagina quale sia la risposta della mamma a sapere che Katsuki e Deku dormono nella stessa stanza, figuriamoci se scoprisse che dormono nello stesso futon.

«Almeno non fa male a nessuno» borbotta, continuando a sistemare le sue cose.

A volte Katsuki ha pensato di dire a sua madre che è gay. Non è come Deku. Non è bisessuale. Non gli piacciono le donne, non gli sono mai piaciute e non pensa che gli piaceranno mai, non vuole sposare una donna, non vuole assolutamente avere un figlio con una donna e non vuole vivere con accanto una donna. Ci sono stati vari momenti, soprattutto dopo che Best Jeanist aveva detto di non alzare più una mano contro Katsuki, in cui avrebbe voluto dirlo ad alta voce. Mamma, sono gay. Mentre mangiavano insieme a tavola, mentre guardavano un drama in televisione, mentre andavano a fare la spesa, mentre la mamma borbottava cose poco piacevoli di Deku. Mamma, sono gay, il mio primo amore è stato il figlio che detesti della tua migliore amica, ho rovinato tutto ancora prima di sapere che era amore, è tutto così complicato, lo odi perché è gay?, lo odi perché il figlio della tua migliore amica?, lo odi perché sai che è stato il mio primo amore?

Katsuki non pensa che sua mamma sia un’idiota. Il motivo per cui non lasciava che Katsuki passasse troppo tempo con Deku sia quando erano piccoli sia quando erano al liceo deve avere a che fare con una qualche intuizione, ma non ha mai detto niente, ha sempre insultato Deku per indicare a Katsuki quale via non percorrere.

Katsuki ha sempre detto che Deku è un eroe obbediente. Almeno quando ha a che fare con la mamma, Deku è davvero un figlio obbediente, ma solo perché può essere onesto con Inko-chan. Possono parlare, loro due, e Inko-chan può spiegargli le sue paure e Deku può dissolvere quelle paure passo per passo e insieme possono arrivare a una regola che vada bene per entrambi. Deku non ha mai disobbedito a sua mamma, anche quando Inko-chan ha pensato di ritirare Deku dalla UA, Deku non ha pensato di disobbedirle, le ha chiesto di fidarsi di lui, le ha detto che qualsiasi altra scuola sarebbe andata bene se lei lo avesse appoggiato nel suo sogno di diventare eroe, come sempre ha fatto. Quindi, sì, Deku obbedisce a sua madre, ma non lo fa ciecamente, cosa che non lo rende obbediente nel suo significato più stretto. 

Un figlio obbediente, invece, che non prova a discutere le regole, che accetta orari, rimproveri e norme senza nemmeno protestare, è Katsuki che, capendo la norma non detta ad alta voce da parte di sua madre, non ha mai provato ad andare oltre, non l’ha mai messa in discussione, si è confessato il giorno del diploma nella speranza di venire respinto e poter tornare a casa da sua mamma, dimostrargli quanto suo figlio fosse ancora sulla retta via.

«Fa male a Inko-chan» lo rimprovera la mamma, scuotendo un po’ la testa. «Una madre deve amare il proprio figlio qualsiasi cosa lui sia o faccia. Ma, secondo te, quanto può essere facile amare un figlio come Izuku? Non pensi sia quasi impossibile?»

Katsuki sposta lo scatolone pieno accanto alla porta della sua vecchia camera da letto. Forse è stato un bene, pensa per la seconda volta nella sua vita, che ha rovinato tutto ancora prima di capire che quello che provava per Deku era amore.

 

 


 

 

«Dovresti mandarlo a fanculo» dice Deku con il suo solito tono gentile e composto. Dondola i piedi, dà un morso al suo onigiri e annuisce piano. «Sì, vadano tutti a fanculo, che t’importa?»

Deku ha saltato la fase da spalla nella sua carriera e, grazie al nome di All Might e a tutte le imprese che è riuscito a portare a termine durante il periodo scolastico, è diventato un eroe professionista subito dopo il liceo, col nome di All Might. Gli sponsor, soprattutto le grandi marche di scarpe e tute sportive, si sono accanite su di lui come se fosse l’ultimo bicchiere d’acqua nel deserto, e grazie ai soldi ricevuti e alla pubblicità, Deku ha iniziato a scalare le vette della classifica degli eroi ancora prima di incarcerare il suo primo cattivo. La sua faccina tonda, coi suoi occhi grandi e le guance un po’ paffute erano dappertutto. Era impossibile girare per la città senza aver visto almeno una volta la sua faccia, lui che faceva acrobazie per mostrare le scarpe o strane pose per mostrare l’elasticità di tute sportive. Faceva quasi rabbia, vederlo così spesso.

Dopo un anno o un anno e mezzo non solo era facile vedere Deku pubblicizzare scarpe, era facile anche vederlo sui telegiornali salvare persone e sorridere e rassicurare persone coinvolte in disastri naturali o incidenti che tutto sarebbe andato bene. Il sorriso impacciato di Deku stava facendo impazzire gli sponsor e le persone comuni e il suo aspetto ancora bambinesco (perché quello si è a diciotto o diciannove anni) per qualche motivo stava rubando il cuore delle persone.

A vent’anni, Deku, che come eroe si chiama All Might, l’eroe inutile (Deku, appunto), è stato soprannominato il fidanzatino del Giappone e insieme a questo soprannome si è iniziata a vendere una certa immagine di lui, un’immagine pulita, un’immagine cortese, un’immagine fresca. Il fidanzatino del Giappone non infrangerebbe mai le regole, il fidanzatino del Giappone non fumerebbe mai, il fidanzatino del Giappone non direbbe mai una parolaccia.

«’Fanculo Best Jeanist e ‘fanculo anche All Might» continua Deku.

Nessuna persona che lo ha chiamato il fidanzatino del Giappone ha mai davvero parlato con Deku.

Katsuki mangia il suo onigiri in silenzio. Guarda la città davanti a lui, quell’ammasso di palazzi e strade e persone e macchine, e questa è la prima volta che lui e Deku lavorano alla stessa missione, la prima volta in assoluto in cui mandano qualcuno in prigione insieme e poi si siedono sul cornicione di un palazzo, dove non si dovrebbero sedere, e mangiano insieme il pranzo e parlano come se fossero due persone normali. Katsuki non è nemmeno sicuro se hanno mai parlato nei loro ventinove anni di vita, se Deku non ha mai fatto altro che balbettare davanti a lui e Katsuki non ha mai fatto altro se non spingerlo a terra e vedere se si rialzava, se tornava a stare in piedi davanti a lui. Ci sono voluti solo trent’anni perché Katsuki potesse sedersi e mangiare in silenzio mentre Deku blatera.

«Kacchan, vuoi sapere una cosa patetica?» chiede Deku, girandosi verso di lui. Le sue lentiggini sono più visibili adesso che non usa più il cappuccio per lavorare. Sotto il sole sono macchie nocciola che lo fanno ancora sembrare un ragazzino. «Ogni volta che le persone mi chiamano All Might, ogni volta che salvo qualcuno e loro ringraziano All Might, o, meglio, ogni volta che le persone sono in pericolo e mi vedono e gridano “All Might!” io mi giro, guardo dietro alle mie spalle e spero di vedere All Might. Il vero All Might, sai cosa voglio dire? Ogni volta penso: se All Might fosse qui, queste persone sarebbero già salve, se il vero All Might fosse qui tutto andrebbe bene, se il vero All Might fosse qui tutto sarebbe migliore. Ogni volta che salvo una persona e lei mi chiama All Might è come una pugnalata al cuore, come se mi strappassero qualcosa da dentro le budella. E comunque non riesco a non sorridere perché è l’unico modo che ho per fare in modo che qualcuno parli ancora di lui, come se fosse un’illusione, come se ci fosse davvero qualcuno che lo ricorda come lo ricordo io. All Might All Might All Might e comunque nessuno parla del mio All Might. Il mio eroe. Il nostro eroe. L'eroe di tutti. È rimasto solo il nome, dell’eroe di tutti.»

Katsuki vorrebbe dire che è rimasto lui, Deku. Morde l’onigiri, studia gli occhi verdi di Deku e lascia perdere. Non è una frase da dire ad alta voce. «Di tutti noi rimarrà solo il nome, è inutile che ci pensi troppo» risponde. «Di alcuni di noi, non rimane nemmeno quello.»

«Quindi vuoi prendere il nome di Best Jeanist?» chiede Deku, con un sopracciglio alzato. Sbuffa e tira su un ginocchio, premendolo contro il petto. «Non voglio criticare Best Jeanist o All Might per volerci lasciare il loro nome, penso sia un gesto d’affetto, alla fine, un atto di fiducia, ma quando ho accettato di diventare All Might, quando ho accettato il One for All, non pensavo che mi sarebbe pesato così tanto. Eroi come All Might o Best Jeanist, che hanno dato tutto quello che avevano alla vita da eroi, che non si sono mai sposati e non hanno mai stretto amicizie troppo profonde, quando muoiono e ti lasciano il nome e tu vai a cercare qualcuno per cui quel nome ha un qualche tipo di senso che ricordi loro una persona e non un simbolo, ti rendi conto che non erano niente e che ora quel niente sei tu. E che devi dare senso a quel niente, altrimenti tutto quello che loro erano sarà davvero niente di niente.»

Katsuki mangia il suo onigiri.

«Già è difficile essere lasciati da soli» continua Deku. «Perché aggiungere un ulteriore peso?»

«Se tornassi indietro, io so che anche sapendo di dover rimanere solo e del peso di essere All Might avresti accettato.» Katsuki distoglie lo sguardo. Non c’è nessuno al mondo che ama All Might quanto Deku, perché l’unico che All Might ha fatto avvicinare sul serio è lui. Katsuki può ammirare All Might, così come lo ammiravano tutti i loro compagni di classe e migliaia di altre persone in giro per il mondo, ma non può sapere cosa vuol dire essere Deku e amare All Might. «Quindi non dare consigli che tu stesso non seguiresti.»

Deku sbuffa una risata. Incrocia le gambe e guarda la città davanti a loro.

Katsuki si morde l’interno delle guance e dà una pacca leggera sulla spalla di Deku. «Stai facendo un buon lavoro, comunque» cerca di essere gentile con Deku, una volta ogni tanto.

Deku si gira verso di lui, si lascia sfuggire un sorriso.

Katsuki sente le orecchie diventargli calde e si sente un idiota, un ragazzino del liceo con una stupida cotta. Non c’è problema, si dice, perché tanto ha rovinato tutto prima ancora che qualcosa potesse iniziare.

Deku ha altri piani.

 

 


 

 

Katsuki torna nel dormitorio dopo una lunga giornata di lavoro e non ha nemmeno la pazienza di mettere al suo posto il suo zaino, lo lascia cadere nel genkan mentre si sfila le scarpe e sta solo pensando che vuole arrivare fino al suo futon e dormire, quando si rende conto che la luce del salotto è accesa e ci sono un paio di scarpe da ginnastica rosse.

Deku sta seduto davanti al tavolino del salotto, con le gambe incrociate e le mani occupate a sbucciare mandarini, per poi portarseli in bocca uno spicchio dopo l’altro, immerso nei suoi pensieri. Katsuki non trova niente di strano in questo. Deku è andato in missione per più di una settimana, dando la caccia a un cattivo con l’Unicità del Terremoto, appena finita la missione, aveva detto più volte, voleva soltanto riposare e dormire, e non ha nessun posto in cui riposare senza la paura di paparazzi o stalker pronti a fare le richieste più strane e pretendere parti della vita privata di Deku che nemmeno i suoi amici possono ottenere. Non torna al Cimitero degli Eroi da qualche settimana. Forse sta pensando a All Might. Katsuki si toglie la giacca, senza disturbarlo e se ne va in cucina, alla ricerca di un bicchiere d’acqua.

Sta bevendo dell’acqua, quando Deku, dal salotto chiede: «Perché ancora non ci hai provato con me?»

Katsuki quasi si strozza con l’acqua. Sbatte le palpebre un paio di volte e si guarda intorno. Forse ha lavorato così tanto che ha delle allucinazioni uditive. Si muove verso la porta della cucina e guarda Deku, ancora seduto con le gambe incrociate e le mani occupate a sbucciare mandarini. Guarda i mandarini come se gli avessero fatto un torto personale e li mangia come se si stesse vendicando. «Hai detto qualcosa?» chiede Katsuki e si sente stupido appena la domanda gli esce dalla bocca. «Lascia perdere.» Torna in cucina a prendere il suo bicchiere d’acqua e pensa che la cosa migliore adesso sarebbe prendere il futon, sistemarlo e mettersi a dormire.

«Ho detto: perché ancora non ci hai provato con me?» chiede di nuovo Deku, questa volta girandosi verso Katsuki e mantenendo un contatto visivo. «Sono abbastanza sicuro che ci sia qualcosa qui. Non so se sei nello stesso punto dei giorni del liceo o se siamo andati un po’ più avanti, ma io vengo qui quasi ogni giorno, facciamo missioni insieme e dormiamo nello stesso letto. Perché non ci hai ancora provato con me? Manca qualcosa? Hai bisogno di qualcosa per andare avanti?»

Katsuki è rimasto paralizzato sulla soglia della porta della cucina. Tiene in mano il suo bicchiere d’acqua e guarda Deku come se fosse impazzito tutto d’un tratto. 

Deku indica il posto vicino a lui e lo invita a sedersi. Ha delle occhiaie intorno agli occhi, è vero, ma sembra essere più riposato della prima volta che lo ha incontrato con quel branco di bambini. Sembra anche lucido e nei suoi occhi c’è una punta di genuina curiosità. Forse per questo, quasi in trance, Katsuki si siede vicino a lui, composto, con le ginocchia piegate e unite, guardandolo come se fosse uno degli indovinelli più difficili che sia mai stato fatto. 

«Insieme a Ida-kun, questa settimana durante le pause, ho pensato a una lista per capire perché non hai fatto una mossa verso di me. La prima ragione che ci è venuta in mente è che non ti piaccio più, ma, se devo essere sincero, non credo che sia questo il motivo. Detto tra te e me, sono abbastanza sicuro che sei fuori di testa per me. Lascerò la mia risposta a quando farai la tua mossa.» Incrocia le braccia. Poi punta i gomiti contro il tavolino e intreccia le dita davanti alle labbra. «È perché tua madre è omofoba?» chiede.

«Perché hai fatto una lista con Sonic?» Katsuki si sentirebbe in imbarazzo se la situazione non fosse così paradossale. «Perché con Sonic? Mi sarebbe andata bene Faccia Tonda, ma con Sonic?»

Deku si porta uno spicchio di mandarino in bocca e sospira. Mastica e guarda Katsuki dritto negli occhi mentre mangia. Mentre Deku mangia, le ruote nella testa di Katsuki iniziano a muoversi come se si trovasse in pericolo. Come davanti alle lavatrici, i pensieri di Katsuki iniziano a girare e girare e girare. Pensa a sua mamma e pensa ai giorni di scuola, pensa alle Unicità, agli eroi professionisti e alla sua schiena, pensa tutto quello che è successo negli ultimi anni e quello che è successo nei primi anni della sua vita e pensa a come Deku ha sorriso dopo che Katsuki gli ha detto che stava facendo un buon lavoro. Pensa che non c’è logica e pensa che è passato troppo tempo da quando ha voluto darsi il tempo di provare qualcosa e pensa anche a… le mani di Deku fermano i pensieri.

Ha le mani fredde, Deku, o forse Katsuki ha le guance calde. Le mani di Deku sono piene di calli, forse proprio come lo sono quelle di Katsuki. ha le dita ruvide e delicate e costringe Katsuki a guardarlo dritto negli occhi, seguendo il suo sguardo con movimenti lieve della testa. Si siede a cavalcioni su Katsuki, Deku. Ha le ginocchia puntate sul pavimento tenendo tra queste i fianchi di Katsuki e Katsuki non si era reso conto di niente. Deku calcola, studia l'espressione del viso di Katsuki e dopo qualche secondo sorride come quando ha trovato la soluzione giusta a un problema di geometria spaziale.

Allontana un po’ il viso, continua a sorridere. «Non ti devi più preoccupare di niente» inizia a dire. Il suo sorriso si allarga. «Sai perché? Perché io sono qui.» Inclina un po’ la testa di lato e il suo sorriso sembra ancora più genuino.

Katsuki ci mette qualche secondo prima di ricordare All Might. La frase con cui si presentava. La frase che diceva prima di salvare le persone. Deku gliel'ha detta dopo avergli chiesto perché non ha intenzione di confessarsi. L'assurdità della cosa gli fa venire da ridere, si sente quasi sollevato, per qualche motivo, come se davvero Deku lo stesse salvando in questo momento.

Deku lo bacia e anche le sue labbra sono un po’ ruvide. Katsuki non sa se c'è delicatezza nei suoi gesti, non ha la più pallida idea se di solito le persone si baciano in questo modo, ma, mentre si stanno baciando, mentre Katsuki si tira un po’ indietro perché non ha abbastanza forza sui gomiti per continuare ad allungarsi verso Deku e Deku lo spinge verso il basso, Deku muove una mano dalla guancia di Katsuki alla sua nuca. Gli tiene il retro della testa e lo accompagna verso il pavimento, facendo in modo che la testa di Katsuki non sbattere contro qualcosa di duro, proteggendolo da un possibile, leggerissimo e dimenticabile dolore. Un gesto stupido come questo fa perdere la forza nel corpo di Katsuki, che si ritrova tra le braccia di Deku senza nessuna protesta.

Sa di mandarini. Deku sa di mandarini. Le sue dita sanno di mandarini, le sue labbra sanno di mandarini, anche le sue lentiggini sembrano mandarini.

 
  
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