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Autore: Child_of_the_Moon    11/03/2024    4 recensioni
"Mi sento come sommersa dall’acqua cristallina dell’oceano; le onde mi spingono al largo, mentre mi lascio trasportare verso il blu ignoto. La mia mente vaga nel largo del proprio pensiero, perdendosi nell’immensità della coscienza."
Il sigillo di un sentimento inesplorato fa sbocciare un fiore dorato. Parole incomprensibili vengono sussurrate al vento e chissà se un giorno qualcuno le ascolterà.
“Questo testo partecipa al Contest introspettivo indetto da elli2998 e inky_clouds sul forum di EFP”
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rosa e Anemone


Fratello Sole s’era assopito lentamente, in quell’ora dall’aspetto quasi magico nella quale i suoi timidi raggi bagnati dal sonno s’andavano a eclissare miscelandosi in scie di natura alchemica nel cielo, incontrando quelli pallidi di Sorella Luna.

C’era qualcosa in quell’aria, qualcosa di sospeso in quegli attimi eterni colorati da tinte d’azzurro, di oro e di viola: il crepuscolo è da sempre quel momento che impreziosisce le mie giornate tinteggiate dall’amara consapevolezza del buio.

I giorni vanno ripetendosi in un infinito ciclo di sofferenza, ora dopo ora, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. La follia si impadronisce di me, della mia voce rotta dal pianto, delle mie membra scosse dai tremori e del mio cuore terrorizzato dall’idea di frantumarsi all’apice dell’orrore atavico che prende il nome distorto di “panico”.
La vista annebbiata da formicolio statico restituisce visioni amorfe, dalle forme incomprensibili; fumo tenta di soffocarmi spandendosi nelle mie narici, inondate da quell’acre odore di morte.

Eppure tutto s’arresta e la mente si schiarisce, dinnanzi a quel dipinto celestiale realizzato dalle più fini mani d’artista. “L’ora dorata”: la chiamano anche così.
E allora mi immergo in quell’oro di stella, lo sento accarezzarmi con dolcezza il viso, pettinarmi piano i capelli con le dita di luce; gli occhi nuotano in quell’oceano di miele stellato, ritrovando il centro del mondo e armonizzandosi con esso.

In quel campo di fiori senza fine, il cui orizzonte si fonde con il cielo, ti accosti a me.
Non mi ero accorta della tua presenza al mio fianco e in un lieve e impercettibile moto di sorpresa, il mio cuore perde un battito.
In quell’incontro fugace ti offro giaciglio, dopo una giornata pesante di duro lavoro; lascio che la tua testa riposi sulla mia spalla e lascio che le tue parole fluiscano come fiume dalla tua bocca. Voglio essere per te nido e sicurezza.
Tacitamente l’anima tua stringe un timido accordo con la mia, armonizzandosi insieme nel flusso inconscio di pensieri che lasciamo da noi sgorgare, con il beneplacito dei nostri cuori.
Dapprima debole e riluttante, prendi coraggio e apri a me il tuo scrigno fatto dei tuoi dolori, dei tuoi timori agli altri sempre celati da falsa sicurezza e noncuranza; li porgi a me, li posi sulle mie mani, che forse guidate da quel sentimento intimo e puro della condivisione, si avvolgono intorno a te, ti accarezzano dolcemente i capelli, lasciando che le preoccupazioni siano solo un brutto sogno che sfuma nella coscienza come dopo un lungo e irrequieto sonno.
Un sussurro dolce all’orecchio ti solletica la pelle come brezza di primavera: “Io sono sempre qui per te.”
Prima di congedarti mi ringrazi per quegli attimi di limpida dolcezza, dal profumo dolce e premuroso di rosa e anemone: amore e abbandono.
Ti sorrido e in un ultimo slancio di incondizionato affetto, ti stringo in un morbido abbraccio che con soave mormorio, puoi udire pronunciare il suo avvolgente “arrivederci”.
La percezione degli attimi si arresta assieme al moto perpetuo e inesorabile del tempo, quando la lancetta dei secondi si immobilizza sulle tue labbra che sfiorano le mie.
Un battito.
Due battiti.
Tre battiti.
E il tempo riprende a scorrere, mentre con discrezione ti separi da me, lasciando un vuoto incolmabile di confusione e desiderio.
I nostri sguardi si incrociano, il profumo gentile della tua pelle pervade ogni fibra di me, posso sentirlo raggiungere ogni fenditura del mio corpo fino a giungere alla sua essenza più pura: incontaminata energia.
Ti scusi con voce sommessa e fuggi via dalla mia vista, da quel sentimento che non riesci a concretizzare in parola.

La quintessenza di quel sigillo sbocciato tra gli aromi d’abbandono e amore rimane a permeare le mie labbra, che ancora possono percepire la pressione indulgente di quel gesto a noi incomprensibile, dall’odore d’un fiore sconosciuto, celato agli occhi vigili del mondo.
Lo abbiamo visto nascere prima di separarci, sorgere dalle nostre calde labbra dopo aver suggellato l’ascetica congiunzione dei nostri animi.

Solo noi possiamo posare lo sguardo su quella piccola creatura dai petali tinti di sfumature dorate, sui quali la rugiada scivola lentamente come fossero lacrime d’amore. Lo stelo fragile sostiene una corolla dalla bellezza irraggiungibile, capolavoro inarrivabile di beltà soave.
Nel buio e nella solitudine delle nostre stanze, lo avviciniamo al viso, ammaliati da quella luce abbacinante e il nostro olfatto viene inebriato da una miscela di sentori sospesi nel vento. Quello che sentiamo non appartiene allo scibile umano e le nostre menti si mescolano insieme a quel profumo incognito che ricorda la morbidezza del nostro abbraccio, il calore del nostro primo vero bacio, ma l’amarezza delle nostre vite. Una fragranza inimitabile, fatta di noi. Armoniosa e affabile, ma con una nota percettibile di tristezza.
Chiudiamo gli occhi e percepiamo un sibilo provenire da quel bocciolo appena nato; ripete qualcosa con voce profetica di ninfa, una voce che si ode a fatica nel tumulto frenetico delle nostre esistenze. Il richiamo tintinna come fragile vetro trasparente, ma per quanto sforzo possiamo mettere per comprenderla, non carpiamo parola intelligibile da lui.

Da dove sei spuntato, fiorellino?

Cosa vuoi dirmi, fiorellino?

Mi sento come sommersa dall’acqua cristallina dell’oceano; le onde mi spingono al largo, mentre mi lascio trasportare verso il blu ignoto. La mia mente vaga nel largo del proprio pensiero, perdendosi nell’immensità della coscienza. Sento l’acqua fresca scorrere tra le dita, tra le fibre dei miei capelli nei quali la schiuma del mare gioca a nascondino. L’odore umido della salsedine penetra fin nelle ossa, imbevute da quell’odore salato e nostalgico che evoca il verso echeggiante dei gabbiani e l’immagine delle mie orme sul bagnasciuga.
Mi smarrisco in quelle astrazioni cerulee d’oltremare, per il tempo in cui il pensier mio cerca un modo per razionalizzare quel gesto nato da sconosciuto sentimento; un modo per portare via con sé i segreti sussurrati dal fiore dorato.
La confusione si impadronisce di me, le orecchie sigillate dall’acqua d’argento.
Le suggestioni emotive hanno preso il sopravvento su quel margine di ragionevolezza che conservavo, gettandomi nello sconfinato mare da una scogliera.
Non conosco via per comprenderle, non conosco via per affrontarle e farle mie.

Perché lo hai fatto?

Perché mi hai baciata?

Questo il turbine di dubbio e incertezza che mi assale, che vedo avvolgersi attorno ai miei deboli arti come spire, che vedo penetrare nelle carni con le acuminate spine dell’incertezza.
Il sangue sgorga in rivoli oscuri come inchiostro, scivolando sul mio corpo inerte, contaminandosi del suo colore.
Vedo le estremità gocciolare e le gocce disgregarsi tra le acque. I raggi di luce che filtrano dall’esterno le illuminano come prisma carminio di desolazione.
I suoni mi giungono come distorti gorgoglii, che risalgono le profondità più inesplorate degli abissi e vibrano dentro, scuotendo le mie membra in riverberi ancestrali.
La mia coscienza va alla deriva; l’odore della salsedine si mischia a quello amaro e rugginoso del sangue, fino a che le mie palpebre si fanno pesanti e desiderano crogiolarsi in quelle acque di turbamento.

Cosa ti ha spinto fino a lì?

Un ultimo, fioco pensiero mi sfiora la pelle, mentre il mio mondo interiore si assopisce.

In quella linea a metà tra il sonno e la veglia, ti scorgo in una visione oscillante e inquieta che rende le tue forme morbide e arrotondate un flusso mutevole di vitalità.
Il cuore mio compie l’ennesimo sussulto e il corpo, ruotando lentamente tra le bolle e la schiuma, si richiude in posizione fetale, atto a proteggersi da quel sentore di smarrimento di cui tu sei la vera e pura causa.
Nuotando calmo verso di me, ti fai strada verso quel guscio di timori; non voglio incrociare quel tuo sguardo di cielo, non voglio che mi sfoglino l’anima nel modo in cui solo loro riescono a fare.
Rifuggo, mi stringo, chiudo gli occhi sperando che quelle onde passino. Ti sento ormai accanto a me, posso sentire la tua presenza attraverso il moto perpetuo dell’acqua tutt’intorno a noi.

Che cosa devo fare?

Le tue dita arrotondate e dalla pelle morbida mi sfiorano piano, con grazia eterea mi sfiorano i polsi e con gentilezza cerchi di scostare i miei arti dal viso: protezione all’intimità di quel timido rossore sulle mie gote bagnate dagli abissi.
Non voglio guardare, la confusione nella mia mente cresce a tal punto che tutto in me è paralizzato fino a quando non mi costringi a racchiudere tutte le mie energie in uno sguardo. I nostri occhi si tuffano gli uni nei sensi dell’altro, si fondono in una sfumatura di colore speciale, rintoccando in tintinnanti campanelli di cristallo.

Ricordo cosa provai la prima volta che posai il mio sguardo su di te: era pura e semplice tenerezza.
Eravamo entrambi adolescenti, ma tu eri più piccolo di qualche anno.
Ti conobbi per caso sulla via del ritorno verso casa: un ragazzino basso e dalle forme tonde e morbide, dalle mani piccole e un viso paffuto e carino, impreziosito da degli zaffiri negli occhi, di una bellezza che non mancava mai di far palpitare il mio piccolo cuore ricolmo di bende e ferite.
Condividevamo intimamente scorci di vissuto simili, dipinti sulla nostra pelle con un inchiostro speciale; quei marchi erano visibili a me e a me soltanto. A me che conoscevo le difficoltà di una vita familiare alla deriva, a me che tessevo il mio abito di lacrime ogni notte. A noi che sobbalzavamo a ogni rumore, a noi che non eravamo capaci di chiedere aiuto.
Lentamente e con naturalezza mi innamorai di te, del tuo profumo, della tua voce, degli zaffiri che solo io potevo vedere riflessi nella luce del dolore.
Eri giovane e inesperto e il mio cuore, che con premura ti donai, tu lo frantumasti in milioni di piccole schegge frammentate.
Non mi parlasti più e quel giorno morii da sola, sanguinante.
Il corpo mio disteso sulla neve; l’eco dei lupi in lontananza era la melodia del mio carillon.

Quel dolore si cicatrizzò con fatica, scolpito il tuo sguardo in ogni fenditura dell’anima. Ti ritrovai anni dopo e mi chiedesti perdono sommessamente, prostrandoti dinnanzi ai miei piedi, mentre gli occhi miei si riempivano di lacrime ancora una volta.
Non avrei mai potuto covare odio per te. Il mio amore era così grande da non potermi permettere di provare un sentimento tanto orribile.
Ti aiutai a rialzarti e mi avvicinai al tuo cuore. Lo raggiunsi con la mano e lo accarezzai con il tocco di un alchimista minuzioso.

Mostrami cosa c’è qui dentro, ti prego.

Ora tante cose sono cambiate, al vento del rinnovo.
Io continuo a studiare per il mio futuro, tu possiedi ferma stabilità in un lavoro che ti soddisfa.

Ora sommersi all’unisono in quelle acque dalla profondità sconfinata, odo debolmente il battito del tuo cuore calmo e leggero che contrasta il marasma di pensieri confusi e pasticciati dentro di me.
Sei riuscito a scostare le mani dal mio volto, che ora galleggiano lentamente alla deriva, perse in quel mare di smarrimento.
Hai incontrato i miei occhi in un battito di gentilezza; il tuo sguardo pulsa placidamente in un rintocco sereno.
Allungando piano le tue mani sul mio viso mi carezzi dolcemente la guancia, mentre sull’orlo delle tue labbra si incurva modestamente un sorriso grazioso e timido.
La solennità di quel momento è suggellata dalle tue labbra che sfiorano le mie.
Immersi insieme in quel blu cerchi le mie mani, mi stringi a te in uno slancio incontenibile di emozione vibrante. Riverberiamo insieme nell’eterna stretta del nostro sentimento e ancora una volta il desiderio prende il sopravvento sulle nostre membra, scosse dal fremito più puro e atavico dell’amore.
I nostri respiri s’arrestano in ansimi di trepidazione e quando le nostre labbra si separano celo il mio viso nell’incavo del tuo collo, respirando la tua pelle dall’odore triste di anemone, con una dolce nota di rosa.
Tu affondi piano il tuo viso nei miei capelli, respirando il sottile crine dall’odore dolce di rosa, con una nota triste di anemone.
Ci tratteniamo lì, per attimi che paiono interminabili, mentre i nostri corpi emanano un’aura abbagliante di luce, rischiarando quegli abissi dalle acque del colore del topazio.
Le tue mani gentili mi intrecciano lentamente tra i capelli il tuo fiore dorato e poi si uniscono alle mie e iniziamo insieme a nuotare verso la superficie. Mi porti con te mentre la confusione che mi attanaglia si scosta da me, sfumando in una nuvola indistinta di sensazioni intorpidite e sonnolenti.

Vedo le acque rischiarasi, ritrarsi in una marea benevola dalle onde affabili e cortesi.
L’odore della salsedine si fa meno intenso, le mie narici riescono a percepire in quelle acque il sentore di rosa e anemone, in un intreccio sensoriale indescrivibile che fa battere il cuore al ritmo di una melodia amorevole e malinconica.
Riaffioriamo in superficie tenendoci per mano, i miei occhi possono ora ammirare il cielo al tramonto; Apollo che va a spegnersi all’orizzonte abbracciando Nettuno.
Mi guardi negli occhi, mi baci ancora e poi affiancandoti al mio orecchio mi sussurri qualcosa con la tua voce morbida quanto quelle tue guance.
Il fiore che porto all’occhiello si illumina d’oro e lentamente quella visione sfuma via, scivola come rivolo d’acqua trasparente fra le dita e va a scomparire all’orizzonte, come visione onirica giunta al termine dopo una lunga notte.

Da dove sei spuntato, fiorellino?

Cosa vuoi dirmi, fiorellino?

La luce del mattino filtra tra le tende e penetra con discrezione nella stanza, dove lentamente mi sciolgo dall’abbraccio di Morfeo.
La visione del sogno riecheggia ancora come un’eco distante nei ricordi confusi della notte.
Un messaggio solo rimane impresso come marchiato a fondo nella memoria.

Ricordati di quanto io tenga a te.

Mi rigiro nel letto e poi mi alzo piano. Il fiorellino dorato… dov’è?
Esso pare scomparso, non vi è traccia di quella creatura sconosciuta vista il giorno prima.

Quella voce continua a sussurrare in maniera sempre più distinta, scuotendo la mia mente da quel torpore fioco.

Ricordati di quanto io tenga a te.

La confusione non c’è più.

Ricordati di quanto io tenga a te.

La mia mente è ora libera.

Ricordati di quanto io tenga a te.

Sorridendo apro la finestra, ammiro il cielo e chiudo gli occhi beandomi del cinguettio dei passeri sugli alberi e respirando a pieni polmoni il profumo di rosa e anemone che permea l’aria.
Corro a prendere il mio cellulare e in un moto di certezza compongo un messaggio:

Dopo il lavoro, vediamoci di nuovo nel nostro posto speciale come ieri.
E ricordati di quanto io tenga a te.”

 

Child of the Moon
 


Finalmente sono riuscita a partecipare a un nuovo contest dopo tanto e, di conseguenza, a pubblicare.
Questo è un periodo un po' particolare per le mie emozioni, un periodo intenso e un po' confuso.
Per questo quando ho saputo di questo contest introspettivo non ho potuto rifiutare, stavolta sarebbe stata una tematica molto personale a guidarmi e ho colto l'occasione per utilizzare queto spazio per scrivere uno sfogo intimo e un dialogo con me stessa, attraverso la stesura di questa shot.
Ringrazio chi spenderà tempo per leggermi e apprezzo chi deciderà di lasciare un commento costruttivo.


A presto


 

 

   
 
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