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Autore: lunatica91    28/03/2024    1 recensioni
La prima fame di Astarion...
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Un capitolo scritto di getto riguardo la nuova natura vampirica di Astarion.
Buona lettura!

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Fame.

Fame.

Fame.

Sentiva solo quella. Una voragine senza fondo. Una abisso senza fine.
Non pensava che la fame fosse così brutta...

Ricordava quando il leggero languorino gli si insinuava nello stomaco poco dopo un processo particolarmente arduo e l'idea di qualche pranzetto gli stuzzicava piacevolmente l'appetito.
No... questa fame non aveva nulla a che fare con quei ricordi.

Un suono lento e strisciante lo fece rinsavire per qualche istante.

-Astarion.-

La testa gli si alzò da sola, come tutto il corpo. Cazador lo fissava dalla porta della stanza in cui era ormai rinchiuso da... da... da quanto? Ore? Giorni? Anni? Non lo sapeva, non lo capiva, non ragionava.
Un odore pungente e allo stesso tempo meraviglioso gli arrivò alle narici: tra le mani candide di Cazador penzolava tristemente un topo morto.
Non riuscì a controllarsi, fu davvero più forte di lui, e non pensava di poterne esserne capace. In un attimo era balzato su quel cadavere come fosse il tesoro più prezioso del mondo. In un attimo aveva risucchiato quel poco di linfa aberrante e sublime.
Sentì in lontananza una risata bassa, gutturale, come il gorgoglio di un vulcano.

-Oh, vedo che lo spuntino è stato gradito...-

Astarion non rispose, non riusciva, era troppo preso da quell'attimo di estasi. Ma qualcosa, nell'angolo più remoto del suo cervello troppo annebbiato dalla fame, gli disse di aver fatto un grosso, grossissimo errore.

-Speravo almeno in un ringraziamento.-

Astarion si bloccò. La voce, prima calda e suadente, era diventata una lama di ghiaccio, pronta al colpire. Alzò lo sguardo da quell'ormai poltiglia di pelo e budella per incontrare due torce rosse infuocate di rabbia.

-Grazie... Grazie Cazador, io... ero troppo affamato... io...-

Fu tutto troppo veloce, troppo improvviso. Astarion sentì la mano Cazador sul suo collo e in un secondo era attaccato al muro, le gambe che scalciavano, le mani arpionate a quel braccio tremendamente forte. Non stava soffocando, non poteva, ma il dolore potente di quella stretta gli gelò qualunque cosa gli fosse rimasta nelle vene.

-Grazie, Cazador?- sibilò l'uomo -Da quella bocca immonda e sporca di putrido topo di fogna non deve mai uscire il mio nome.-

-Scusa! Mi dispiace... mi disp...-
La stretta sul collo si rafforzò e, contro ogni logica, si ritrovò ad urlare: la pelle pareva bruciare, tirarsi, smembrarsi.

-Il mio nome per te da adesso in poi è solo e soltanto “Maestro”, chiaro?-

Astarion cercò di annuire, in preda al panico, al dolore, al terrore.

-Dillo.-

-S-sì... Maestro...-

La stretta sul collo si allentò e lui cadde rovinosamente a terra. Gli venne da tossire, anche se era inutile.

Cazador si voltò, dandogli la schiena.

-Sono certo che altri tre giorni a digiuno aiuteranno a imparare le buone maniere.-

Astarion strabuzzò gli occhi.
No...
Non avrebbe retto neanche un giorno, neanche un altro minuto senza mangiare!
Afferrò convulsamente le vesti di Cazador, iniziando a pregarlo, a implorarlo.

-No... Ti prego... Non lasciarmi con questa fame... Io non ce la faccio... Io...-

Cazador gli strappò di mano i lembi di tessuto e, guardandolo con sufficienza, rispose: -Allora dovevi pensarci prima di essere così ingrato. Le conseguenze delle proprie azioni hanno sempre un prezzo; pensavo che tu, più di altri, lo sapessi.-

Astarion rimase lì, ancora in ginocchio, interdetto, mentre guardava incredulo Cazador uscire lentamente dalla stanza.

-No...-

La porta si richiuse e il suono del chiavistello fu come una campana a morto.

-No!-

Astarion sapeva che era troppo tardi, sapeva che essersi lanciato contro quella porta non avrebbe risolto nulla, sapeva che picchiare i pugni, urlare e pregare di aprire non avrebbe condotto a nulla. Ma era così disperato, così distrutto da quella situazione, da quella nuova vita in cui si era trovato incastrato...
Perché aveva detto di sì? Perché, quella maledetta notte, non aveva avuto il coraggio di morire? Perché aveva voluto, di sua spontanea volontà , diventare uno schiavo?
Sentiva gli occhi bruciare e scoprì, con amarezza, che sapeva ancora piangere.



 

Passarono quei terribili tre giorni. Ogni minuto gli parve eterno, rinchiuso in quelle quattro mura dorate e opulente.
Ricordava di aver provato a scassinare la porta, senza ovviamente risultati: lui condannava gli scassinatori e non gli era mai passato per l'anticamera del cervello di provare a fare il loro mestiere. Ricordava di aver buttato all'aria la libreria in preda alla disperazione di quella fame, per poi scoprire, con orrore, di aver rovinato parecchi dei volumi. Ricordava anche di aver mangiato dei ragni, lentamente e silenziosamente, per il terrore di essere scoperto.
La fame però non si era placata, lo artigliava al petto come una belva rabbiosa e non sapeva perché non era ancora completamente impazzito. Forse i vampiri non perdevano il senno? No, certo che lo perdevano... Cazador poteva essere potente, ma non certamente sano di mente.

L'ultimo giorno si era rassegnato ed era rimasto seduto, quasi immobile, a fissare la porta, pregando che si aprisse, pregando che arrivasse qualcuno, chiunque, a salvarlo.
La porta finalmente si aprì, ma non era un salvatore, ovviamente.
Che pensiero ridicolmente infantile...
Ma Astarion si accontentò anche della vista di Cazador con in mano il solito topo morto. L'odore era ancora più ripugnante della prima volta, ma la fame si era centuplicata.
L'uomo lo fissò, aspettando qualcosa, ma Astarion era troppo spaventato, troppo stanco, troppo affamato. Non aveva la forza di fare assolutamente se non di fissarlo, per terra, come un cane in attesa dell'osso. Che immagine patetica...
Il vampiro, senza una parola, chiuse la porta e iniziò ad avvicinarsi. Astarion rabbrividì. Ogni passo pareva una stilettata, tanti tuoni che indicavano una tempesta improvvisa.
Arrivato esattamente di fronte a lui, gli fece sventolare il topo sotto il naso per poi farlo cadere ai suoi piedi. Astarion non si mosse.

-Puoi mangiare.-

Astarion ancora non si mosse. L'unica cosa che si permise di fare fu di spostare lo sguardo da Cazador al topo.
-Come si dice?-

Astarion deglutì a vuoto. Un vecchio riflesso di una vita passata.

-Grazie, Maestro.-

Fu lì che lo vide. Vide lo sguardo di perversa vittoria su quel volto perfetto. Quel sorriso storto e compiaciuto di chi aveva calcolato tutto secondo i propri piani.

-Molto bene, Astarion, vedo che stiamo facendo notevoli progressi.-

Cazador si voltò verso la porta, quasi galleggiando.

-Domani potrai uscire e parleremo di un lavoretto. Per ora, goditi il pranzo.-

Appena l'uscio si chiuse, Astarion si lanciò su quel cadavere con rabbia e violenza. Brandelli di carne e frattaglie si sparsero sul suo viso e per terra, colando ovunque.
Non c'era più solo la fame da placare: un senso di odio gli pervadeva il petto, sentiva il ricordo delle vene pulsanti nella testa.
Quel sorriso lo avrebbe accompagnato nei suoi peggiori incubi.

   
 
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