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Autore: DDaniele    19/04/2024    0 recensioni
“Chiederemo a Trevor di tenerti compagnia.”
“No no no” le dissi agitato, ma Phoebe non mi ascoltò, anzi inarcò le labbra in un sorriso sornione e nei suoi occhi scintillò una lucina divertita. Sapeva che avevo una cotta per suo fratello e voleva aiutarmi a trascorrere del tempo con lui, il che era carino da parte sua, ma quando ero con Trevor diventavo tremendamente impacciato. Inoltre, lui era fidanzato con Lucky e per di più sospettavo che avesse capito che mi piaceva, ma per lui ero solo un ragazzino appiccicoso e perciò mi trattava con freddezza, a volte quasi con sdegno.
“Non lasciarmi da solo con Trev, ti preg…” ma Phoebe spalancò la porta.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo visto la caserma dei Ghostbusters milioni di volte dalle foto dei giornali degli anni ’80 scannerizzate e caricate su Internet. Tuttavia, quando vidi il palazzo realmente davanti a me fui euforico come un bambino che entra per la prima volta in un negozio di caramelle. Attraversai quindi la strada di corsa (non una mossa brillante, perlomeno a giudicare dal rumore di ruote sterzate e dagli insulti che ricevetti da un paio di automobilisti) per raggiungere la saracinesca rossa con parti in vetro da cui, quando i Ghostbusters ricevevano una chiamata, usciva la Ecto-01, la loro iconica macchina. Colto dall’entusiasmo, mi misi a dondolare, sul viso un’espressione felice. Non riuscendo a contenermi, sollevai il viso verso l’alto, dove si innalzavano i due piani che ospitavano gli alloggi dei Ghostbusters (e prima di loro dei pompieri). Mentre il primo piano della struttura era realizzato in marmo grigio, la zona abitata era stata costruita in mattoni rossi e presentava delle grosse finestre in vetro smerigliato tramite cui gli occupanti potevano osservare fuori ma i passanti non potevano vedere all’interno (lo so bene perché provai a sbirciare dal basso, ma senza successo). Incapace di stare fermo, feci il giro della struttura un paio di volte prima di andare alla porta d’ingresso che dava sul lato destro della costruzione.
Suonai il campanello e per poco non svenni. Ora che gli Spengler avevano riaperto l’agenzia e si erano trasferiti qui, avrei potuto vedere la caserma dei Ghostbusters nuovamente operativa. Phoebe mi aveva solennemente promesso un giro turistico della struttura degno del Louvre, in quanto fan non potevo chiedere regalo migliore. Mi asciugai una lacrima con un gesto teatrale della mano e guardai in alto per ringraziare le divinità che avevano reso possibile tutto questo. Per fortuna Phoebe aprì la porta prima che avessi potuto gettarmi in ginocchio a terra come in un luogo di culto.
“Oh, ciao, sei arrivato” mi salutò sull’uscio con il suo consueto tono di voce asciutto e fattuale.
Le risposi e lei si scostò facendomi cenno di entrare. Varcata la soglia cercai di comportarmi come un essere umano normale e non un nerd a cui è stato appena consentito l’accesso al luogo dei suoi sogni.
“Ti ho portato qualcosa da mangiare per passare il pomeriggio e inaugurare la vostra nuova sistemazione. Sono patatine al miele, uno snack che piace molto in Corea” le spiegai dandole un contenitore cilindrico simile a quello delle patatine Pringles che avevo con me.
“Non ti dovevi disturbare” disse Phoebe accettando il regalo, dopodiché aprì la confezione e assaggiò una patatina.
“Uhm, buona, il salato della patatina contrasta bene con la dolcezza del miele, è una sensazione piacevole in bocca” osservò porgendomi il contenitore. Ne presi una patatina e me la cacciai in bocca. Nel frattempo mi mossi intorno: davanti a me si trovava la Etno-01 e le accarezzai il cofano bianco come si fa con un cucciolo; davanti alla macchina si apriva un breve percorso che portava alla saracinesca, adesso abbassata, e che dietro di essa si connetteva alla strada; ai lati del percorso i muri erano occupati da due serie di armadietti rossi mentre dietro alla Etno-01 notai un palo che i vecchi pompieri usavano per calarsi velocemente al piano terra; sulla destra della porta d’ingresso si apriva la cucina e alla sua sinistra si trovavano le scale che portavano ai piani superiori.
“Sono pronto a iniziare quando vuoi il tour guidato della caserma che mi avevi promesso” dissi a Phoebe con tono riconoscente.
“A questo proposito” riprese a parlare incamminandosi su per le scale. Io la seguii.
“Hai presente Claire, la mia compagna di classe di cui ti avevo parlato? Domani ha una verifica di recupero in fisica e mi ha chiesto di aiutarla a ripassare. E poi” disse sporgendosi sull’ingresso di una delle stanze al primo piano “Non abbiamo ancora sistemato nulla.” Con un gesto della mano mi indicò l’interno della camera, occupata solamente da cumuli di scatole ammassate. “Non c’è niente di interessante che ti possa mostrare ancora.”
“Non ti preoccupare” le risposi avvicinandomi a uno scatolone a un angolo della stanza che aveva un aspetto più trasandato, quindi immaginavo avrebbe contenuto cimeli dei Ghostbusters originali. “Mi divertirò un mondo a dare una mano a catalogare e sistemare tutto.”
“Ma no” e così dicendo Phoebe mi fermò una mano a mezz’aria prima che potessi aprire la scatola.
“Non sta bene chiedere a un ospite di sistemare la casa.”
“Ospite?” ripetei in tono scherzosamente offeso. “Ma sono di famiglia!”
“Ora non esagerare” rispose Phoebe poco convinta. “Ho un’altra idea. Vieni con me” dopodiché uscì dalla camera e salì le scale diretta al secondo piano. La seguii.
Superato uno stretto corridoio, Phoebe si avvicinò a una porticina, tese un orecchio e disse tra sé e sé: “Ha chiuso l’acqua, possiamo entrare.”
“Chiederemo a Trevor di tenerti compagnia.”
“No no no” le dissi agitato, ma Phoebe non mi ascoltò, anzi inarcò le labbra in un sorriso sornione e nei suoi occhi scintillò una lucina divertita. Sapeva che avevo una cotta per suo fratello e voleva aiutarmi a trascorrere del tempo con lui, il che era carino da parte sua, ma quando ero con Trevor diventavo tremendamente impacciato. Inoltre, lui era fidanzato con Lucky e per di più sospettavo che avesse capito che mi piaceva, ma per lui ero solo un ragazzino appiccicoso e perciò mi trattava con freddezza, a volte quasi con sdegno.
“Non lasciarmi da solo con Trev, ti preg…” ma Phoebe spalancò la porta. Dall’altro lato vidi Trevor. Addosso aveva solo un asciugamano stretto intorno alla vita, ma per il resto era nudo. La sua pelle, pallida come il solito e secondo me incomparabilmente bella, era ancora umida dal bagno che si era appena fatto. Il suo torace era molto snello, con lo stomaco lievemente incavato per la magrezza. Trevor si girò verso di noi con il viso dai lineamenti taglienti e i penetranti occhi neri. Stava davanti allo specchio sistemandosi della crema sui capelli neri bagnati e pettinati all’indietro. Il nero dei capelli e degli occhi facevano da contrasto al biancore della sua pelle, e la loro differenza era la cosa che più mi piaceva del suo aspetto fisico.
“Ti ho detto di bussare quando sono in bagno!” gridò rivolto a Phoebe senza dapprima distogliere lo sguardo dal suo riflesso, quindi si girò e notò la mia presenza. Quando se ne rese conto, arrossì violentemente sin sulla punta delle orecchie e si coprì il petto nudo con le braccia.
“Accompagna Podcast a fare un giro sulla Etno.”
“Cosa?” disse tentennando, dopodiché coprì a grandi falcate la distanza che lo separava dalla porta e ce la chiuse in faccia.
“Hai il resto del pomeriggio libero fino all’appuntamento con Lucky.”
“E va bene, ma adesso lasciatemi preparare in pace.”
Soddisfatta della risposta, Phoebe fece per tornare alle scale.
“Insisto: posso mettermi a sistemare le cose che avete portato nelle scatole. Non mi pesa, davvero, anzi mi divertirò un mondo.”
“E rinunceresti ad andare per le strade di New York sulla Etno insieme a Trevor? Ci hai viaggiato solo per le stradine in sabbia battuta di Summerville, vuoi mettere l’ebbrezza delle strade di New York?”
“In effetti sarebbe bellissimo.”
“Allora che problema c’è?”
“Non voglio infastidire Trevor. È a disagio quando sta con me e io non voglio costringerlo a passare del tempo con me se non ne ha voglia.”
“Ma così non potrete conoscervi meglio.”
“Perché tieni tanto che leghiamo?”
“Perché sei innamorato di lui.”
“Lui è innamorato di Lucky però.”
“Se ti conoscesse meglio forse potresti piacergli tu.”
Trascorremmo il resto del tragitto che ci portava verso la cucina in silenzio, la mia mente che valutava che probabilità ci fossero che Trevor potesse ricambiare i miei sentimenti. Non erano molte.
“Sai bene quanto me che per Trevor sono solo un moccioso che si è preso una cotta infantile per un ragazzo più grande” dissi grattandomi la nuca una volta che avemmo raggiunto la cucina al pianterreno. “Lucky invece è più matura, è più bella di me, ha un sacco di amicizie interessanti, fa tante cose una più straordinaria dell’altra… Ha assolutamente senso che Trevor sia innamorato di lei.”
“Vuoi sapere cosa ne penso?” mi rispose Phoebe prendendo dalla credenza un piattino sul quale versò le patatine.
“Credo che a essere infantile sia la cotta che Trevor si è preso per Lucky. Per lui, stare con lei è un modo per sentirsi più adulto, per entrare a far parte della sua cerchia di amicizie popolari e delle sue attività. Inoltre, lei tratta Trevor come se fosse un animaletto che lei si diverte a compiacere. Secondo me, la loro relazione si incrinerà presto, non appena uno dei due maturerà.”
Phoebe fece una pausa durante la quale poggiò il piattino sul tavolo della cucina e lo sospinse verso di me. Presi una patatina e la mangiai. Stavolta il suo sapore mi sembrò più aspro.
“Per te invece è diverso. Tu non metti Trevor su un piedistallo come tanti nostri coetanei fanno quando si innamorano di un ragazzo più grande, o come Trevor stesso fa con Lucky che è più bella e più matura di lui.” Phoebe prese un’altra patatina, se la portò alla bocca e la assaporò con attenzione.
“Tu hai inquadrato bene Trevor. Sai che non è molto brillante ma è simpatico e generoso, e gli vuoi bene per questo.”
Arrossii nel sentire Phoebe parlare così schiettamente dei sentimenti che provavo per il fratello. Le avevo solamente confessato che avevo una cotta per lui, ma non le avevo parlato di che opinione avessi di lui, perciò queste erano osservazioni che Phoebe stessa aveva formulato da sé. Sapere che lei aveva analizzato il mio rapporto con Trevor fu allo stesso tempo imbarazzante ma anche lusinghiero.
“Ti piace così com’è e questo è un affetto più sincero di quello che lega lui e Lucky. Per questo motivo preferirei se Trevor si mettesse con te: ne sarei felice sia per lui, che è mio fratello dopo tutto, sia per te che sei mio amico.”
“Grazie. Significa molto per me” le risposi timidamente, la testa incavata nelle spalle e il viso in fiamme.
“Eccomi” esordì Trevor entrando di fretta in cucina, le chiavi della macchina che gli tintinnavano nella mano. “Pronto per partire.”
“Bene, non ne potevo più di essere così sentimentale” osservò Phoebe tra sé e sé.
“Cosa?” domandò Trevor confuso.
“Niente” tagliai corto e presi il piattino delle patatine dal tavolo per poi porgerglielo.
“Vi ho portato uno spuntino per festeggiare la vostra nuova casa. Sono patatine al miele.”
Trevor ne prese una guardandola con aria incuriosita e se la portò alla bocca.
“Mh, è più dolce di quanto mi aspettassi” disse annuendo in tono soddisfatto.
“Allora, andiamo? Più tardi ho un appuntamento con Lucky e non posso stare via molto.”
“Andiamo” risposi rimettendo il piattino sul tavolo. Phoebe ne prese alcune patatine e se le cacciò in bocca tutte insieme.
“Grazie per la chiacchierata.”
“Prego” disse con la bocca piena.
Lasciai la cucina ora più convinto di passare del tempo da solo con Trevor. Lui si era appena seduto al posto del conducente e richiuse lo sportello.
“Puoi aprire la saracinesca a mano?” mi chiese sporgendo la testa dal finestrino. I suoi capelli mossi come saltellarono sopra di essa.
Mentre mi avvicinai alla saracinesca, Trevor girò le chiavi nel cruscotto mettendo in moto la Etno-01. Io trovai il pulsante di apertura e lo premetti, facendo sollevare la saracinesca.
“Phoe, noi andiamo. Chiudi tu la saracinesca” urlò Trevor alla sorella.
“Uff, va bene” rispose questa che nel frattempo stava prendendo dei libri da uno degli armadietti da pompiere. Trevor mi fece cenno con la testa di salire, così mi sedetti sul posto del passeggero. Trevor diede gas uscendo dalla caserma e immettendosi nel traffico di New York.
Il panorama era molto diverso rispetto a quello che ero abituato a vedere a Summerville. Se nella cittadina dell’Oklahoma si viaggiava lungo stradine che si snodavano tortuose lungo distese di campi e appezzamenti di terreno vuoti sotto un cielo infinito, a New York le strade erano cinte da bei palazzi, negozi e grattacieli nei quali brulicava una comunità operosa e perennemente indaffarata.
Sebbene mi fossi ormai abituato a vivere a New York, mi fece tutto un altro effetto vederla dalla Etno-01. Mi divertii a vedere il riflesso della iconica vettura dei Ghostbusters sfrecciare sulle vetrine dei negozi e dei ristoranti. Una volta fermi a un semaforo, feci notare a Trevor il riflesso della macchina sulla vetrina di un ristorante. Lui non mi sembrò entusiasta. Apparve molto più interessato quando una ragazza gli chiese delle indicazioni stradali. Stavolta fui io a fare il sostenuto, guardando in tutt’altra direzione quando Trevor mi domandò dove si trovasse il negozio che cercava la ragazza. Dissi che non lo conoscevo.
In seguito Trevor riprese a guidare. Rimanemmo in silenzio per alcuni momenti. Dopodiché sentii un profumo fiorito.
“Che buono questo odore. Forse è il profumo della ragazza di prima?”
“Questo odore di fiori dici?” rispose Trevor annusando l’aria. “È il profumo della maschera per capelli che mi sono fatto prima.”
Ora che me lo fece notare, vidi che Trevor aveva i capelli lievemente bagnati; probabilmente non li aveva asciugati del tutto dopo il bagno. Nel punto della testa in cui le sue basette si connettevano ai capelli, notai che aveva la pelle rossa per un’irritazione.
“Qui hai la pelle irritata. Dovresti usare una crema. Non per propagandare uno stereotipo, ma sono coreano, mi intendo di skincare, posso darti dei consigli…”
Trevor allontanò la testa da me e solo allora mi accorsi che, inconsapevolmente, avevo sollevato la mano in direzione del suo viso, come se lo volessi accarezzare. Trevor sembrò scocciato.
“Non volevo toccarti, scusa. Io…” farfugliai ritraendo veloce la mano.
Tra noi scese il gelo. L’incontro con la ragazza di prima e adesso questo mi tolsero tutta la fiducia che Phoebe mi aveva trasmesso con il suo discorso di prima.
“Vorrei scendere qui. Sono vicino a casa.”
“Ti sto facendo fare un giro, no?”
“Non c’è bisogno che ti sforzi. Io…”
“Siete i Ghostbusters?” ci domandò all’improvviso un’anziana signora che si slanciò contro la portiera dell’auto, approfittando del fatto che stavamo procedendo a passo d’uomo per via di un rallentamento. Sia io che Trevor sobbalzammo sorpresi. Mentre Trevor accostava, io mi sporsi dal tettino della macchina.
“Sì, signora. Ha bisogno d’aiuto?”
“L’appartamento in cui mi sono appena trasferita è infestato da un poltergeist.”
“Interveniamo subito. Abita qui vicino?”
“Proprio qua” rispose indicandomi con la mano un condominio residenziale immediatamente adiacente a dove Trevor si era fermato. Quando feci per scendere dall’auto, Trevor mi interruppe.
“Andiamo un’altra volta, rischio di fare tardi con Lucky.”
“Un poltergeist può diventare pericoloso, dobbiamo disinfestare l’appartamento ora” gli risposi scendendo dalla macchina. Trevor sbuffò ma parcheggiò e scese. Presi uno zaino protonico dal bagagliaio e aiutai Trevor a indossarlo.
“Ci faccia strada” disse alla signora.
“Sono venuta ad abitare qui giusto oggi in tarda mattinata” ci spiegò la donna mentre entravamo nel palazzo e salivamo alcune rampe di scale. “Quando il pendolo ha suonato, mi sono resa conto che non oscillava, ma si fermava a metà strada per poi ritornare verso destra. Il pendolo non è mio, era già qui avendo io comprato l’appartamento già arredato e ho pensato subito che possa essere infestato da un poltergeist. Sono scappata spaventata, ma per fortuna vi ho visti fuori” ci disse la donna scoccandoci un sorriso, l’aria sollevata.
Arrivammo di fronte alla porta dell’appartamento. Nella fretta, la signora aveva lasciato aperto e la porta giaceva socchiusa di fronte a noi. Trevor fece cenno alla donna di aspettarci fuori, mentre noi entrammo nell’appartamento. Ci ritrovammo subito nel salotto, occupato al centro da un tavolo sopra al quale si trovavano delle tazzine da tè. Sarà stata suggestione, ma sembrava che attorno al tavolo aleggiassero dei fantasmi intenti ad avere un tea party. Non eravamo ancora sicuri che l’appartamento fosse davvero infestato, quindi mi feci coraggio e cercai di non lasciarmi suggestionare. Nel frattempo Trevor aveva individuato il pendolo, che si trovava poggiato addosso al muro opposto all’ingresso. Intorno ad esso si trovavano delle scatole ammassate, contenenti probabilmente gli oggetti che l’anziana signora aveva portato dalla sua vecchia casa.
“Il pendolo non oscilla per davvero” osservai avvicinandomi. Proprio come ci aveva spiegato la donna, il pendolo non compiva un’oscillazione completa nello spazio cavo sotto l’orologio, bensì il braccio rimaneva sospeso verso destra, dove vibrava sul posto.
“Possibile che sia semplicemente inceppato?” si domandò Trevor.
Con estrema delicatezza, visto che non era sicuro maneggiare un oggetto potenzialmente infestato, spostai il pendolo dal muro, ne aprii il vano posteriore, afferrai il braccio e lo mossi. Il braccio seguì fluidamente il movimento che gli impressi, dopodiché tornò a bloccarsi.
Trevor sollevò il fucile dello zaino protonico verso il pendolo.
“Aspetta, prima controlliamo se c’è attività fantasmatica.”
Estrassi dalla tasca il rilevatore di energia psicocinetica che avevo preso in macchina. Ne sollevai le antenne, ne accesi il tasto di avvio e lo mossi nell’area intorno al pendolo, in attesa che il rivelatore suonasse confermando che ci fossero davvero dei fantasmi nell’appartamento.
Il rilevatore non suonò.
“Strano, sembra che non ci sia alcuna attività fantasmatica.”
“Allora cos’altro potrebbe essere?” chiese Trevor.
“Possibile che il poltergeist abbia infestato più oggetti nella casa e ora sia trasferito in un altro? Però non dovrebbe essere in grado di bloccare il pendolo se non si trova fisicamente dentro di esso… o spettralmente, intendo” dissi ridacchiando rivolto a Trevor.
“Perlustriamo il resto dell’appartamento” propose questi.
Riattivai il rilevatore e mi spostai verso la cucina. Trevor mi seguii, il fucile a particelle sollevato e pronto a far fuoco. Analizzai i principali oggetti presenti nella camera (un grosso frigorifero, una credenza piena di piatti e tazzine, un forno) ma non individuai nessun fantasma. Andammo quindi verso la camera da letto della signora. Qui notai subito un grosso armadio. Il rilevatore non segnalò nulla, ma per scrupolo decisi di aprirlo. Provai una strana sensazione. Anche Trevor sembrò agitato e mi si avvicinò con il fiato sospeso.
Un’alta ombra scura cadde verso di me non appena aprii l’anta. Qualunque cosa fosse, l’ombra mi piombò addosso e al tatto mi risultò fredda e ruvida. Urlai a squarciagola, mi divincolai e corsi verso Trevor abbracciandolo a un fianco. Anche lui gridò e sparò il flusso contro l’ombra che era ormai caduta a terra.
“Ma è solo una pelle d’orso!” capii ora che vidi bene l’oggetto grazie alla luce prodotta dal fucile a particelle.
“Che cosa?!” esclamò Trevor con tono scioccato e indignato insieme.
Mi staccai da Trevor e mi avvicinai alla pelle d’orso. Trevor smise di sparare.
“Vedi? È solo una vecchia pelle” gli dissi sollevando l’oggetto verso di lui. Si trattava in effetti di una pelle di un orso bianco scuoiato usata come tappeto.
“Allora dov’è il poltergeist?”
“Ho un’idea” dissi e ci dirigemmo di nuovo in salotto. Aprii gli scatoloni ammassati alla destra del pendolo, la direzione verso cui tendeva il braccio, e dentro uno di essi trovai un elettromagnete.
“Guarda” dissi a Trevor. “Un elettromagnete. Forse è il progetto scolastico di un nipote della signora?”
Tornammo all’ingresso dell’appartamento e mostrammo l’oggetto alla signora.
“Sì, lo ha realizzato Clive, mio nipote. Gli serve per una fiera alla scuola nuova.”
“Ecco spiegato il mistero” dissi con tono compiaciuto alla Sherlock Holmes. “Il pendolo deve essere in un materiale attratto dal magnete, ecco perché si era bloccato. Ora che ho spostato l’elettromagnete, il pendolo ha ripreso a oscillare normalmente. Vede?” dissi indicando il pendolo dietro di me. Il braccio aveva ripreso ad oscillare con ritmo lento e cadenzato per tutta l’ampiezza dello spazio cavo sotto l’orologio.
“Non c’è nessuna infestazione. Può tornare in casa tranquilla” disse Trevor alla signora con tono rassicurante mentre riponeva il fucile di flusso nel vano dello zaino protonico.
“Grazie mille per avermi aiutata” ci ringraziò la signora, commossa. “Siete stati davvero gentili. Parlerò bene di voi a tutti quelli che conosco.”
“Grazie” dicemmo io e Trevor, dopodiché lasciammo l’appartamento. La signora ci salutò con la mano affacciandosi alla finestra.
Scoppiammo a ridere non appena risalimmo in macchina.
“Avresti dovuto vedere la tua faccia quando la pelle d’orso ti è caduta addosso” disse Trevor piegato in due dal ridere sopra il volante.
“Io? E tu che hai cominciato a sparare come un pazzo” gli feci ridendo tanto quanto lui.
“Sei corso subito da me.”
“Hai urlato tantissimo” gli risposi.
Piangemmo dal ridere accasciati contro gli schienali della Etno-01. Il disagio che si era creato tra di noi si dissolse.
“Dove vuoi andare adesso?” mi domandò Trevor inserendo le chiavi nel cruscotto.
“Posso tornare a casa a piedi, sono vicino e non voglio farti tardare all’appuntamento.”
“Non ti preoccupare” disse Trevor. “Andiamo semplicemente a mangiare al ristorante di hamburger vicino alla caserma.”
“Non mi va che fai tardi” gli risposi candidamente.
“Allora ti riporto alla caserma così puoi stare con Phoebe.”
“D’accordo.”
Trevor riavviò la Etno-01 e ritornammo alla vecchia/nuova sede dei Ghostbusters.
“Grazie per il giro. Mi sono divertito” gli dissi una volta sceso dall’auto e dopo aver suonato il campanello.
“Anch’io” rispose Trevor seduto in macchina, il braccio poggiato sul finestrino come un adulto.
“Dovremmo vederci più spesso” aggiunse.
“Quando vuoi” gli risposi entusiasta.
In quel mentre Phoebe aprì la porta.
“Allora io vado. Non divertitevi troppo a studiare voi due secchioni.”
“Chi, noi?” gli risposi ridendo, dopodiché Trevor andò via. Io e Phoebe lo salutammo con la mano.
“Come è andata?” mi chiese Phoebe una volta entrati nella caserma.
“Inizio un po’ incerto, ma poi ci siamo divertiti tanto. Una signora ci ha chiamato per un’infestazione da poltergeist, e una pelle d’orso mi è caduta addosso. Poi ti racconto meglio. Tu hai finito le ripetizioni con Claire?”
“Quali ripetizioni?” mi domandò con aria confusa.
“Le ripetizioni per la verifica di recupero di fisica. Aspetta” dissi in tono sospettoso “Era una scusa? Volevi farmi uscire con Trevor?”
“Be’, direi che ha funzionato. Non c’è bisogno che mi ringrazi” ammise Phoebe con il tono compiaciuto di un genio del male che spiega il suo piano malvagio per autocompiacersi.
“Sì, è stato bello. Mi aspetto che mi organizzi tante altre uscite con lui.”
“Ora non abusare della mia gentilezza” rispose.
Scoppiammo entrambi a ridere.
   
 
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