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Autore: Dorabella27    23/04/2024    13 recensioni
"Il mattino ha l'oro in bocca", dice il vecchio adagio. E la frase è diventata anche una allusione, spesso divertita, talora macabra, a una certa sequenza di un film di Kubrick. Qui, però, ci atteniamo al primo valore, quello classico, del detto popolare.
Si tratta di una piccola OS, che mette al centro del racconto un personaggio molto amato di RoV, ma che, spesso, trascende nel pittoresco, con le sue minacce al nipote e il mestolo (la "cucchiarella", se ben ricordo l'espressione napoletana per indicarla) brandito a mo' di spada. Eppure, anche quello di Nanny è un personaggio pieno di spessore, e tragico ...
Grazie a tutte le amiche e gli amici che mi sono stati vicini in questa lunga ...media, diciamo, assenza, da queste pagine virtuali: questa storia è anche per loro, per ringraziarli della loro presenza e delle loro parole.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il mattino ha l’oro in bocca
1
Non riusciva più a dormire, e l’alba era ancora molto, molto lontana. Non era la prima volta, ma non si era mai svegliata tanto presto: l’orologio nella sua stanza, un regalo di Madame la Comtesse per i suoi settant’anni, ancora non segnava le quattro del mattino; il che, in quella stagione dell’anno, significava che il mondo sarebbe rimasto avvolto nel buio ancora per due ore abbondanti.
Tanto valeva, dopo le sue consuete orazioni, alzarsi, vestirsi con tutta calma e iniziare a scendere nelle cucine, per attendere che il palazzo si animasse come ogni giorno, e per raccogliere le idee: quel giorno c’era tanto da fare! Sarebbero state per prima cosa avviate le grandi pulizie che preludevano alla primavera, e poi avrebbero dovuto arrivare i fornitori per le consegne: carne, vino, formaggi, granaglie, frutta e pesce. Quest’ultima consegna era particolarmente importante, perché in serata il Generale attendeva ospiti a cena: il Generale Bouillé, nientemeno, con la consorte e il figlio maggiore, Tenente Colonnello di belle speranze, e poi una serie di ufficiali dello stato maggiore. Il menu approvato dal generale comprendeva ostriche e un elaborato piatto a base di pesce di fiume, e di entrambi i prodotti occorreva controllare l’assoluta freschezza, per non rischiare una inedita figuraccia, indegna della nomea dell’ospitalità dei Jarjayes.
E poi, avrebbe dovuto supervisionare la lucidatura degli argenti e dei cristalli per la tavola; per fortuna Madame la Comtesse Marguerite, che avrebbe presenziato alla cena, e che sarebbe giunta nel primo pomeriggio a Palazzo dalla Reggia, aveva già scelto, quando, alcuni giorni prima, aveva pernottato a casa, la tovaglia e i tovaglioli: un etereo capolavoro in pizzo di Burano, cui avevano lavorato per tre anni dodici ricamatrici a tempo pieno, e che era stato donato alla famiglia Jarjayes, e alla Contessa in particolare, da un ambasciatore veneziano, il quale, dopo essere stato ricevuto da Re Luigi XV, si era trattenuto per qualche giorno a Palazzo Jarjayes, omaggiando poi la famiglia del Generale, e segnatamente la sua consorte, con quel preziosissimo regalo, giunto in uno scrigno intarsiato e istoriato d’avorio, degno di conservare un tesoro.
Ma sì, pensò Nanny, non si dice forse che il mattino ha l’oro in bocca? Così si ripeteva mentre attraversava il corridoio del piano nobile per poi scendere in cucina, non senza dare un’occhiata qua e là, alla fievole luce della bugia che reggeva con la destra gelata, per controllare che tutto, tappeti, vasi di fiori, statue, fosse in quell’ordine perfetto di cui lei era da decenni la severa vestale.
E fu allora che li vide.
La porta che dava sul piccolo appartamento di Madamigella Oscar era socchiusa: ne uscì con fare circospetto una figura che reggeva a sua volta una candela. Nanny si irrigidì e, immediatamente, spense con un soffio la candela e si appiattò nel buio, dietro il fitto tendaggio che si apriva ai lati di un quadro della scuola di Poussin, e che consentiva alla tela di esibire la sua bellezza come su un palcoscenico. Tremava, intuendo quel che avrebbe visto: perché era chiaro che la Natura non si poteva ingannare né soffocare in nessun modo, e Madamigella Oscar, bella com’era, per quanto virtuosa, non poteva certo tacitare per tutta la vita i suoi bisogni e certo anche i suoi sentimenti femminili.
Poi, però, la buona vecchina si sentì trafiggere il cuore da una seconda spada: perché l’uomo che stava uscendo dalla porta, pur nel buio fitto, era inconfondibile, con quell’altezza imponente, e quelle spalle possenti, a stento contenute dalla camicia candida che spiccava nella tenebra, e quei capelli corvini sciolti sulle spalle. Nanny si sentì fremere dalla paura, dallo sdegno, dalla rabbia: se vedere, un secondo prima, un uomo che usciva dalla camera di Madamigella Oscar l’aveva sconvolta, capire che quell’uomo era suo nipote ora la metteva in uno stato che definire fuori di sé era riduttivo. Lo sapeva!
Lo aveva sempre saputo!
Madamigella Oscar, quella splendida donna che lei aveva allevato fin dai primi giorni di vita con tutte le cure e l’abnegazione di cui era stata capace, era troppo bella, nonostante conducesse quella vita così sacrificata, troppo eccezionale per non suscitare l’amore di suo nipote.
 Lo sapeva! Come pure sapeva, altrettanto bene, che, prima o poi, anche lei si sarebbe accorta di André, e del muto, ma evidente amore, che le manifestava ogni giorno, con tutti i suoi sguardi, i suoi gesti, le sue parole, con la sua stessa vita!
Lo sapeva!
E ora? Ora avrebbe dovuto manifestare a quel disgraziato di suo nipote tutto il suo sdegno, rimproverarlo, suscitare in lui il senso di colpa per l’enormità del sacrilegio commesso, e infine ricondurlo alla ragione… ma proprio mentre, velocissime, in meno di qualche secondo quelle reazioni passavano per la testa della povera Marie, ecco protendersi verso la guancia di André una mano bianca, eterea, dalle belle dita flessuose e delicate: era Oscar che si sporgeva sulla soglia per dare un’ultima carezza ad André, un ultimo gesto spontaneo prima che lui tornasse nella sua stanza (per singolare privilegio concessagli dal Generale, anch’essa sul piano nobile), per infilarsi nel letto gelido, e per ritrovarsi con lei al mattino, quando avrebbero ricominciato la finzione delle distanze rispettose, del rapporto fra servo e padrona, anzi, fra l’attendente e il suo ufficiale, rapporto confidenziale come è normale che sia in due individui che hanno condiviso e condividono tanta vita, ma che restano separati da un fossato incolmabile, fatto di titoli, rango, dovere verso la casata…Mentre pensava questo, Nanny si sentiva stringere già il cuore. E poi, poi, vide, per un attimo, un attimo solo, il volto dal pallore lunare di Oscar, la sua chioma biondissima che si stagliava nel buio, emergere oltre lo spacco della porta per dare un bacio ad André: un bacio pieno di abbandono e di passione, pieno di amore e anche di dolore per quel dover salvare le apparenze, e pieno di promesse per le notti successive. E, intravedendo la fisionomia di Oscar, arruffata e splendida, con gli occhi sfavillanti di felicità per l’amore corrisposto, Nanny si sentì terribilmente in colpa.
Perché doveva togliere alla sua Oscar, e anche a suo nipote, quella gioia? Una gioia che forse i due assaporavano insieme da tanto tempo, con la dolorosa prudenza richiesta dal loro caso. E già questo doversi nascondere era, forse, una penitenza sufficiente.
Senza contare che – Nanny arrossì al solo pensiero – André le ricordava tanto il suo povero marito, il nonno del suo ragazzo: e, per quanto anziana, Nanny non era ancora così vecchia da non ricordarsi il languore e l’abbandono, il senso di vuoto allo stomaco di quando lui la stringeva e la baciava, nella loro modesta casetta in Normandia, e di quando la salutava con un bacio stringendola nel letto ancora tiepido, prima di alzarsi, vestirsi e scendere al lavoro nella sua bottega di intarsiatore[1]. Davvero voleva privare Oscar anche di quella gioia?
Aspettò che André fosse scomparso, inghiottito dal buio, diretto verso la sua stanza che, fortunatamente, era al capo opposto del corridoio rispetto a quello dove Nanny già si trovava, vicina allo scalone d’onore.
Quando ebbe la certezza che la porta della stanza del nipote fosse chiusa, uscì dal suo nascondiglio, e, con prudenza, si mosse nel buio, fortunatamente conoscendo la casa a memoria, e raggiunse le cucine.
 
2
“Ancora un po’ di caffè, Oscar?”.
Servire la colazione alla sua “bambina” era da sempre un piacere per Nanny, anche se, negli anni, la dolce abbuffata a base di biscotti alla marmellata e al cioccolato, di croissant e cioccolata si era ridotta, spesso, a un caffé ingollato di fretta, che Oscar spesso beveva in piedi, accompagnato da qualche biscotto di semplice pastafrolla.
E per Oscar, del resto, quello scendere in quell’antro che erano le cucine - di cui, lei stessa rideva quando ci pensava, molti nobiluomini e nobildonne suoi contemporanei nemmeno conoscevano l’ubicazione nei loro stessi palazzi -era un rito piacevole, per poter salutare Nanny all’inizio della giornata, e perché André potesse vedere sua nonna e parlarle, oltre che per stare con André, in modo informale e quasi come se fossero soli, dato il viavai di cameriere e sguattere che correvano da un capo all’altro del vasto ambiente appresso agli ordini della solerte ed energica vecchina, e che non avevano certo il tempo di fermarsi a osservare la figlia del padrone e il nipote della governante. Certo, in quei momenti non si concedeva, come nemmeno André avrebbe mai osato, alcun gesto fuori luogo: ma era come un dolce interludio all’inizio della giornata, un interludio che serbava qualcosa dell’intimità, di ben altro tipo, della notte.
“Sì, grazie Nanny, molto volentieri: in una mattina così fredda fa bene questo caffé così forte e caldo”, disse Oscar, mentre la vecchia governante si avvicinava con il bricco alla giovane in piedi.
Ma, intanto, con la coda dell’occhio Marie osservava suo nipote: seduto al tavolo, con entrambe le mani protese attorno alla sua tazza, quasi a scaldarsi con il tepore della bevanda fumante, e nel volto una espressione assorta, l’espressione di chi guarda fisso davanti a sé, immerso in profondissime riflessioni.
“Andiamo, André”, disse Oscar, in tono neutro, incolore, suscitando l’immediato levarsi di lui dalla sedia. “Sarà una lunga giornata”, aggiunse lei, mentre quello la seguiva con il semplice, consueto: “Subito, Oscar. Preparo in un attimo i cavalli”. In nulla, nulla, pensò Nanny, erano diversi, quel mattino, da come erano sempre stati; e dunque, da quanto tempo andava avanti quella storia? Da quante settimane, o mesi, o anni, addirittura (Dio liberi!, tremò la poveretta)- al mattino rivestivano di una normale routine fra servo e padrone quel sentimento travolgente che Nanny aveva potuto leggere di sfuggita nei loro gesti due ore prima? Non era già questo un supplizio e una punizione sufficiente?, si ripeteva.
“Siate prudenti!”, raccomandò Nanny, mentre uscivano dalla cucina a passi svelti. E dentro quell’esortazione c’erano mille altre parole, compresse e sottintese.
“Certo, nonna, come sempre!”, le rispose la voce di André, che aveva recuperato un poco di calore e di allegria, Dio solo sa a quale costo, per rispondere a sua nonna.
Poi, sparirono, inghiottiti dai mille impegni di quella giornata invernale.
Nanny sospirò.
“Siate prudenti, ragazzi miei”, pensò, “Fuori casa e, soprattutto, anche in casa”.
Poi, anche lei venne fagocitata dalle mille incombenze richieste dal suo ruolo.
 
[1] Mi sono ispirata per questo alle parole che Nanny dice a Oscar in “Retrée” di epices, che ringrazio per la suggestione e … di cui vi consiglio caldamente la lettura.
   
 
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