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Autore: amoreterno    09/03/2024    14 recensioni
Non è facile accettare una fine tragica, un finale diverso da ciò che si desidera, ma, a pensarci bene, se la storia non avesse avuto un epilogo tanto funesto davvero la nostra fantasia avrebbe lavorato così tanto per donare il nostro supporto, omaggiando ai personaggi di un lieto fine tanto agognato?
Così, ancora una volta, dedico la mia immaginazione a questa meravigliosa opera, questo capolavoro che sfida il tempo, le generazioni e la frenesia del mondo moderno, rivedendo di nuovo il finale della storia, rivolgendola a mio favore, alla ricerca di quel lieto fine che ho tanto desiderato ad ogni nuova visone dell'anime, o semplicemente sfogliando le pagine del manga. Questa volta ho voluto osare dove non ho mai voluto indugiare: proiettare i protagonisti nell'epoca moderna. È una storia frivola, senza troppe pretese, al mero scopo di intrattenere con leggerezza. La storia parla di come potrebbe essere l'esistenza di Oscar, la mia eroina, se dopo essere caduta durante lo scoppio della Rivoluzione Francese, ai piedi della Bastiglia, invece che risvegliarsi nell'al di là, si ritrova moribonda, ferita e sanguinante sull'asfalto di una moderna Parigi, ai piedi del monumento a place del la Bastille, soccorsa da... André?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

 

 

L’uomo arricciò le labbra disgustato, scuotendo il capo tristemente, mentre osservava la parata che sfilava prepotente davanti a lui senza quel sentimento di appartenenza e orgoglio che vedeva riflesso nei volti delle persone accanto a lui. Quella fiumana di gente che si accalcava disordinatamente cercando di accaparrarsi il posto migliore.

Che strano.

Eppure si era sempre vantato di avere un forte spirito patriottico, ma quando, ogni anno, assisteva a quella pagliacciata lungo lo Champs-Elysées, non riusciva a negare un forte senso di nausea.

Ficcando i pugni in tasca, a capo chino, voltò le spalle al suono dei tamburi, degli applausi, dell’inno nazionale cantato all’unisono dei francesi in festa, e si diresse lontano, lungo le vie meno trafficate, escluse dalla sfolgorante parata del quattordici luglio.

Si diceva che era comprensibile che l’animo tempestoso di uno scrittore di successo fosse caratterizzato da aspetti singolari, controcorrente. Spiegava una sensibilità diversa, poco comune che rendeva i suoi romanzi apprezzati dal pubblico e dalla critica, ma tenuto a distanza in privato quando questa sua eccessiva eccentricità risultava troppo ingombrante.

O così aveva provato a spiegargli il suo analista all’ennesima relazione finita in catastrofe.

Sospirò calciando distrattamente un sassolino canticchiando a bassa voce la marsigliese, le note che si udivano in lontananza, mentre la musica scemava gradualmente, fino a divenire un suono sordo, intonato solo grazie alla memoria.

Camminò a lungo, immerso completamente nei suoi pensieri, avvolto nei meandri contorti di una mente laboriosa mentre nello specchio dei suoi occhi si figuravano nuovi colpi di scena da inserire nel suo prossimo romanzo.

La sua ombra si allungava sempre di più finché il rossore di un tramonto ormai prossimo lo riscossero finalmente portandolo con i piedi per terra.

Imprecò a denti serrati, guardandosi attorno. Si trovava a parecchi chilometri di distanza da dove aveva parcheggiato la sua auto.

Imprecò ancora.

Aveva camminato a lungo, forse per ore. Sbuffò irato, maledicendo la propria sbadataggine. Avrebbe reso di gran lunga più produttivo il suo pomeriggio se fosse tornato a casa a scrivere invece che immaginare quello che voleva scrivere. Era sicuro che non appena si fosse finalmente trovato davanti allo schermo del computer non avrebbe ricordato una sola parola, mostrando la capacità narrativa di un alunno delle elementari!

Le strade erano insolitamente deserte. Trovare un taxi sarebbe stato assai improbabile. Avrebbe dovuto prendere la metro.

Cercò di orientarsi.

Dinnanzi a sé si stagliava il monumento ai caduti della presa della Bastiglia.

Ironico, se pensava al suo sterile entusiasmo di poco prima.

Un flebile lamento poco distante risucchiò in un istante ogni suo pensiero, acuendo ogni suo senso come una preda che intuiva un pericolo.

Si voltò di scatto, trasalendo, quando si accorse, poco più in là, un corpo disteso per terra, sul cocente asfalto, inerme e ferito.

Corse verso la vittima offrendo il suo immediato soccorso, ogni suo pensiero annullato dal panico.

“Oh mio Dio… Signore… sta bene?” si mise in ginocchio osservando con occhi sgranati la persona svenuta e chiaramente ferita, dalla cui bocca fuoriusciva un lieve respiro.

“Cazzo” 

Si assicurò che fosse ancora vivo toccando la vena alla base della gola, sebbene le pulsazioni fossero lente e distanti.

Quel poveretto stava morendo.

“Ehi, signore? Riesce a sentirmi?”

Gli scostò i lunghi capelli sul volto esibendo un volto terribilmente pallido, quasi cadaverico, per poi trattenere a stento un urlo di paura.

Con uno scatto fece un balzo all’indietro cadendo sul sedere.

Un lampo. Un fulmine lo aveva accecato per un istante nel momento in cui i suoi occhi si erano posati sul volto estraneo del ferito.

Con il respiro corto, il cuore che batteva all’impazzata, il petto che si alzava su e giù con preoccupante velocità, l’uomo sudava in maniera copiosa.

Cos’era? Uno scherzo? 

Un crudele scherzo architettato da una mente machiavellica per torturarlo?

Deglutì a fatica.

Si umettò le labbra secche cercando di ricomporsi.

Per molti anni aveva dovuto fare i conti con gli strani viaggi della sua mente, le amnesie, ricordi di una vita che sapeva non essere la sua. Che non poteva aver vissuto.

Scosse il capo ritrovando la padronanza delle sue emozioni.

C’era una persona, un essere vivente in fin di vita, con un estremo bisogno di soccorso e lui non poteva cadere vittima dei capricci della sua mente.

Strisciando tornò dal ferito. Notò, adesso a mente lucida, il suo bizzarro vestiario.

Un uniforme blu, corredato da medaglie vistose, come se si trattasse di un ufficiale di alto rango.

Con il cuore in gola e la pelle d’oca, sempre più sgomento, cercava di dare disperatamente una spiegazione logica alla follia che stava vivendo.

Sarà un attore di teatro.

O il sindaco avrà organizzato, in occasione della festa nazionale francese del quattordici luglio, una scena in costume che impersonava la presa della Bastiglia.

Sfiorò la giubba strappata e sudicia di polvere da sparo, il sangue rappreso, l’autenticità delle cuciture e delle rifiniture in oro.

I suoi occhi osarono ancora guardare il viso dell’uomo ferito, che respirava sempre con maggiore difficoltà.

Sgranò ancora di più gli occhi, per poi sbattere le palpebre ripetutamente.

Oddio! Non poteva essere!

Si ripeteva tra sé e sé mentre memorizzava gli aristocratici lineamenti di quell’essere alieno.

Quando le lunghe ciglia scure presero a palpitare come ali di farfalla, l’estraneo in fin di vita sembrò avere abbastanza energia per aprire gli occhi più incredibili che avesse mai visto e guardare il cielo limpido sopra di sé.

Miracolosamente sorrise, dolcemente, come se avesse finalmente trovato la pace. Non parve particolarmente sorpreso quando il suo sguardo azzurro focalizzò il suo viso, al contrario, il suo sorriso diventò quasi smagliante.

“Oh André… sapevo che ti avrei ritrovato… sapevo che ti avrei riavuto accanto a me… amore mio… sono tornata da te…” e svenne.

Inebetito, André era senza parole, fissando la creatura davanti a sé come se fosse stato appena folgorato.

Sfiorò ancora il suo viso scostando i capelli dalla sua fronte, esponendo completamente il suo volto al suo sguardo scioccato.

Aveva visto milioni di volte quel viso nei suoi sogni. Per anni la fisionomia di quel volto lo aveva ossessionato a tal punto da mettere in serio pericolo la sua sanità mentale.

Non che adesso, all’età di trentanove anni, avesse risolto quel disagio senza nome, ma aveva deciso di comprimere la sua mente e quelle visioni nella libertà della scrittura, concedendosi un po' di pace.

Adesso, quella visione era lì, davanti a lui. E pareva conoscerlo.

Lo aveva persino chiamato per nome.

Accarezzò una gota pallida e scavata.

Dentro quella bizzarra uniforme d’altri tempi si nascondeva una donna.

Una donna bionda con degli incredibili occhi azzurri, dalla morbida voce sinuosa e armoniosa, capace di far vibrare corde nel suo cuore come mai prima d’ora. 

Afferrò il suo cellullare e compose il numero d’emergenza.

“Pronto? Ho un disperato bisogno di un’ambulanza…. Si tratta di una persona ferita, che perde molto sangue, svenuta in mezzo alla strada… no, non so cosa sia successo… io l’ho trovata svenuta in mezzo alla strada…”

Rispondeva in maniera esaustiva alle domande dei soccorritori dando il nome della via, l’esatta ubicazione di dove si trovavano, le condizioni precarie in cui vessava la vittima.

“Conosce la vittima?” gli chiese al di là della linea il soccorritore.

“Si” si sentì dire: “Si chiama Oscar François de Jarjayes. Ed è una donna di giovane età. È in pericolo di vita. Vi esorto a muovervi con la massima urgenza”.

Diede le proprie generalità prima che il soccorritore lo informasse che si trovava un’ambulanza a pochi metri da loro, in guardia proprio in occasione della parata della festa nazionale, e che in pochi minuti sarebbero corsi a soccorrere la donna.

 

 

 

Prese un respiro all’improvviso, come se ne avesse di colpo riacquistato la capacità.

Sgranò gli occhi incapace di comprendere dove si trovasse.

Un suono ripetitivo e squillante rimbombava nella sua mente rischiando di mandare in frantumi quel poco di autocontrollo che aveva in serbo. 

Alte mura bianche la sovrastavano, volti sconosciuti, resi irriconoscibili e indistinguibili perché coperti dal naso in giù, buffi cappelli calzavano sui loro capi, minacciavano di soffocarla, mentre parlavano tra loro concitatamente, l’urgenza nella sua voce lasciava intendere che qualcuno fosse in pericolo di vita.

Oscar aveva paura. Il terrore le gelava il sangue tra le vene, acuito dall’incapacità di fuggire, di scappare via.

Poi le misero qualcosa di opaco sul volto, sebbene lo sguardo di colui che voleva soffocarla non fosse minaccioso ma aveva qualcosa di pietoso.

Le palpebre si fecero pesanti, il buio si fece persistente, dando il benvenuto all’incoscienza.

Si ripeté di essere forte. Che non doveva avere paura. Lui era lì con lei.

Lo aveva visto poco prima. 

Avrebbe riconosciuto i suoi lineamenti tanto amati anche tra le fiamme dell’inferno, e anche lì sarebbe stata contenta, purché lui fosse al suo fianco.

André.

Con i suoi occhi teneri e profondi. L’armoniosa forma delle sue labbra. I riccioli ribelli dei suoi capelli bruni. L’infinita dolcezza del suo sguardo. L’inconfondibile sicurezza che la sua vicinanza le procurava.

Lui era lì. Poco distante. Lo sentiva fin dentro alla profondità del suo cuore.

Erano tornati insieme.

Dopo tanto dolore e sofferenza, erano di nuovo insieme.

Ora, per non lasciarsi mai più.

 

 

 

André dondolava sulla sedia nella sala d’attesa del General Hospital di Parigi fissando un punto imprecisato del pavimento che odorava di disinfettante, lo sguardo cieco, la mente offuscata, i muscoli contratti dalla tensione.

“Ehi, André” lo salutò una voce nota. Lo sentì sedersi sulla poltroncina al suo fianco, ma la sua presenza non bastò per spezzare l’ipnosi dove pareva essere caduto.

“Ehi”

“Sono corso appena ho letto il tuo messaggio. Deve essere stato terribile. Come sta?”

“È in sala operatoria da due ore ormai. Non so niente”

Il suo agente letterario e, per alcuni versi, amico annuì a disagio: “È stato un incidente?”

“Non saprei. Era già svenuta sulla strada quando io l’ho trovata. Io mi sono solo limitato a chiamare i soccorsi. Ho detto lo stesso alla polizia poco fa”

“La polizia? Sei stato interrogato?”

“Si. Sono stato l’ultimo che l’ha vista prima che perdesse conoscenza. Volevano assicurarsi che non fossi coinvolto in nessun modo alla sua attuale condizione”

“Cavoli… ma tu che ci facevi lì? Non dovresti essere a casa davanti al tuo bel computer, al sicuro della tua belle casa a scrivere la tua prossima opera d’arte? Ricordi che hai un contratto milionario che ti vincola con la casa editrice? Tra trenta giorni il signor Justine si aspetta il manoscritto sulla sua scrivania”

“Oggi è festa nazionale, Jacques! È il 14 luglio! Merito anch’io un po' di svago, no?”

“Hai tutto lo svago che basterebbe per un’intera città, da quanto ho visto dalla tua pagina social. Inoltre eri ben lontano dalla parata… e poi da quando mostri tanto sentimento patriottico? I tuoi romanzi storici non trattano proprio il periodo antecedente alla presa della Bastiglia? Secondo il tuo punto di vista la storia è stata alterata e non corrisponde a ciò che accadde davvero. E a cosa davvero portò la rivoluzione francese. Quindi questo tuo improvviso sentimentalismo è alquanto sospetto”

L’uomo sospirò: “Jacques! C’è un essere vivente che combatte tra la vita e la morte al di là di quella porta, non puoi venire qui e ricordarmi delle scadenze!”

L’uomo alzò le mani al cielo: “Ok! Ma se tu non c’entri niente con l’incidente, perché sei qui?”

“Perché mi sento responsabile. Voglio assicurarmi delle sue condizioni. Non posso semplicemente lavarmene le mani”

Il suo agente annuì grattandosi la fronte: “Quando sei turbato non sei molto produttivo, quindi rispetto il tuo stato d’animo e provo a contattare la casa editrice chiedendo qualche giorno di proroga in vista di questo sfortunato evento, ok?”

“Non me ne frega un cazzo”

Sbuffò alzando gli occhi al cielo: “Va bene, va bene. Sei di malumore, non dirò altro”

André si portò una mano sul viso con fare stanco.

Scattò in piedi come un soldatino quando si accorse che un medico avanzava verso di lui con espressione grave.

“È lei che ha chiamato i soccorsi?”

“Si sono io, dottore”

“Quindi lei è André Grandier?”

“Si, sono io. Come sta?”

Il medico lanciò un sospiro pesantemente scuotendo il capo: “La paziente non aveva documenti con sé, nulla di personale, non un cellulare, quindi per noi è impossibile contattare un familiare. È stato sempre lei, signor Grandier, a informare i soccorritori che la paziente si chiama…” si interrompe per scrutare la cartella clinica: “Oscar François de Jarjayes… ma deve essersi sbagliato. La paziente è chiaramente una donna. Niente ci fa credere che non sia così. È stata la donna stessa a dire come si chiama?”

“No. Ma la conosco”

“Davvero?” esclamò il suo agente.

André si voltò verso di lui fulminandolo con lo sguardo: “Va a casa, Jacques! Non ho bisogno di te!”

Il medico si allontanò facendogli cenno di seguirlo, al sicuro in un angolo del corridoio poco frequentato continuò: “È un suo diretto parente?”

“No. È… solo una conoscenza del passato” balbettò, incapace di comprendere il perché di quel fiume di menzogne che fuoriuscivano dalla sua bocca senza ragione.

“Si…” lo fissava poco convinto.

“Come sta? Si riprenderà?”

“Lei non è un parente… non posso fornirle questo tipo di informazioni. Ha modo di contattare qualche suo familiare?”

“Non conosco nessun familiare… dottore, la prego! È stata una strana casualità che mi ha portato in quel luogo dove lei era lì in fin di vita… adesso non può impedirmi di sapere il suo destino e…!”

Il medico parve rifletterci su per qualche istante prima di annuire: “Le condizioni della donna sono disperate. Abbiamo cercato di frenare l’emorragia ma adesso è in coma profondo. Inoltre ha una preoccupate infezione ai polmoni, che stiamo cercando di curare con un’importante dose di antibiotico ma se non risponderà alle cure non le rimane molto da vivere”

André si portò una mano sul viso cercando di frenare l’incomprensibile disperazione che minacciò di sopraffarlo.

“Ci sono speranze?”

“Adesso si trova in terapia intensiva, costantemente sotto osservazione. Si tiene in vita solo grazie ai macchinari, ma se non risponde alle cure non ha molte possibilità di sopravvivenza… mi dispiace”

André annuì per poi osservare impotente il medico allontanarsi.

Quella donna vestita in abiti bizzarri era in coma. Aveva una grave infezione ai polmoni.

Con una mano si arruffò i capelli accorgendosi che il pavimento aveva cominciato a dondolare davanti ai suoi occhi.

Le sue condizioni erano disperate…

Respirò a fatica cercando a tentoni la parete per sorreggersi.

Lo aveva chiamato per nome prima di perdere conoscenza. E lui, dal suo canto, non aveva battuto ciglio quando aveva dichiarato il suo nome ai soccorritori. Come se ne fosse assolutamente certo.

Ma era una donna, e lui aveva dato un nome da uomo, eppure era sicuro che si chiamasse così. Una sconosciuta che sapeva come si chiamava, il cui volto lo ossessionava da anni.

“Signore…? Signore…? Sta bene? Signore!”

Un’infermiera corse verso di lui offrendogli soccorso nell’istante esatto in cui parve perdere la battaglia contro la forza di gravità.

Ma lui era un omone, alto e robusto, così l’infermiera chiese l’aiuto di altri inservienti, finché non lo aiutarono a sedersi, invitandolo a calmarsi. Gli offrirono dell’acqua fresca, asciugarono la sua fronte umida di sudore, rassicurandolo con parole gentili.

André accettò le amorevoli cure, rassicurando tutti di aver riacquistato le forze.

Ma mentiva.

Mentiva da anni, a tutti. Lui non stava bene. Non stava affatto bene.

Il suo successo non era altri che un tranello, un inganno. La sua mente era uno scherzo della natura. La sua capacità di raccontare eventi passati come se li avesse davvero vissuti era solo sintomo della sua pazzia.

 

 

 

Sorseggiò il caffè più orribile della sua vita, ma la cosa non gli importava. Aveva anche mangiato una merendina che non sapeva di niente da quella macchinetta a monete. Conosceva a memoria il numero di mattonelle che bisognava percorrere dalla sala d’attesa alla macchinetta. La vernice grattugiata dell’unica finestra che dava sulla strada. Il ronzio persistente di un neon rotto. La maniglia rotta della porta del bagno, il terribile cigolio della grande porta della sala operatoria che minacciava di farlo impazzire ogni volta che un medico usciva o entrava da lì.

Erano trentasei ore e venticinque minuti che era seduto lì. Senza dormire. Senza parlare con nessuno, in attesa che qualcuno gli desse notizie di quella donna sconosciuta a cui aveva dato un nome maschile.

Oscar…

Un nome così spaventosamente familiare.

“Signor Grandier…?” lo chiamò facendolo trasalire un medico che non aveva mai visto prima.

“Si, sono io” si alzò con difficoltà sulle gambe irrigidite dall’eccessiva immobilità.

“La paziente si è svegliata dal coma” gli rivolse un sorriso sollevato.

Ad André parve di essere rinato: “Oh grazie Signore Benedetto…” mormorò in un sospiro.

“Non è più in pericolo di vita. Ha risposto perfettamente all’operazione che è servita ad arrestare l’emorragia che minacciava di ucciderla…”

Continuò con altri dettagli con termini dettagliatamente medici, a cui André fu incapace di seguire, di comprendere. Lo guardava aprire bocca e pronunciare suoni che assomigliavano a parole ma non capiva il significato. Ma era certo che il problema fosse più la stanchezza che la sua totale ignoranza in campo medico.

“Si riprenderà?” domandò interrompendolo.

Annuì: “La sua infezione ai polmoni continua ad essere persistente, ma con le cure giuste sono certo che riuscirà a guarire. Signor Grandier lei le ha salvato la vita. Il suo soccorso immediato ha permesso a noi di intervenire tempestivamente scongiurando l’emorragia che l’avrebbe portata a morte certa”

Rilasciò il respiro, accorgendosi solo in quel momento di averlo trattenuto.

“Gli abiti della donna… sono un po'… singolari…” cominciò il medico arricciando il naso.

“Fa l’attrice a teatro” replicò prontamente.

“Ah! Abbiamo cercato di toglierglieli avendone cura ma erano ridotti molto male. Posso comunque affidarli a lei?”

“Si, certo. Mi preoccuperò io di restituirli all’agenzia teatrale pagandone i danni”

Il medico sorrise: “Ha confermato il suo nome. Per quanto assurdo possa suonare, si chiama davvero Oscar François de qualcosa… non ricordo bene… anche se è una donna…”

André tornò ad essere vigile: “Ha detto il suo nome? Si è svegliata?”

“È cosciente, signor Grandier. Ha anche fornito alcuni nomi di alcuni parenti prossimi, che stiamo cercando di contattare. Le abbiamo anche chiesto dei documenti o del telefonino ma era molto confusa al riguardo. Inoltre chiedeva di lei, signor Grandier, con una certa insistenza”

“Davvero?”

“Si. Nelle sue precarie condizioni di salute non possiamo farla agitare, quindi le concedo qualche minuto per parlare con lei, ma poi lei dovrà tornare a casa a riposare e rinfrescarsi un po'. Ha un aspetto disastroso. Poi potrà tornare a farle visita domani”

“Posso davvero andare da lei?”

“Si”

Stranamente, considerata la grande pena che aveva provato per lei, sapere che adesso era libero di farle visita lo riempiva di un’angoscia inspiegabile. Come se starle vicino fosse stato per lungo tempo impossibile.

 

 

 

Era una persona credente.

Sapeva che dopo la morte l’attendeva l’al di là. Che si chiamasse paradiso o inferno, poco importava, ma di certo la sua anima sarebbe finita in un luogo dove i giusti avrebbero trovato la pace e i corrotti e i crudeli sarebbero stati giudicati e dannati per l’eternità.

Soporifere lezioni sulla redenzione e il fuggire dal peccato avevano annoiato pomeriggi interi durante la sua educazione, mentre la sua mente fantasticava sulle fiamme dell’inferno, forconi e zampe di leone, mentre il paradiso era contornato da angeli paffuti e femminei, svolazzare dispettosi sopra i dannati agonizzanti.

Di certo non si era aspettava nulla di tutto ciò.

Su un letto dal materasso duro, ampio, al quale doveva stare distesa, a parte quando era sveglia, a quel punto le era concesso di mettersi seduta, legata con dei cordoncini trasparenti sulle braccia, circondata da un arredamento spoglio, in una stanza isolata, dove spesso veniva a farle visita quella che sembrava un’infermiera gentile, non ne aveva l’aspetto, ma si prendeva cura di lei come se lo fosse, anche se vestiva in maniera indecente, a cui pareva avesse  genuinamente a cuore il suo benessere.

Lei le era grata ma stava male. Le doleva dovunque. Anche respirare faceva male, come se un animale pesante si fosse posato sul suo torace.

E poi persisteva quel rumore insistente, metallico, ipnotico che sembrava provenire da una scatola bianca a cui era disegnato qualcosa, che, come per magia, spariva per poi comparire, come numeri e altri simboli incomprensibili.

Lei non era nessuno per giudicare il sapere dei preti che aveva conosciuto per tutta la vita, ma scoprire che avevano portato sulla strada sbagliata migliaia di fedeli sull’idea dell’al di là la lasciava con dell’amaro in bocca.

Il paradiso non era come se l’era immaginato. Affatto, pensò con una certa delusione.

Ed era certo che non fosse all’inferno, anche se il dolore agonizzante che provava la portava a credere che la sua destinazione fosse proprio lì.

Era circondata da cose sconosciute e rumori incomprensibili, e il fatto di non riuscire a riconoscerli la spaventava a morte, ma se non aveva ancora perso la testa era solo perché era disperatamente attaccata alla speranza di rivedere presto André.

Come se i suoi pensieri avessero materializzato i suoi desideri, di colpo un timido bussare alla porta la riempì di una gioia incontenibile.

André.

L’uomo fece il suo ingresso trionfale in qualunque luogo fosse stata catapultata dopo la morte, felice che lui fosse lì con lei.

“André” i suoi occhi si riempirono di lacrime di felicità sollevando una mano cercando di invitarlo ad avvicinarsi.

“Oscar?”

Nell’udire il suono profondo della sua voce così cara al suo cuore ebbe il potere di frantumare in mille pezzi il suo contegno, scoppiando in un pianto liberatorio.

Ma quel suono metallico, insistente, di colpo divenne agitato, ravvicinato, aumentando i numeri che magicamente apparivano in quella scatola infernale.

“No, no… calmati… non devi agitarti…” André corse verso di lei, sbiancando in volto, afferrandole la mano, sedendosi al suo fianco, gli occhi fissi su quei numeri incantati.

Entrò di corsa un’infermiera dagli abiti succinti, redarguendo severamente il suo amore, come se avesse attentato alla sua sicurezza, invitandolo ad andare via.

No! Questo non poteva permetterlo!

“No, vi prego, no… André non andare via…!” esclamò a mezza voce, cercò di urlare, ma non ne ebbe la forza. 

Quella dannata donna premette qualcosa collegato a quei cordoncini trasparenti e il buio tornò ad avvolgere i suoi sensi, mentre cercava di ammirare il più a lungo possibile il viso dell’uomo che amava.

“Tornerò… non temere… non ti lascerò sola…”

Non udì altro.

   
 
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