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Autore: endif    19/09/2009    19 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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N.B. Questo è il seguito della mia prima fic "My New Moon". Non è necessario leggere quella per seguire questa, ma potrebbe essere d'aiuto per delineare bene il carattere dei personaggi.

CAP. 1

EDWARD
«Come sto?»
E’ esattamente la dodicesima volta che Bella mi fa questa domanda e la guardo di sbieco con una finta espressione sostenuta.
«Benissimo, ovviamente» rispondo, trattenendo un sospiro.
Alzo le mani in alto rispondendo al suo sguardo seccato. Non è da Bella farsi tanti problemi sull’abbigliamento, ma è seriamente agitata e preoccupata che ci sia in lei qualcosa che non vada.
Oggi vuole essere impeccabile.
Disteso sul letto, con la testa poggiata alla spalliera, la osservo mentre a sua volta si osserva con sguardo critico allo specchio della nostra camera nella casa di Hanover.
E’ bellissima.
Non potrei usare un aggettivo migliore di questo per descriverla.
Ma posso aggiungerne un altro: MIA.
Mia ufficialmente, dato che esattamente quindici giorni prima abbiamo formalizzato la nostra unione con un matrimonio organizzato in maniera lampo. Sorrido tra me e me ripensando ai giorni che sono seguiti all’annuncio della notizia alle nostre famiglie.
Le reazioni della mia famiglia sono state nel complesso positive, considerando che l’atteggiamento piuttosto freddino di Rosalie è stato bilanciato dall’entusiasmo inesauribile di Alice, la quale – inutile dirlo – era già al corrente di ogni cosa.
“Avevamo radunato tutti intorno al grande tavolo ovale della sala da pranzo nella casa di Forks. Bella era molto in imbarazzo, continuava a fissare la punta delle sue scarpe senza avere il coraggio di guardare nessuno. Avevo fatto spaziare lo sguardo su tutti i presenti scontrandomi con gli occhi ridenti e maliziosi di Alice che mi aveva sorriso furbescamente. Avevo stretto forte la mano del mio amore e pronunciato in un soffio, tanta era l’emozione, due semplici parole: « Ci sposiamo».
Esme, mia madre, aveva gli occhi che le brillavano per le lacrime che non avrebbe mai potuto versare, e i suoi pensieri erano un tripudio di gioia e soddisfazione. Carlisle, mio padre, si era congratulato rivolgendosi ad entrambi ad alta voce e, poggiandomi una mano sulla spalla con gli occhi fissi nei miei, aveva contemporaneamente pensato –“ Andrà tutto bene Edward, non temere, la tua famiglia ti sosterrà sempre”- . Emmet aveva quasi stritolato Bella in un abbraccio possente, riprendendosi subito dopo aver lanciato uno sguardo a sua moglie, e Jasper aveva sorriso facendoci un cenno con il capo, mantenendosi, però, ad una certa distanza.
Quello che di certo non mi sarei mai aspettato accadesse in seguito, era la reazione di Alice.
All’iniziale entusiasmo aveva fatto seguire un silenzio tombale. Sembrava che avesse ricevuto la più funesta delle notizie. L’avevo guardata interrogativo e lei mi aveva risposto sommergendomi con delle visioni di me e Bella che pronunciavamo le nostre promesse in una piccola chiesetta al cospetto dei soli parenti più stretti. Mi ero girato verso Bella e finalmente avevo notato le sue guance scarlatte e il labbro inferiore che le tremava. Non era semplicemente in imbarazzo, ma era spaventata dalla reazione di Alice per la semplicità della cerimonia che desiderava. Avevo mimato con le labbra a mia sorella uno «Stanne fuori» e lei era uscita indispettita dalla stanza senza profferire una parola. Solo allora Bella aveva alzato gli occhi puntandoli verso la porta da cui era uscito il piccolo folletto e con le lacrime nella voce e nello sguardo aveva sussurrato, quasi a se stessa: «L’ho ferita». Stringendola a me le avevo mormorato in un orecchio parole di conforto, certo che il risentimento di mia sorella si sarebbe presto dissolto come neve al sole.
Dare la notizia all’ispettore capo Swan era stata un’esperienza davvero singolare. Senza avere la pazienza per aspettare il suo rientro a casa, quasi che dovesse cavarsi un dente, Bella aveva deciso che dovevamo recarci direttamente alla stazione di polizia ed informarlo immediatamente. In realtà non mi sembrava una grande idea, ma lei aveva aggiunto che in centrale suo padre avrebbe dovuto mantenere per forza un comportamento civile. Se era in pensiero per la reazione di Alice, per quella di suo padre, Bella era terrorizzata.
Credo che avesse paura che suo padre potesse tentare di uccidermi.
Charlie Swan era chiuso nel suo ufficio con una marea di scartoffie davanti ed un caffè ormai freddo in una tazza. Ci aveva guardato con le sopracciglia aggrottate quando Bella era piombata nella stanza come una furia, seguita da me che faticavo a trattenere un’espressione compita. Aveva osservato prima sua figlia, poi me, e di nuovo aveva posato gli occhi su di lei. Quando Bella, lo sguardo puntato sul pavimento di linoleum verde acido, lo aveva informato della nostra decisone lo avevo visto prima strabuzzare gli occhi, poi annaspare, il suo cuore aveva perso un battito, assumendo poi un andamento pericolosamente aritmico, e aveva cominciato a pensare al migliore modo per farmi fuori e per far scomparire le tracce del misfatto. Aveva continuato a pensare febbrilmente alle cose più assurde: avrebbe mandato sua figlia a Jacksonville per proteggerla dalle malelingue al progredire della sua – ne era convinto – evidente gravidanza, e, per paura che qualcuno della mia famiglia avesse potuto avanzare qualche pretesa sul – ne era strasicuro – pargoletto in arrivo, aveva deciso di essere pronto ad eliminare chiunque potesse far soffrire sua figlia.
Commosso dall’amore che suo padre provava per lei, e spinto dalla necessità di evitare uno sterminio di massa, mi ero frapposto tra la mia amata ed il suo temibile padre e l’avevo rassicurato sulle mie onorevoli intenzioni, sul fatto che il rispetto per sua figlia mi stava a cuore più della mia stessa vita, e che di certo non era il caso di far vivere Bella nel peccato, dato che a breve ci saremmo trasferiti entrambi ad Hanover per frequentare il college. Avevo sfoderato le mie migliori doti ammaliatrici e osservato l’ispettore capo fissarmi via via sempre più imbambolato, ma sempre meno convinto dei suoi propositi omicidi. In fondo era fiero del fatto che sua figlia avrebbe frequentato uno dei migliori college d’America ed era anche certo dell’amore che provavamo l’un per l’altra.
Era solo un padre che vedeva improvvisamente la sua bambina diventare una donna.”
«Caspita Edward, mi sei davvero di grande aiuto!» la voce stizzita di Bella mi riporta bruscamente al presente.
«Scusa amore, ero distratto. Dicevi?» rispondo, pronto.
«DICEVO che forse sarebbe meglio che indossassi la camicetta azzurra su questa gonna, invece di quella lilla …» dice calcando il tono sulla prima parola e lisciando il tessuto della gonna sui fianchi.
Davanti ai miei occhi mia moglie si gira e rigira osservandosi allo specchio per cercare invano un difetto nella sua immagine riflessa. Mi alzo dal letto e mi avvicino a lei. Sorrido alla sua figura che mi guarda dallo specchio con occhi supplichevoli e l’abbraccio da dietro posandole il capo sulla spalla. Inspiro profondamente immergendo il naso nell’incavo del suo collo morbido e profumato e le sussurro dolcemente: «Anche se indossassi un sacco di juta saresti sempre la mia meravigliosa signora Cullen».
E’ vero, non sto cercando di rabbonirla. Lascio che la fragranza delicata dei suoi capelli mi avvolga e che l’odore sublime del suo sangue mi stordisca completamente.
La sento inclinare il capo all’indietro. Lo appoggia sulla mia spalla lasciandosi sfuggire un sospiro.
«Guarda che lei sarebbe felice di poterti aiutare.» le sussurro all’orecchio, solleticandole il lobo con il mio fiato gelido.
«Non credo, non dopo quello che le ho fatto …» mi risponde con la voce flebile e gli occhi tristi.
Sondo i pensieri di mia sorella, due camere a separarci, che sta ascoltando ogni parola della nostra conversazione.
Sorrido.
«Fidati amore. Sta solo aspettando che sia tu a chiederglielo.» le dico guardandola intensamente negli occhi riflessi di fronte a me.

BELLA
No, non va proprio bene. Il mio cervello è in fibrillazione, l’ansia mi attanaglia lo stomaco.
Devo aver messo su ciccia, non c’è altra spiegazione.
Sicuro. D’altronde come dire di no ai deliziosi pranzetti che Esme non manca di rifilarmi ogni giorno? Primo li adoro, e secondo non rischierei mai e poi mai di offendere la suocera più dolce ed affettuosa che mai sia esistita su questa terra ignobile. Già ignobile è il termine più appropriato. Perché se non lo fosse io sarei la Rosalie degli umani e non la timida ed impacciata Isabella Swan.
Lancio uno sguardo a mio marito disteso sul letto, intento a fissare il soffitto, con un sorriso beato stampato sul viso senza difetti.
Non è giusto.
Lui è impeccabile in un paio di jeans scuri CK e camicia Prada grigio perla, io non riesco ad accostare una gonna ed una camicetta senza sembrare ridicola.
Lui è la serenità fatta persona ed io sono un fascio di nervi.
Lui si è passato una mano tra i capelli ed è a posto, io li ho lavati due volte e dopo sei round con la spazzola ed il phon ho gettato la spugna: li ho raccolti in una coda stretta.
Poche chiacchiere: lui è perfetto ed io sono un disastro.
Lo osservo alzarsi e avvicinarsi a me. Sono così stizzita che da due ore sto prendendomela con lui senza ragione. In verità la ragione c’è. E’ il nostro primo giorno di college, del Dartmouth College. Un college prestigioso, uno dei migliori d’America.
E dei più costosi d’America.
Chiudo gli occhi mentre Edward appoggia il suo mento nell’incavo della mia spalla. Inspiro l’odore di miele e di sole che proviene dai suoi capelli, dalla sua pelle e penso che non esiste nulla e nessuno di più perfetto di lui. Così come niente e nessuna è più imperfetta di me.
Già mi vedo mentre usciamo dalla sua Aston Martin Vanquish nera da quattrocento mila dollari. E già li sento addosso gli sguardi dei figli di papà che guarderanno con invidia lui – per la sua auto, naturalmente- e delle figlie di … sì, insomma delle ragazze da urlo che guarderanno sempre lui pensando a come sia possibile che al suo fianco ci sia una sciacquetta come me.
Già, come è possibile? Anche io me lo chiedo ogni giorno.
Sospiro depressa. Penso ad Alice e al suo gusto in fatto di moda. Non che con me sia molto utile, ma potrebbe servirmi a tirarmi su di morale. In fondo immergersi in abiti costosi, con un trucco impeccabile, ti dà a volte l’illusione di essere ok, di andare forte. Edward mi ha detto di andare da lei, che oggi comincia con noi, per l’ennesima volta, per l’ennesima terza volta, il suo corso universitario: scienze della comunicazione e del linguaggio. Sono indecisa, dopo l’ultima volta…
“Per il nostro matrimonio Alice aveva in mente tutti altri progetti. Dettagli che, realizzati, sarebbero stati l’apoteosi della sua natura impulsiva e sfarzosa. Io, che avevo fiutato il pericolo, avevo subito messo in chiaro il tipo di cerimonia che desideravo, ma inutilmente. Alice l’aveva spuntata quasi su tutto: chiesa, fiori, catering, addobbi per la casa, auto, numero di invitati, abiti per ogni componente della famiglia, nonché cura della mia persona. Mi aveva trascinata per estetiste, massaggiatrici ed hair stylist ogni giorno fino a due giorni prima del matrimonio, quando con una vocina spiritata le avevo detto: «Alice, io …, io avrei già scelto il mio abito per la cerimonia.»
Sorprendentemente non mi aveva assalito, non mi aveva gridato in faccia che ero un caso disperato. No.
Mi aveva guardato.
E aveva sorriso.
Un sorriso che mi aveva fatto gelare il sangue.
«Ah, sì. Mi pareva di avere avuto una visione a proposito …» mi aveva detto con un tono noncurante. Poi aveva aggiunto: «Cara, vedrai che gli abiti che hanno preparato per te i miei CARI AMICI stilisti ITALIANI ti staranno d’incanto …» e aveva calcato il tono della voce giusto sui termini che voleva capissi bene.
Ed io avevo letto perfettamente tra le righe.
«Alice ti ringrazio per l’aiuto e per tutte le risorse umane e materiali che hai impegnato nel nostro matrimonio, ma l’abito io l’ho già scelto.» avevo detto con la voce tremante, ma risoluta.
«Mi ringrazi? E no, non mi ringraziare Bella. Non ancora. Perché non puoi ringraziarmi se sarò costretta a infilarti l’abito più adatto a te con la forza…» la sua voce era di ghiaccio.
Ma i miei occhi anche.
Non ero disposta a cedere. E non avevo ceduto. Avevo promesso.
Risultato?
Avevo indossato l’abito semplice, elegante e soprattutto moderatamente costoso che avevo notato nell’unico atelier di Forks e che Charlie si era ostinato a volermi regalare, dilapidando i suoi miseri risparmi. Era l’unica concessione che aveva voluto con ostinata perseveranza.
Non potevo negarglielo.
Con Alice non avevo più parlato fino al giorno del matrimonio, quando Edward ci aveva costretto ad una specie di tregua, in cui punti salienti erano la minore invadenza di Alice e la maggiore flessibilità da parte mia. Per intenderci: Alice non mi avrebbe più trascinato ovunque lei volesse a meno che non fossi stata io a domandarglielo”.
Ed ora, qui ad Hanover, mi ritrovo tra le mani due capi che ritengo inadattissimi all’occasione, ma non ho il coraggio di andare da lei a chiederle consiglio. Mi sento troppo in colpa per aver “moderato” lo spirito sbarazzino ed entusiasta della mia nuova sorella in un frangente così importante come il matrimonio mio e di Edward.
Mi volto verso il mio amore e puntando gli occhi nei suoi gli chiedo con l’incertezza nella voce: « E se mi caccia via?»
Lo vedo sorridere di nuovo, con gli occhi prima e con le labbra poi. «No che non ti caccia, Bella. E non è più offesa per la tua scelta. Non dopo che le ho spiegato le tue motivazioni. E’ solo … ehm … dispiaciuta che tu non ti sia confidata con lei, che non le abbia spiegato …» sospira e si passa una mano tra i capelli.
Dio quanto è bello.
«Stammi a sentire, vai da lei. Ti sta aspettando.» dice, tagliando corto.
Annuisco storcendo un po’ il naso e mi avvio verso la porta come un condannato a morte.
Prima che possa aprirla, però, lo stipite si apre di scatto verso di me, mancandomi per un pelo e lasciando entrare una Alice agitatissima immersa in una nuvola di giallo.
Riesco a distinguere a stento un paio di pantaloni classici bianchi ed una camicia gialla di chiffon. Ballerine gialle, ovviamente. Alice si muove a velocità vampiresca da un lato all’altro della stanza.
«Uffa, ce ne hai messo di tempo!!! Sono una veggente io, ma non sono ancora in grado di compiere miracoli!!» dice, fermandosi di fronte a me e strappandomi letteralmente di mano le due camicette.
«No, no, non ci siamo affatto!» e comincia a rovistare come una forsennata nell’armadio mio e di Edward, brontolando e gesticolando. Va avanti così per dieci minuti, e noto con la coda dell’occhio mio marito che si defila strizzandomi l’occhio. Finalmente, con un’espressione di trionfo, Alice riemerge dall’armadio trattenendo tra le mani un abitino di georgette rosso e nero, piazzandomelo dritto in faccia.
Strabuzzo gli occhi e comincio a scuotere la testa :«Oh no, no no nononono!!» dico indietreggiando lentamente.
«Oh si, invece. Quando si è giù come lo sei tu oggi, non c’è niente di meglio del rosso!» dice avanzando verso di me minacciosamente.
Mi lascio vestire e truccare dal piccolo folletto tra i miei sbuffi e le sue esclamazioni di gioia. Invece di sentirmi meglio, mi sento sempre più depressa e penso che tutta la fatica di Alice sia sprecata su di me.
Perfetto. Di questo passo è meglio che ritorni a letto.
Scrollo la testa per scacciare via i brutti pensieri che mi frullano per la mente da stamane.
«Ehi, non ti muovere! Altrimenti rovini l’acconciatura …» dice Alice brandendo minacciosamente una forcina per capelli ad un millimetro dal mio naso.
«Scusa, scusa sto ferma» rispondo immobilizzandomi.
Trascorrono altri due lunghissimi minuti e poi Alice mi piazza davanti allo specchio come se fossi una bambolina esclamando: «Ta-tan!!»
Mi osservo per un intero minuto in silenzio.
Penso e ripenso.
In fine, capisco.
Oggi mi sento come il mio defunto pick-up. Puoi darmi una mano di vernice, cambiarmi le ruote e profumare l’abitacolo, ma dentro c’è sempre il solito vecchio e rumoroso motore.


NOTA DELL'AUTRICE: Dunque dunque, per questa nuova fic ho pensato di aggiungere a fine capitoli delle piccole curiosità. Quando mi sembrerà particolarmente appropriato vorrei suggerirvi dei link musicali. Ho preso gusto a leggere le varie fic con sottofondo musicale e la trovo una cosa molto carina. Ho notato che alcune autrici già lo fanno e direi che a volte la musica crea un’atmosfera davvero magica …
Qui c’è l’Aston Martin Vanquish di Edward. Costo circa 270.000 euro, ossia più o meno 400.000 dollari.
L'abitino di Bella.
Vi saluto tutte e tutti. Al prossimo capitolo!!



   
 
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