Il secondo componimento
per la Big Damn Table, sempre a quattro mani da parte mia e di Aphrodite Gold
Saint^^
Anche qui al centro l'Isola di Andromeda e gli anni dell'addestramento di Shun,
la figura di Shun
vista da un compagno che non sa accettare ciò cui assiste^_^
* INTERMEZZO *
- IO SARO’ ANDROMEDA-
Il sole brillava sull'isola, caldo, soffocante, come ogni
giorno, ogni istante di quella vita portata avanti a morsi. Gli occhi del
ragazzo dai capelli rossi erano rivolti al mare, dove i riflessi si perdevano nell'umidità
isolana. Sentiva il sale dell'aria punzecchiargli il viso, poteva percepire i
raggi solari che colpivano la superficie dell'oceano e rimase ammaliato per un
attimo da tanta invadenza.
Era molto in alto ed osservava il mondo al di sotto di lui con distacco, ma si
sentiva freddamente assente a se stesso, incerto, pieno di disappunto per ciò
che guardava, colmo di rimpianti. Erano quasi cinque anni che si allenava in
quella distesa, aveva creduto di poter giungere al fine ultimo del loro addestramento
senza problemi, si era convinto di essere il solo veramente capace di acquisire
il cosmo ultimo, nel mucchio di piccoli ed inutili, finti guerrieri di
Athena... ed invece sapeva di non avere scampo, perché in tutti
gli inutili dell'isola figurava anche il suo nome.
L'unico, anzi, che brillava al di sopra di loro era lì, innocente nel suo sorriso che non dava adito a dubbi sulla sua innocenza. Quei capelli castani e quegli occhi troppo insoliti per un occidentale, quel sorriso serio, quell'educazione curata nei minimi dettagli, quasi ce l'avesse nel sangue, visto che era cresciuto senza genitori, come tutti loro.
Rheda fu colto dal sospetto che quel bambino, con il tempo, avrebbe
saputo trovare anche quella determinazione che era mancata fino a quel momento.
Ancora un anno e il cloth di Andromeda, forse, avrebbe avuto il proprio
prescelto; Redha non aveva mai nutrito dubbi su quali fossero i propri intenti,
ma perché non sentiva nulla, dentro, adesso che il tempo si avvicinava? Una
consapevolezza avrebbe dovuto risvegliarsi eppure…
“Nulla” ringhiò tra sé, sollevando una mano, il palmo rivolto verso
l’alto e poi stringendola a pugno, mentre abbassava lo sguardo su essa,
fremente “Solo una scintilla… una briciola… che non mi servirà a niente… e le
stelle non mi parlano, perché non mi parlano?”
Poi spostò lo sguardo e lo vide ancora, sotto di lui, risplendente più
del sole che in quel luogo si elevava nel cielo in tutto il suo massimo
fulgore. Shun si stava allenando con la catena e, quando il maestro non lo
costringeva ad utilizzarla come arma d’attacco, la sua abilità mutava come per
miracolo: sembrava essere nato con essa, quel pezzo di metallo pesantissimo
danzava con lui acquistando la leggerezza di una nuvola… volteggiava intorno a
lui come una stella cadente, una meteora che compiva evoluzioni nel cielo. E le
gocce di sudore pari a perle lungo il corpo arrossato e ferito dal sole in più
punti, perché non accennava ad acquisire un’abbronzatura che oscurasse un poco
il suo candore, scivolavano come carezze su quella creatura che riportava alla
memoria, a un tempo, gli efebi antichi, con le loro armoniose strutture
anatomiche, bellissimi nella loro concentrazione sul dovere ginnico e l’eterna
fanciullezza, non virile ma nemmeno femminea, semplicemente la forma fatta vita
della perfezione.
“Ma il suo cosmo è addirittura inferiore al mio” sibilò ancora il giovane frustrato “Perché dovrei temerlo? Mai mi ha mostrato un cosmo degno di tale nome e io sempre l’ho sconfitto nel corpo a corpo! Di cosa, dunque, ho paura?”
Un clangore metallico attirò ancora la sua attenzione sul dodicenne impegnato nell’allenamento; aveva lasciato ricadere la catena intorno al proprio corpo e si era fermato, immobile, lo sguardo fisso davanti a sé, concentrato su qualcosa di lontano, le labbra leggermente aperte a prendere fiato, le sopracciglia aggrondate per la profonda concentrazione. Redha ne vedeva solo il profilo, ma intuiva, da lontano, la sua espressione fiera, quella fierezza che non sapeva tirare fuori nell’addestramento collettivo. Perché?
Shun si erse, dandogli le spalle completamente, il viso rivolto verso il mare; allargò le braccia, una statua impeccabile intorno alla quale l’astro tracciava un’aureola dorata.
No, non era oro.. e non proveniva dal sole quel bagliore rosato.
Rheda deglutì, in silenzio, quasi stesse cercando di ingoiare un boccone troppo amaro per poter essere sopportato facilmente.
Non riusciva a credere ai propri occhi, qualcosa
si levava dalla figura sottile esposta alla brezza marina,
un'aura preziosa che aveva una forza senza eguali e Rheda, da solo,
era testimone di quel miracolo al tempo stesso dannazione per la sua
anima affondata dall'impotenza.
Una parte di sé cominciò, lentamente, a distruggere la sua determinazione,
mentre l'altra era ancora convinta di poter ottenere il giusto
riconoscimento.
Chiuse gli occhi e voltò il capo dall'altra parte, per evitare di osservare quella scena, pugnale nel cuore di un uomo che aveva sempre cercato di essere migliore, senza tuttavia riuscirci.
"Nulla importa. Io sarò Andromeda...."
Rheda voltò le spalle al mondo e cercò un angolo silenzioso dove continuare l'addestramento.