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Autore: MelaniaTs    22/04/2024    0 recensioni
Boston è una cittadina fiorente e bellissima, ordinaria sotto certi aspetti ed anche molto conservatrice. Adelaide Thompson, cresciuta nell'alta borghesia Bostoniana, non vede l'ora di spiegare le ali verso la libertà. Gabriel Keller, però sembra pensare il contrario.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wing of freedom Saga dei Keller'
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COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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BROOKLYN

Il tempo trascorreva e più la mia relazione con Gellert andava avanti, più mi sentivo bene con me stessa. Gellert aveva due volti, quello freddo e distaccato che mostrava con i clienti e sul lavoro. E quello caldo e confortevole che riservava solo a me. Dubai nonostante fosse calda durante i mesi di novembre, dicembre e gennaio, era bellissima e accogliente. La gente era disponibile e il quartiere americano di nuova Dubai era accogliente. Mi feci nuove amicizie e curiosa cercai di imparare un po' della lingua araba, ovviamente ci sarebbe voluto tempo. Fortunatamente c'erano parecchi americani che vivevano a Dubai da anni, che potessero insegnarmi. Tipo la moglie di Von König, Nathalie Winter, proprietaria di una pasticceria di successo. 

Ogni pomeriggio passavo l'ora del the con lei e se disponibile la sua socia Khalida. Imparavo nuove parole e alimentavo la conoscenza delle usanze arabe.

La permanenza negli emirati stava per giungere al termine e di Alaska ancora non si sapeva nulla. Mi sentivo con London, adesso in Grecia al posto di mamma e papà. Le ricerche proseguivano e pensavano per il meglio, fin quando non c'era il ritrovamento di un corpo, la speranza di ritrovare Alaska era sempre vivida. 

Lasciammo Dubai con comodità, quando James ci chiese di trasferisci alla sede di Shangai per alcuni contratti. Per l'occasione anche sua moglie Nathalie ci accompagnò. Le pratiche si susseguirono per circa quindici giorni. Tuttavia riuscivamo a tagliarci degli spazi per noi, per uscire con James e Nathalie e per andare a fare spese in vista del matrimonio di Shu Yan e Li Son. La pancia adesso era molto evidente e dovevo trovare un abito elegante e che non mi facesse sembrare inadeguata.

Partimmo per Pechino che eravamo liberi dal lavoro e pronti per festeggiare il matrimonio. Trovammo gia anche Sabrina e Zora a casa di Shu, però io fui quella che riuscì a apprendere tutte col mio pancino evidente. 

"Sei incinta!" Esultarono Sho e Silvia abbracciandomi. Sabrina invece mi guardò scettica. 

"Dalla tua pancia evidente, quando sei stata a Francoforte già lo sapevi." Mi disse.

Feci una smorfia. "Ho fatto a casa tua il test di gravidanza." Ammisi dispiaciuta. "Sembrò grande perché sono due." 

"Gemelli!" Chiese Shu. "Sono prosperità."

E intanto che chiacchieravo avevo perso Gellert che si era fatto da parte con Li che si complimentava con lui.

Dopo un po' lo ritrovai che parlava con Zora soddisfatta del lavoro e delle consulting che stava aprendo con la sorella. In pratica era un periodo proficuo per tutti, l'unico motivo per cui non ero completamente felice era la scomparsa di Alaska. 

"Gellert!" Gli dissi raggiungendolo per poi sedermi accanto a lui. "Ti presento Silvia, l'ultima, ma mai ultima, delle mie amiche di penna. Silvia, lui è Gellert." Li presentai mentre la mia amica dai capelli rossi si sedeva accanto a noi. 

"È un piacere conoscerti Gellert, finalmente ci conosciamo." Gli disse stringendogli la mano. 

"Finalmente si! Adesso siamo al completo." Mi disse lui. Con Silvia infatti, anche lui aveva conosciuto tutti i miei amici. 

"Quando torniamo in Europa vengo a trovarvi in Svizzera, anzi potreste venire anche voi a Bologna da me." Ci invitò la mia amica. 

"Con piacere, anche se penso che ci vorrà un po' prima che riprendiamo a viaggiare. Almeno non prima della nascita dei gemelli." Rispose lui.

"Avete scelto già i nomi?" Chiese lei per fare conversazione . 

"Luna e Aurora." Dissi alla mia amica. 

"Lun...sono femmine?" Chiese raggiante Silvia. "Si! Non ho voluto fare troppo clamore per via del matrimonio. Ma saranno due bambine." 

"Vi preparerò dei regali bellissimi per la nascita."

Affermò allora lei.

"Di... di cosa ti occupi?" Le chiese Gellert. 

"Sono una stilista per bambini." Affermò. "Ho una linea commerciale e una seconda di pezzi unici e lavorato a mano. Preparerò per le vostre gemelle due splendidi vestiti battesimali, li ricamerò io personalmente." Esultò.

"Wow... fantastico. Sicuramente sarà un lavoro magistrale." Affermò Gellert. 

"Di cui vado fiera." Disse lei riempiendo il bicchiere di vino. "Verrò a trovarvi a Zurigo. Io ho un lavoro che posso fare ovunque." Affermò.

Sicuramente Silvia voleva conoscere meglio Gellert, delle mie tre amiche era l'unica a non conoscerlo ancora e probabilmente diffidava di lui.  

Io diffidavo più di me stessa che di Gellert. Temevo di fare le scelte sbagliate, come era accaduto con Jonathan. Temevo, anzi ero sicura, di starmi innamorando di Gellert. Per quanto lui non facesse nulla di sbagliato, avevo paura ad affidarmi completamente a lui. Non dopo quello che avevo passato con Jonathan.

Erano due sentimenti diversi, lo sapevo, mi sentivo completa con Gellert, al contrario di Jonathan, in tutto e per tutto. Noi due  avevamo un nostro equilibrio, con lui non mi ero persa. Al contrario che con Jonathan, non lo amavo e mi ero annullata completamente. Ma, c'era sempre un ma.  Se non ero obiettiva con Gellert? Se ne ero stata trascinata per via di tanti fattori? Lui mi aveva salvata dalla mia autocommiserazione, mi aveva mostrato che ero una donna in tutto e per tutto, infine portava in grembo i figli che lui mi aveva dato Non volevo che i miei sentimenti fossero influenzati da tutto questo. Dovevo capire se stavo vivendo una bolla di sapone o se effettivamente ciò che provavo era reale. Vivevamo alla giornata, anche se effettivamente ancora non avevamo mai affrontato l'argomento coppia. 

Una parte di me era convinta di amarlo l'altra parte invece scappava. Fortunatamente anche Gellert non si era mai esposto, non mi aveva detto dì amarmi e se lo avesse fatto, non sapevo come avrei reagito. Con Gellert mi bastavano i suoi gesti,  non avevo bisogno di parole. Le sue azioni nei miei confronti erano molto più importanti di un ti amo. 

Dopo il matrimonio di Shu tornammo a Zurigo. Io mi sentivo sempre più enorme e una volta a casa ebbi la sensazione che l'appartamento dove io e Gellert abitavamo fosse invece troppo piccolo. Assurdo ma vero, dovevo cercare casa! Era comodo vivere nella sede della KuK e dovevo rinunciarci per dare spazio alle mie gemelle. Ebbene ne era passata di acqua sotto i ponti in quei lunghi mesi. Non dissi a Gellert delle mie intenzioni, cercare un appartamento era anche un modo per essere indipendente e non dover rinunciare a me stessa. 

In quei mesi fortunatamente lo stipendio che mi era stato versato sul conto non era stato usato per molto, per cui avevo messo da parte un bel gruzzolo da poter avere anche un eventuale caparra. I contratti che avevamo portato avanti per Von König erano stati molto fruttuosi e anche quelli in Cina non erano da meno. Shu ci aveva presentato vari collaboratori con cui lavorava ed avevamo iniziato a prendere un bel giro anche lì. Eddy ne era estasiato, non si aspettava un botto del genere da parte nostra. Credo non si aspettasse neanche che io al momento fossi l'amante di suo cugino, ebbene sì avrei dovuto dire a Eddie e Ada che aspettavo le figlie di Gellert. Ma non avevo il coraggio, non lo avevo detto a lei e neanche più i miei genitori. Avevo paura di come avrebbero reagito, che avrebbero pensato allo scandalo e al momento avevano già tanti pensieri con la scomparsa di Alaska. 

Trasferirmi a Zurigo era la giusta conclusione delle mia vita, nessuno mi conosceva o mi giudicava e potevo anche essere una ragazza madre. Quindi dovevo prendere casa, era il passo più importante per farlo. Sinceramente non sapevo da dove cominciare, dovevo capire se restare in quella zona, pratica per il lavoro, o meno. Non sapevo neanche come Gellert avrebbe reagito all'idea che sarei andata via. 

Iniziai a vedere degli appartamenti seriamente, dovevano essere con cucina bagno e almeno due camere, le bambine non avrebbero dovuto dormire con me né più e né meno, infine dovevano avere un affitto ragionevole. Dopo aver iniziato a vedere qualcosa ed essermi fatta un'idea dovevo indubbiamente affrontare l'argomento con Gellert. Così attesi di portare prima a termine i contratti e il lavoro, dopodiché lo invitai a cena fuori. Avevo prenotato un tavolo nel nostro ristorante preferito. Non ci andavamo spesso era il luogo in cui festeggiavamo le buone riuscite dei contratti più importanti. Gellert fu infatti sospetto quando lo invitai. Probabilmente stava chiedendosi perché lo avessi portato lì. Una volta accomodati e dopo aver ordinato era andato infatti al dunque. Lo sapevo! Non gli sfuggiva nulla. 

"È successo qualcosa? Ci sono novità su tua sorella?" Mi chiese. 

Novità su mia sorella? No, purtroppo no. "Niente ancora. Speriamo ce ne siano presto." Affermai. 

"Quindi cosa ci porta qui questa sera?" Mi chiese. "Spero cose belle." 

Annuii. "In realtà sì. Sto prendendo in considerazione l'idea di prendere un appartamento, per me è un modo importante per crescere. Quindi sì! C'è tanto in ballo, non voglio abitare più dove stiamo e credo sia giunto il momento di andare a vivere da sola." Gli dissi velocemente temendo che mi interrompesse. 

Lui mi fissò, all'inizio sembrava interessato poi lo vedi sorpreso. Si mise comodo, bevve un sorso d'acqua e mi sorrise.

"Avevo pensato anche io di cercare casa." Affermò incrociando le dita lunghe e affusolate. "Anche se non avevo idea che tu volessi andare a vivere da sola." Disse facendomi sentire in colpa nonostante non ci fosse accusa nella sua voce. "Avevo pensato di cercare casa per entrambi, al limite insieme, ma forse la pensiamo diversamente." Mi disse.

Ingoiai il groppo. "Credevo che a te stesse bene la nostra sistemazione. È comodo vivere in ufficio." Gli dissi. 

"Ovvio che lo sia, soprattutto se sono solo. Ma non mi è comodo nel momento stesso in cui già siamo in due. I nostri vestiti sono sparsi in una valigia, non abbiamo neanche un armadio. Poi nasceranno le bambine e credo che anche tu sia giunta a questa conclusione, per questo motivo. Non possiamo vivere in uno sgabuzzino, soprattutto quando ci sono di mezzo dei bambini." Mi disse intanto che arrivava la cameriera con i nostri piatti.

Aspettammo che andasse via e Gellert riprese a parlare. "Hai già visto una casa? Io ne ho cercate, sinceramente alla fine sono giunto alla conclusione che nessuna casa fosse adatta a me." Affermò. "Probabilmente perché la soluzione era cercarla insieme." Mi disse ancora tagliando il suo filetto. "Però credo che sia relativa adesso la cosa, tu vuoi andare a vivere da sola, ovunque tu vorrai  andare, io cercherò qualcosa di vicino. Come ti ho detto tempo fa, sarò al tuo fianco e sarò parte integrante di te voglio e della nostra famiglia. Voglio far parte della crescita dei nostri figli e il meglio per te stessa." Concluse riprendendo a mangiare. 

Non sapevo cosa dirgli. Ero spaventata, lui era impassibile come sempre e come sempre avrei dovuto decifrarlo. Gellert era sempre stato sincero con me, comprese le sue intenzioni. Decisamente il minimo che potevo fare era dirgli la verità su ciò che provavo.

"Mi farebbe piacere poter vedere una casa con te, ciò che temo però è di diventare troppo invadente nei tuoi confronti." Ammisi cercando il suo sguardo. "Non voglio obbligarti a fare cose che non ti senti di fare, soprattutto non voglio approfittare di te, per questo ti avevo escluso." Ammisi, lui annuì ed io andai avanti. "Da quando siamo rientrati, ancora non sei stato a trovare i tuoi genitori a Monaco. Semmai scoprissero della gravidanza potrebbero pensare che io ti abbia incastrato." Gli dissi rivelandogli la mia paura più grande, adoravo Inga e Taddheus. "Io non voglio questo, proprio perché abbiamo sempre avuto un rapporto schietto e sincero. Io voglio che tu sia libero di fare le tue scelte e per questo che mi sono mossa da sola in modo individuale. Anche se non so da dove iniziare, non ho mai preso una casa e ne ho un'idea astratta su come dovrebbe essere." Ammisi, ero abituata a vivere in abitazioni lussuose. Jonathan mi aveva portato a vivere dai suoi, cosa ne sapevo di casa se non assolutamente nulla. "So solo che cerco l'essenziale per tutti. Con un bagno e una vasca." Ammisi marcando su questo ultimo punto. "Mi sarebbe piaciuto farlo con te, ma... ho paura di deludere te e i tuoi genitori." Ammisi infine abbassando lo sguardo. "Scusami forse avrei dovuto parlarti prima di tutto ciò che mi passava per la testa." Dissi rialzando lo sguardo, Gellert solo una cosa mi aveva chiesto nel nostro rapporto. Parlarci e non avere paura di ciò che dicevamo, abbassare lo sguardo significava nascondersi, .

Lui mi fissò attentamente, esalò un profondo respiro prima di rispondermi. Il suo sguardo era limpido e sincero, non sembrava deluso. "I miei genitori verranno a trovarci qui." Mi confessò stupendomi. "Mamma sta prendendo tempo, vorrebbe essere presente alla nascita delle gemelle." Ancora restavo basita ad ogni sua parola, sapevano delle gemelle e della gravidanza. "Loro sanno tutto, fu mamma a dirmi che probabilmente eri incinta. In quel momento le dissi anche che se Pamela avrebbe continuato ad essere capricciosa e indisponente, non sarei tornato a Monaco." Disse affrontando quell'argomento che per me era una spina nel fianco. "Non so cosa cazzo le sia preso, ma non mi piace il suo atteggiamento. Lo ha con me e non con nostro fratello maggiore ed è inaccettabile. Lo sa Pamela, lo sanno i miei genitori e lo sa mio fratello che non vive a Monaco." Mi confidò parlandomi anche di suo fratello maggiore che non conoscevo ancora poiché viveva in America. 

"Non voglio che litighi con tua sorella per me." Affermai. 

"Non sto litigando con lei, non mi piace alzare la voce, non mi piace scontrarmi con un mulo." Ammise lui. "Inoltre non lo faccio per te, ma per me stesso. Rispetto le scelte degli altri, loro dovrebbero fare lo stesso con me. Soprattutto se le mie scelte mi fanno stare bene." Mi confidò. 

Sorrisi contenta che lo facessi stare bene. "Potresti pentirtene un giorno." Gli dissi. 

Lui mugugnò. "Mamma e papà stanno organizzando il loro lavoro per essere presenti alla nascita delle loro prime nipotine. Mio fratello è contento per me, Joel ti adora, le tue amiche mi hanno accettato, tua sorella mi adora anche se non lo ammetterà mai." Disse compiaciuto. "Direi che per ora non avrei nulla di cui pentirmi. E tu?" Mi chiese. 

Mi pungevano gli occhi dall'emozione. Io? Io non sapevo cosa rispondergli se non che volevo stare con lui. "Io non mi sono mai pentita di tutto ciò che abbiamo fatto fino ad oggi." Gli rivelai.

Gellert allungò la mano verso la mia prendendola. Intrecciò le nostre dita e mi guardò. "Non ho ancora un nome per ciò che sento. Non so neanche se tu saresti pronta a sentirlo."

Mi confidò. "So solo che voglio camminare al tuo fianco un passo alla volta." 

Chiusi gli occhi, piangevo, sentivo il volto umido. Quelle erano le parole più belle che potesse dire, mi comprendeva. "Non ho bisogno di sapere nulla, quello che devo sentire lo percepisco già."  Ammisi riaprendo gli occhi. "Sono una stupida, piango senza motivo." Dissi cercando di ironizzare.

"Piangi perché hai fatto raffreddare la tua carne." Ironizzò lui.

Io scoppiai a ridere. "Sei una cosa assurda."  

Lui rise. "Quindi? Vuoi o no una casa insieme? Ti avverto, dovrà avere almeno tre stanze, perché i miei genitori verranno sempre a trovarci. Loro, Joel , la tua amica Silvia che si è invitata ultimamente, aspetto anche i tuoi genitori." Mi disse.

Ecco! Lui era stato più pratico di me, non due ma almeno tre stanze.

"Voglio una casa insieme a te. Comoda e pratica, inoltre sono pessima in cucina, però sono ordinata e pulita." Ammisi 

"Voglio una casa insieme a te anche io. Dovrà essere essenziale, non  verrà utilizzata sempre poiché viaggeremo sempre. Ma voglio una casa nostra con te! Non devi sentirti obbligata perché ti ho detto che volevo fare questa cosa insieme, voglio che tu sia libera di decidere per te stessa. Sei sicura di volerlo Brook? Se vuoi che viviamo insieme, vivremo insieme. Se vuoi vivere da sola vivrai da sola non è un contratto il nostro è una scelta. L'importante è che decidi tu, non voglio manipolarti come hanno fatto già altri." Mi disse sincero e comprendevo benissimo ciò che stava dicendomi, ero stata manipolata per anni da Jonathan e i suoi genitori. "Non so se comprendi la mia motivazione e il motivo per cui non ti avevo detto ancora proposto della casa.

Volevo affrontare l'argomento e decidere con te, perché semmai dovessi comprare una casa la comprerei per noi." Concluse per la prima volta usando il termine noi. Voleva comprare una casa e non prenderla in affitto. 

"Devo dire lo voglio o lo rifiuto?" Gli chiesi avvertendo la sua insicurezza. Comprare non era al pari di affittare, comprare era qualcosa di più solido.

"Devi dirmi tu Brook, siamo due persone distinte che devono prendere una decisione insieme da solo io non decido niente che ci riguardi." Mi disse.

Sospirai stringendogli la mano unita alla mia. Lo volevo?  "Andiamo a cercare una casa." Acconsentii, era un salto nel buio. Ma come mi aveva appena detto, ci saremo andati insieme un passo alla volta, senza pressioni. 

Non fu facile trovare una casa. Alla fine scoprii che Gellert non voleva vivere in un appartamento troppo vicino all'ufficio. Voleva allontanarsi dal Bahnhofstrasse per fuggire anche dal lavoro. Nel momento in cui aveva una casa, voleva dedicarsi alla sua famiglia. Dal momento che mi parve più che giusto lo assecondai. Andammo quindi alla ricerca di una casa più in periferia, ma abbastanza comoda per arrivare al centro finanziario di Zurigo anche con i mezzi pubblici.

 

GELLERT

La mia carriera era in ascesa. Non potevo nascondere che non ne fossi soddisfatto, era un periodo proficuo a livello professionale e personale. Brooklyn era diventata parte integrante della mia vita in qualsiasi istante. Con lei volevo e desideravo prendermi degli spazi che non includessero solo contratti e leggi. Fino a quel momento, ad esempio, con James Von König nonostante il bel rapporto, non eravamo mai usciti come amici. Da quando c'era Brooklyn invece avevamo ampliato la nostra conoscenza. Brooke aveva iniziato a frequentare Halum e Nathalie e di conseguenza ci eravamo trovati ad uscire insieme. Non mi aveva imbarazzato farlo, né James si era sentito a disagio nel momento stesso in cui aveva messo da parte l'uomo d'affari per dedicarsi ai suoi due gemelli di diciotto mesi. 

Stavo bene, mi piaceva quella vita. Mi piaceva anche socializzare, cosa che non mi sarei aspettato. Quando sentivo Joel ne dava tutto il merito a Brooke e sinceramente non potevo negarlo. 

Il fatto che nel mio giro di amicizie iniziavo a includere altre persone come Li Son, James  e Zora, significava uscire dalla mia confort zone. Quella creata con Joel, Didier e Sonia, zona che comunque era andata a infrangersi nel momento stesso in cui i miei amici avevano iniziato a fare coppia fissa. Io stavo rinascendo e questo grazie a Brooke.

Al matrimonio di Lì Son e Shu Yan capii comunque che strada da fare ce n'era ancora. Quando incontrai Silvia Morandi, la terza amica di Brooklyn capii subito che non le piacevo. Durante il periodo a Pechino infatti, non permise mai a me e Brooke di restare da soli. Manipolava anche le nostre notti affermando che avevano tanto da recuperare. 

"Verrò a trovarvi quanto meno ve lo aspettate, il prima possibile." Ci disse quando ci salutammo all'aeroporto. 

Sapevo che era sincera, perché nel dirlo mi lanciò uno sguardo molto più eloquente di un guanto di sfida. Non si fidava di me! 

Ma tornammo in Svizzera, finalmente eravamo di nuovo solo io e Brooke e la cosa mi fece più che piacere.

Anche se appena tornammo a casa mi sentii soffocare. Non comprendevo all'inizio cosa fosse quella sensazione che avevo provato, ne parlai così con Joel appena ci sentimmo, gli dissi come mi sentivo e lui si fece raccontare cosa era stata la causa scatenante di quella sensazione. Gli raccontai quindi che prima di partire ero stato bene e anche a casa di Sabrina, dove eravamo stati stretti, ero stato bene.  Ovvio negli emirati arabi ero stato molto meglio che altrove, lavoravo e mi rilassavo anche. 

"Probabilmente la città ti sta scomoda." Mi rispose il mio amico. "Vieni da un posto dove comunque hai vissuto in modo più rilassato. Mi hai detto che con Brooke uscivi, abitavate in albergo e andavate in giro, che lavoravi alla Von König. Mi hai detto che anche in Cina siete state accolti in una villa e andavi a lavorare in ufficio. Adesso sei tornato nel tuo appartamento e io lo conosco quel posto. È piccolo e angustiante e fin quando lo usi per lavorare va anche bene. Ma lì ci vivete anche, da solo ci stavi ovviamente  bene." "Dici che il problema sia l'ufficio?" Chiesi scettico. 

"Gel io lo conosco il tuo ufficio. Ci sono delle finestrelle che servono appena per far passare l'aria." Mi disse Joel.  "Probabilmente è proprio l'ufficio il tuo problema, a Dubai avete avuto molto più spazio per muovervi, inoltre mi hai confermato che non ci lavoravi."

"Perché andavo negli uffici. James ce  ne ha assegnato uno sia a Dubai che a Shangai."

"Appunto, forse nel tuo inconscio il lavoro ti sta soffocando, oppure soffoca la tua relazione con Brooke." Mi disse.

"Ma io amo il mio lavoro e amo farlo con lei." Gli dissi. "Perché dovrei sentirmi soffocare dal momento che l'ho fatto anche a Dubai? 

"Probabilmente, te lo ripeto,  perché a Dubai avevi il vostro spazio, vivevate in una suite e andavate alla sede della Van König, dove hai avuto un ufficio. Non parliamo di quando sei stato in Cina, non mi riferisco a Shanghai, parlo di Pechino lì eravate praticamente in vacanza. Sinceramente Gellert non andiamo in vacanza da quando abbiamo finito il Santa Maria, ci metto anche me che quando non ero all'università ritornavo a casa da mia madre. Comunque, dopo tanto tempo ti sei preso una vacanza e adesso ti senti soffocare dagli impegni poiché non hai un distacco. Non esci dall'ufficio e vai a casa."

"Non ho una casa." Affermai. 

"Perché non ne sentivi l'esigenza." Mi disse lui. "No! Prima ero solo, adesso c'è Brooke e tra qualche mese nasceranno le gemelle." Gli dissi. "La sto facendo dormire su un letto scomodissimo." 

Joel sorrise oltre la cornetta. "Vuoi che stia bene. Parlane con Brooklyn vedi se anche lei ha provato questa sensazione di soffocamento. Cercate una casa."

Assentii. Era Brooke la mia casa, ero convinto che ovunque ci fosse lei sarei stato a casa. Che senso aveva l'analisi che mi aveva fatto Joel. Che ne sapeva di tutte le volte che rientrati in suite ci liberavamo degli stereotipi lasciandoci andare al disordine? Di tutte le volte che facevamo l'amore ovunque ci facesse piacere? E di quando urlavamo senza senso? 

Mi guardai intorno allo spazio angusto della stanza dove dormivamo. Era squallida! Aveva ragione Joel, non era una casa ma una topaia dove poteva rifugiarsi solo un poveraccio senza anima. Io non ero così. Forse prima mi concentravo solo sul lavoro, ma adesso avevo altre priorità. 

"Gellert?" Mi chiamò Brooke, doveva essere rientrata.

La raggiunsi, aveva un sacchetto con la nostra cena in una mano e uno dei miei vestiti nell'altra. "Puoi posare la cena? Vado a sistemare il vestito e possiamo mangiare." Mi disse andando nella stanza dei vestiti sparsi. 

Non aveva neanche un armadio tutto suo. Decisamente dovevano trovare casa. Dovevo guardarmi intorno.

Scoprii solo dopo che contemporaneamente anche Brooke stava cercando casa. 

"Vado a vivere da sola." Quando me lo disse rimasi di pietra.

Voleva lasciarmi? Così di punto in bianco non me l'aspettavo. Mi sentiii stringere il cuore, mi presi tutto il tempo per rispondere per cercare di rimanere impassibile.

"Avevo pensato anche io di cercare casa. Anche se non avevo idea che tu volessi andare a vivere da sola." Dissi confessandole tutta la verità. "Avevo pensato di cercare casa per entrambi, al limite insieme, ma forse la pensiamo diversamente."

Composta come sempre mi rispose. "Credevo che a te stesse bene la nostra sistemazione. È comodo vivere in ufficio." 

"Ovvio che lo sia, soprattutto se sono solo. Ma non mi è comodo nel momento stesso in cui già siamo in due. I nostri vestiti sono sparsi in una valigia, non abbiamo neanche un armadio. Poi nasceranno le bambine e credo che anche tu sia giunta a questa conclusione, per questo motivo. Non possiamo vivere in uno sgabuzzino, soprattutto quando ci sono di mezzo dei bambini." Le dissi dicendole in breve i miei motivi. Intanto la cameriera ci portò le nostre ordinazioni.

"Hai già visto una casa? Io ne ho cercate, sinceramente alla fine sono giunto alla conclusione che nessuna casa fosse adatta a me. Probabilmente perché la soluzione era cercarla insieme." Ma mi ero illuso, pensai tagliando il suo filetto. "Però credo che sia relativa adesso la cosa, tu vuoi andare a vivere da sola, ovunque tu vorrai  andare, io cercherò qualcosa di vicino. Come ti ho detto tempo fa, sarò al tuo fianco e sarò parte integrante di te voglio e della nostra famiglia. Voglio far parte della crescita dei nostri figli e il meglio per te stessa." Le dissi iniziando a mangiare, non l'avrei soffocata e obbligata a stare con me. 

"Mi farebbe piacere poter vedere una casa con te, ciò che temo però è di diventare troppo invadente nei tuoi confronti. Non voglio obbligarti a fare cose che non ti senti di fare, soprattutto non voglio approfittare di te, per questo ti avevo escluso." Mi disse lasciandomi basito, quello che aveva appena detto lo provato io. "Da quando siamo rientrati, ancora non sei stato a trovare i tuoi genitori a Monaco. Semmai scoprissero della gravidanza potrebbero pensare che io ti abbia incastrato." La sentii dire, a quelle parole risi tra me e me. I miei genitori l'amavano ed erano felicissimi all'idea di avere altri nipoti e soprattutto che potessero vederli spesso e conoscerli e intanto che Brooke parlava io annuivo, stava temendo il peggio e non sarebbe andata in quel modo. "Ho paura di deludere te e i tuoi genitori."

Con quell'affermazione la affrontai definitivamente. I miei genitori l'adoravano e non vedevano l'ora di raggiungerci. Le dissi tutta la verità, se erano loro il problema aveva capito male. Sentivo mamma una volta a settimana ed era fremente per quando sarebbe tornata. Brooke doveva capire che non era la mia famiglia che ci avrebbe fermato. 

"Voglio una casa insieme a te anche io. Dovrà essere essenziale, non  verrà utilizzata sempre poiché viaggeremo sempre. Ma voglio una casa nostra con te!" Le dissi stringendole la mano. "Non devi sentirti obbligata perché ti ho detto che volevo fare questa cosa insieme, voglio che tu sia libera di decidere per te stessa."

Le chiesi, non volevo soffocarla, per questo era importante mettere le cose in chiaro, dopo non saremo potuti tornare indietro. "Se vuoi che viviamo insieme, vivremo insieme. Se vuoi vivere da sola vivrai da sola non è un contratto il nostro è una scelta. L'importante è che decidi tu, non voglio manipolarti come hanno fatto già altri.Non so se comprendi la mia motivazione e il motivo per cui non ti avevo detto ancora proposto della casa." Non volevo essere un altro Jonathan nella sua vita, volevo che fossimo un noi. 

"Volevo affrontare l'argomento e decidere con te, perché semmai dovessi comprare una casa la comprerei per noi." Ammisi rivelandole le mie intenzioni . 

"Devo dire lo voglio o lo rifiuto?" Mi chiese titubante.

"Devi dirmi tu Brooke, siamo due persone distinte che devono prendere una decisione insieme da solo io non decido niente che ci riguardi." Le dissi ricordandole che non l'avrei mai manipolata.

Sospirò stringendomi la mano che le tenevo.  "Andiamo a cercare una casa."

Appena disse quella frase mi sentii più leggero. L'avremo fatto insieme, avremo continuato insieme quel percorso. 

Avevo le idee chiare su ciò che volevo, che le avesse anche lei era meglio. Entrambi cercavano qualcosa di essenziale, in più io cercavo qualcosa lontano dall'ufficio. Trovammo una villetta a due piani poco fuori il Bahnhofstrasse, sul lago di Zurigo e in una zona residenziale, nei pressi c'erano un parco e le scuole dal nido alle secondarie. Era l'ideale per noi! 

Ottenemmo facilmente il mutuo, anche grazie all'intervento di Joel che ci fece da garante attraverso la London Banks. Meno di un mese ed eravamo diventati proprietari di una splendida villetta sul lago di Zurigo. Avremmo dovuto fare una piccola ristrutturazione esterna, anche se io e Brooke concordammo che per il momento non era il caso. Avremo fatto svolgere i lavori una volta partiti per la Cina o gli Emirati così gli operai, e anche noi, non avrebbero avuto intralci. 

A metà aprile Joel venne a darci una mano col trasloco, se così potevamo chiamarlo. Inoltre sorprendendoci ci regalò un letto a cassonetto come augurio per la casa. 

"Sei serio?" Gli chiese Brooklyn quando vide il camion del mobilificio.

"Certo! Stanotte vorrei dormire in un bel letto confortevole." Disse a entrambi mentre scaricavano. "Tranquilli, è moderno come la vostra casa."

Io e Brooklyn ci guardammo. Il letto era realmente moderno, era un matrimoniale a contenitore, i cassetti sotto il materasso e la struttura erano neri. Il materasso era grande e rigido al punto giusto. Ad accompagnare il tutto un copriletto sempre nero. 

"Spero che le lenzuola le abbiate." Ci disse Joel. 

"Quanto hai intenzione di restare?" Gli chiesi. 

"Ho assistito alla nascita del mio nipotino, posso perdermi quella delle gemelle?" Mi rispose abbracciandomi soddisfatto.

"Cosa succede?" Gli chiesi. Dimostrava fin troppa allegria e disinvoltura e non era da lui.

"Fammi stare un po' qui! In fondo sono il tuo garante." Chiese lui. 

Con un colpo di tosse Brooke attirò la nostra attenzione. "Sistemo le pentole e i contenitori nei mobili." Disse uscendo dalla stanza. "Voi mettete in ordine gli armadi e dal momento che lo hai comprato, svuota la valigia Joel e riempi il tuo letto." Disse rivolta a Joel prima di sparire. 

"Ha capito al volo che avevo bisogno di parlarti." Dissi. "Quella donna merita tutto il mio cuore." 

"Sei stato molto fortunato." Mi disse Joel aprendo la sua valigia. 

"Mi spieghi da chi stai scappando? Avevo capito che gli zii erano tornati a Boston dopo la nascita di Alberto." Gli chiesi diretto. 

"Ho litigato con Micaela e questa volta non si torna indietro." Mi rispose. "Questo è un luogo neutro, mamma e tutta la famiglia non potranno trovarmi qui." 

"Come sono andati i fatti?" Gli chiesi. Ero a conoscenza della cotta di Micaela, anche se pensavo che Joel riusciva a gestirla. 

Lui invece sospirò. "Mi ha affrontato direttamente, nel Kleinsten quando è nato Alberto." Mi raccontò. "Ha detto che la vita è imprevedibile dopo la prematura scomparsa della sua migliore amica." 

"Cioè vuole morire?" Gli chiesi. 

Scosse la testa. "Mi ha chiesto di metterci insieme, perché è innamorato di me e non gli importa se sono più grande di nove anni. Che mi ama e dovremmo stare insieme."

"Ha snocciolato tutto." Dissi sospirando.

"Al che ho dovuto dirle di no! Questa volta non ho potuto o nascondermi. Le ho detto che ero innamorato di un'altra, anche se non era andata a buon fine. Tommy le ha poi confermato che amo ancora Sonia, lei non se lo aspettava. Credeva mentissi anche se ci ha provato ancora. Mi ha detto che non eravamo destinati e che capiva il le volessi molto bene e quindi potevamo stare insieme. Mi avrebbe aiutato a dimenticare Sonia."

"Effettivamente potevi provarci." Gli dissi.

"Preferendole che sarebbe stata una prova."

"Stavo per accettare infatti. Ma lei parlava: con me sarai felice, quando sarai pronto ci sposeremo e metteremo su famiglia." Il suo sguardo azzurro divenne cupo. "Quando ha cominciato a parlare di famigli, ma soprattutto di avere dei figli nostri, l'ho fermata. Le ho detto che anche se avessi accettato la sua proposta e ci fossimo sposati, noi non avremmo mai avuto dei figli." 

Tacqui chiudendo il cadetto dove avevo messo alcuni maglioni e sedendomi sul letto. "Non vuoi dei figli?" 

Joel sospirò sedendosi accanto a me. "Certo! Ma se questo implica lo stesso calvario di Mà preferisco rinunciare." 

Giusto! La zia Marina era morta in seguito a delle complicanze durante la gravidanza di Micaela. 

"Ha fatto la pazza." Continuò Joel. "Mi ha urlato contro che non potevo impedirle di avere figli e che ne avremmo avuti. Al che io le ho detto che avevo promesso a Mà di proteggerla, non di farla morire e che per amor suo non avremo mai avuto dei figli." 

Sorrisi. "Hai rivelato anche la tua cotta per la zia Marina."

"La adoravo, ovvio che glielo abbia detto." Dissi. "Lei di è rimasta malissimo, anche perché poi tuo zio si è detto d'accordo con me che era meglio andarci piano al pensiero di mettere su famiglia." 

"Ci siete andati giù duri." Affermai. 

"Lei è arrabbiata con tutti. Ha detto che sarebbe tornata a Boston per conoscere il figlio di Gabriel, poi sarebbe ripartita. Aveva bisogno di allontanarsi da tutti." 

"Lo zio ha accettato? Credevo che dopo il naufragio fosse diventato più protettivo." Dissi. 

"Sai del naufragio e della sua amica quindi." Mi disse.

Annuii. London mi aveva subito messo a conoscenza dei fatti, Philip Hoffman aveva dirottato il suo yatch e nel farlo, la sorella di London e un marinaio erano annegati e morti. Mi era dispiaciuto molto per London e la sua famiglia, era stata una vera tragedia. "London mi ha contattato per assorbire la società di Hoffman come riscatto per la scomparsa della sorella." Spiegai. 

Lui sospirò. "È stata una tragedia e ha avuto ripercussioni su tutti noi. La mamma ha convinto tuo zio a lasciarla partire. Ora più che mai è meglio non opprimerla, non sappiamo come potrebbe reagire." Mi disse. 

"Vedrai che le passerà, per lei sarebbe una cotta, giusto?" Gli chiesi cercando di capire se c'era dell'interesse da parte sua. 

Joel si stese. "Lo spero. Anche perché le voglio bene come una sorella." Ammise. "Quindi posso restare qui?" 

"Sonia e Didier verranno sicuramente a conoscere le gemelle." Gli ricordai. 

"Farò l'indifferente, come sempre."  Rispose con una risata cinica. "Sono diventato proprio una brutta persona." 

"Non è vero, sei sempre splendido e metti sempre gli altri prima di te." Gli dissi con una pacca. "Vedrai, un giorno sarai felice anche tu." 

"Gellert!" Mi chiamò dal basso Brooke. 

"Eccomi!" Le risposi. 

"Dove hai messo  le scatole di Silvia? I traslocatori stanno andando via e non le trovo." Mi urlò.

Le scatole di Silvia. Feci mente locale per poi guardare Joel. "Dove abbiamo portato la macchina per cucire?" Chiesi.

"Qui.... Ho messo tutti gli scatoloni in un angolo quando hanno montato il letto. Chi cazzo è Silvia?" Mi chiese. 

Sollevai una mano. "Brooke sono qui,  macchina del cucito compresa." 

"Perfetto! Vi aspetto giù, ho ordinato la cena." Rispose lei. 

"Tra un po' si mangia." Esultai. "Silvia è un'amica di Brooke. Arriverà la prima settimana di maggio, fortunatamente non prima." Gli risposi. 

"Non ti piace?" Mi chiese lui divertito. 

Feci spallucce. "Io non piaccio a lei."

   
 
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