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Autore: Guntxr    11/03/2024    0 recensioni
un amore può cambiare la propria vita?
non dirò altro
buona avventura in questa storia scritta alla cieca, senza trama né finale preimpostati
non è un romance
ma nemmeno un horror
sarà il mio solito libro psicologico
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qualche ora più tardi erano entrambз a un centinaio di metri dall’aereo che lз avrebbe portatз poi in Francia.
 
Erano nella parte esterna dell’aeroporto e insieme, tenendosi per mano, guardavano da lontano il sole sorgere. Chrisha commentò la cosa dopo aver riso sottovoce. «Il sole è più bello quando sai che non lo potrai mai più rivedere, diventa più importante, più speciale.»
 
La ragazza si limitò a non dire nulla, restò a godersi il momento in silenzio e ascoltare quello che l’altro aveva da dire. «Sai, Alice, ti conosco da meno di un giorno, eppure, è come se io e te avessimo vissuto insieme da anni. È divertente se ci pensi, se non fosse stato per quella stupida festa io sarei morto da solo, senza nessuno al mio fianco. Mia madre non c’è più da qualche anno e mio padre è andato a vivere in Romania. Non ho nessun amico o amica, ho solo te.»
 
Il cuore le si intenerì, era dispiaciuta nei suoi confronti, eppure le parole non volevano saperne di uscire dalla sua bocca. Esse erano come bloccate nelle stanze della sua mente. Ci pensò su qualche secondo, poi capì cosa avrebbe potuto dire. «Che sia la mia ultima o la mia prima volta, vedere il sole sorgere qui con te è speciale in ogni caso. Anche io sto vivendo questa giornata come se fosse durata tutti gli anni della mia intera vita, in fondo ci conosciamo da qualche ora, eppure, non riesco a immaginare un domani senza una tua poesia.»
 
Continuarono la loro conversazione per un altro paio di minuti, poi s’incamminarono per raggiungere la navetta che lз avrebbe portatз all’aereo. Una volta salitз e sedutз, Alice ci impiegò pochissimo tempo per crollare e addormentarsi sul posto. Chrisha ne approfittò per ammirare la sua bellezza e, seguendo l’istinto, fece la prima cosa che gli venne in mente: farle un ritratto sul suo blocchetto degli appunti che aveva sempre in tasca con sé. Non uscì un capolavoro, ma a lui piaceva.
 
Non riuscì però a terminarlo, perché dopo un po’ notò che gli occhi gli si stavano chiudendo.
 
Rimise quindi il blocchetto nella tasca e dopo essersi messo comodo si addormentò anche lui, abbracciato e cullato dalle vibrazioni dell’aereo in volo. Iniziò a sognare e questo per lui era una cosa davvero bella. Da quando aveva avuto quella rivelazione, il giorno del suo compleanno, aveva smesso di sognare e tutto ciò che il sonno aveva da proporgli era soltanto una grande stanza buia dove lui non poteva vedere niente. Essi finivano poi con il suo risveglio, niente di più, niente di meno.
 
Nel sogno si ritrovò ancora una volta nel buio più totale, rassegnato all’idea che non avrebbe mai più sognato, non si aspettava che in quel vuoto oscuro avrebbe sentito una voce chiamarlo a sé.
 
«Chrisha!» Essa aveva una tonalità femminile e quasi gli sembrava familiare. «Chrisha! Dove sei?!» Il ragazzo iniziò a correre incontro al suono, vagando nel buio per un bel po’. Si ritrovò dopo almeno due minuti di corsa davanti ad una porta illuminata dall’alto, che non era attaccata a nessun muro. Istintivamente mise la mano sul suo pomello, lo fece ruotare in senso antiorario e spingendo la aprì. Da quest’ultimo iniziò a uscire una fonte di luce immensa, che illuminò tutto ciò che fino a poco prima era buio e niente di più.
 
Scoprì di essere in un immenso prato verde e a un centinaio di metri dal punto in cui si trovava, notò un altissimo baobab e all’ombra di esso vi era una dolce fanciulla con un lungo vestito azzurro che le copriva l’intero corpo e continuava a scendere per qualche centimetro anche per terra. «Alice!», urlò lui.
 
Iniziò a correre verso di lei, con un sorriso stampato in volto, quando però vide quest’ultima estrarre una pistola dall’abito si bloccò di colpo. Lei era davvero Alice, ma sembrava che qualcosa in lei fosse cambiato. Glielo leggeva negli occhi come era sempre riuscito a fare fino ad allora. Quest’ultima alzò l’arma e la puntò direttamente verso di lui. Chrisha non esitò un secondo, iniziò a fuggire quindi nel lato opposto, sperando che la ragazza non gli sparasse davvero. Sentì poi il primo sparo, ma questo non veniva dalle sue spalle, bensì in direzione del suo volto. Quando alzò lo sguardo notò che il maestoso albero s’era spostato, compresa la fanciulla sotto di esso.
 
 
Una pallottola lo colpì in mezzo al petto.
Una seconda lo colpì al cuore.
Una terza al lato destro del petto.
E una quarta e ultima al centro collo.
 
Fu quello il colpo fatale che lo fece cadere in ginocchio.
Alice lo raggiunse, gli accarezzò il volto e guardandolo notò che tutto il suo petto era coperto di sangue rosso che senza sosta continuava a sgorgare dal suo collo.
 
Subito dopo Chrisha si svegliò. Erano passate due ore e l’aereo era atterrato all’aeroporto di Parigi. Le sue mani tremavano e guardando l’amica addormentata iniziò quasi ad avere paura di lei. Decise di ignorare il sentimento e notando di essere arrivato a destinazione la mosse dolcemente per svegliarla e quando quest’ultima si destò, si avvicinò a lui con gli occhi ancora chiusi e gli stampò un bacio sulle sue morbide labbra rosee.
 
«Sei bellissimo.», disse lei.
 
«Come fai a dirlo, se nemmeno mi vedi?»
 
«Non mi serve avere gli occhi aperti per vedere la tua bellezza. Fuori sei affascinante e attraente, ma è dentro che c’è il bello di una persona.», lui sorrise nervosamente. Le carezzo il volto e le baciò la fronte chiudendo gli occhi; fu proprio quando abbassò le palpebre che vide davanti a sé, di nuovo, l’immagine di Alice, pronta a sparargli. «Tutto bene, Chrisha? Stai tremando.», lui, che si spaventò ancor di più, rispose che era l’eccitazione a farlo muovere con un pazzo.
 
Passarono altre due ore, questa volta erano in un bar locale, che aveva la particolarità di trovarsi sulla terrazza di un alto palazzo bianco. Entrambз avevano ordinato un caffè, lui però aveva fatto aggiungere due krapfen alla crema, consigliando alla ragazza di assaggiarlo. Quest’ultima aveva poco prima detto, infatti, che in tutta la sua vita non ne aveva mai mangiato uno.
 
E mentre Alice cercava delle sigarette nella propria borsa, che ormai aveva fatto sua, riuscì a sentire la conversazione dei due ragazzi seduti al tavolo di fianco. Entrambi italiani ed entrambi avevano preso lo stesso aereo della coppia. «Sì!», esclamò uno, catturando involutamente l’attenzione della giovane. «Mi sembra assurdo! In quel bar ci sono stato proprio l’altro ieri. Se ci fossi andato ieri…chissà che cosa sarebbe accaduto.»
 
La conversazione continuò per un po’, senza però che i due entrassero nei dettagli. All’inizio Alice perse l’interesse, subito dopo, però, lo stesso ragazzo nominò un certo “Damiano”, che era il nome del proprietario del bar dal cui lei e Chrisha erano scappatз la sera prima. «Non ci si può credere, in che mondo viviamo? Una sparatoria in piena notte da parte di un ubriacone. Ma ti sembra normale?»
 
Chrisha aveva notato l’interessamento da parte di Alice verso quella conversazione. Lз due si guardarono per qualche secondo in silenzio, poi la stessa commentò: «Mi hai fatta scappare via perché lo sapevi, vero?», il ragazzo annuì, accendendosi anche lui una sigaretta. «Allora perché ci siamo andati?», quest’ultimo rispose poi che aveva avuto la previsione nel momento in cui s’erano sedutз, ripetendole inoltre che dopo il loro incontro, il suo dono di riuscire a vedere nel futuro aveva iniziato a non funzionare più come prima.
 
Lз due passarono almeno un’ora sedutз in quel bar, degustando dell’ottimo caffè e assaggiando entrambз per la prima volta dei veri croissant francesi. Una volta in strada si incamminarono verso un giardino pubblico, un enorme parco che si estendeva e che suscitava in loro una tale calma e serenità che dimenticarono tutto ciò che li aveva circondatз fino a quel momento, il mare dentro al quale erano ancora immersз e nel quale riuscivano a malapena a rimanere a galla.
 
Il silenzio si fece regnante, ma questa volta non era un mutismo disagiante, esso era bensì un momento di rilassamento. Non avevano ancora vissuto nulla, eppure, continuavano a ripetersi di aver vissuto delle ore che sembravano anni.
 

 
 
Alice, una volta entrata nell’esteso giardino, si liberò della scomodità delle proprie scarpe nere ed eleganti, subito dopo, notò che ancora non aveva detto nulla su ciò che il ragazzo indossava. Si voltò quindi verso di lui, con entrambi i mocassini in mano, e dopo averlo squadrato per bene commentò il suo stile sorridendo. «Mi piace. Non te l’avevo ancora detto, ma quella felpa e quei jeans a cavallo basso e a zampa mi piacciono particolarmente. Rientrano molto nel tuo stile. Non vorrei limitarmi a stereotipi di alcun genere, ma posso chiederti che musica ascolti?» Chrisha iniziò a parlare, ma subito dopo lei iniziò a liberarsi in una corsa, sorridendo e dicendogli di continuare, che lo stava ascoltando e che non aveva intenzione di ignorarlo.
 
Il giovane quindi, ridacchiando un po’ tra sé e sé, riprese a parlare. «Beh, io rientro nello stereotipo del mio vestiario. Come avrai già immaginato sono un amante dell’hip-hop e del rap. Ascolto e stimo molto artisti come Eminem, Snoop Dogg, Dr. Dre e altri della scena americana. Per quanto riguarda gli artisti italiani, invece, apprezzo molto le canzoni di Salmo, Fabri Fibra, Club Dogo e i maestri dei testi conscious rap per eccellenza: Caparezza e Rancore.», ridacchiò ancora una volta e sottovoce si commentò da solo, dicendo: «Spero di non far finire Gunter in qualche guaio di tipo legale con tutti questi riferimenti. In ogni caso,», esordì a gran voce guardando l’amica che continuava a correre felice per tutto il prato, «…tu cosa ascolti? Dal tuo stile oserei dire qualcosa come il jazz o l’indie rock
 
Lei si fermò e nonostante il fiatone che le era venuto, tentò di rispondere alla sua domanda. Rise un po’, per poi dire che il jazz non era il suo genere, mentre l’indie rock era troppo calmo per lei. «È come il caffè. Il caffè va bevuto amaro, è la vita che dev’essere dolce. Per la musica è lo stesso, la mia musica va ascoltata scatenandosi, è la mia anima che dev’essere calma.»
 
«Quindi ascolti metal?», lei scosse il capo, «Punk?», ricevette la stessa risposta, «Allora…vediamo…Sarà per caso techno o comunque musica elettronica?», lei scosse il capo una terza volta, si fermò a pensare e subito dopo disse che, invece, ci aveva proprio azzeccato; semplicemente non si aspettava lo indovinasse così presto. «Beh, in fondo ti ricordo che ho vissuto la tua vita, abbiamo sentito le stesse canzoni. Quindi questo mio tirare a sorte era solo per non far morire la passione del dialogo.», lei non era però affatto interessata all’argomento, voleva concentrarsi di più sul godersi il momento che stavano vivendo insieme. Si avvicinò a lui e dopo avergli lasciato un bacio sulle labbra, gli strinse dolcemente le mani. Chiuse gli occhi e di colpo si ritrovò teletrasportata in un proprio ricordo. Questa volta però non era merito di nessun dono, era solo la sua mente che le faceva rammentare dei pezzi della sua vita. Quando si sta bene, pensava sempre lei, si ritrovano altre cose nel proprio passato che ci hanno fatto stare bene.
 
Il ricordo era condiviso, lei non era sola in quel pezzo della sua vita, era bensì con Giulia, sua migliore amica. Un episodio accaduto un paio di anni prima e che in quel momento le tornò alla mente per qualche istante.
 
Erano entrambe fuori dal loro paesino, in una città limitrofa. Si trovavano più precisamente in un esteso parco, simile a quello che poi Alice avrebbe visitato in Francia, soltanto molto più piccolo. Entrambe correvano liberamente, dando sfogo alla loro grande energia che avevano accumulato dentro di sé. «Perché non facciamo venire anche Astrid qui? Se ne sta sempre bloccata a Cavea…», era il nome del paesino dove vivevano, «…magari tutto questo verde potrebbe aprirle la mente e aiutarla con il suo blocco d’artista.», l’amica rispose che era una buona idea e che ci avrebbe pensato su. «Ancora non capisco perché, quando eravamo più piccole, mentisti dicendo che vivevi ancora con i tuoi genitori.»
 
Alice, che intanto s’era fermata, la guardò bene e con una fine leggerezza iniziò a parlare. «Non ti conoscevo bene e non conoscevo bene nemmeno me stessa, era imbarazzante per me dire che i miei genitori non m’hanno mai voluta davvero. Voglio dire, amo Astrid con tutto il mio cuore e la mia anima, ma dire che siamo scappate via dalla Sicilia, per poi venire qui a cambiare vita, era troppo da elaborare per una piccola mente di una bambina. In ogni caso, ora non pensiamo ad altro, godiamoci il momento.», non sapeva che avrebbe fatto lo stesso ragionamento poi in futuro con Chrisha. «E a proposito di ispirazione, sai cosa ho portato?», l’amica scosse il capo, dicendo poi che non aveva notato nulla di strano nell’auto. «Aspettami qui.»
 
Iniziò poi a correre via e mentre Giulia rimase lì ad attenderla, il sole cominciò a farsi spazio nel cielo, mostrandosi oltre le nuvole che lo stavano coprendo fino a quel momento. La ragazza, che era intanto rimasta da sola, sapendo che l’altra ci avrebbe messo un po’ di tempo, decise di intrattenersi in qualche modo. «Forse è questo il momento di cui parlava Beatrice.», si riferiva ad una conversazione avuta con la cugina poco tempo prima. Le aveva consigliato di trovare dei momenti di pura pace, nell’ambiente giusto, che l’avrebbe portata a creare dell’arte sempre nuova e di qualità. «È questo il momento giusto. L’istante in cui tutto coincide e si allinea alla perfezione.» Tirò fuori dalla tasca un foglio di carta stropicciato e con la matita che aveva nel proprio giaccone iniziò a scrivere una parola dopo l’altra.
 
Esso recitava una poesia incompleta:
 
 
“Via dal sole,
le persone son sole.
Ma dentro il buio
trovo le parole.
E quando questo
inizia ad arrivare
Io mi inebrio
e comincio ad amare.”

 
 
Cominciò a scrivere su quel foglio stropicciato e una dopo l’altra continuava ad aggiungere nuove parole e cancellare quelle che non la convincevano del tutto. La cosa andò avanti per almeno dieci minuti, giusto il tempo che impiegò Alice per tornare dall’auto, a sua volta parcheggiata lontana dal parco. «Eccomi!», esclamò la ragazza, avvicinandosi all’amica che era concentrata sulla sua poesia. Quest’ultima si limitò a salutarla con la mano, non distogliendo lo sguardo dal foglio nemmeno un singolo secondo. «Cosa fai?», chiese l’altra mentre iniziava a produrre dei rumori che Giulia non riusciva a identificare poiché non stava guardando.
 
Alice allungò il collo, dopo aver ricevuto un silenzio come risposta, e notò che l’amica stava per l’appunto scrivendo parole su parole, senza fermarsi nemmeno un singolo secondo. «Cos’è? Una poesia?»
 
Lei annuì, per poi alzare lo sguardo sospirando e rimettendo il foglio in tasca, stropicciandolo più di quanto non lo fosse già di suo. «Nulla di importante. In ogni caso, cosa stavi facendo prima? Sentivo un sacco di suoni misteriosi, ma ero alquanto concentrata su quella poesuccia.»
 
Alice si spostò quindi di qualche passo più a destra, per poter mostrare all’amica ciò che aveva preparato, ossia due treppiedi con delle grandi tele su di esse e un tavolino colmo di pennelli, tempere e altre cose utili alla pittura. Le due si guardarono negli occhi, un sorriso comparve sui loro volti e subito dopo, Giulia, ch’era rimasta seduta sulla panchina tutto il tempo, s’alzò in piedi, andando ad abbracciare l’altra che la stava aspettando a braccia aperte, intuendo subito quello che quest’ultima aveva intenzione per fare. «Prima di dipingere, però…», esordì lei, «…voglio leggere quella…come l’hai chiamata? Poesuccia? Sei riuscita a finirla?» Lei annuì, dicendo che aveva cambiato un po’ di parole, sostituendole con altre migliori e che aveva aggiunto nuovi piccoli versi per poterla concludere per bene.
 
Le consegnò il foglio; dopo di che Alice iniziò a leggere dentro di sé quanto scritto:
 
 
“Via dal sole,
le persone son sole.
Ma dentro il buio
trovo le parole.
E quando questo
inizia ad arrivare
Io mi inebrio
e comincio ad avere
una paura
che tanto dolce mi pare,
ma che la mia parola
fa affogare.”

 
 
 
«Giulia, è bellissima!», quest’ultima sorrise arrossendo, poi l’amica continuò a parlare, facendolo con molto orgoglio nei suoi confronti. «Non sarò esperta in poesia, ma per una come te che ha l’anima nel pennello e non nella penna questa è una dimostrazione di grande successo!», gliela riconsegnò, piegandola con dolcezza e cura. «Non pensavo ti piacesse la poesia. Come mai questo cambio netto di stile?», lei spiegò poi che era tutto merito di sua cugina, grande appassionata della letteratura, che a sua volta le aveva regalato una raccolta di poesie contemporanee, da lì, disse lei, l’ispirazione era venuta da sé.
 
Le due si scambiarono un sorriso genuino, poi Alice l’abbracciò, ripetendole più e più volte di essere fiera di lei. Quando si separarono, entrambe si avvicinarono alle tele, prendendo una matita in mano. «Cos’hai in mente di fare? Io non ho molte idee, quindi mi limiterò a dipingere quello che ho di fronte a me.», l’altra rispose che il suo soggetto sarebbe stata lei. Giulia, presa bene dall’idea, continuò anche lei dicendo: «Sai cosa? Io dipingerò te, che dipingi me. Mi sembra un’idea carina e particolare. Magari a fine lavoro potremmo regalarlo all’altra e scambiarceli, che ne pensi?»
 
«Penso sia un’idea meravigliosa.», le due allora si misero al lavoro e da lì fino al tramonto non si staccarono nemmeno un singolo minuto dalle loro tele. Nel mentre avevano messo della musica classica di sottofondo, non era la loro preferita, ma secondo le due era perfetta per il momento e le aiutava a tenersi concentrate. «Perfetto, il mio è finito.», disse Alice dopo aver passato almeno dodici ore a dipingere senza sosta. Spostò poi lo sguardo sulla tela di Giulia, anch’essa ormai completa. «Wow!», esordì la stessa esclamando, «Hai fatto un ottimo lavoro! Complimenti! Il mio in confronto sembra il disegno di un bambino.», commentò lei ridendo.
 
 
Poi quando anche la più piccola delle due ebbe dato la sua ultima pennellata, le due si guardarono negli occhi, leggendo la stanchezza nello sguardo dell’altra. «Abbiamo fatto entrambe dei capolavori. In più tu siamo anche due soggetti molto affascinanti, perciò non poteva uscire un lavoro brutto. Ti senti pronta?», chiese lei mentre afferrava la tela, invitando l’altra a fare lo stesso. «Ora dobbiamo solo scambiarcele.»
 
«Non lo firmi il tuo?»
 
«Non c’è bisogno, so benissimo che ti ricorderai del mio nome sempre e per sempre.», entrambe sorrisero all’unisono.
 
Non ho mai più tolto quel quadro del mio studio e lei, una volta appeso il mio nel suo soggiorno, affianco a quello delle statue di marmo, non l’avrebbe mai più staccato da lì e tutt’ora si trova ancora in quel luogo, sulla stessa parete. Le nostre anime, legate in un mucchio di pennellate, erano pronte a varcare la soglia della comune banalità affettiva.
 

 
 
Quando Alice riaprì gli occhi erano passati soltanto un paio di secondi, avvolse il viso di Chrisha tra le proprie mani e lo baciò con passione. Poi sottovoce disse una cosa senza pensarci troppo. «Forse non riuscirò a salvare la tua vita, ma tu hai cambiato la mia, per sempre.»
 
Il ragazzo sorrise, non sapeva esattamente che dire, chiuse anche lui gli occhi, ma, al posto della solita pace interiore, rivide l’immagine di Alice con la pistola in mano, pronta a sparargli un altro colpo in petto.
 
 

   
 
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