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Autore: Ladyriddle    25/03/2024    5 recensioni
“Si trasferiscono al Castello?”
Ian lo guardò con occhi grandi. “Certo, dove credi che debbano stare? A Malfoy Manor? Scorpius non resiste neanche due giorni con i suoi. Castle of Nott è abbastanza grande per ospitare quattro persone, mi pare” replicò ironico.
Nate pensò che la casa di famiglia potesse ospitare tutti gli studenti di Hogwarts, ma non era quello il punto. “Ma ci sono gli animali di Louis!”
“Mi pare che li tenga fuori, nel parco, nelle stalle. L’ultima volta che ho controllato non c’erano Ippogrifi nelle camere.”
“No, ma…”
Ian sollevò le sopracciglia. “Cosa?”
“Per quanto il castello sia grande sicuro incontrerò quello.”
Ian sbuffò. “Nathan, ma che problemi hai con Rigel?”
“Io, nessuno. Lui mi guarda come se fossi letame di Drago.”
“Evidentemente perché l’ultima volta che ti ha visto avevi le scarpe sporche di concime.”
****
Sequel Vaiolo di Drago| Non leggibile singolarmente.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Louis Weasley, Scorpius Malfoy
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nuova generazione
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Disclaimer: i personaggi di Harry Potter non mi appartengono
Pairing Principale: Louis Weasley, Ian Nott (Oc)
                               James Potter/Scorpius Malfoy
                              Nathan (Nate) Trysthan Nott, Rigel Potter Malfoy
Rating: consigliato per temi e contenuti a un pubblico +18
Generi: Introspettivo, silence of life
Note: Slash, lime, linguaggio volgare, linguaggio omofobo
Ambientazione: Nuova generazione

    Prologo
La felicità, dove il cuore riposa
(Louis)

All'altra  mia metà.
Io, come Louis, che non so dare forma alle parole;
Tu, come Ian, che porti il colore nel mondo.

 

Fin da quando aveva memoria, Louis si era sempre svegliato prima dell’alba. Sempre, da sempre. La sua giornata cominciava appena apriva gli occhi, preso da una smania di fare, di un malessere che non sapeva spiegare, ma che lo agitava, un nervosismo che lo portava ad isolarsi da tutti e da tutto, e che lo spingeva ad occupare la mente con qualsiasi cosa pur di placare quell'ululato che lo scuoteva da dentro. 
    Da anni, però, il lupo che viveva dentro sé si era acquietato – addomesticato, lo punzecchiava Ian. Ormai non lo sentiva graffiare dentro neanche durante il plenilunio. Ricordava con vivida chiarezza l’agitazione aumentare a mano a mano che si avvicinava la luna piena, per poi raggiungere il picco proprio in quei giorni e la sua tendenza ad isolarsi – e mordere, graffiare e ululare – aumentava. E da sempre, per non far male – a se stesso, agli altri – tendeva a chiudersi, a isolarsi dal mondo – per non ferire e, di conseguenza, ferire se stesso. 
    Non sapeva dare voce a tutto quel dolore – sottile e pulsante che scorreva nelle vene insieme al sangue –, come sempre quando doveva dar forma alle emozioni con le parole. Sapeva solo che era scemato negli anni e aveva lasciato il posto a una gentile quiete fatta da un silenzio rotto solo dal rumore del respiro di Ian.
    Erano passati tanti anni, quindici, ma ricordava con precisione quando Ian aveva tracciato il perimetro della piccola casa, quando avevano innalzato le mura in mattoni con la magia e quando avevano dormito lì per la prima volta. Aveva scolpito ogni attimo nel cuore. Custodiva quei ricordi in una bolla di felicità con la stessa gelosia con cui Ian proteggeva quel luogo. La loro casa lontana dal mondo, solo loro, dove i gufi non arrivavano e il mondo era tenuto fuori. Era pace.
    Dalla loro camera da letto stanza, se la casa era particolarmente silenziosa e le finestre erano aperte, sentiva la risacca del mare, il verso di qualche gabbiano, il profumo di salsedine.
Poteva immaginare il sole accarezzare la costiera rocciosa, le bianche dune, come le chiamava Ian. C’era un piccolo lembo di sabbia che congiungeva la casa di pietra alla costa e gli sembrava quasi, anche lì, steso sulle lenzuola, di poter affondare i piedi, sentire i granelli chiari, la consistenza umida sulla pelle e il vento frustargli il viso, scompigliargli i capelli che si infilavano negli occhi mentre guardava un punto fisso dell’orizzonte, dove mare e cielo si incontravano. Quel pensiero bastava a fargli venire il buon umore e, se poi Ian, girandosi nel sonno, gli si accoccolava contro, allora, tutto cominciava ad avere senso.
    Osservò il profilo del suo compagno, accarezzando con lo sguardo i capelli scuri, sparsi sul cuscino, la curva del naso, un po’ a patata, la linea delle sopracciglia corrucciate, anche quando dormiva, gli zigomi alti, un po’ appuntiti e tutti quei dettagli che, presi singolarmente non erano attraenti, né affascinanti, ma che davano al suo viso un aspetto diverso, bello.
    Gli posò un bacio sul collo e fece per alzarsi, ma Ian lo fermò, gli occhi chiusi, le piccole linee che gli increspavano la fronte si fecero più profonde. 
    “Resta” mormorò con voce pastosa. 
    Louis sorrise e si allungò a baciargli le labbra, sistemandosi tra le sue gambe aperte.
    Le mani di Ian s’infilarono sotto la canotta sottile che indossava, risalirono lungo la schiena. Lo sentì muoversi contro di lui, duro ed eccitato, il naso sul collo a respirare il suo odore. 
    Represse un respiro. Pace, sì. “Ma buongiorno, disastro” mormorò Louis sulle sue labbra, scostandogli i capelli dalla fronte con due dita.
    Ian aprì gli occhi e inarcò la schiena, andandogli incontro, cercandolo. “Buongiorno, LouLou.” Poi sorrise. Quel sorriso che, nonostante tanti anni, era rimasto sempre lo stesso: scherzoso, divertito, con quel piccolo diastema che lo rendeva unico; segreto, perché era solo loro. Perché quel sorriso lì, Ian, lo riservava solo a lui. 
    Si baciarono a lungo. Louis affondò nella sua bocca, leccando e mordendo, ridisegnando con la punta della lingua il contorno dei denti, rincorrendo quella di Ian, succhiandola. Poi si staccò, rilasciò un sospiro tremulo, ricco di promesse, per poi affondare il viso nell’incavo del suo collo, morse la gola e leccò dove i denti avevano lasciato il segno, sentendo Ian mugugnare dal piacere, agitarsi nel suo abbraccio, allungarsi per recuperare la bacchetta dal comodino.
    Ian s’inarcò quando le mani di Louis si infilarono nei pantaloni del pigiama, dentro i boxer. Sospirò e mormorò un incantesimo per bloccare la porta, poi lasciò andare la bacchetta che cadde a terra, rotolando sul parquet chiaro, consunto.
    Louis cominciò a litigare con i piccoli bottoni stretti del pigiama che, spazientito, aprì con un gesto brusco – Ian rise, accarezzandogli i capelli con le dita, pettinandoglieli all’indietro. Gli passò la lingua sul petto che si alzava e abbassava, rincorrendo un respiro che andava spezzarsi. Gli tirò i pantaloni, facendoli scivolare sulle gambe. 
Ian s’inarcò per aiutarlo a liberarsi della stoffa, intanto gli infilava le mani tra i capelli, accarezzando le ciocche, baciandole, girandosele tra le dita, tirandole appena quando si sentì avvolgere dall’abbraccio scivoloso delle labbra di Louis.
    “Lou… voglio te. Non la tua bocca né le dita. Te… ”
    Louis lo ignorò e continuò a succhiare, su e giù, lento, le dita che si insinuarono tra le natiche mentre le mani di Ian, tra i suoi capelli, si fecero più gentili. 
    “Dai…” poi rise, affannato. “Vuoi sentirmi pregare?”
    Louis si staccò, sorrise. “Mmm. Non sarebbe una cattiva idea” fece, sollevando le gambe di Ian sulle spalle. 
    A quel punto, il rumore di un pugno sulla porta li interruppe. 
    Louis sobbalzò, Ian spalancò gli occhi. Si osservarono per un breve istante, poi lasciarono andare un respiro tremulo, rassegnato. Si staccarono.
    “Nate, maledizione, stiamo dormendo!” Urlò Ian che litigò tra le lenzuola mentre cercavano gli indumenti
    “È impossibile che Lou stia dormendo a quest’ora.” Nate forzò la maniglia della porta, ma era chiusa con la magia. “È urgentissimo” insistette il ragazzo. 
    Louis si sistemò i boxer. “Dai, aprilo” sospirò rassegnato. Tanto, ormai, era abituato a quelle interruzioni e Ian aveva ragione quando gli rinfacciava che a Nate perdonava tutto. Tutto, anche che li interrompesse sul più bello. Sempre.
    “Ma come cazzo fa? Sente l’odore?” Mormorò Ian stizzito mentre Louis, con un piccolo broncio, si dava una sistemata ai capelli. 
    “Mi aprite?” urlò Nate dal retro della porta. “Ma state sempre a scopare? Non siete in andropausa?”
    Louis, il viso nascosto dai capelli, stirò un sorriso divertito. Peste.
    “Lo ammazzo.” Ian si sporse oltre il letto per cercare la bacchetta. “Un attimo, Nate, non trovo la–”
    Louis recuperò la bacchetta dal comodino e sbloccò la porta che si aprì in un tonfo sordo. 
    Se anche fosse stato arrabbiato, l’espressione addolorata di Nate gliel’avrebbe fatta passare. In ogni caso, nonostante il muso lungo e l’aria tormentata, non si preoccupò: Nate era fratello di Ian, un Nott, quindi geneticamente programmato al melodramma. Se ne stava con un piccolo broncio, sotto lo stipite della porta, con in mano un vassoio con quella che, Louis ne era certo, era una ricca colazione. 
    Il ragazzo entrò in camera a piedi nudi. “Sono depresso. Non potete capire che è successo” proclamò con voce angosciata. “Il mondo è un posto crudele, popolato da persone aride, prive di sentimento e valori.”
    Louis vide Ian sollevare gli occhi al soffitto. Quello era il paradosso della vita. Dovette racimolare tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a ridere. Nate, cucciolo d’uomo troppo cresciuto, ci sarebbe rimasto male se a ridere, in quel momento, fosse stato proprio lui. 
    “Morirò giovane, lo so. Morirò di crepacuore. Voi non capite cos’è successo! Io in quella piscina non vado più, la cambio. Sicuro.” Salì sul letto e si fece spazio tra loro, spingendo Ian, che protestò senza successo, per sedersi alla turca col vassoio sulle gambe. 
    Il piccoletto aveva tostato il pane e preparato delle frittelle fumanti. C’erano due ciotoline: una con marmellata di albicocche e l’altra con cioccolata fondente sciolta; una coppetta piena di frutti di bosco freschi, del burro per Ian, cereali per Louis e yogurt di soia; una brocca d’acqua, una di succo d’arancia, latte d’avena e tre bicchieri. 
    “E adesso blocco tutti sul gruppo condiviso. Un covo di pettegoli, ecco cosa sono” disse passando il caffè amaro a Ian. “Tieni, Lou, è cappuccino con latte di avena.” 
    Ian sfilò il vassoio dalle ginocchia di Nate e se lo mise in grembo poi cominciò a spalmare la marmellata su una frittella.
    Louis sorrise osservando l’espressione rassegnata di Ian. Ormai, aveva dovuto accettare l’idea di aver perso lo scettro da re del dramma anche se, a parte qualche sbuffo e imprecazione, sopportava il ruolo di spalla. Di Nathan, ovviamente. Per il resto, il mondo girava intorno a lui e ai suoi isterismi. 
    “Grazie cucciolino.” Louis prese la tazza, la stessa che aveva da quand’era bambino e che si era portato da Villa conchiglia. Scompigliò i capelli di Nate. “Allora, che succede?”
    Nate rilasciò un sospiro tremulo. “Charlotte ha messo una storia. Guarda” tirò fuori il cellulare Babbano dalla tasca dei pantaloncini che indossava. 
    Louis si sporse per guardare lo schermo e altrettanto fece Ian. Nate amava le diavolerie Babbane e aveva i social – o come accidenti si chiamavano. E li usava per sentirsi con tutti gli amici che aveva che, tra maghi e Babbani, Louis neanche provava a tener a mente quanti fossero. 
    “Ma chi? Quella con cui sei uscito sabato? Con lo shatush da quattro soldi e l’orecchino sul naso?” Ian, invece, ricordava tutti e tutte, anche se la maggior parte dei volti li conosceva solo tramite cellulare e racconti. 
    “Sì, quella. Quella che non era pronta ad una relazione. Quella del ‘restiamo amici’ e a me stava benissimo perché forse non mi piaceva, ma guarda! Guarda qui, si sta baciando con Gerrard!”
    Louis aggrottò le sopracciglia dinanzi alla foto immobile sullo schermo. 
    “Quello che fa la staffetta con te?” Nathan faceva nuoto a buoni livelli agonistici.
    “Lui! E nel gruppo della piscina lo sapevano tutti– Ian ridammelo!”
    Ian gli aveva strappato il telefono da mano. “Adesso ci parlo io con quella piccola bagascia. Come si usa questo maledetto coso?!” Domandò, spostando con un braccio Nate che cercava inutilmente di riprendersi quell'affare Babbano.
    Louis afferrò il cellulare con un movimento secco. “Stanne fuori, tu. Sono cose di ragazzini” fece, aggiungendo un’occhiataccia, restituendolo l'affare a Nate. 
    “Ma ha baciato il suo amico! Un tizio con gli occhi ravvicinati!” Protestò Ian, più arrabbiato di Nate. “Te l’avevo detto che quella lì non era tipa da panino e patatine fritte. Se la portavi in un bel ristorante di lusso non ti si scollava più da dosso.”
    “Ma a me piacciono i pub!”
    “E quel postaccio Babbano e pieno di piccoli snob con la puzza sotto al naso.”
    “Sei stati tu a farmi iscrivere lì” ribatté Nate, stizzito. “Hai capito?" adesso guardava Louis con occhi imploranti.
Si sentivano da prima e lo sapevano tutti! Anche Agnes. Non ci parlo più con quella. Anzi, non parlo più con nessuno di loro: cambio piscina” ripeté. 
   Prima che Louis potesse parlare, Ian esultò: “Ecco, bravo. Non devi uscire con le Babbane, frequenta delle streghe.”
    Nate sbuffò. “Sono tutte interessate ai soldi.”
    “Lo sono anche le Babbane” replicò Ian.
    “Sì, ma loro non sanno che ho il fratello ricco.”
    Ian arricciò il naso e mise su un'espressione di puro schifo. “Sì, e visto come ti vesti e dove le porti non lo immaginano neanche.”
    Di nuovo, Nate sbuffò. “Sei antico! Cos’ho hanno i miei vestiti che non va?”
    “Da dove comincio? E quanto tempo ho? Non hanno nulla –”
    “Basta, Ian, lascialo stare” tagliò corto Louis e Nate gli sorrise, accoccolandosi contro. “Quello che ti piace fare e i tuoi vestiti vanno benissimo così, Nate.” Lo rassicurò, perché era vero. Nate aveva un passione per le t-shirt di strane band Babbane, pantaloni cargo e anfibi. Praticamente Ian avrebbe voluto incendiare tutto il suo guardaroba che non era poi gran cosa, a ben pensare. Entrava tutto in un paio di cassettoni.
    Brutti scherzi del karma, pensò Louis.  
     “Io non ci esco più con le ragazze: sono cattive. Me ne trovo uno come te, Lou” gli sorrise. 
    Ian sbuffò. “Due botte di culo nella stessa famiglia? Impossibile!”
    “Perché? Io non posso trovarne uno bravo, gentile e paziente come lui? Non so come lo sopporti, davvero” gli disse, guardandolo. 
    Louis scosse il capo. “Guarda che anche io ho un caratteraccio.”
    Ian gongolò. “Ecco, diglielo, che tutti credono che tu sei il santo e io il diavolo” fece, succhiando una goccia di marmellata dalla punta dell’indice.
    Nate mise il muso. “Comunque, con le ragazze ho chiuso e anche con i social, eh!” Mormorò contrariato gettando di lato il cellulare.
    Louis gli posò un bacio tra i capelli castani, appena più chiari di quelli di Ian. “Ci sei rimasto male, cucciolino.”
    “Certo che no. C’è uscito due volte. Non è andata? Passa avanti, era evidente. Quella è una piccola snob arrivista. Te l’ho detto appena ho visto la foto con quella borsa italiana che andava di moda due anni fa!”
    “Ma infatti non ci sono rimasto male per quello. Ma perché potevamo davvero essere amici. Mi ha detto una bugia.”
    “Io non lo so perché ti devi affezionare a tutti, a credere a tutti e ad essere amico di tutti. Mah, non ti ho insegnato proprio niente!” Fece Ian, allungando a Louis la frittella, perfettamente spalmata con la marmellata, fino ai bordi. 
    “E meno male! Chi vuole essere un ipocondriaco, depresso, insicuro come te!”
    “Ipocondriaco? Depresso? Insicuro? Io?” Elencò Ian con voce crescente. “Ma quando mai! Louis, dì qualcosa.”
    Louis bevve il suo cappuccino e li ignorò.
     “Ian, ma fai sul serio, hai le stesse pare di quando avevi vent’anni.”
    “E tu hai vent’anni e ti comporti come quando ne avevi tredici.”
    “Non ho ancora compiuto diciannove anni!” Protestò Nate. Ian tendeva ad eccedere con gli anni altrui. “Se io ne ho venti allora tu ne hai quaranta!” Lo accusò, facendolo soffocare. E così come eccedeva, di buon grado, Ian se ne toglieva qualcuno. “E in ogni caso non soffro di sindrome dell’abbandono e di ansia generalizzata.”
    Ian boccheggiò. “Non ci soffro neanche io. Vero Louis?”
    “Sì, chiedilo proprio a Louis!” Replicò Nate. “Se non sai dov’è e non lo senti per mezz’ora cominci a soffiare in un sacchetto.”
    “Ma non è vero!”
    Sì, invece, pensò Louis con un sorrisetto divertito mentre cominciava ad assaporare la sua colazione.
    “Non so come ti sopporta. Davvero. Curati!”
    Ian assottigliò lo sguardo. “L’ho già fatto e ora non ho nessun problema!”
    “Ah, davvero, bene, allora domani sera vieni a cena con me e con papà!” sferzò cambiando argomento.
    Un muscolo si contrasse sulla mascella di Ian. “Non ci penso proprio.”
    “Visto? Hai ancora le stesse turbe mentali di quando avevi diciotto anni.”
    Qualcosa passò sul viso di Ian. “Nate, tu non puoi capire…”
    “Uhhhh, come sei antico. Basta con ‘sta storia, secondo me lo puniresti molto meglio se lo vedessi. Prenditi quello che ti può dare, lo sappiamo tutti che lo vuoi anche tu, che ci stai male da una vita! Scroccagli una cena e poi accetti col cuore in pace che ti cercherà tra un mese, forse. Diglielo anche tu, Louis!”
    Di nuovo, Louis li ignorò.
    “Questo lo puoi fare tu, Nate, non io. Se va bene per te, se non ti fa soffrire, a me va bene. Ma non pretendere che lo faccia anche io.”
    “Mica devi farlo per me, dovresti farlo per te!”
    “E tu dovresti smetterla di uscire con delle stupide oche.”
    Nate annuì. “Infatti io esco più con nessuno. Anzi, guarda, non esco proprio più. Sto sempre con voi.”
    Quella sembrò quasi una minaccia. Anzi, lo era, detta con tale solennità che Ian sbiancò. 
    Louis rise e i fratelli Nott si fermarono ad osservarlo un po’ stonati, come sempre quando succedeva. Diversi come il giorno e la notte, eppure l’immagine speculare l’uno dell’altro.     
    Louis si ritrovò quattro occhi della stessa sfumatura nocciola fissi su lui e quell’espressione assolutamente identica. Prese a soffermarsi più sulle differenze che le somiglianze: Ian aveva tratti più duri, dagli zigomi molto più marcati e il naso un po’ a patata mentre Nate aveva gli occhi leggermente a mandorla e l’ovale del viso meno affilato. Il sorriso, però, era ciò che li differenziava: quello di Ian era fatto di mezze verità, o mezze bugie, ed era più canzonatorio che sincero, si estendeva agli occhi per pochi e quando era sincero durava poco, come un’alba fugace; quello di Nate era ampio, luminoso come il sole d’estate, senza ombre di menzogne e di dolori mai passati.
    “Voi due…” Louis represse un sorriso. “Mi ucciderete” sentenziò divertito. Balzò fuori dal letto perché nonostante i tanti anni trascorsi con Ian ancora non riusciva bene a dar forma alle emozioni con le parole. 
    Perché avere i fratelli Nott lì, insieme, a battibeccare nel letto che divideva con Ian, nella casa che avevano costruito insieme, da soli, con la magia, mentre quei due disastri facevano colazione sporcando le lenzuola, con la luce del sole che incendiava la stanza, ecco, quella era la sua idea di felicità. Il suo tutto nel mondo. 

 

Segue, domani.


Note. 
Nel mese di giugno cominciai una serie di Os, Pezzi di stelle. Un'ispirazione strana che non sapevo spiegare, ma la verità è che da lì a poche settimane avrei scoperto qualcosa che avrebbe rivoluzionato completamente la mia vita e che spiega la mia assenza su efp. Domani il mio bimbo compirà un mese.  Ho avuto una gravidanza un po' particolare (bellissima, per carità, ma piena di acciacchi e non sono riuscita a scrivere) e la nascita del mio bimbo ha scombussolato completamente il mio tempo che come immaginerete ruota tutto intorno a lui. Spero di riuscire a ritagliarmi il tempo per portare a termine i miei progetti. Per il momento questa storia nasce come un regalo ed è completa quindi non avrò problemi a postarla. Oltre questo prologo, conta altri tre capitoli.
Quindi, au revoir, a domani.




 

   
 
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