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Autore: oscar 82    13/03/2024    2 recensioni
"...Si volta di scatto a queste parole secche e decise; i loro occhi si agganciano. Arthur sobbalza. C’è un lampo in quell’azzurro notte, passa così repentino che potrebbe essersi sbagliato ma no, non si sbaglia mai quando si tratta di Merlin".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Bentrovati/e!  Non sono sparita, sono solo particolarmente impegnata e non ho tempo di dedicarmi come vorrei alla scrittura... E me ne dispiaccio così tanto! Tuttavia mi è capitato di rivedere la scena del sigillo - la famosissima scena cancellata - ed eccomi qua, non ho saputo resistere a scrivere questa veloce one shot con la quale provo a descrivere la stessa scena, entrando nei pensieri del "mio" adorato Arthur. Vi mando un abbraccio, D.




Lingue crepitanti danzano e danzano, il loro scoppiettìo l’unico rumore che rompe la quiete della notte appena iniziata; è la notte più lunga della sua vita, l’ultima.
Respira l’odore acre della legna mentre il blu profondo delle sue iridi si fonde con le spire ambrate e corallo che lo incantano. Vorrebbe naufragare in esse, per non ascoltare i battiti accelerati del suo cuore, per non percepire la propria pelle alterata da una sottile patina di sudore freddo che non è generato dal calore del fuoco.
 
Ma non c’è modo, perché c’è qualcosa che aleggia su di lui più delle fiamme e della paura. 
 
Sono gli occhi di Merlin, seduto accanto a lui e immerso nel medesimo, denso silenzio. Si muovono veloci su tutta la sua figura e se li sente ribollire adosso anche se non lo fissano, lo accarezzano appena in lievi sguardi furtivi che non incontrano mai il suo. 
 
Tace. Arthur non ha bisogno di chiedere: quando Merlin non lo inonda con una cascata di chiacchiere puerili, è sintomo di inquietudine.

Spetta a lui dire qualcosa - qualsiasi cosa che possa smorzare la sottile ma crescente tensione che comincia ad avvolgerli come il fuso quando gira su se stesso.
 
“Non mi sono mai veramente preoccupato di morire”

ed è inutile mentire, far finta che il pensiero di entrambi non sia rivolto ai Dorocha, all’enorme ma necessario sacrificio che occorre per la salvezza di Camelot. 
 
Com’è vero. 
Arthur è destinato alla morte sin da piccolo; è la sorte che spetta a chi deve proteggere un regno, la sorte di chi fronteggia ogni giorno la battaglia e si sporca le mani con il sangue dei nemici, sapendo che presto o tardi il proprio sangue macchierà le mani di qualcun altro. 
 
Lo ha accettato da tempo. E non capisce perché, stavolta, sente questo brivido corrergli con insistenza lungo la spina dorsale. 
 
“Non dovresti”,

ribatte Merlin.
 
Si volta di scatto a queste parole secche e decise; i loro occhi si agganciano. Arthur sobbalza. C’è un lampo in quell’azzurro notte, passa così repentino che potrebbe essersi sbagliato ma no, non si sbaglia mai quando si tratta di Merlin. 
 
Certe volte davvero non lo capisce. È come se cercasse di mettere insieme i pezzi di una tela che qualcuno ha precedentemente fatto a brandelli, ma per quanto ci provi, quei pezzi non coincidono mai. 
 
È così dal primo momento: Merlin è un libro aperto di cui gli sfugge sempre qualche pagina.
 
Dovrebbe turbarlo, ma non accade: è abituato a questa sensazione. 
 
Qualche battuta ricorrente – sei un arrogante pomposo, perciò non riesci a comprendermi - si accavalla veloce nell’aria notturna, strappandogli una risata prima che gli sguardi finiscano di nuovo a interrogare le onde insistenti del fuoco. È il loro rituale per scacciare ansie e incertezze, per non cadere nella disperazione, per proteggersi a vicenda dallo spettro di ogni pericolo. 
 
“Le cose non vanno mai come ci aspettiamo”.
 
Il sorriso sparisce dalle labbra di Arthur: Merlin ha ragione. Mai si sarebbe aspettato di provare tanta angoscia al pensiero di lasciare suo padre, Gweneviere, di dire addio per sempre a Camelot, alla sua gente.  
A questo insopportabile, fedele idiota che sta sempre al suo fianco e che, ne è sicuro,  renderà il suo gesto ancor più difficile e sofferto.
 
“Vedrai”

aggiunge, e si interrompe.
 
Gli occhi di Arthur si posano ancora su di lui. Scrutano ogni particolare del suo viso; non ricambia lo sguardo, anzi sembra evitarlo di proposito, tremante e teso come un arco  tanto che il suo respiro traballa, irregolare e rapido, mentre deglutisce più volte. 
 
Arthur freme, pensando che - forse - è arrivato infine il momento che leggerà quelle pagine nascoste, perché questa è l’occasione perfetta – l’ultima, l’ultima, si ripete – per farlo. 
 
Per conoscere ogni segreto di Merlin.
 
“Sconfiggeremo i Dorocha. Lo faremo insieme”,

dice invece. 
Lo guarda deciso e sicuro – anche se dura soltanto un momento e il dolore che voleva nascondere viene fuori comunque, ma ad Arthur non importa.
 
Sarebbe disposto a lasciargli dieci, cento, migliaia di segreti pur di vedere per sempre nel blu di Merlin la sconfinata fiducia che nutre in lui. Perché ha bisogno di quella fiducia fino alla fine, fino al salto definitivo nel vuoto o non troverà mai il coraggio. 
 
Perché è lui, Merlin, il suo coraggio; e vorrebbe essere egoista, terribilmente egoista da chiedergli veramente di seguirlo, di saltare insieme a lui. 
 
Sa che Merlin lo farebbe – oh, certo che lo farebbe, glielo sta dicendo e intende ogni singola parola. Arthur vorrebbe così maledettamente portarlo con sé.
 
Ma non può.
 
“Lo apprezzo”,

questo invece può dirglielo. 
Apprezza tutto, la sua preoccupazione, persino le cose che vorrebbe dirgli e non dice. Le sente, le ha colte ad una ad una lì, intrappolate tra quelle ciglia lunghe come quelle di una ragazza, tra la gola e i respiri che continuano a tremare. 
 
C’è un’ altra cosa che può fare. 
 
Si china verso la sua borsa con Merlin che osserva, seguendo curioso i suoi movimenti. Sorride tra sé intanto che tira fuori da un sacchetto il sigillo dei Du Bois, il sigillo della sua cara madre, accarezzandolo teneramente come se fosse davvero quel volto che gli manca da tutta la vita. 
 
Improvvisamente ha compreso perché lo ha portato via con sé. 
Quel sigillo è per Merlin. Può essere soltanto per Merlin e per nessun altro.
 
Nemmeno per la sua dolce Gwen, che pure piangerà per lui. Neanche per lei.
 
Perché a Merlin non può dire nulla di più di quanto non abbia già detto.
 
Tra loro le parole non funzionano: sono oggetti ingombranti che nessuno dei due sa usare, che non trovano mai la giusta collocazione; loro due sono fatti di sguardi, di gesti, di azioni. Di protezione. Di qualcosa per cui Arthur non trova il nome –  scommette che Merlin lo ha trovato invece, scritto lì tra quelle pagine che lui non può leggere. 
 
“Prendilo e basta”.
 
Merlin deve prendere il sigillo di sua madre, affinché sia sicuro che Arthur gli starà accanto sempre; anche dall’oltretomba, anche quando sarà finalmente in grado di leggere tutto e non vorrà cambiare nemmeno una virgola di quel benedetto libro perché lo amerà ancora di più, se possibile. 
 
Blocca la protesta dei suoi occhi - giganti e pieni di ciglia come quelli di una ragazza -  che lo fissano quasi smarriti dalla sorpresa. È un ordine, Merlin, vorrebbe dire – non che serva a molto, con lui.
 
Alla fine le mani di Merlin si chiudono attorno al sigillo, per accettarlo. 
Arthur è meno spaventato, adesso. 
 
Lascia allora che il suo respiro si allenti e che il suo sguardo cada ancora tra le fiamme, mentre il silenzio arriva ad abbracciarli per accompagnarli fino all’ora più buia. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




 
  
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