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Autore: insiemete    10/03/2024    0 recensioni
Scappare è solo il preambolo di chi vuole vivere una vita che non vale la pena d'esser vissuta.
Per tutto l'arco della sua vita Meadow era stata assolta dalle sue malefatte, qualcuno pagava al posto suo e lei poteva continuare a vivere come se niente fosse. A vent'anni si trovava a gestire così tante situazioni che nemmeno suo padre, uno dei miliardari più importanti del paese, l'avrebbe aiutata.
Costretta a cambiare per non perdere il secondo anno di università, Meadow si ritrovò a fare conoscenza con un ragazzo che l'avrebbe ben presto conquistata ma che nascondeva dentro di sé un grande segreto che, rivelato, l'avrebbe spezzata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una mattina come le altre: i ciottoli camminavano a terra, le nuvole navigavano in cielo e c'era profumo di lenzuola di cotone, quello buono dei Caraibi, quello che alla mano sembrava seta e riusciva a confondere anche il più brillante uomo sulla terra. A terra c'era un mozzicone di sigaretta ancora acceso, era la miccia della rivoluzione interiore. Una folata di vento chiuse una porta e ne aprì un'altra, una ragazza urlò per lo spavento e un'altra per il fracasso. A e B della stessa retta, l'inverno che si chiude al cospetto della primavera. Certe cose le sappiamo perché qualcuno ci ha imposto che dobbiamo saperle. Ma chi può decidere se una cosa è più importante di un'altra, l'ordine del sapere. Le cose più difficili le avevo sempre lasciate per ultime. Una di queste era proprio fisica e per la milionesima volta mi trovavo di fronte alla porta dell'ufficio del professor Dell. Mi aveva bocciata ancora una volta perché le cose a cui io davo importanza non erano quelle a cui dava importanza lui.



«Per favore professor Dell, le prometto che non la deluderò» dissi mentre gli mostravo il sorriso migliore e lo sguardo più attento.

Il professore aggrottò la fronte, mostrando una moltitudine di rughe d'espressione. «Ho già preso la mia decisione» proruppe, appoggiando una cartellina trasparente sulla cattedra, «e non cambio mai opinione.»

«Non vuole nemmeno darmi una possibilità? Perché? Non dovrebbe negarla a nessuno.»

Il docente si sedette su una poltroncina di velluto color smeraldo, accavallò la gamba sinistra sulla destra e continuò a guardarmi torvo, come se avessi detto qualche blasfemia. «Signorina Poulter, lei ne ha avute di possibilità. Una moltitudine. Nemmeno tutti i miei studenti messi insieme arriverebbero alla sua cifra.»

Mi corrucciai, alzai un dito per rimbeccare ma cambiai subito idea. Sapevo in che situazione drastica mi trovavo e continuare a mettere in ridicolo la mia dignità non mi avrebbe di certo aiutata.

«Lo sa, se non fosse la nipote della rettrice sarebbe già stata spedita a casa senza tanti complimenti.» Il suono della sua voce era gelido.

Rimasi in silenzio perché aveva stroncato sul nascere qualsiasi parola dalla mia bocca.

«Capisco possano esserci degli esami più difficili di altri, per questo noi docenti diamo sempre la possibilità agli studenti di ripeterli» si alzò e stirò con le mani i pantaloni satinati. Camminò verso la mia direzione e si fermò a poca distanza, «ma a sua volta lo studente si deve mettere d'impegno, non farmi perdere tempo.»

Prese un gesso e scrisse bianco su nero sulla lavagna. «Rispetto. Lo ripetete una moltitudine di volte il primo giorno di università e poi ve ne dimenticate.»

Abbassai lo sguardo verso il parquet laccato.

«Lei mi sta mancando di rispetto. È la terza volta questa settimana che mi chiede di ripetere l'esame per l'ennesima volta. Lo farà, ma il prossimo anno.»

Raddrizzai la schiena e mostrai uno sguardo fiero quando in realtà stavo morendo dentro.

«Ma signore!»

«Niente ma, me la vedrò io con sua zia. Sono stufo di darla vinta a voi mocciosi raccomandati.»

Mi costava dargli ragione, ma era tutto vero.

«Parassiti della società, ecco cosa siete. Andate e ottenete tutto ciò che volete, senza il minimo sforzo. A voi basta strisciare una carta o avere la parola di qualcuno e potete spendere in un attimo quello che una persona normale non riuscirebbe a racimolare in tutta la vita.»

Fece qualche passo e si avvicinò alla sua cattedra, prese in mano la targa con il suo nome, passò le dita raggrinzite più e più volte sopra la superficie smaltata e levigata e me la mise sotto gli occhi.

«Ho sudato per questa. Ho faticato per avere quella cattedra e il tempo che ho passato a studiare tomi su tomi non può essere vano!»

Non feci altro che annuire con il capo, gli occhi rivolti alla libreria dietro le sue spalle. Alcuni di quei libri avevano dei titoli familiari, sapevo di averli comprati e sfogliati ma non avrei saputo dire cosa vi fosse scritto. Mi sentii ancora più stupida in quel momento. Se solo avessi avuto un appiglio, una misera speranza su cui aggrapparmi per non cadere nel baratro. Invece no, non ricordavo nulla, non mi veniva in mente nessuna parola e nemmeno nessuna immagine.

«Mi dispiace averle fatto perdere tempo.» Dissi la prima cosa che mi venne in mente. Dopotutto, cos'altro avrei potuto aggiungere?

Feci un inchino con il capo e abbassai la maniglia della porta in noce.

Mi riversai nel corridoio principale verso l'ora di pranzo. Gli studenti uscivano a mucchi da ogni porta e chi con più foga di altri, si tuffava in quella marea di teste poco familiari ai miei occhi. Cercai di farmi strada controcorrente e più di una volta finii per sbattere o pestare il piede a qualcuno. Ricevevo di tanto in tanto qualche sguardo bieco e ripensai subito allo sguardo del professor Dell. Non sarei mai stata in grado di descrivere accuratamente la sua espressione, mista tra la delusione e la rabbia. Quei grandi occhi cerulei affossati in quel viso attempato sarebbero stati impressi nei miei incubi per molto tempo.

Mi diressi verso la mia confraternita, la Sigma Delta, che distava pochi minuti a piedi dall'ateneo. Entrai dalla porta sul retro, intenta a non farmi sentire né vedere perché parlare con le mie sorelle era l'ultima cosa che avrei voluto fare quel giorno. Tolsi le scarpe e cercai di fare il minor rumore possibile mentre poggiavo i piedi sul legno del pavimento. Cominciai a salire le scale e non appena appoggiai il piede sull'ultimo scalino, la nostra sorella maggiore, presidentessa della sorellanza, mi chiamò a gran voce.

«Bene ragazze, c'è anche Meadow, ora possiamo iniziare la riunione!»

Mi girai lentamente e tutte e tredici le mie sorelle aspettavano nell'atrio.

«In realtà non mi sento tanto bene. Stavo andando in camera.»

«Non puoi tirarti indietro un'altra volta,» disse Becca, la mia compagna di stanza, «il tuo posto qui dentro potrebbe essere dato a qualcun'altra se non mostri rispetto alla sorellanza.»

Rispetto. Un'altra volta. Sembrava che l'universo ce l'avesse con me quel giorno. O meglio, sembrava che dovessi pagare per tutti i miei sotterfugi nello stesso momento.

Così, trascinai tutta la mia volontà nella sala comune. Le ragazze avevano imbastito pure un buffet con qualsiasi genere alimentare da ingurgitare durante il tempo che avremmo passato insieme. Mi accomodai a tavola e aspettai che tutte le altre sedie attorno fossero riempite.

«Allora,» cominciò Carly, la presidentessa «sappiamo tutte il motivo di questa riunione.» Sì portò un cupcake salato in bocca e leccò le dita lentamente, finché il gusto non ebbe lasciato la sua pelle. «Savannah ha deciso di andarsene, perciò dobbiamo scegliere il nuovo membro,» prese la borsa e rovistò dentro un fascicolo «queste sono le ragazze che ho scelto.»

Appoggiò sette fogli sul tavolo, quasi fossero degli identikit sui peggiori assassini d'America e ci lasciò qualche istante per leggere le informazioni. Mi soffermai sulle foto e sul percorso di studi che stavano percorrendo e pensai che avrebbero dovuto prendere due ragazze. Due. Una al posto di Savannah e una al posto mio. Di quelle sette, tutte erano meglio di me.

Carly prese un barattolo di latta e ci passò dei brandelli di carta. «Scrivete il nome di chi vorreste e poi infilatelo qui dentro.»

Scrissi quello più corto, non perché la preferissi alle altre, ma perché non vedevo l'ora di ritirarmi in camera.

Infine vinse un'altra ragazza, una certa Annika. A me non importava, speravo che quella fosse l'unica e ultima cosa da dire nella riunione.

Ma, ovviamente, mi sbagliavo.

«E ora veniamo alle cose divertenti» sfregò le mani sulla gonna in jeans e bevve un sorso di bevanda senza zuccheri aggiunti. «Come ben sapete, questo mese, saremo noi a organizzare la festa fra le confraternite.»

Le mie colleghe applaudirono con foga, qualcuna si azzardò a fischiare. Guardai in un punto indistinto fra i tubi del calorifero che non avevamo tinteggiato, mi concentrai sul rumore della goccia d'acqua che cadeva nella vaschetta di ghisa.

«...E quindi estrarremo il nome a caso.»

Chiesi perciò a Madison, che era seduta alla mia destra, che cosa avesse detto Carly e lei rispose che differentemente dalle precedenti volte la nostra presidentessa non avrebbe scelto l'organizzatrice dell'evento. Ma si sarebbe affidata alla sorte. Deglutii quando prese il cellulare e aprì il generatore casuale di numeri.

«Il vostro numero sarà quello del vostro letto.»

Le mie sorelle picchiettarono gli indici sul tavolo, creando un momento di tensione. Io, invece, me ne stavo lì a braccia conserte, aspettando che quel teatrino finisse il prima possibile.

«Batti anche tu» mi intimò Becca.

Con riluttanza diedi corda. Schiaffeggiai il dito contro il legno con così tanta foga che non mi accorsi nemmeno delle parole di Carly. Mi persi in quel frastuono martellante e continuai pure quando tutte le altre avevano smesso.

Mi fermai solo perché sentivo due dozzine di occhi puntante su di me.

Che avevano? Continuavano a guardarmi perché mi ero lasciata trasportare?

«Ci sei?» Becca fece svolazzare le sue unghie nere davanti al mio viso. «Stai bene? Sei paonazza.»

«S-sì» borbogliai.

«Benissimo, allora potrai organizzare senza problemi.»

Scrutai le mie sorelle. C'era chi mi sorrideva, chi mi guardava con ribrezzo e chi mi scrutava con un grosso cipiglio in volto.

«Siete sicure che lei possa andare bene?» chiese Heaven, guardando Carly. «Insomma, non incarna propriamente il motto della sorellanza. Figuratevi se va a organizzare una festa in nostro onore.»

Ascoltai attentamente le sue parole e la assecondai. Portai la mia attenzione su Carly, pure lei mi guardava intensamente, ma non ero in grado di descrivere il tipo di emozione nei suoi occhi. Sembrava fosse sorpresa, che indispettita, che curiosa. Non mi piaceva per niente quell'espressione.

Allora abbassai lo sguardo sul tavolo. E proprio lì lo vidi. Il suo cellulare e un numero impresso sullo schermo. 503. Il mio letto.

«Rifacciamo. Non sono la scelta giusta.»

Becca batté le mani e anche Heaven si unì a lei. «Concordo con lei.»

Carly sembrò non ascoltare nemmeno le mie parole e quindi non rivolse uno sguardo alle due ragazze. «Non si accettano cambi.»

«Ma io-.» Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che Carly si allungò sul tavolo.

«Qua decido io. Non siamo in democrazia.»

La guardai dall'alto verso il basso mentre addentava l'ennesimo cupcake alle carote. Dio, sperai con tutta me stessa che le andasse di traverso. Come aveva chiesto a tutte una preferenza sulla nuova sorella, poteva benissimo farlo anche in questo caso. Continuai a fissarla, mentre si puliva con l'indice l'angolo sinistro della bocca. Lei voleva che andasse così, lo notai dal suo sguardo; lei voleva che fossi io a prendermi questa responsabilità e mi chiesi per quale motivo.

Le Sigma Delta erano una delle più importanti confraternite del campus. Negli ultimi anni avevamo perso parecchi punti in graduatoria, ma rimanevamo comunque una delle case con più domande di iscrizione. Non esisteva una ragazza che non avesse voluto far parte della nostra congregazione.

Quindi, perché scegliere me? Voleva che le facessi fallire?

Beh, credo che avesse messo in conto pure questo.

«Va bene» annunciai alzandomi dalla sedia, «lo farò, ma spero che dopo quel giorno mi parlerete ancora.»
  
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