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Autore: MelaniaTs    29/02/2024    0 recensioni
Boston è una cittadina fiorente e bellissima, ordinaria sotto certi aspetti ed anche molto conservatrice. Adelaide Thompson, cresciuta nell'alta borghesia Bostoniana, non vede l'ora di spiegare le ali verso la libertà. Gabriel Keller, però sembra pensare il contrario.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wing of freedom Saga dei Keller'
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COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di ThomasSenior e di Thomas Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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ADELAIDE
Io e Gabriel eravamo una coppia ben assortita. Non mi arrabbiavo mai con lui, anche se ci ero arrivata vicino quando al rientro dei miei genitori  aveva detto che Alaska non voleva farsi trovare. Assurdo. Infatti il mio sguardo fu eloquente, eppure non desistendo Gabriel aveva portato avanti la sua tesi.
Effettivamente Alaska non voleva farsi trovare. Ecco, poteva essere quella la verità. Ne parlai anche in una telefonata con Brooklyn che assentì alla tesi di Gabriel.
-Sai che ha ragione! Inoltre fin quando noi non ci arrenderemo, Alaska non sarà mai morta.-Concluse lei.
"Si avete ragione. Adesso sono più serena e abbiamo anche ricevuto una mail da Dallas, riuscirà a fare una videochiamata il ventitré dicembre." Dissi a Brooke. "Poi ti aggiornerò. Come va il lavoro con Gel?" Chiesi cambiando argomento.
-Benissimo.- Rispsoe lei serena. -Amo questo lavoro, amo viaggiare e sperimentare le mie doti linguistiche. Credo che imparerò anche l'italiano sai.- mi disse.
"Tu puoi. Sei portata e bravissima in questo. Comunque adesso ti lascio, fammi sapere se ci sono delle novità. Sento che mi stai nascondendo qualcosa." Le dissi.
Lei rise. "Va tutto a meraviglia credimi." Concluse senza rivelarmi niente.
Ne parlai con Chester che mi disse non aveva notato nulla di strano. Mo indispettii ancora di più. Possibile che stessi illudendomi. "Secondo me è innamorata." Ma di chi?  Non di Gellert. Li avevo visti insieme e si ignoravano gentilmente tra di loro dedicandosi solo al lavoro.
Era stata a Pechino e a Shangai, adesso era ad Abu Dabhi, possibile che qualche sceicco se ne fosse invaghito. "Ho sentito che gli sceicchi comprano le donne bionde." Dissi a Chester che rise di getto.
"Ma ti pare che Brooke si lasci comprare. Pero effettivamente..." disse mio fratello maggiore prendendo il cellulare.
Cercò il contatto di Brooke e le scrisse diretto. -Stai scopando.-
"È un'affermazione." Gli dissi.
"Ovvio! Ha lo sguardo sereno e felice. Amore no, ma buon sesso si che fa la differenza." Mi disse.
Dopo un po' arrivò la risposta di Brooke. - Non ancora.-
Scoppiai a ridere. Crucciato Chester rispose ancora. - impossibile, tu scopi.-
La risposta questa volta arrivò subito. - certo, ma non ora. Sono in pausa pranzo e tra un po' torno a lavoro. Forse stanotte è anche in mattinata che è proprio bello appena svegli... però adesso no.- 
Io e mio fratello scoppiammo a ridere.
"Ecco svelato l'arcano mistero." Disse Chester. "Un ottimo amante rende la vita più bella."
"Quindi tu al momento non hai un ottimo amante." Gli dissi.
Lui abbassò lo sguardo. "No! È talmente sfuggevole che non si può definire ottimo."
Mi dispiaceva per lui. Probabilmente viveva di un amore non corrisposto. Lo abbracciai forte e lo salutai con un bacio. "Passo domani sera. Adesso torno a casa dal nonno."
"Gabriel?" Chiese lui.
"È andato alla sede del Maryland, dice che vuole andare anche a quella di New York. Sta solo aspettando che mi liberi un po'."
"E non puoi farlo?" Mi chiede Chester.
"Ho un esame per il master questa settimana, poi potrò partire. Non vedo l'ora di visitare New York, sarebbe un sogno."
"Lascia Adam qui. Così vi rilasserete di sicuro." Mi disse mio fratello. "Farai distrarre anche mamma e papà."
"Prenderò in considerazione la tua offerta."  Dissi.
Il ventitré dicembre puntuali alle quattro del mattino io e Gabriel andammo a casa dei miei genitori. Era l'ora programmata per la videochiamata di Dallas. Tutti volevamo vederlo, sentirlo e assicurarci che stesse bene. 
Dopo i saluti di rito e i convenevoli Dallas ci fissò tutti dallo schermo. Chiuse gli occhi sospirando e infine sorrise. "Non so perché quella nanetta si Alaska non ci sia. Ma sicuramente sta meglio di tutti voi messi insieme." Disse divertito.
"Lei... come... come fai a dire che sta meglio di noi." Sbottò mamma.
"Voi sembrate tesi." Rispose lui. "Lei invece è rilassata in questo momento. Lo sento." Rispose. "Sta dormendo?" Ipotizzò.
"In realtà..." intervenne papà.
"È rimasta in Grecia." Intervenne London. "Dopo che è partite per le isole Cicladi ha deciso di restare lì per un po'." Concluse. "Tra qualche settimana parto anche io in realtà. Per dedicarmi alle aziende europee della Thompson li."
Lui annuì. "Ci sta! Sentiva di non essere all'altezza di Brooke e Adela, quindi va bene." Rivelò Dallas lasciandomi basita.
"Alla mia altezza? Ma se è sempre stata dolce e disponibile con tutti, la più brava tra noi con la danza classica, lei..."
"Datele il suo tempo." Mi interruppe Dallas. "Tornerà più splendida che mai. Come hai fatto tu Ada e come farà Brooklyn." Disse tranquillo. "Mi è scaduto il tempo. Forse riusciamo a sentirci mese pressino."
"Va bene tesoro. Mi raccomando, sii prudente." Lo salutò la mamma.
"Sempre! Vi amo, a presto e buon Natale famiglia."
"Buon Natale Dals." Lo salutammo tutti.
Interrotta la comunicazione incrociai lo sguardo di London. "Perché non glielo hai detto?"
"Perché già ci aveva dato le risposte che volevamo. Almeno così non si preoccuperà." Disse.
"Non si sentiva all'altezza... ma che sciocchezza." Sussurrai abbracciandomi a Gabriel.
"Tesoro era la piccola di casa, poi forse Dallas ha esagerato." Mi disse mio marito.
Il dubbio che già Gabriel aveva insinuato in tutto noi, crebbe ancora di più dopo quella dichiarazione. Possibile che Alaska non volesse veramente tornare da noi? Ma perché non dirlo anziché sparire?
"Partiremo quanto prima per l'Europa. Subito dopo Natale, cerchiamo più a fondo. Non un disperso in mare, ma con discrezione faremo vedere le foto di Alaska tra Santorini e Cipro." Propose.
A me andava bene qualsiasi proposta. Volevo solo ritrovare mia sorella e chiarirmi con lei.
Passammo il Natale a casa Keller. Come sempre per le feste ci raggiunsero Taddheus e Inga con Pamela. Gellert il fantomatico e unico fratello riconosciuto da mio marito anche quella volta non c'era. Mi chiedevo sinceramente che aspetto avesse e se fosse arrabbiato con me per qualche motivo. In tre anni di matrimonio infatti non lo avevo ancora conosciuto.
"Sta facendomi un dispetto. Si è messo con un'arrampicatrice sociale e si rifiuta di stare in mia compagnia perché sa che la metterei al suo posto." Mi confidò Pamela.
"Si, Gellert la tiene lontana per la tua cattiveria." Intervenne Gabriel con sguardo minatorio. "L'hai offesa gratuitamente senza conoscerla e mamma dice che è una ragazza fantastica ed è perfetta per nostro fratello. Non riesci proprio ad essere contenta per lui?"
"Se non è qui la colpa è..."
"Tua!" Intervenne Inga raggiungendoci in quel momento insieme a Adam. "È la persona perfetta per Gellert e sarà la madre dei miei nipoti. Quindi smettila, perché se continui così perderai tuo fratello." Concluse prendendo mio figlio in braccio. "Quindi? Ti siedi tra me e i nonni Thompson? Così posso chiacchierare con nonna Manila anche."
Mio figlio annuì. Era triste poiché quelle vacanze per lui sarebbero state senza Cristal cui la presenza era una costante nella sua vita.
"L'anno prossimo ci sarà anche Abel con noi." Annunciai ricordando a mio figlio che presto avrebbe avuto un fratellino.
Quando la mia famiglia ci raggiunse, dopo la preghiera del ringraziamento iniziammo a pranzare. L'atmosfera era pacata e festiva al tempo stesso. Inga si informò sui fatti della Grecia e Taddheus discorreva con papà e il nonno. Era tutto come sempre, anche se si avvertiva forte l'assenza dei gemelli e di Micaela, la mancanza del capostipite quale ci aveva abituato Thomas, il vociare dei fratelli Keller tutti e i gridolini dei bambini. Quel Natale era diverso, lo stesso Tobias ci disse che da quando sua figlia viveva praticamente a Londra il Natale non era più come prima. Era un peccato, ma l'evidente realtà dei combattenti.
Dopo Natale le nostre vite ripresero. Gabriel è io lasciammo i bambini a mamma in previsione della supervisione della sede di New York. Io avrei fatto la turista, mentre invece Gabe sarebbe passato in sede. Mi promise che alla sera avremmo fatto i turisti, così io per la prima volta da anni mi concessi allo shop da pazzi per le vie della fifty avenue. Sinceramente nonostante potessi permettermelo, non comprai nulla di esagerato, se non un completo intimo rosso e un maglione in cachemire, per festeggiare il capodanno con Gabe. Durante il viaggio infatti mi aveva informato che d'accordo con i miei, saremo rimasti a New York fino al primo gennaio.
"Sarebbe uno spreco non aspettare la mezzanotte con tutti i newyorkese a time square." Mi disse allusivo.
Già solo l'idea mi eccitava. Furono dei gironi frenetici, però io come la grande mela, durante il giorno facevo la turista per alcuni musei che mi interessavano, ammetto che andai anche a visitare il tribunale di New York. La sera con Gabriel visitavo invece i luoghi turistici più comuni. Cenammo all'empire state building, a little Italy e a China town. Andammo a Ellis island per salire sulla statua della libertà e allo storico Hard rock cafe. Furono dei giorni bellissimi, il trentuno dicembre, dopo essere stato al lavoro al mattino, io e Gabe ci avvivano a Time Square per prendere il posto all'evento di quella notte. Avevo portato dietro con me dei panini e dei termos con cioccolata calda e caffè.
Fu tutto magico, fino al fatidico countdown del ball drop. Ci baciammo in contemporanea con tutte le altre coppie che ci circondavano, stretti l'uno all'altra e quando rientrammo nell'appartamento adiacente alla sede degli uffici facemmo l'amore. Era la prima volta che io e Gabriel stavamo da soli a goderci ogni attimo, senza la presenza di nostro figlio Adam. Non che non amassi mio figlio, anzi volevo circondarmi di lui. Ma aprii gli occhi su quanto effettivamente la mia vita con Gabriel girava sempre intorno a nostro figlio e ne avevamo voluto e cercato un altro. Questo mi rassicurò del fatto che Gabriel non mi aveva sposato per il bambino, ma per me stessa. Questo è quei pochi giorni a New York. Era stato lui ad organizzarli e a estendere la nostra permanenza senza il bambino. Eravamo noi due, una coppia giovane e innamorata, come tutte le altre che ci avevano circondate. In fondo era vero, perché io e Gabriel eravamo ancora dei ragazzi per quanto riguardava la nostra relazione e la nostra famiglia. Avevamo praticamente ventiquattro e ventinove anni. Stavamo crescendo come famiglia, proprio come genitori.
Rientrammo a casa trepidanti di riabbracciare Adam, abbraccialo e coccolarlo. Ci era mancato, però quel soggiorno nella grande mela ci era servito a dare un po' di tempo alla nostra coppia.
Poi Gabriel ricevette una telefonata dalla succursale del Connecticut, quella su cui lui fino a quel momento aveva fatto affidamento per alleggerire il suo lavoro da amministratore delegato. Si era adagiato per stare tranquillo e non esagerare sul lavoro. Da quel momento qualcosa era cambiato, Gabriel non aveva più preso a parlarmi di ciò che provava di fronte a delle situazioni personali. Io partii con London per la Grecia che lui ancora non era rientrato dal Connecticut, quando lo aveva fatto io non c'ero.

GABRIEL

Quelle vacanze di Natale furono insolite. Soli in casa con il nonno e la famiglia di Heidi, era stato diverso. Solitamente a Natale eravamo a casa dei Thompson, mentre nonno, papà e gli zii andavano a casa della zia Terry a Lowell nella contea di Middlesex. Tuttavia quella routine era stata cambiata già quando Edgar aveva lasciato Boston per andare a stare a Londra due anni prima. Da quel momento gli zii avevano iniziato a viaggiare spesso per il vecchio continente, soprattutto a Natale e Pasqua, quando da Londra raggiungevano mamma e lo zio Tad a Monaco. Non vedevo Edgar da quando era partito per Londra anni prima, lo sentivo spesso però. Inoltre suo fratello Joan quell'anno era rimasto a Londra dopo essere stato accettato alla Royal academy. Temevo ormai che la famiglia della zia Terry si sarebbe trasferita definitivamente a Londra, soprattutto se Edgar e George facevano sul serio e decidevano di mettere su famiglia.
Al nuovo anno tornai al lavoro comunque propenso a volermi ritagliare dei momenti solo io con Heidi. I pochi giorni trascorsi a New York mi erano piaciuti tanti. Effettivamente da quando ci eravamo 'messi' insieme quasi quattro anni fa, io e Adela non avevamo fatto le cose che normalmente facevano le coppie. Ci eravamo trovati genitori troppo presto saltando quei preliminari che in una qualsiasi coppia erano necessari. Un primo appuntamento, una serata al cinema o anche una semplice passeggiata. Non avevo avuto modo di corteggiarla, ci conoscevamo molto si, perché in pratica avevo trascorso la mia adolescenza a casa sua. Ma non avevo mai effettivamente corteggiato mia moglie. Avevo cercato di tagliarci uno spazio a New York e volevo farlo ancora. Sia per me, ma soprattutto per lei.
Sicuramente dopo il suo rientro dall'Europa un week end almeno dovevo ritagliarlo solo per noi.
"Partite il dieci tu e London?" Le chiesi quella notte. Era il momento migliore per parlare e non essere disturbati dalla costante richiesta di attenzioni di Adam.
"Si! Ce la farai da solo con Adam?" Mi chiese sbarazzina.
Risi. "Certo che si. Tu vai e non preoccuparti, tanto a metà mese rientra anche papà." Le ricordai.
"Hai una data?" Mi chiese.
"Sembra voglia affrontare una volta e per tutte Isaak. Pensa sia ora di farsi conoscere." Risposi.
"Perché non lo ha fatto fino ad ora?" Mi chiese curiosa.
"Isaak rifiuta di conoscerlo, infatti adesso ci andrà nonostante questo." Le dissi. "Speriamo bene."
Lei mi baciò il mento. "Poi ci faremo raccontare tutto." Mi disse.
Le sorrisi e baciandola la misi comoda sopra di me. La desideravo sempre, tutte le altre donne in confronto ad Adelaide Thompson Keller erano nulla. La baciai e la amai. Volevo averla quanto più possibile prima che partisse per l'Europa.
Il giorno dopo, successivamente l'incontro con i responsabili dei vari uffici entrai nel mio ufficio cercando di organizzare il lavoro. Avevo tre computer, per poter seguire la KB, la G&L è adesso la KCG, avevo dovuto organizzarmi così. In previsione della partenza di London sicuramente avrei dovuto lavorare di più. Soprattutto perché ormai la nostra società era specializzata nel recupero delle aziende a rischio. Le compravamo e cercavamo di risollevarle, gestendo i cambiamenti e le innovazioni per migliorare il lavoro e il fatturato, successivamente assegnavamo all'impiegato che ci seguiva, la gestione dell'azienda recuperata. Se prima la G&L si muoveva solo a Boston, dopo sei anni e tanti successi eravamo conosciuti anche oltre le zone limitrofe. Avevamo clienti dalla vicina Springfield, Worcester, Cambridge e Lowell. In Svizzera dove avevamo aperto la sede europea anche avevamo tanto cliente, almeno una decina per ogni cantone. Ed era esaltante, sicuramente volendo gestire la sede dalla Grecia, London adesso che era in partenza avrebbe ampliato il nostro mercato. Non potevo che approvare se lo faceva, io però avevo deciso di fermarmi. Volevo prima capire cosa comportava seguire la KCG con tutte le sue sedi sparse per il mondo, dopodiché avrei valutato. Non potevo prendere sottogamba l'impegno che avevo con la mia famiglia. La KCG, con le sotto trentadue sedi della T-consulting, le ventuno della BK consulting e le nove Keller Germany contava quasi ottocento dipendenti. Ognuno di questi aveva una famiglia ed ora io ero diventato il responsabile di queste persone. Nel momento in cui ero entrato alla presidenza ed avevo avuto in mano i numeri reali intorno cui si muoveva la KCG, avevo ottenuto consapevolezza. Dovevo dedicare anima e corpo ad essa.
Alla G&L fortunatamente avevano preso col tempo uno staff non indifferente. I nostri quindici consulenti infatti erano tutti compagni di corsi ad Harvard. Sapevamo come lavoravano e poco alla volta avevamo proposto loro di aggiungersi al nostro staff, fino a dare loro enorme fiducia.
La stessa cosa avevamo fatto con la G&L europea. All'inizio era stato mio fratello Thomas a consigliarci dei bravi consulenti del settore, suoi compagni ad Oxford, poi dopo aperto la sede legale della BK nel Kleinsten avevo chiesto consigli anche ai principi Leonardo e Giovanni. Io e London in pratica avevamo trovato del personale fidato e competente che ci dava modo di poterci dedicare alle società di famiglia. Sapevamo che la G&L come anche la 2L per London e la KB per me, dovevano essere comunque seguite e che la nostra presenza doveva essere avvertita da tutti. Per ora però avevamo una priorità. Le nostre famiglie!
Entrando come CEO alla. KCG avevo praticamente scoperto di avere una famiglia di quasi ottocento sconosciuti.
Mio padre era riuscito a gestire tutto, io avrei fatto altrettanto. Ora più che mai fui contento di aver accettato la proposta di Tom di fare entrare le sue gemelle Müller nella nostra consulting. Non mi era costato dare alle due il quarantacinque per cento. Io e Tom eravamo i possessori della maggioranza, le gemelle del resto. In meno di due mesi avevano aperto rispettivamente una sede a Vienna e una a Salisburgo e la stavano facendo salire sul mercato con risultati eccellenti.
Nora, l'amica di Eleonora, era anche diventata la responsabile della sede legale. Stava spesso nel Kleinsten, ma si muoveva rapida a controllare le sue sedi e anche quelle in Norvegia e Belgio. Tanto mi bastava per alleggerire il lavoro della KB- consulting.
Ciò che non mi aspettavo quel giorno, era la telefonata da Hartford. Ero sicuro al cento per cento che Karla Cohen seguisse tutto meticolosamente e con lei alla gestione dormivo sonni tranquilli. Invece no.
"Signor presidente ce la dottoressa Cohen che la cerca con urgenza." Mi disse nell'interfono l'assistente di papà.
"Ah! Non me l'aspettavo." Risposi basito.
"Effettivamente neanche io. Ma se chiede l'urgenza, conoscendola, sicuramente è importante."
"Va bene Jenny. Passamela." Le dissi aprendo la cartella delle T- consulting. Cercai la Hartford e attesi.
"Thomas..."  sussurrò una donna dal ricevitore.
"Karla buongiorno, sono Gabriel suo figlio." Mi presentai. "Se ricorda bene a novembre c'è stata la mia successione in presidenza." Le dissi.
"In attesa del rientro di Thomas, giusto?" Mi chiese lei con un leggero tremolio nella voce.
"Si. Ma papà si è fermato a Londra per organizzare le sedi europee, adesso in carica a mio fratello Thomas jr." Le risposi cercando di mantenere la calma.
"Avrei bisogno di Thomas. Con urgenza e di persona." Mi disse poi.
"Karla posso benissimo aiutarla io con la gestione della consulting." Affermai.
Ci fu un attimo di silenzio.  "Non è per lavoro." Sussurrò."Ho bisogno di lui personalmente, che parli del suo lutto di diciotto anni fa." Mi spiegò.
Mi sentii gelare il sangue. Papà mi aveva avvertito che probabilmente il figlio di Karla era suo. "Senta Karla..." sussurrai ingoiando il groppo. "Va tutto bene?"
"Certo." Rispose titubante.
Al che mi feci coraggio andando diritto al punto. "Senta Karla! Mio fratello Daniel, sta bene?" Chiesi schietto.
Lei non mi rispose. Eppure lievemente avvertii un singhiozzo. "Karla... Daniel sta bene?" Le chiesi questa volta allarmato. Non sapevo nulla di lui, ma in quel momento ebbi paura. Il rimorso di non essermi mosso prima per conoscerlo e cercarlo.
"No!" Mi rispose in lacrime. "Sua moglie è stata assassinata sotto i suoi occhi e non sta bene." Raccontò ormai senza freni.
Gelai. "C-come... " Che cosa era successo? Pensai alzandomi dalla scrivania? 
"Sono entrambi poliziotti. Durante le operazioni di un'indagine Alissa è stata uccisa con uno sparo alla testa." Singhiozzò lei disperata.
"Sto arrivando io." Le dissi cercando di immaginare come ci si potesse sentire. Morire così dall' oggi al domani. No assurdo, non riuscivo ad accettarlo. "Karla aspettami che arrivo."
Staccai la telefonata uscendo dall'ufficio, cercai Jenny con lo sguardo e infilando la giacca le chiesi di prenotarmi il primo mezzo disponile per arrivare a Hartford. "Fammi sapere, io intanto vado a casa mia a mettere qualcosa in valigia. Delego Murray, Sanders e They a muoversi per me." Le dissi. Erano quelli cui si affidava sempre papà e per ora avrei seguito le sue stesse linee guida, poi una volta risolto quel problema avrei conosciuto meglio tutto e deciso per me.
Arrivato a casa non trovai Adela, al contrario c'erano il nonno con il piccolo Adam.
"È alla Thompson per organizzare le documentazioni con London." Mi disse il nonno.
Presi Adam in braccio e lo baciai. "Capisco. Purtroppo c'è stata una emergenza e devo andare in Connecticut. Chiamerò Adelaide una volta in viaggio." Affermai stringendo forte il bambino. Avevo bisogno del suo calore e della sua ingenuità in quel momento. "Papà torna presto, promesso." Gli sussurrai portandolo con me in camera per preparare un bagaglio veloce.
Il bambino mi aiutò chiacchierando allegro, io lo baciai e lo coccolai fino a quando Kate non venne ad avvertirmi che era arrivato il mio taxi. "Vado campione. Mi raccomando fai il bravo che io torno presto." Gli dissi scrollando gli i capelli.
Durante il tragitto verso l'aeroporto, così scoprii, provai più volte a chiamare sia Heidi che London. Non ricevendo risposta chiamai alla sede della Thompson dove la segretaria mi avvertì che i fratelli erano in riunione con il signor Simon.
Praticamente sarebbe andata per le lunghe. "Può avvertire mia moglie che sono dovuto partire di urgenza. Poi ci aggiorniamo quando è libera." Le dissi a questo punto lasciandole un messaggio. "Domani non riuscirò ad esserci alla sua partenza ."
"Va bene signor Keller. La avviso." Ringraziandola staccai la telefonata, cercai di immaginarmi cosa avrei trovato ad Hartford. Sicuramente non mi aspettavo un fratello nella polizia, ovvio ne avevo che non lavoravano nel mio stesso campo. A Rafael piaceva immergersi nei suoi libri e anche scriverne di suoi personali, Micaela amava ballare, anche se non era quella la sua passione, le piaceva cucinare ma stessa cosa della danza, in pratica ancora non si era inquadrata. Tom mi aveva confessato più volte che Isaak in Inghilterra era un cuoco, Diamond infine si era laureata in legge. Probabilmente lo stesso Daniel si era laureato in legge o ne aveva le conoscenze facendo il poliziotto.
Durante il volo pensai spesso a papà e ai suoi racconti della gioventù. Quando aveva conosciuto Karla e poi dieci anni dopo quando aveva scoperto di Daniel. Anche papà non lo aveva mai conosciuto, Karla fino a quel momento non lo aveva mai rivelato.
Doveva essere disperata per arrivare a chiamare in azienda per una cosa così personale.
"Il rapporto tra me e Karla è sempre stato solo professionale. Ho scoperto solo quando venne a prendere Rafael che era bisessuale." Ricordai così le parole di papà. Quindi effettivamente la donna non aveva il suo numero personale.
Quando atterrai venni accolto all'aeroporto da una donna di quasi sessant'anni, non erano portato male. Ma l'angoscia che aveva sul viso dimostravano tutti i suoi anni. Era alta, robusta e bionda, il viso arcigno e le labbra contratte.
"Gabriel." Mi salutò.
"Ciao Karla. Ho cercato di fare quanto prima." Le dissi mettendo la sacca in spalla.
"Non c'era fretta. Vieni andiamo in azienda che ti spiego come sono andati i fatti." Mi disse indicandomi l'uscita.
"Vorrei andare da Daniel se mi permetti." Le dissi senza richiesta di replica.
"Non so se..." rispose lei titubante.
"Io sono venuto qui per lui. Quindi mi dispiace ma non ti darò la soddisfazione di portarmi in ufficio, portami da lui." Le dissi deciso.
La donna sospirò. "Va bene andiamo! Ma  ti prego cerca di capirlo lui..."
"Sollevava una mano. Ero sposato e amavo Adelaide Thompson. Potevo capirlo e bene anche. "Puoi  raccontarmi tutto durante il tragitto, così sarò preparato. Raccontami anche del rapporto che c'era con la moglie."
La donna annuì , arrivammo ad un'auto che aprì e salii poggiando la valigia sul lato posteriore. Una volta dentro attesi che lei partisse e iniziasse a raccontarmi com'eranoandati i fatti.
"Devi sapere che Daniel e Alyssa sono praticamente cresciuti insieme, era la nipote di mia moglie io e  l'abbiamo adottata quando la madre è morta, si è trasferita da Cleveland ad Hartford quando aveva sedici anni. Hanno quindi frequentato lo stesso liceo e insieme hanno deciso di fare legge a Yale. Hanno quindi  fatto l'università insieme,  dopo il triennale hanno entrambi  deciso di entrare in polizia.L'intenzione di Daniel era proseguire con il master penal, così da poter puntare alle cariche alte. Infatti, ha studiato diritto penale durante i due anni dell'Accademia di polizia. Al contrario Alyssa voleva solo fare il poliziotto e proteggere i più deboli, non era interessata a diventare detective, ne ad entrare nelle squadre narcotici o omicidi. Infatti quando a ventiquattro anni Daniel si è preso il master entrando definitivamente in polizia, i due si sono sposati e hanno avuto la loro prima figlia, Daly. Tuttavia concentrandosi ella di più sull'accademia a ventisei anni è entrata nell'unita anticrimine del commissario Mahone insieme a Daniel, che di suo aveva in più il master in diritto penale. Non lavoravano quasi mai in coppia poiché il commissario sapendo della loro relazione li teneva separati. Però partecipavano alle stesse indagini e alle stesse missioni. E così che arriviamo ad oggi. Mahone e la sua squadra era sulle tracce di un serial killer, non sapevano più come uscirne. Il serial aveva preso l'abitudine di sequestrare delle giovani studentesse violentarle, dopodiché le mutilava. È stata una caccia durata sei mesi. Fino a quando  proprio Daniel propose Mahone di inscenare un rapimento con una finta cavia. Prendere  una delle matricole inserirla nella scuola superiore con il profilo ideale che il serial cercava, per poterlo incastrare. È stato quando hanno organizzato l'operazione di salvataggio della collega che Alyssa ha perso la vita. Nonostante fosse all'auto con la sua collega è stato uccisa.Mahone, Daniel e Jacob, il collega di mio figlio avevano fatto incursione in casa riuscendo a impedire al serial di violentare la giovane. Però il malato mentale l è riuscito a scappare dopo aver affrontato in una colluttazione Jacob prendendogli la pistola e ferendolo col pugnale. Ha sparato a Daniel ed è scappato con la pistola d'ordinansa di Jacob. Ina volta all'aperto il serial si è trovato di fronte la volante con Alyssa e la sua collega Marion, preso dal  panico ha sparato contro  le due, Marion al petto e Alyssa alla testa, l'ha colpita sotto l'orecchio rompendole la giugulare. Mahone ha fatto in tempo a fermare la fuga del serial, ma non Alyssa.
Daniel le è stato accanto fino a quando non ha chiuso gli occhi." Concluse.
"Maledetto! Con che coraggio si uccidono delle persone innocenti." Dissi inorridito da quel racconto. "Daniel è ferito gravemente?" Chiesi.
"Alla coscia. Il fisico si riprenderà." Mi rispose.
"L'anima un po' meno." Conclusi sospirando.
Come prevedibile Karla parcheggiò all'interno del Presbiterian hospital di Hartford. La seguii senza dire nulla, i rumori e gli odori tipici degli ospedali prevedevano i miei sensi.
Karla ci portò ad una stanza, lentamente aprì la porta e fece un passo alla volta verso di essa, io la seguii.
"Daniel... tesoro hai una visita." Chiamò la donna.
Mi feci ancora più strada all'interno della stanza, era singola, il letto aveva lo schienale sollevato, c'era un uomo col viso rivolto alla finestra, la sua gamba destra era tirata su da un'imbracatura, il vassoio del pranzo era intatto davanti a lui segno che non lo aveva toccato.
Non rispose a sua madre, non si voltò neanche. La prima cosa che notai del suo aspetto furono i capelli biondi rossicci, folti e senza un ordine. Probabilmente aveva i capelli rossi proprio come Karla. Cercai di immaginarmi il suo viso, fin quando non si sarebbe voltato non avrei potuto vederlo.
Karla ancora cercò di attirare la sua attenzione. "Daniel dovresti mangiare qualcosa." Ma ancora non ci fu risposta. "Daniel c'è tuo fratello." Gli disse Carla.
Al che lui finalmente si girò verso di me. Ci squadrammo, io rimasi sorpreso da vedere in lui il volto di Tom occhi verdi, capelli biondi rossicci, stesso naso stessa carnagione. Era proprio Tom, ma un pochino più trasandato con la barba incolta e i capelli che schizzavano da tutte le parti. Erano comunque disordinati rispetto a come li portavamo io e mio fratello, eppure Daniel era la sua copia Anzi era la copia di papà. Mi sembrava strano, aveva una smorfia delusa sul viso. "Credevo che João si fosse preso la briga di venirmi a trovare, invece no!" Parlò finalmente Daniel rivolto a sua madre. "Ma perché inventi queste scuse?"
Karla scosse le spalle, chi era João? "Non è João, ho chiamato a Boston e parlando con Gabriel, appena saputo dell'incidente è voluto venire qui a vedere come stavi."
"Ah!" Rispose. "Sto di merda. Grazie e addio." Mi  rispose cinico tornando a voltarsi.
Io mi avvicinai al letto. "Non crederai davvero che me ne vada? Non ho salutato mia moglie per venire qui da te. Quindi adesso ti comporti da persona civile e saluti."
"Gabriel forse è il caso che..." Lo giustificò la madre
"Ferma! Se vuoi stare qui a impietosirti per lui e giustificarlo, grazie ma è meglio che esci." Le ordinai.
"Tu non puoi capire!" Disse lei.
Al che mi incazzai. "Io non posso capire?" Dissi a entrambi.  "La sorella di mia moglie è finita fuori dalla barca durante una tempesta, non si trova, non ci sono tracce di lei che ha solo 18 anni. Non la troviamo e io sono venuto fin qui per vedere mio fratello, per assicurarmi che stesse bene lasciando mia moglie con le sue pene. Quindi non venire a dirmi che io non capisco. Forse non è morta mia moglie, ma è morta la moglie di mio padre e so come ci sente. Perché se non veniva aiutato papà sarebbe caduto in un baratro senza ritorno. La depressione ti uccide, l'ho vissuto da bambino e non sapevo come aiutare mio padre. Quindi Karla so come ci si sente, adesso esci parlo con mio fratello." Le ordinai cercando di mantenere la calma, parlavamo pur sempre di una donna di sessant'anni e non volevo mancarle di rispetto. Mi era venuto istintivo risponderle in questo modo, non me ne pentivo.
Mi rivolsi a Daniel che stava fissandomi sorpreso. "Io sono Gabriel, primo genito di Thomas Keller senior." Mi presentai prendendo una sedia. "Sapevo della tua esistenza, ma fino ad oggi non abbiamo avuto modo di incontrarci."
Lui annuì. "So chi sei. So di tutti voi, Gabriel, Rafael, Micaela e Thomas Uriel." Mi rispose guardandomi. "Hai un figlio di tre anni."
Annuii. "Adam... quanti anni ha Daly? Si chiama così?" Chiesi contento che mi parlasse.
Mi sorrise. "Daniel e Alyssa. Daly, credo abbia qualche mese di differenza da Adam, lei è nata a settembre." Rispose.
"Mi dispiace per tua moglie. È stata una tragedia." Gli dissi. "Non so come reagirei se dovessi perdere Adelaide, che sia per malattia o per incidenti del genere."
Lui sprofondò nel cuscino. "È colpa mia! Avrei dovuto insistere e farla uscire dalla squadra." Sussurrò.
Sospirai. "Non penso sia stata colpa tua. Credo che per fatalità anche se non fosse stato sul campo, avrebbe potuto avere un destino simile." Gli dissi avvertendo Karla che usciva chiudendosi la porta alle spalle.
"Ultimamente era un continuo litigio." Mi confidò. "Questa è la seconda volta che resto ferito in questi tre anni nella squadra." Raccontò mettendosi la mano sul viso. "Volevo che lei la lasciasse. Le dicevo che come ero rimasto ferito io poteva capitare a lei, le ricordavo che avevamo una bambina piccola. Ma Alyssa si arrabbiava, diceva che poteva essere madre e poliziotta insieme. Per quanto le dicessi che non le negavo il suo lavoro, volevo solo che facesse qualcosa di meno pericoloso, per questo lei era alla macchina."
"Giustamente fate un lavoro molto importante e pericoloso insieme." Affermai.
Lui annuì. "Avrei dovuto sparare a Miller prima che colpisse Jacob col pugnale, gli ho dato modo di prendergli la pistola. Miller mi ha sparato alla cieca colpendomi alla gamba e all'addome. È riuscito a scavalcarmi. Comunque l'ho inseguito con le ferite che bruciavano, il capo era all'entrata esterna con Joy e ancora non era arrivato, io sapevo che all'ingresso c'erano le vetture, con Alyssa e Marion. Ho sentito il primo sparo che ancora ero sulle scale, il secondo l'ho avvertito mentre uscivo, il terzo è provenuto da qualcuno in strada. Ho scoperto dopo che era Mahone, io ho raggiunto Alyssa. Ho visto il sangue che le usciva dalla giugulare, quel deficiente di Miller deve aver puntato alla testa. Ma non ha una buona mira, mi ha colpito in punti non mortali. Se avesse preso alla testa il cappello antiproiettile avrebbe salvato Alyssa."
"Era già morta quando l'hai raggiunta?" Gli chiesi.
Scosse la testa. "Tracannava. Io ho provavo a fermare l'emorragia con la mano, ma perdeva tanto sangue. Riusciva a stento a parlare, mi guardava con i suoi occhi azzurri in lacrime. Le ultime parole sono state, proteggi Daly, lascia tutto..." concluse.
"Ti ha..." Chiesi. Possibile gli avesse chiesto di lasciarsi andare e lasciare tutto? Avevo capito male?
"Mi ha chiesto quello che le chiedevo sempre io. Di cambiare lavoro per Daly." Mi spiegò. "Ora come ora sicuramente dovrò andare in aspettativa." Disse rimettendosi la mano sugli occhi. "Vorrei mandare tutto a quel paese... lasciarmi morire... toccava a me la fine di Alyssa... non so come spiegare a mia figlia che la mamma non ci sarà più..." Disse tra un singhiozzo e l'altro.
Rimasi in silenzio. Daniel aveva sei mesi circa meno di me, quindi se aveva venticinque alla nascita di Daly, lei era quanto Adam.
"Sicuramente le tue mamme ti aiuteranno." Gli dissi.
"Mamma..." sussurrò. "L'altra mia mamma è venuta a mancare due anni fa. Mentre i genitori di Alyssa vivono nell'Ohio."
"Posso aiutarti io!" Gli dissi istintivamente. "Immagino che tu sia preso dal dolore. Ma devi reagire, sia per Daly che per tua madre. Anche lei è sconvolta, seppure non lo fa vedere."
Mi fissò annuendo. "Lo è! Lo siamo tutti... non oso immaginare cosa sarà tornare a casa..."
"Dura! Sarà dura." Gli dissi immaginando una vita senza Adelaide. Non volevo che accadesse e non volevo ridurmi a un brandello di uomo come stava succedendo a Daniel e come era accaduto a mio padre. "Quando è morta mamma Marina papà era irriconoscibile, ci ha esclusi tutti dalla sua vita. Dan tu non devi farlo, per il bene di Daly tu devi combattere e io ti sarò accanto. Come i nonni e gli zii lo hanno fatto con nostro padre." Gli dissi.
"Se ne esce Gabriel?" Mi chiese fissandomi coi suoi occhi verdi.
Scossi la testa. "Poco alla volta, poi diventerà una nuova abitudine e ci si rassegna." Gli dissi.
Lui sospirò. "Capisco... io... io... voglio accettare il tuo aiuto." Mi disse in silenzio. "Partirò per l'Ohio con Daly..."
Sospirai. "Vado a prendere Adam a Boston e vengo con voi." Annunciai. "Dovrai spiegarmi chi è João." Conclusi.
Non mi rispose, però mi sorrise e tanto mi bastò.

 

   
 
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