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Autore: Stria93    09/03/2024    0 recensioni
[Shouwa Genroku Rakugo Shinjuu]
Dal testo: "Non sa cosa provare. La presenza di quella creaturina scatena dentro di lui una tempesta di sentimenti contrastanti che infuria senza requie e gli rende difficile sostenerne lo sguardo.
Una parte di sé non può tollerarne la vista perché, seppur involontariamente, gli ha portato via le due persone più importanti della sua vita. Un'altra la ama e desidera proteggerla con ogni mezzo dalla tremenda verità, perché ella è tutto ciò che gli rimane di loro. Perché attraverso lei, Sukeroku e Miyokichi vivono ancora."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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kogarashi

Non riesce a dormire. Non è una novità, negli ultimi tempi.

Da quando è accaduta la tragedia, il sonno si guarda bene dal fargli visita e concedergli i suoi doni.

E forse è un bene dato che ormai le poche ore che riesce a strappare alla veglia sono funestate dagli incubi. Quando scivola nell'incoscienza perde ogni difesa, cade ogni muro che ha faticosamente tentato di erigere fra sé e i demoni che lo perseguitano ed egli si ritrova inerme alla loro mercé. E allora tanto vale vivere l'incubo della realtà dove quantomeno può illudersi di detenere una parvenza di controllo. In ogni caso, non c'è scampo.

Dall'engawa, contempla la falce di luna che si affaccia pallida al cielo, insidiata dalle nubi come corteggiatori molesti. Una protagonista timida e scialba, indegna del palcoscenico di quella notte. Una luce flebile e incostante che l'ammasso di nembi non fatica ad oscurare. Che delusione per il suo pubblico!

Le ultime foglie d'autunno che ancora si ostinano ad aggrapparsi al proprio ramo adornano gli aceri come sporadici rubini accartocciati mentre le loro sorelle meno tenaci giacciono al suolo diventando un tutt'uno con esso giorno dopo giorno nel perpetuo ciclo delle stagioni.

Un silenzio grave e immoto avvolge la notte come un sudario fino a quando una frustata di vento freddo si abbatte all'improvviso sul giardino.

L'uomo lo riconosce subito. Kogarashi, il vento che preannuncia l'arrivo dell'inverno: quel soffio portatore di morte che pare il respiro di uno Shinigami. Arriva ogni anno a ricordare al mondo che l'oscurità è alle porte e non aspetterà un invito formale per irrompere nella vita di tutti loro. Meglio essere pronti.

I rami dell'acero fremono e una foglia bruna rinuncia al suo ultimo appiglio, abbandonandosi ai capricci di quella corrente infausta, dalla quale non può far altro che lasciarsi trascinare impotente e ignara di dove infine andrà a posarsi. Un'altra la segue, volteggiando con grazia.

Il soffio gelido e pungente s'infiltra sotto gli abiti del cantastorie, mordendogli la pelle e provocandogli un brivido che lo scuote fino alle ossa. Fin nel midollo.

L'uomo si stringe nella veste e decide di rientrare in casa, pur sapendo che non sarà chiudendo gli shoji dietro di sé che riuscirà ad esiliare la lama di ghiaccio che ha preso dimora nel suo cuore.

Rassegnato ad affrontare l'ennesima notte insonne si risolve a tornare nella propria stanza ed esercitarsi nella scrittura o in qualsiasi altra disciplina che esiga tutta la sua concentrazione.

I passi smorzati sulle assi di legno del corridoio hanno un che di cupo mentre il tetro fischio del vento all'esterno gli ricorda un grido di civetta, foriero di cattivi presagi. Rabbrividisce per poi darsi dello stupido. Che cosa teme? Il peggio non si è forse già verificato? Cos'altro può accadere?

Dalla stanza davanti alla quale sta passando proprio in quell'istante giunge però un altro suono a distoglierlo dal suo rimuginare. Il cantastorie si arresta, in ascolto. Il pannello di carta di riso non è sufficiente per schermare l'uggiolio infantile emesso dalla piccola occupante della camera. I lamenti si susseguono senza fine, sommessi eppure ineffabilmente potenti. Tanto da perforargli i timpani e uno spazio non ben definito all'interno del torace.

Inspira profondamente e chiude gli occhi, come se impedendosi di vedere potesse allo stesso tempo rendersi anche sordo. L'impulso di ignorare quei guaiti e passare oltre è forte. Potrebbe fare finta di nulla e avviarsi verso la propria meta. Sarebbe così facile. Potrebbe farlo. Gli risparmierebbe di affondare ancora di più la lama di ghiaccio conficcatasi nel cuore. Potrebbe davvero farlo.

Potrebbe... ma decide di rimanere. Contro ogni impulso egoistico, sceglie di non voltare la testa e di provare a fare qualcosa. Per lei.

Scosta piano i fusuma e muove qualche passo sui tatami che rivestono il pavimento della stanza. Trova la bambina tra le coltri sfatte del futon, in preda all'angoscia indotta dall'incubo. Dagli occhi serrati sgorgano lacrimoni perlacei. Il cuscino è bagnato: dev'essere passato un po' da quando il pianto ha avuto inizio.

Si avvicina guardingo come ci si accosterebbe ad un animale selvatico e trova che, trattandosi di quella bambina, la similitudine non si discosti poi eccessivamente dalla realtà. Un animale selvatico e per giunta irrimediabilmente ferito.

S'inginocchia accanto al futon ignorando una lieve fitta alla caviglia e osserva la piccola contorcersi nella trappola del suo sonno agitato.

Non sa cosa provare. La presenza di quella creaturina scatena dentro di lui una tempesta di sentimenti contrastanti che infuria senza requie e gli rende difficile sostenerne lo sguardo.

Una parte di sé non può tollerarne la vista perché, seppur involontariamente, gli ha portato via le due persone più importanti della sua vita. Un'altra la ama e desidera proteggerla con ogni mezzo dalla tremenda verità, perché ella è tutto ciò che gli rimane di loro. Perché attraverso lei, Sukeroku e Miyokichi vivono ancora.

Per proteggere Konatsu, la bambina dell'estate, è disposto a farsi carico del gelo dell'inverno e a subire le sferzate del suo vento implacabile e del pesante bagaglio che esso porta con sé. Rimpianto, senso di colpa, tormento. Sopporterà tutto questo senza battere ciglio se servirà a preservare Konatsu dagli eventi di quella sera maledetta di qualche mese prima in cui entrambi hanno perduto ciò a cui tenevano di più.

Sa bene che anche lei sta soffrendo, ma è giusto così. Non può arrogarsi il diritto di confortarla e alleviare la sua pena con la propria vicinanza, non dopo aver preso la ferale decisione di indirizzare su di sé tutto il suo astio. La freddezza che le riserva è parte integrante del suo piano per tenerla al sicuro ed evitare di ferire ulteriormente se stesso. Ogni volta che la bambina lo trafigge con quello sguardo incandescente e gli promette che un giorno lo ucciderà per vendicare il padre, accoglie la coltellata quasi con gioia perché finché la piccola riverserà su di lui la responsabilità della morte dei genitori, potrà farle da scudo contro l'orrore della verità. Lo shock la devasterebbe e il rimorso la farebbe appassire come un fiore privato della luce.

Eppure la sorte crudele punisce comunque la bimba costringendola a portare il peso del lutto durante il giorno e perseguitandola di notte, forse proprio riproponendole in forma onirica le vestigia dei ricordi soffocati dalla sua mente cosciente, troppo dolorosi per essere contemplati dalla psiche innocente di una bambina.

Il cantastorie rilascia un sospiro e si distende accanto a Konatsu, attirandola a sé con delicatezza. Lascia che il corpicino tremante aderisca al suo petto e inizia a cantilenare al suo orecchio le parole di quella vecchia storia mentre le accarezza i capelli fiammeggianti come un tramonto estivo.

In una notte di un tempo lontano, quasi un'altra vita, l'uomo, che all'epoca rispondeva al nome di Kikuhiko, aveva chiesto al suo migliore amico di recitare il Rakugo in modo da conciliargli il sonno. Adesso era lui a narrare per acquietare l'animo della figlia di Sukeroku e scacciare i mostri che ne infestavano i sogni.

Con il passare degli anni, il Rakugo si era mescolato al sangue dei due ragazzi, incidendosi a fondo nell'essenza del loro essere e legandoli l'uno all'altro come fratelli – no, più che fratelli - e tramite l'amore paterno la passione per quell'arte tanto antica quanto fragile aveva raggiunto anche Konatsu, la generazione successiva.

Al contrario di Sukeroku, lui si era sempre esibito solo per sé, per poter esprimere ogni sfaccettatura della propria personalità attraverso il filtro rassicurante dei personaggi che interpretava. Esporsi attraverso delle maschere era l'unico modo che conosceva per poter essere davvero se stesso. Il palco era il suo regno, gli occhi degli spettatori lo specchio che rifletteva tutte le sue potenziali identità. La geisha maliziosa e il suo amante; il samurai fiero e un pescatore imbroglione; un monaco, una moglie, un marito, una madre, un padre, bambini, innamorati, sciocchi, furbi, ubriaconi, virtuosi. Il Rakugo conteneva nelle sue storie tramandate instancabilmente da maestro ad allievo la natura umana per intero e gli offriva il dono di poter colmare l'involucro preformato di ogni personaggio della sua essenza più vera per farlo apparire magicamente sul palco, scomparendo dentro quest'ultimo.

Il suo nome veniva annunciato e la sua entrata in scena scandita dalla melodia solenne e malinconica dello shamisen segnava il passaggio in quel mondo liminale e sospeso, fluttuante, dove le emozioni e le passioni che dominava in ogni momento fin da bambino spezzavano le catene ed erano libere di fluire attraverso i protagonisti di quelle vicende senza tempo. Sempre fedeli a se stesse eppure mai del tutto identiche. L'uomo le aveva fatte proprie, fino a renderle parte di sé e a diventare parte di esse a sua volta.

Aveva maturato la convinzione che il suo Rakugo appartenesse solo a lui perché semplicemente il suo Rakugo era lui. Il pubblico aveva finito per amarlo ma egli si era sempre impegnato a raffinare e mettere in scena la sua arte non tanto per le persone che assistevano alle sue performance, quanto per sentirsi vivo appieno: un privilegio che per vigliaccheria non si era mai concesso in altri ambiti al di fuori del teatro.

Non ha mai dato voce al proprio Rakugo mosso da fini altruistici, fino a quel momento.

Konatsu può fregiarsi di questo primato, ma non lo saprà mai.

Strofa dopo strofa, pian piano la piccola si acquieta e dopo essersi assicurato che il suo sonno sia tornato sereno, l'uomo le rimbocca le coperte e si alza.

Mentre si accinge a lasciare la camera constata con vago stupore come anche il proprio cuore si sia un poco alleggerito.

Lo coglie uno sbadiglio inatteso e la tensione nei muscoli si allenta lasciando emergere la stanchezza. A un tratto avverte il desiderio insopprimibile di chiudere gli occhi e lasciarsi andare alla deriva come le foglie d'acero portate via dal vento.

Dopotutto, forse quella notte riuscirà a dormire un po'...



N.d.A.


Un piccolo tributo a una serie che, a mio modestissimo parere, non può che essere definita un capolavoro, malgrado sia sconosciuta ai più.

Un abbraccio a chiunque passerà da qui.

  
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