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Autore: LubaLuft    20/04/2024    3 recensioni
Dal testo:
"Con le sue esperienze da giocatore e quelle successive legate al suo ruolo nella JVA, Tetsurō aveva affinato le sue capacità e si era trasformato in un vero cacciatore di talenti, quasi una figura manageriale, fortunato nel suo lavoro perché amava ancora la pallavolo con la stessa intensità di quando era piccolo.
E continuava ad amarla nonostante ne conoscesse bene anche gli aspetti più stressanti: c’era infatti sempre una sottile barriera a separare il successo dall'insoddisfazione, l’armonia dai conflitti. Sottile come una rete. Alla fine, si giocava sempre su un filo teso, che poteva spezzarsi da un momento all’altro.
Che cosa si era spezzato, per esempio, in Kei Tsukishima?
Tetsurō se lo chiedeva giusto quella sera, mentre osservava il Quattrocchi vestito in giacca e cravatta in piedi davanti all’ingresso del Museo della città di Sendai."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Seconda parte

Kei si ritrovò improvvisamente catapultato nel passato.

Poco distante da lui, sulla strada che costeggiava il Museo della Città di Sendai, Kurō Tetsurō scendeva da un taxi, vestito con estrema cura. 
Lo vedeva osservare con un certo interesse l’enorme e moderno edificio di cemento e vetro che ospitava l’evento di quella sera.  Evidentemente, stava venendo proprio lì. 

Come mai non aveva notato il suo nominativo tra gli invitati? Non aveva stilato lui le liste… forse quelle che gli avevano consegnato i suoi collaboratori erano incomplete? 

Mentre lo vedeva avvicinarsi alla scalinata che conduceva all’ingresso, Kei si aggrappò con la mente al ricordo di un’estate di più di dieci anni prima, al momento in cui, nonostante lo avesse già conosciuto in un’altra occasione, aveva guardato Kurō Tetsurō per la prima volta con attenzione, curiosità, timore e assoluta diffidenza. 
E attrazione.

Tutto era partito da lì, dall’artiglio che il gatto era riuscito a conficcargli nel cuore. Il sospetto che nutriva nei confronti delle proprie inclinazioni sessuali si era trasformato in certezza al suo cospetto, e l’agnizione era stata potente e rabbiosa, benché nulla di tutto questo fosse trapelato durante quella infinita Golden Week.

Nella palestra numero 3 del Liceo Shinzen si era così trovato a dover affrontare le sue frustrazioni per la pallavolo e quelle legate al suo corpo che si risvegliava da una specie di letargo autoindotto, e tutto a causa di un bel ragazzo come probabilmente ce n’erano tanti in giro… ma lui era lui!

Kei allora aveva quasi sedici anni, era un primino taciturno, indietro rispetto al resto della squadra, demoralizzato, fuori tempo, in guerra con se stesso perché non voleva annullarsi, come aveva fatto suo fratello Akiteru, davanti agli impossibili sogni di gloria di un club di pallavolo. 

Kurō invece appariva sicuro, dominante. Largo di spalle, testa alta, occhi taglienti come lame, voce anche più tagliente. 
Lo chiamava, lo trascinava sotto rete, lo ammoniva, gli diceva cose che non lo offendevano benché lo colpissero per la loro franchezza.

Era stato anche grazie a lui se non aveva gettato spugna e ginocchiere e aveva proseguito. Nel tempo, aveva dovuto ammettere con se stesso che se all’epoca aveva deciso di rimanere in campo a giocare, era stato soprattutto perché in questo modo era sicuro di rivederlo.  

Gli anni erano passati così, con Kurō avversario di giorno e trasformato, di notte, in una specie di sogno proibito, blindato, ricorrente e bagnato.

Solo Yamaguchi aveva intuito che qualcosa lo agitava e lo spazientiva, ma Tadashi lo conosceva ormai da una vita ed era stato anche per quella ragione che proprio con lui Kei aveva ceduto. 

Si erano scambiati il primo bacio ai nazionali, nello spogliatoio, e poi c’era stata una sola prima volta, consumata con impazienza in camera sua un giorno che i suoi erano partiti e Akiteru era in trasferta con la sua patetica squadretta universitaria.

Aveva passato quel pomeriggio a farsi fare cose che avrebbe voluto gli facesse qualcun altro.
Un’estasi violenta e disperata, la sua, la prima estasi causata del contatto ravvicinato con un altro corpo.
La verità nuda e cruda raccontata però alla persona sbagliata.

Tadashi, che gli voleva bene, aveva poi incassato il suo rifiuto ad avere una storia con lui. Tadashi, che ora aveva un compagno ed era felice.

E poi, una sera di pochi anni prima, aveva preso in pieno un colpo che non si sarebbe mai immaginato di incassare.

I Jackals avevano vinto contro gli Adlers e Kei era fuori del palazzetto dello sport ad aspettare Hitoka, che era andata insieme a Tadashi a riprendere la sua auto nel parcheggio.
Aveva visto uscire Kurō insieme a Bokuto, lui in abbigliamento formale, una targhetta visibile sulla giacca, e l’altro con l’uniforme della squadra. 
Non li vedeva da tempo e mentre Kurō appariva solo un po’ più alto e sempre meravigliosamente piazzato, Bokuto era diventato ancora più imponente. 

Non aveva fatto in tempo a gestire la sorpresa che aveva visto Bokuto allungare le mani sul viso di Kurō per poi baciarlo con avidità. Gli aveva detto qualcosa all’orecchio, Kurō aveva annuito con un sorriso spudoratamente complice ed erano spariti dentro un taxi.

Una settimana dopo, il professore che stava seguendo la sua tesi di laurea in Paleontologia e per il quale già stava lavorando al progetto sul Wakinosaurus Satoi, lo aveva convocato nel suo studio.

La facoltà aveva bisogno di persone come lui, metodiche nello studio e dal grande potenziale. Si era liberato un posto come assistente e con il suo curriculum, gli esami in regola e i suoi risultati, se avesse accettato di intraprendere la strada  accademica avrebbe potuto entrare a far parte del board scientifico che supervisionava il progetto sul dinosauro, collegato al Museo di Sendai.

Questo però avrebbe richiesto da parte sua una concentrazione e una dedizione totali alle attività dell’Ateneo.

Kei, che era bravo in matematica, aveva capito subito che quattro ore di allenamento quattro volte a settimana, più le partite con i Sendai Frogs, non sarebbero state gestibili da parte sua con quel nuovo carico di lavoro e aveva preso la sua decisione, tanto non sarebbe mai passato nella Prima Divisione, giocava per inerzia ormai mentre all’università poteva finalmente trovare la sua strada.

Soprattutto, allontanarsi definitivamente dalla pallavolo lo avrebbe aiutato ad allontanarsi da Kurō, il fantasma sempre in agguato, il fantasma che baciava un uomo e che per quel preciso motivo si riaffacciava, stavolta però fatto di carne, sangue e ossa. 

Fatto di parti nascoste a cui ora pensava in maniera ancora più ossessiva. Esattamente come in quel preciso istante sui gradini del Museo. E quando gli occhi di Kurō, che si erano lasciati  distrarre dalla magnificente modernità esteriore del Museo intercettarono i suoi, Kei comprese che non era affatto finita e il solito automatismo, il gesto che da solo teneva in equilibrio tutti i suoi nervi scoperti, si manifestò con lentezza rassicurante: la sua mano si sollevò e le sue dita sistemarono sul naso la montatura degli occhiali.

Era nervoso ma gli sarebbe passata.

Gli rivolse uno sguardo rigido, e quasi neanche rispose al suo cenno di saluto. Quello non era un palazzetto dello sport o una palestra, era finalmente il suo territorio, e lui non era più un primino frustrato o un giocatore a metà: era Kei Tsukishima, laureato in Paleontologia, relatore di un progetto prestigioso, pronto ad accompagnare in sala il sindaco e il ministro.

Nessuno poteva soffiargli il posto, non c’era un Hinata più bravo di lui a farsi strada, un muro più alto.
Stavolta era lui, il muro.

 

Il Preside della facoltà gli fece cenno di accompagnare gli ospiti d’onore nell’atrio, il primo gruppo era pronto.

Si voltò nuovamente verso la scalinata. Kurō era al telefono. Gli lanciò un’ultima occhiataccia e rientrò, pregando che fosse abbastanza chiara la sua non volontà di interazione.

Continuava ad avere il suo problema con gli occhiali. Sentiva piccole gocce di sudore che gli imperlavano il naso. Li aggiustava e riaggiustava ma continuavano a scivolare e finalmente, quando ebbe affidato alla guida il primo gruppo, si avvicinò al guardaroba alla ricerca di un fazzoletto.

Il secondo gruppo si stava lentamente formando. Se Kurō si fosse aggregato a quello, per una mezz’oretta, la durata media della visita, non avrebbe rischiato nulla, e alla caffetteria del roof ci sarebbe stata troppa gente per fare conversazione libera.

Respirò a fondo e poi sentì la sua voce alle spalle.

“Tsukishima…”

Si voltò e anche senza gli occhiali, che stava pulendo con il fazzoletto, riuscì a vedere chiaramente quegli occhi assassini, che bucavano anche la nebbia che lo circondava. 

Istintivamente tentò di sistemarsi le lenti sul naso anche se ce le aveva in mano.

Con estremo imbarazzo, le reindossò velocemente, sperando che lui non avesse colto quell'atto mancato che raccontava tutta la sua agitazione.

Il giovane uomo che aveva davanti non era cambiato molto. Era più affascinante, con quel completo da manager, il distintivo della JVA, la peluria leggera che gli accarezzava le guance. I soliti capelli corvini, assurdi, i soliti occhi magnetici che vedevano anche al buio. 

Riuscì a formulare un’unica domanda sensata, banale, utile.
“Kurō. Come mai sei qui?”
“Mi avete invitato voi, credo.”
“Non io. E non immaginavo…”
“Che potesse interessarmi la cultura?… Mi sottovaluti, Quattrocchi.”
“Scusami. Non volevo insinuare nulla, solo che non mi aspettavo di vederti qui a Sendai e per giunta qui al Museo. Mi dai l’aria di essere una persona sempre molto occupata.”
“È vero, sono venuto a Sendai anche per alcune attività dell’Associazione. E poi c’è anche Bokuto, qui in città.”

Kei smise di colpo di sudare. La nota fredda della delusione lo percorse tutto, dalla testa ai piedi. Era venuto per lui, quindi

“Ah. Capisco.”
Una voce impostata e gentile si infilò allora nella loro conversazione.

“Professor Tsukishima, mi scusi... il Direttore la sta cercando e la attende di sopra in caffetteria.”
La giovane addetta del Museo si inchinò e tornò ad accogliere gli invitati.

Kurō si lasciò sfuggire un fischio basso.
“Però… professore! Mi sono perso un po’ di puntate. Ora sei a buon titolo ancora più Quattrocchi di prima.”

Lo disse senza la sua solita, fastidiosa ironia. Era cordiale, tranquillo, mentre Kei sentiva il cuore in una morsa gelida, che batteva veloce e con un rumore di vetri infranti.

Era il momento di andare.

“Buona visita, Kurō."
“Grazie. Ehi ma…”

 

Non gli lasciò finire la frase e salì le scale che dall’atrio e dal guardaroba conducevano al roof.

 

Era pur sempre una serata di lavoro, una cosa seria, più seria della pallavolo.
Più seria di ciò che continuava a provare con ostinazione per quel giovane uomo atletico e a suo agio in una tuta da ginnastica come in un completo, che mostrava al mondo tutta la sua sicurezza senza ostentarla.

Non ascoltò assolutamente nulla di quanto gli venne detto durante l’aperitivo al roof. Incassò i complimenti senza battere ciglio, infilandoli da qualche parte a sostegno di ciò che rimaneva del suo amor proprio, fatto a brandelli da quel maledetto gatto nero.

Eppure si ostinava a guardare che ore fossero, a sobbalzare in ansia tutte le volte che sentiva voci nuove entrare in sala. 

Il suo gruppo si presentò, alla fine del giro, ma lui non c’era.

Se ne era andato! Ma era quello che voleva, no?
No, non lo voleva.
Sì che lo voleva, altrimenti non lo avrebbe trattato con quella freddezza
Ma no, era disperato all’idea che fosse svanito nel nulla...

Imbastì una serie di scuse convincenti e scese a perlustrare il territorio.

L’ultimo gruppo stava lasciando il padiglione.

Navigò controcorrente verso la sala che intanto si era svuotata.

Kurō era lì, seduto al centro della sala, su una panca, al cospetto del dinosauro.
Lo fissava attentamente e solo quando fu abbastanza vicino si accorse di lui.
“Però. È impressionante.”

Si spostò lentamente per fargli spazio. Kei, in silenzio, si sedette accanto a lui, percependo chiaramente il calore del suo corpo.

“Ci sono voluti quattro anni per ricostruirlo a partire dai fossili che abbiamo ritrovato.”
“E tu sei stato bravo, vero?”
“Sì.”

Era la verità.

“Sai che cosa mi sembra, visto da qui? Un giocatore che sta aspettando la palla! Osserva bene: le zampe posteriori piegate, una in avanti, le zampe anteriori tese verso l’alto. Un Mikasa o un meteorite?”

Kei sorrise. La tensione stava inspiegabilmente scemando.

"Vediamo... se dall'altra parte della rete ci fossero Ushijima, o Azumane... forse la seconda delle due!" Esclamò
Kurō ridendo.

“Non riesci proprio a pensare ad altro che non sia la pallavolo?” Replicò Kei con il tono ironico che riservava a persone come Hinata e Kageyama, alle persone assurde, insomma.

Si aspettava una risposta a sua volta ironica ma così non fu.

Kurō si era girato verso di lui, ignorando ora il bestione fossile.
“A dire il vero, in questo momento sto pensando ad altro…”

Gli occhi del gatto trafficavano con i suoi e Kei lo avvertiva chiaramente ma non riusciva a capire né a chiedergli perché lo stesse fissando così.

“Professor Tsukishima, il sindaco vorrebbe salutarla.”
La solita solerte giovane addetta del Museo interruppe il flusso dei suoi pensieri.

Kei si alzò di scatto. Meglio tagliare corto.

“Devo andare. Spero che la visita sia stata di tuo interesse.”

Kei…”

Si voltò lentamente verso la voce che lo aveva chiamato per la prima volta con il suo nome.

“Sì…”
“Hai un po’ di tempo, più tardi? Per bere qualcosa.”
“Con me? Non hai nulla di meglio da fare?”
“È proprio la cosa migliore che io possa fare, invece.”

Kei stemperò la confusione nell’unica maniera che gli era congeniale. Pianificando.
A quel punto, non gli importava di essere un rimpiazzo per passare un po’ di tempo se Bokuto non era disponibile. 

“Fra tre quarti d’ora sono libero. Il Museo chiude ma la caffetteria resta aperta. Mi trovi lì.”

 
   
 
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